Penne e drink, capolavori e banconi dei bar, centinaia di righe scritte in compagnia di cocktail che hanno ispirato la creatività e donato leggerezza a molti scrittori, indiscussi talenti della letteratura
Alcuni ne hanno abusato, ne hanno fatto uno stile di vita non sempre benefico, altri sorseggiando meravigliosi cocktail e istaurando con l’alcol un rapporto affettivo più equilibrato, di equa e sobria distanza, hanno dato vita a opere letterarie altresì straordinarie.

Il bevitore per eccellenza fu Hernest Hemingway, “bevo da 15 anni e nessuna cosa mi ha dato più piacere” affermava. Genio della forma scritta, coraggioso nei reportage di guerra, Premio Nobel per la Letteratura con Il vecchio e il mare, non si vergognò mai della sua debolezza terrena, del suo amore per il vino anzi “un uomo intelligente a volte è costretto a ubriacarsi per passare il tempo tra gli idioti” diceva. Tra i sui cocktail preferiti il Mojito, foglie di menta, lime, zucchero bianco di canna, ghiaccio spezzato, rum e soda e il Daiquiri, da egli stesso reso celebre, fatto con una miscela di rum, limone, zucchero, ghiaccio tritato e maraschino. Tra le sue preferenze pare ci fosse anche il whisky, assolutamente senza ghiaccio. Oscar Wilde, eccezionale scrittore e drammaturgo irlandese, era un tradizionalista e amava moltissimo lo Champagne. In seguito, dopo il suo trasferimento a Parigi in seguito a vicende giudiziarie che biasimarono la sua moralità, si dedicò all’Assenzio che considerava poetico, incline all’amore e per cui “è necessario il silenzio, la meditazione, la dolce pazzia”.
L’autore del mistero e del terrore Edgar Allan Poe amava invece il Brandy. L’alcol è spesso protagonista delle sue opere come ne Il gatto nero dove colui che narra la storia è proprio un bevitore ostinato. A causa del suo vizio ebbe problemi già ai tempi dell’università, la sua vita fu difficile, ma il suo animo tormentato diede vita a opere incredibili, poetiche e passionali. “Ciò che non cura il brandy è incurabile” dichiarava, riferendosi molto probabilmente al dolore per la morte della moglie, un evento che lo fece sbandare ma che non gli impedì di scrivere magnifiche e indimenticabili capolavori del brivido.
La birra, signora alcolica morbida ma decisa, “scoperta più grande del fuoco” come affermava Wallace è stata magnificata da molti scrittori. Charles Bukowsky la mischiava con qualsiasi altra bevanda, Goethe affermava che sapere dove si “spilla” la birra aiuta a conoscere la geografia, Poe le dedicava poesie, Rimbaud scriveva che “giugno sa di vigne e birra” e Milan Kundera: “Non è la birra una santa libagione di sincerità? La pozione che dissipa ogni ipocrisia, ogni sciarada di belle maniere?”. Il nostro Gabriele D’annunzio, poeta esuberante e trasgressivo, fu testimonial dell’Amaro Montenegro e Amaretto di Saronno, ma il suo rapporto con il vino rimane ancora un mistero, “non bevo vino dall’infanzia” diceva, “Iersera bevvi una certa “malvasìa” a me donata dai Càlabri! E tu sai che io son quasi astemio”.
Forse, come scriveva Euripide, ”bevendo gli uomini migliorano” e sicuramente l’alcol avrà favorito momenti di pura creatività e attutito periodi bui di dolore esistenziale, ma bere non può essere una condotta abituale, una consuetudine giornaliera che diventa indispensabile, una terapia o una automedicazione. Un bicchiere con gli amici, un drink dopo il lavoro, una concessione saltuaria per rilassarsi un po’ e distendere le tensioni che la quotidianità ci procura, solo questo può essere, un piacere effimero. Bere responsabilmente invece può anche aiutare l’organismo infatti l’alcol può funzionare come antiossidante, grazie al polifenolo contenuto nella buccia dell’uva, e come antinfiammatorio, maggiormente attivo nel vino rosso.
Insomma, come dice un anonimo è molto probabile che l’alcol sia un propellente che fa andare lo spirito in orbita, ma rimanere ben ancorati e sobriamente a terra è molto più salutare.
Maria La Barbera
“Oriente”: una parola così piccola che cela un significato così grande. Geograficamente il termine indica il “mondo” che si estende ad est, il Vicino, Medio ed Estremo Oriente, rispetto all’Europa, con le sue numerose culture e religioni assai lontane da noi, forse più da un punto di vista concettuale che del territorio. Oggigiorno, nel mondo della globalizzazione e del livellamento culturale, nulla pare irraggiungibile, aerei, treni ad alta velocità e colossali transatlantici inaffondabili ci portano ovunque e noi godiamo mentre, abbronzati, ci scattiamo “selfie” con sfondi esotici e che fanno tanto moda “blogger”: è evidente che non si esce dal tranello della società dei consumi. Per me l’ “Oriente” è qualcosa che conosco appena, un’infinità di mistici saperi che ancora non ho avuto modo di approfondire e studiare.
Mi sento come in un viaggio fantastico, le opere che vedo le percepisco come esseri alieni che mi dispiace non identificare e forse proprio per questo li scruto con l’attenzione di un pioniere.
“Niente al mondo può essere paragonato al fascino di queste giornate trascorse ai laghi (…) nei boschi di castagni cosi verdi, che sembrano immergere i loro rami nell’acqua”: l’autore de Il rosso e il nero e La Certosa di Parma così la passione che provò per questo lago diviso tra Piemonte, Lombardia e Svizzera ticinese.
turbata da molto tempo, quando ultimamente durante l’assedio di Arona una palla la colpì al petto, per fortuna senza danneggiarla“.
L’amica Mirella Serri, su “La Stampa”, ha rievocato il partigiano Mario Fiorentini, morto a 103 anni, e scritto “Senza il mitico Mario non ci sarebbe stata la resistenza romana che, oltre a lui, ebbe fra i personaggi di maggior spicco Rosario Bentivegna, Carlo Salinari, Antonello Trombadori, Franco Calamandrei, Gioacchino Gesmundo e donne come Carla Capponi, Maria Teresa Regard e Marina Musu. Sì Grazie a questi gappisti gli uomini di Hitler e di Mussolini subirono attacchi e sconfitte clamorosi”.
Tex, Pecos Bill, Kinowa, Capitan Miki, il Grande Blek, il Piccolo Ranger e le loro avventurose gesta colpivano la fantasia di un largo pubblico di adolescenti e adulti e si affermava anche un’originale linea di fumetti comici. Tre personaggi raggiunsero una grande popolarità: Cucciolo, Beppe e Tiramolla. Il loro creatore grafico era Giorgio Rebuffi, prolifico inventore di protagonisti e comprimari del fumetto comico italiano. Nato a Milano nel 1928, Rebuffi ( morto nell’ottobre del 2014, a 86 anni) iniziò la sua attività di professionista del fumetto nel 1949 creando lo Sceriffo Fox ( un corvo nero, con tanto di pistole e stella) per le edizioni Alpe, le stesse che porteranno al successo Cucciolo e Beppe che, di lì a poco, saranno affidati proprio alle cure di Rebuffi per un decisivo restyling. I due personaggi esordirono nel 1941, disegnati da Rino Anzi. In origine erano due cagnolini antropomorfi che, grazie alla matita e ai pennini di Rebuffi, si trasformarono in una coppia che ricordava la parodia di Topolino e Pippo (anche qui il piccoletto era scaltro e l’allampanato un po’ svampito) con qualche richiamo alle coppie comiche del cinema, come Gianni e Pinotto e Stanlio e Ollio. Nell’agosto del 1952 comparve per la prima volta, a pagina 12 del numero 8 di Cucciolo mensile, un nuovo protagonista dei fumetti: Tiramolla. L’episodio fu il primo di una lunga storia in quattro puntate che si concluse con il numero 11 del novembre dello stesso anno. Dieci anni dopo, quei quattro episodi vennero unificati e ristampati con il titolo “Il mistero della villa” (Le storie di Tiramolla – anno II n. 18, 23 agosto 1962). La penna che lo tratteggiava era quella dell’eclettico Rebuffi e Tiramolla (ideato da Roberto Renzi), elastico personaggio di caucciù con il cilindro in testa, aristocratico e pigro ma, suo malgrado, coinvolto in guai e avventure, costituì un indissolubile trio di successo con Cucciolo e Beppe. Insieme a una serie di straordinari comprimari (il malvagio Bombarda, il menagramo Giona, il maggiordomo Saetta,il cane Ullaò, il nipotino Caucciù e, soprattutto, Pugacioff, il perennemente affamato e sovversivo “luposki della steppaff” ), raggiungeranno il successo e segneranno in modo indelebile il fumetto comico di quegli anni. Erano di fatto delle strisce semplici e un poco ingenue, ricche di invenzioni e divertenti gag, che hanno accompagnato i nostri lunghi e spensierati pomeriggi quando eravamo poco più che bambini.