Torino e la sua amministrazione si vantano di avere una rete ciclabile invidiata in tutta Italia. Oltre 100 km di piste si snodano nella nostra città rendendola una delle più attrezzate dell’ intero scenario nazionale
Ma questa medaglia appuntata al petto di una amministrazione, che mai si dimentica di ricordarci quanto dovrebbero essere felici i ciclisti torinesi, è d’oro, d’argento o di legno? Partiamo da questa premessa che più che altro è un dato di fatto: è vero, le piste ci sono! Ma è anche vero che chi le ha progettate o non è mai andato in bici in vita sua oppure, se ci è andato, era nel momento della pianificazione della rete sotto l’effetto di qualche sostanza psicotropa o alcolica. Da cosa si può dire che una pista ciclabile sia ben fatta? Direi dalla sua sicurezza e manutenzione, innanzitutto, poi dalla sua ubicazione rispetto alla strada, infine dalla speranza in una partenza e in un arrivo senza sorprese, il che vuol dire, per esempio, che la pista non si interrompa in un punto morto senza preavviso.
Ecco, se cercate una pista che non rispetta nessuno di questi tre parametri potete percorrere il tratto che va da Piazza Bernini a Piazza Statuto. E sì che potenzialmente era quella che avrebbe potuto dare maggiori soddisfazioni ai ciclisti, visto che è stata costruita ex novo durante la risistemazione di corso Francia alla vigilia delle Olimpiadi 2006, ma, quando si affida la progettazione a qualcuno la cui unica esperienza di biciclette è quella con le rotelle alla età di tre anni, non si può chiedere di più.
Ma veniamo a noi. La pista inizia in Piazza Bernini in direzione Piazza Statuto e subito notiamo l’obbrobrio: pista ciclabile incastrata tra il marciapiede, molto largo, e il controviale, molto stretto. La cosa potrebbe ancora essere accettabile se: 1) il marciapiede fosse un marciapiede e non una autostrada 2) la pista ciclabile non fosse metà del marciapiede 3) se la pista ciclabile fosse separata dal controviale da dei funghi o da un rialzo 4) se il controviale non avesse le stesse dimensioni del marciapiede e non fosse delimitato a sinistra dal parcheggio a lisca di pesce nel viale alberato.
Qual è l’effetto combinato di questa schifezza? Basta che una sola automobile sosti non negli spazi adibiti, ma lungo il viale alberato, che si scatena un effetto domino di una pericolosità infinita; la pista ciclabile, non separata dal controviale, viene invasa dalle automobili mentre i ciclisti, per non venire investiti, devono spostarsi sul marciapiede rischiando di stamparsi contro i pedoni. Ma non basta! Se un automobilista dal controviale gira a destra in una delle vie traverse rischia di tagliare la strada al povero ciclista, che immancabilmente diventerà cosa sola con la portiera del veicolo. La mancanza di divisori tra la strada e la pista trasforma poi la pista stessa in un parcheggio di riserva per gli automobilisti più cafoni e indisciplinati; per avere una testimonianza diretta basta passare di sera all’inizio della pista in piazza statuto direzione piazza Bernini, in prossimità del bar. Non di rado troverete parcheggiate macchine della Polizia e dei Carabinieri più intenti a prendersi il caffè che a dare multe.
Ammettendo che durante il km di pista tra le due piazze non vi sia capitato nulla, partendo da Piazza Statuto arriverete in piazza Bernini di fronte al benzinaio e magicamente vi ritroverete nel nulla ciclabile cosmico: non solo la pista si interrompera’, ma non capirete neppure se siete in contromano o nel senso di marcia corretto. Scrive Mauro Perrini: Il paradiso in terra non esiste, ma chi va in bicicletta ci arriverà comunque”. Io mi accontento di molto meno, mi accontento di arrivare a casa!
Paolo Zuliani