ARTE- Pagina 93

“Ritratto nel ‘900 piemontese” Opere di 33 grandi artisti esposte al “Collegio San Giuseppe” di Torino

Fino al 1° aprile

Il tema, in arte, si perde nella notte dei tempi. Ma “Cos’è un ritratto? … Se lo chiedete all’artista vero (non quello ‘che bel ritratto: sembra una fotografia!’), vi risponderà che è raccontare un’anima, il suo sentire, la sua personalità. Non è così facile”. E no, non è così facile. Ha ben ragione Donatella Taverna, cui si deve insieme a Francesco De Caria e ad Alfredo Centra la curatela della rassegna, dedicata – in collaborazione con il “Museo Franchetti”, la “Fondazione Gazzera”, le “Collezioni De Caria – Taverna” e altre private – alla “Ritrattistica” piemontese del Novecento. Selezionati con grande oculatezza, sono 33 (per una buona sessantina di opere) gli artisti ospitatifino al prossimo 1° aprile, nelle Sale del torinese “Collegio San Giuseppe”.

Artisti per i quali, sottolinea anche Francesco De Caria “il ritratto è sempre pretesto di meditazione sul destino dell’Uomo e sul senso di esserci”. Formidabile, in tal senso, Romano Gazzera (Cirié, 1908 – Torino, 1985) – il pittore dei “fiori giganti, parlanti e volanti”, nonché delle sarcastiche “scimmie (o cani) in costume” – di cui il “Collegio” di via San Francesco da Paola presenta un rigoroso “Autoritratto” con occhiali e un surreale (anch’egli in “beffarda” divisa) “Ritratto di De Chirico” (1950), suo grande amico che di lui diceva essere uno dei pochi artisti “capaci di sentire la bella materia”. Interessante, fra gli “autoritratti”, anche quello materico-grumoso di un gioiso Gigi Morbelli (Orsara Bormida, 1900 – Torino, 1980), in cui l’artista alessandrino – allievo di Luigi Onetti, anche lui presente in mostra con un toccante “Ritratto di giovinetto” – inserisce con gesto pop nel dipinto gli oggetti “costitutivi dell’immagine”: gli occhiali a pince nez e la tavolozza. Piacevolissimo.

Di non minore suggestione la “maniera nera (o a nerofumo) a berceau” (2010) della torinese Luisa Porporato, così come l’“Autoritratto” un po’ maudit di un giovane Michele Tomalino Serra (Cossano Belbo, 1942– Torino, 1997), accanto a quello “dimesso” di Pino Mantovani o ai due piacevolmente autoironici del vignettista Gianni Chiostri. Di amore coniugale ci raccontano  invece l’accademico “gesso” del ’42 dono di nozze di Giovanni Taverna (Alluvioni Cambiò, 1911 – Torino, 2008) alla moglie “Marisa” (Margherita Costantino) – ricambiato dalla stessa, pittrice e ceramista di vaglia, con un penetrante amorevole ritratto  – così come l’olio su tela del ’74, “Grazia…Grazia”, omaggio affettuoso di Pippo Leocata alla consorte, ritratta “in doppio” e in forme volutamente “sfumate”: in primo piano, nell’aggraziata compostezza di giovin fanciulla (indosso un leggero vestito hig style di seta a fiori), alle spalle, in un gioco di sottili velature, la stessa, qualche anno dopo, in corsa con la vita.

Un discorso particolare meritano anche i ritratti, più che mai, poetici ed intensi di bambini: il piccolo “Vittorio”, “diavoletto” dal vestitino rosso con colletto ricamato bianco, realizzato su avorio dalla miniaturista Elisa Tosalli, i teneri “Ritratto di bambino” di Stefano Borelli e la piccola “Chiara” di Guido Bertello. Di misteriosa antica sacralità tradotta in suggestive cifre simboliche ci parlano le magnifiche figure (“Elisa” e “Rossele”) di Luigi Rigorini, così come la “Conchiglia magica per Mara” di Guido De Bonis,  partecipe marginalmente negli anni Sessanta del movimento torinese dei “Surfanta”, verso cui pare simpatizzare anche Eugenio Colmo Golia, nel suo “Venez, mes poissons”. Ritratti come esercizi di nobile “accademia”, dove la puntualità del segno tende a indagare e a privilegiare l’“umanità”, oltre alla pura definizione dell’“essere umano”, troviamo ancora nelle opere di Evangelina Alciati, di Alda Besso (Giò), di Mario Caffaro Rore e di Rosanna Campra, per continuare con Ercole DoglianiLaura MaestriJean-Louis MattanaNini PietrasantaMina PittoreMaria Teresa ProloRita ScotellaroAdriano SicbaldiEnzo Venturelli – “Arcimboldo” novecentesco con le sue “figure-robot” dalle forme geometrizzate.

Fra le sculture, di grande impatto è il “gesso” informalmente “sfaldato” di Sandro Cherchi così come il tormentato “Autoritratto” in blu di Ottavio Mazzonis, accanto alle opere più classiche di Augusto Reduzzi e di Roberto Terracini. Magnifica chicca: il sontuoso ritratto di Anonimo di inizi ‘700 di “Papa Pio V” (al secolo Antonio Ghislieri da Bosco Marengo), Pontefice dal 1566 al 1572, anno della sua scomparsa e fra i principali artefici e promotori della “Controriforma”.

 

Gianni Milani

“Ritratto nel ‘900 piemontese”

Collegio San Giuseppe, via San Francesco da Paola 23, Torino; tel. 011/8123250 o www.collegiosangiuseppe.it

Fino al 1° aprile

Orari: lun. – ven. 10,30/12 e 16/18,30; sab. 10/12

Nelle foto:

–       Romano Gazzera: “Ritratto di De Chirico”, 1950

–       Gigi Morbelli: “Autoritratto”

–       Giovanni Taverna: “Marisa”, 1942

–       Pippo Leocata: “Grazia…Grazia”, 1974

–       Luisa Porporato: “Autoritratto”, 2010

“Ugo Nespolo & African Icons” in mostra a Spazio Musa

Vernissage: 24 marzo 2023 ore 18:00

Via della Consolata 11/E, 10122, Torino

Spazio Musa e Galleria Senesi di Cuneo presentano una mostra collettiva unica nel suo genere.

Ugo Nespolo in dialogo con larte Africana.

Ad accogliere i visitatori nello spazio di Via della Consolata 11/E, Ugo Nespolo, artista torinese poliedrico che da sempre esplora le tante sfaccettature dellarte, pittura, fotografia, scrittura, teatro, cinema e molte ancora.

26 opere ripercorrono il lavoro svolto negli ultimi anni, tra ironia e trasgressione, colori e citazioni storiche.

Le famose Visite al museo  che ritraggono spettatori mentre osservano grandi mostre, andando a  ricreare un effetto inception con lo spettatore stesso.

Numeri e colori caratterizzano opere e sculture, la numerologia è da sempre un tema ricorrente in tutti i suoi lavori.

Si ritrovano anche citazioni ai capolavori del cinema e musicali insieme agli immancabili omaggi ad amici artisti tra i quali Enrico Baj, Capogrossi e Andy Warhol.

Al piano sotterraneo, come a voler simboleggiare le radici dellumanità, una collettiva africana, 13 artisti provenienti da 7 paesi differenti, tra cui Sud Africa, Tanzania, Senegal e Congo.

Tra i più conosciuti del continente esposti in mostra: Esther Mahlanghu, George Lilanga e le sculture di Seni Awa Camara.

Parte di queste 40 opere sono state gentilmente concesse della Fondazione Sarenco, che da sempre si impegna a curare e comunicare larte africana nel mondo.

Lesperienza di Sarenco ha portato un profondo contributo per larte Africana. La nascita dellArte Africana Contemporanearisale alla metà degli anni 50 del XX° secolo. Anni difficili, durante i quali i paesi africani iniziavano la loro lotta per lindipendenza dal colonialismo europeo. Indipendenza che a tuttoggi non è ancora stata del tutto realizzata. LAfrica è un enorme continente, patria dellhomo sapiens e terreno di grande cultura originaria, legata allanimismo e alle culture tribali.

Larte africana cosiddetta antica’ è ormai ben rappresentata nei grandi musei internazionali, in America e in Europa, proditoriamente sottratta da pionieri ed esploratori, da religiosi avveduti e da ogni sorta di masnadieri.

Unarte che è ormai in tutto il mondo. Unarte che affonda le sue radici nellorigine dellumanità.

INFORMAZIONI

Nella prima parte della serata, dalle 19:00 alle 20:00, il duo Camillo Nespolo al Sax e Giangiacomo Rosso alla chitarra, accompagneranno la visita con un Soft Jazz.

Dalle ore 21:00 alle ore 24:00 la serata si sposterà al piano -1, il Dj Set by M@kossa darà la possibilità di godere a pieno lesperienza immersiva dellafrica remota, attraverso musica etnica contemporanea.

Spazio Musa, Via della Consolata 11/E – 10122 Torino

+39 393 3377799 –  spaziomusa.torino@gmail.com. –  www.spaziomusa.net

Orari per il pubblico

Dal 25 marzo al 5 maggio 2023 la mostra è visitabile dal martedì al venerdì dalle ore 14:30 alle ore 19:30 e il sabato e la domenica dalle 10:30 alle 19:30.

Van Gogh multisensoriale in mostra a Torino: pathos e drammaticità

VAN GOGH EXPERIENCE: la mostra multimediale che abbraccia il visitatore in una nuova esperienza multisensoriale.

Arriva a Torino la produzione internazionale targata Next Exhibition che ha emozionato il mondo, la mostra che unisce il piacere della scoperta della vita di Van Gogh all’immersione totale nel cuore pulsante della sua arte.

Un viaggio entusiasmante per la sua moderna forma d’espressione tecnologica e per la sorprendente originalità, capace di attirare e coinvolgere un pubblico eterogeneo, da appassionati d’arte a giovani studenti.

La Citroniera di Ponente della Palazzina di Caccia di Stupinigi, dopo aver ospitato esposizioni più classiche come Frida Kahlo e Marilyn Monroe, si illumina di colori nuovi, ritratti e scenari toccanti e soprattutto si tinge di sensazioni uniche.

Il percorso inizia con la conoscenza della vita di Van Gogh, con la sua timeline, per far conoscere al pubblico i fatti più salienti che hanno condizionato la sua vita e la sua arte.

A seguire l’immersione nei pensieri geniali e folli di uno degli artisti più amati di sempre è un vero e proprio tuffo al cuore. In un’area di oltre duecento metri quadri ogni superficie prende vita e diventa arte, avvolgendo a 360 gradi il visitatore in un viaggio a tinte scure, ricco di pathos e drammaticità, a far comprendere il tormento interiore di Van Gogh, il senso dei suoi pensieri e i suoi stati d’animo.

Il video, della durata di venti minuti circa, viene proposto in loop ed è possibile visionarlo più volte, da diversi punti di vista: in piedi o comodamente seduti sui pouf disseminati nella stanza, diventando parte integrante del quadro scenico. L’osservatore diventa infatti protagonista dell’opera, ampliando i propri sensi verso onde di immagini e suoni perché il videomapping non coinvolgerà soltanto la vista, ma anche l’udito, con una colonna sonora di musica classica, ad esaltare ancora di più l’emotività del viaggio.

Dopo la discesa negli inferi dell’anima dell’artista, nel blu profondo de “La Notte Stellata”, la risalita verso la luce, verso i colori e quel giallo vivo che tanto amiamo nell’arte di Van Gogh.

Presenti in mostra tre scenari, ideali come selfie opportunities per il pubblico: il campo di grano, i girasoli e la camera di Van Gogh.

In antitesi con quanto accade di consuetudine nei musei, l’organizzazione invita il pubblico a fotografare e a condividere la propria esperienza in mostra sui social, utilizzando i canali ufficiali: per facebook /vangoghthexperience e per IG next.exhibition

La mostra prosegue con la sezione di virtual reality, facoltativa e con biglietto accessorio, che consentirà al visitatore, indossato l’oculus di ultima generazione, di vedere con gli occhi di Van Gogh, intento ad osservare il mondo e a trarre ispirazione dai paesaggi a lui più famigliari per le sue opere.

Non mancano i contributi video, fruibili lungo il percorso e nella sala cinema. Tra questi, in collaborazione con la piattaforma Eduflix, la narrazione del rapporto di Van Gogh con i colori, a cura del critico e storico dell’arte Flavio Caroli.

Le ultime sale della Citroniera di Ponente ospitano infine la sala didattica e il bookshop.

Nella sala didattica grandi e piccoli sono liberi di dare sfogo all’estro creativo e creare in stile Van Gogh. Una volta realizzato il disegno può essere scannerizzato ed essere condiviso, visibile a tutti, sulla parete in mostra.

GIORNI E ORARI DI APERTURA

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La mostra sarà aperta:

Dal Martedì al Venerdì 10 – 18

Sabato e Domenica 10 – 19

Lunedì chiuso

Ultimo ingresso consentito in mostra un’ora prima dell’orario di chiusura.

I social della mostra:

FB/ VanGoghExperienceTorino

IG/ vangogh_experience

www.vangoghexperience.it

PREZZI E MODALITA’ ACQUISTO BIGLIETTI

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Biglietti a partire da 12,50 euro.

Prevendita con il circuito Ticket One e vendita anche presso il botteghino

della Palazzina di Caccia di Stupinigi nei giorni e negli orari di regolare apertura della mostra.

Infoline: 375/5475033 – info@vangoghexperience.it

“Nebris – Oltre i confini delle 5 pelli” Un progetto artistico e una mostra collettiva

 AREA.Lab, progetto artistico per la formazione e servizi culturali promosso dall’associazione culturale La Nuova Maniera e Tdf.Collective, inaugura  la mostra collettiva “Nebris – Oltre i confini delle 5 pelli” il giorno 26 marzo alle ore 17.00 presso lo spazio 3So Sottoscala, via Giuseppe Moris 6, Torino

 

L’esposizione è il progetto finale realizzato dai partecipanti al workshop Dalla critica alla curatela. Primo di cinque moduli dedicati alla progettazione culturale, un intenso periodo di studio teorico e pratico, che li ha visti protagonisti di ogni aspetto relativo a ciò che vuol dire curare e allestire una mostra di arte contemporanea oggi.

Nodo centrale dal quale si dispiega il percorso di mostra è la teoria delle 5 pelli dell’artista viennese Friedensreich Hundertwasser. Ogni pelle: l’epidermide – i vestiti – la casa – l’identità sociale e nazionale – l’ambiente naturale, descrive il livello di consapevolezza che ogni persona possiede del mondo; ognuna di esse è intrinsecamente legata alle altre a dimostrazione che la serenità e la felicità individuale non esiste altrimenti, perché indissolubilmente connessa al mondo che ci circonda.

Partendo dalla concretezza di questa interconnessione i sei artisti in mostra, Carola Allemandi, Isabel Rodriguez Ramos, Pabliu Lucero, Andrea Porzio, Andrea Stefanelli, IDEM STUDIO, ne dispiegano la dimensione concettuale, processuale ed esperienziale, prendendo forma nuova all’interno di un intimo spazio domestico, per l’occasione reso tale.

L’opening della mostra è libero a partire dalle 17 e resterà aperta una settimana solo su appuntamento.

Il progetto di Area.Lab è stato realizzato in collaborazione con il Dipartimento di Scenografia dell’Accademia Albertina di Torino e proseguirà sino al 30 giugno

Alice Visentin vince il Premio d’arte internazionale Collective

Per il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea ed entra nelle Collezioni del Museo

Alice Visentin (Ciriè, Torino, 1993) è la vincitrice della prima edizione del Premio d’arte internazionale Collective per il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea. Grazie all’acquisto effettuato dai Soci di Collective, l’opera di Visentin Banda di fiori (Notturno), 2021, entra in qualità di donazione a far parte della Collezione permanente del Museo.Promosso da Collective, Associazione italiana di collezionisti d’arte contemporanea costituita nel 2019, il Premio d’arte internazionale Collective per il Castello di Rivoli ha come obiettivo l’acquisizione e donazione al Museo di un’opera realizzata da una/un artista di età inferiore ai 35 anni. Corrispondente a 20.000 euro, il Premio ha cadenza biennale.

Visentin è stata selezionata da una commissione dedicata al progetto, composta dal Direttore del Castello di Rivoli Carolyn Christov-Bakargiev, dal Vice Direttore e Capo Curatore Marcella Beccaria e dal Curatore Marianna Vecellio, a partire da una rosa di 36 lavori realizzati da artiste/i italiani e internazionali proposti dai Soci di Collective.

Profondamente radicata nel suo territorio di origine, l’arte di Alice Visentin si ispira a tradizioni orali, dettagli di fatti storici ed elementi fantastici. L’opera vincitrice Banda di fiori (Notturno) è un importante ciclo pittorico composto da 5 tele. Emergenti dall’oscurità della notte, i fiori rappresentati in ciascuna delle tele diventano per l’artista “metafora della condizione umana, collegata all’universo fisico e trascendentale. Attraverso l’immagine naturale dei fiori e della notte – entrambi archetipi e simboli di un inconscio collettivo – ho immaginato le radici che scendono nella terra, mentre foglie e petali si estendono in alto, verso i cieli pieni di stelle. Tra gli steli, le foglie e i petali, le piante ci offrono piccolissime frasi e parole come fossero oracoli o consigli”.

“Fin dalla nascita del Museo”, dichiarano Marcella Beccaria e Marianna Vecellio, “le Collezioni del Castello di Rivoli sono cresciute secondo un processo organico che si fonda su sinergie e legami tra gli artisti e le opere. Negli ultimi anni in particolare il Museo si è dedicato a nuove forme di espressionismi, ponendo attenzione alla relazione tra l’umano, l’espressione individuale e la sintesi proposta dal mondo digitale. Spesso nate a partire da storie minime, sospese tra realtà e fantasia, le opere pittoriche di Alice Visentin alludono a un immaginario che intenzionalmente si riallaccia a tradizioni effimere e locali, lontane dall’attuale appiattimento tecnologico. Per questa prima edizione la nostra scelta privilegia un’artista italiana. Ringraziamo Collective per questa donazione che con generosità e lungimiranza contribuisce a consegnare nuove opere al tempo lungo della memoria museale”.

“Mi congratulo per questa nuova iniziativa privata a favore di sostenere le ricerche di un’artista come Alice Visentin e un museo pubblico”, aggiunge il Direttore Carolyn Christov-Bakargiev, “e ringrazio il Vice Direttore Marcella Beccaria per aver tessuto con cura le relazioni con Collective e il Curatore Marianna Vecellio per lo studio, raggiungendo un ottimo risultato”.

 

Banda di fiori (Notturno), 2021
tecnica mista su tela
5 elementi, 130 x 150 cm ciascuno
Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino
Donazione Premio d’arte internazionale Collective
Foto Sebastiano Pellion

Al Mao il poemetto Kumarjiv

 

MAO Museo d’Arte Orientale
via san Domenico 9, Torino

Venerdì 24 marzo ore 16.30

Il MAO è lieto di ospitare venerdì 24 marzo alle 16.30 la presentazione del poemetto Kumārjīv, a cura della prof. Alessandra Consolaro, UniTO.

Nel poemetto omonimo del poeta hindi Kunwar Narain (1927-2017), il grande traduttore Kumarjiv (in sanscrito Kumārajīva), vissuto a cavallo tra la lingua sanscrita e quella cinese sedici secoli prima di noi, diventa un soggetto poetico, che consente al lettore di ripensare l’interazione tra storia, attività intellettuale e poesia.

Kumarjiv è il traduttore prototipico che comunica il messaggio buddhista in un contesto interculturale. È ricercatore, conoscitore e commentatore, ma non vuole essere un “maestro”. Da un lato, la sua vita è ilprototipo dell’infinita ricerca umana della verità.

Allo stesso tempo il Kumarjiv di Kunwar Narain è cittadino del mondo, nato fuori dal subcontinente indiano, ma capace di fare di una lingua e di una religione indiana la sua casa. Non da ultimo, Kumarjiv esplora la tensione e la ricerca di una soluzione nella dicotomia tra vita mondana e vita intellettuale/spirituale, trovando un equilibrio e una conciliazione tra due stili di vita apparentemente contrapposti. Kumarjiv così come reso da Kunwar Narain è un individuo, la cui attività di traduzione è il risultato di una scelta personale, che gli concede una percezione molto profonda dell’essenza della traduzione: entrare nel mondo dell’altro aprendo la porta della lingua è come costruire un sentiero di illuminazione tra due culture. È la celebrazione di una profonda amicizia tra due lingue e culture, senza fusione, senza dominio di una sull’altra e senza rivendicazioni di perdite o guadagni, solo un incontro festoso. Questa traduzione italiana presenta uno spaccato di un viaggio di traduzione e poesia lungo la Via della Seta della storia.

Ingresso libero.

Giuseppe Calì, l’artista siciliano che fa il soldato

Palermitano, classe 1976 Giuseppe Calì è un artista a tutto tondo, ispirato e profondo.

Lascia la sua Sicilia, la sua famiglia e approda in Piemonte quando si arruola come volontario nell’Esercito Italiano. Questo distacco, seppur difficile e impegnativo, gli dà nuova linfa per proseguire la sua passione: l’arte; l’indipendenza economica gli permette di coltivare il suo sogno cominciato nella sua terra quando consegue il diploma all’Istituto d’Arte.

Calì, “Benny” per il nonno artista come lui, arriva a Fossano al I° Reggimento di Artiglieria, comincia la sua vita di gruppo e condivisione con i suoi compagni, ma anche di solitudine utile ad alimentare il suo talento e stimolare la sua creatività. E’ proprio alla Perotti di Fossano che Giuseppe sviluppa alcuni progetti: crea lo stemma della Caserma, dipinge un bellissimo murale di 5 metri ubicato presso il Circolo dell’edificio militare e dona un suggestivo ed emozionante dipinto: “La presa di posizione dell’artiglieria”.

Artista versatile e completo, a Calì, oramai benese di adozione, viene conferito il Premio Biennale Nobel dell’Arte presso l’Artexpò Gallery di Montecarlo ed espone le sue opere in importanti mostre come quella organizzata al Salone d’Onore del Comune di Cuneo.

Oltre a lavorare, tra divisa, colori e pennelli, Giuseppe Calì studia i suoi maestri di riferimento come Pollock, alterna il figurativo con un’arte innovativa “che non deve sottostare a regole esterne” e allarga la sua esperienza creando opere di spessore che si ispirano a diversi artisti contemporanei.

Insignito del titolo di Ambasciatore dell’arte nel mediterraneo, Calì crede fermamente che l’arte debba essere alla portata di tutti, non deve avere limiti culturali né cognitivi e considera la ricerca pittorica un continuo divenire, una evoluzione costante. Le sue opere sono pennellate traboccanti di colori ma anche di significato che rendono tangibile l’ impegno profondo e il valore che l’arte ha nella vita del pittore.

Un percorso ricco quello di Calì diviso tra la sua professione di militare e la sua arte, una vita intensa in cui si intersecano perfettamente regole e creatività, condivisione e introspezione, misura ed estro.

MARIA LA BARBERA

https://www.gigarte.com/giuseppecali/home

Ana Roxanne, performance nell’ambito della mostra Buddha10

Martedì 21 marzo 2023 ore 18.30

MAO Museo d’Arte Orientale, Torino

 

Ana Roxanne, compositrice intersessuale filippino-americana, arriva al MAO Museo d’Arte Orientale per una performance – nell’ambito del public program della mostra Buddha10 – che mescola ispirazioni ambient, jazz, hindustani, corali ed elettroniche fuse in una magica esperienza extracorporea che riflette sulla fluidità di genere.

Ana Roxanne è nota per la sua miscela di musica jazz, corale, elettronica e Hindustani e per l’esplorazione di tematiche legate all’identità di genere. Lavora nella zona liminale fra elettronica sospesa, dream pop e cantautorato ambient. Le sue ispirazioni abbracciano il sacro (attraverso le tradizioni corali cattoliche con cui è cresciuta e il canto Hindustani classico che ha appreso a Uttarkhand, in India) e il profano (con l’ascolto di dive R&B degli anni ’80 e ’90); il tutto sintetizzato in un linguaggio sonoro unico e intuitivo, allo stesso tempo affascinante e arcano, curativo ed evocativo.

Il suo album di debutto “Because Of A Flower” (Kranky, 2020), composto nel corso di cinque anni, è influenzato dall’identità intersessuale dell’artista, sia a livello sonoro sia tematico. Da spoken word presi in prestito da libri di armonia tonale, a campioni di dialoghi di film fino a riferimenti alle arie per castrati, l’album è una visione interstiziale della musica ambient, un’alchimia di evanescenze e sussurri, estasi e dolore, evocata attraverso un fragile equilibrio di voce, basso, dinamiche e dimensione sonora.

 

Il calendario completo degli eventi sul sito.

Info e prenotazioni: eventiMAO@fondazionetorinomusei.it .

Costo: 15 € intero | 10 € ridotto studenti.

I biglietti sono disponibili presso la biglietteria del museo.

Dicesi “Family” In mostra alla “Palazzina di Caccia” di Stupinigi

Settant’anni di storia della famiglia negli scatti in bianco e nero del grande Elliott Erwitt

 Fino all’11 giugno

I cani, fra i temi più fotografati nella sua lunghissima carriera. A loro ha dedicato 4 dei suoi oltre 40 libri a tema fotografico. Non c’è quindi da stupirsi del soggetto preso a pubblico manifesto della mostra a lui dedicata, fino al prossimo 11 giugno, dalla “Palazzina di Caccia” di Stupinigi. Siamo a New York, 1974. Lo scatto, catturato (alla Cartier-Bresson) nel suo più indifferibile “attimo fuggente” ci mostra gli stivali alti e lucidi di un’elegante (si presume) signora dal lungo soprabito, alla sua sinistra un buffo e simpatico cagnolino agghindato per le feste e alla sua destra le lunghe zampe di un cagnolone di alta taglia. Iconico e ironico trio. Anche questa è “Famiglia”.

Una delle mille sfaccettature in cui s’è evoluto nel tempo il concetto (ed il termine) di “Famiglia”. O di “Family”, come racconta il titolo della mostra in cui passano settant’anni di carriera di un artista che ha fatto la storia fotografica del nostro Novecento. Parliamo dell’oggi 94enne Elliott Erwitt (al secolo Elio Romano Erwitz) nato a Parigi nel luglio del ’28, da genitori ebrei di origine russa ed emigrato nel ’39 negli States (dopo aver vissuto, fino al ’38, anche in Italia) a causa delle leggi razziali fasciste. Prodotta da “Next Exhibition” – in collaborazione con “SUDEST 57” e l’Associazione Culturale “Dreams”, con il patrocinio della “Città Metropolitana” di Torino – la mostra è a cura di Biba Giacchetti e ospitata nelle antiche Cucine della “Palazzina” di piazza Principe Amedeo a Nichelino. Gli scatti esposti sono stati selezionati dallo stesso Erwitt (fra i nomi di massimo prestigio della “Magnum Photos” cui aderì nel ’53 su invito dello stesso Robert Capa, socio fondatore, e di cui divenne presidente nel ’68 per tre mandati); fil rouge dell’intera esposizione le fotografie che, nel corso di sette decenni, meglio hanno descritto e rappresentato, in modo potente ma anche ironico e fantasioso e poetico, il sistema – famiglia.

Sempre sotteso alla ferma convinzione che “la fotografia – come sosteneva lo stesso artista– è il lavoro dell’anima”, compiuto in questo caso specifico su un tema che certamente ha avuto un’importanza determinante nella sua vita personale, visti i suoi quattro matrimoni, i sei figli e un numero di nipoti e pronipoti tuttora in divenire. “Come sempre Elliott Erwitt – spiega Biba Giacchetti – è voluto uscire dai canoni classici e sviluppare il concetto di famiglia in modo libero e provocatorio. Immagini romantiche si alternano a immagini di denuncia (come quella del ‘Ku Klux Klan’), fino alla ben nota ironia che vuole assolvere chi elegge a membro prediletto della propria famiglia l’animale più amato, che sia un cane, un maiale o un cavallo, e celebrare così con serietà e sorriso, il sentimento universale che ci lega a chi amiamo”. La “Family” è tante cose e ha tante chiavi di lettura per il fotografo americano.

E’ la tragedia della giovane first lady Jackie al funerale di Stato del marito e presidente degli Stati Uniti, JFK, assassinato a Dallas il 22 novembre del ’63, ma è anche la dolce intimità della mamma che osserva rapita la sua piccola Ellen, primogenita di Erwitt. Scatti, sempre rigorosamente in bianco e nero, che abbracciano il mondo. Ecco allora dalla Provenza (foto celeberrima) un nonno che, in bicicletta su un lungo infinito viale alberato trasporta il nipotino, entrambi con il tipico basco alla sghimbescia ben calato in testa, e, pinzate dietro, due baguettes oltre le quali (verso il fotografo?) si rivolge sbarazzino lo sguardo del bimbo; e poi ancora la non più giovane coppia irlandese colta di spalle a godersi la brezza e la bellezza del mare. Una vita insieme. La poesia in un fermo-immagine. Quella che ti guida per l’intera rassegna. Poesia e amore. Perché dove c’è amore, ci ricorda l’artista, “lì c’è famiglia”.

E, proprio su  questo concetto gli organizzatori hanno inventato il contest fotografico “MY FAMILY”. Fino al 28 maggio incluso il pubblico potrà inviare  a info@elliotterwitt.it la foto della propria famiglia. Tutte le foto verranno inserite in un album sulla pagina facebook di “Next Exhibition”, oltre ad essere esposte nella sala didattica in mostra alla “Palazzina di Caccia”. La foto più votata dagli utenti su facebook sarà stampata ed esposta ufficialmente sempre nell’area didattica della mostra, mentre l’autore dello scatto potrà accedere gratuitamente a tutte le esposizioni realizzate in Italia da “Next Exhibition” fino a fine 2023.

Gianni Milani

“Elliott Erwitt. Family”

Palazzina di Caccia di Stupinigi, piazza Principe Amedeo 7, Nichelino (Torino); tel. 011/6200634 o www.elliotterwitt.it

Fino all’11 giugno

Orari:dal mart. al ven. 10/17,30 ; sab. e dom. 10/18

Nelle foto:

–       USA. New York City, 1974

–       USA. Arlington, Virginia, Jacqueline Kennedy at John F. Kennedy’s funeral, 1963

–       France. Provence, 1955

–       Ireland, 1964

La meridiana che non segna l’ora

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Torino, bellezza, magia e mistero / Torino città magica per definizione, malinconica e misteriosa, cosa nasconde dietro le fitte nebbie che si alzano dal fiume?

Spiriti e fantasmi si aggirano per le vie, complici della notte e del plenilunio, malvagi satanassi si occultano sotto terra, là dove il rumore degli scarichi fognari può celare i fracassi degli inferi. Cara Torino, città di millimetrici equilibri, se si presta attenzione, si può udire il doppio battito dei tuoi due cuori.

Articolo 1: Torino geograficamente magica
Articolo 2: Le mitiche origini di Augusta Taurinorum
Articolo  3: I segreti della Gran Madre
Articolo 4: La meridiana che non segna lora
Articolo 5: Alla ricerca delle Grotte Alchemiche
Articolo 6: Dove si trova ël Barabiciu?
Articolo 7: Chi vi sarebbe piaciuto incontrare a Torino?
Articolo 8: Gli enigmi di Gustavo Roll
Articolo 9: Osservati da più dimensioni: spiriti e guardiani di soglia
Articolo 10: Torino dei miracoli



Articolo 4: La meridiana che non segna lora


Passeggiare per Torino è così, non sai mai che mistero puoi incontrare una volta girato langolo. Se siete per caso nei pressi di Palazzo Reale e svoltate verso sinistra vi ritroverete vicino al Duomo, il principale centro di culto cattolico della città, ma anche lennesimo edificio in cui si nasconde una leggenda da raccontare. Il fabbricato si trova nella zona storica di Torino, quasi adiacente al teatro romano dellantica Julia Augusta Taurinorum. Inizialmente nellarea si ergevano tre chiese paleocristiane, forse edificate sulla base di templi pagani preesistenti, e dedicate a San Salvatore, Santa Maria in Campo e San Giovanni Battista. Le tre chiese vennero demolite tra il 1490 e il 1492, al contrario della torre campanaria che, terminata nel 1469,  non venne minimamente toccata, e resta ancor oggi ben visibile a fianco del Duomo. Il 22 luglio 1491 Bianca di Monferrato, reggente di Casa Savoia, posò la prima pietra delledificio religioso, dedicato a San Giovanni, patrono della nostra città. La costruzione venne affidata ad Amedeo de Francisco da Settignano, il quale vi si dedicò fino alla morte, avvenuta nel 1501. Il Duomo fu completato nel 1505 e nello stesso anno, il 21 settembre, fu consacrato. Durante il Seicento venne portato avanti un progetto di ampliamento della struttura, in modo da creare un ambiente degno per la conservazione della Santa Sindone. Si iniziò con un progetto di Bernardino Quadri, basato su alcune correzioni che egli stesso aveva apportato agli studi precedenti di Carlo di Castellamonte. Tuttavia nel 1667 il compito di concludere ilavori venne affidato a Guarino Guarini, già attivo in molti altri cantieri piemontesi, tra cui la non lontana Chiesa di San Lorenzo. Ledificio si presentava allesterno maestoso ed imponente, allinterno, invece, sbalordiva i visitatori con i preziosi giochi cromatici dei marmi che da neri andavano via via schiarendosi verso lalto. Carlo Alberto I volle impreziosire ulteriormente la costruzione e ordinò a Luigi Cagna di eseguire una copia dellUltima Cena, da porre sulla controfacciata della chiesa, unico punto in cui era possibile ancorare unopera da 900 Kg. Anche il campanile, in forme romaniche, venne in seguito modificato, questa volta per volere di Vittorio Amedeo II, ad opera di Juvarra, che lo sopraelevò di ben 12 m, portando la torre campanaria ad unaltezza complessiva di 60 metri, nel 1720. Il Duomo oggi si mostra come una struttura rinascimentale inconfondibile nel panorama cittadino. Allesterno il bianco marmoreo della facciata principale risplende ai raggi del sole, e il gioco di luci e ombre che si crea rende ancora più visibili gli altri elementi architettonici lì presenti, quali i tre portoni, il timpano che sovrasta  lingresso mediano e le due volute laterali. Linterno, severo, è costruito su pianta a croce latina e diviso in tre navate, lunghe 40 metri, le due laterali di 5,80 m., quella centrale di 9,50 m.

Decorata ai lati da numerose cappelle, a cui lavorarono artisti di pregio, la cattedrale ospita nel transetto destro il grande organo a trasmissione meccanica costruito nel 1874, strumento che ne sostituisce un altro del 1741. Lelemento più discusso del complesso è la Cupola del Guarini, definita da costoloni che si intrecciano frantumando la superficie del soffitto e precisata dalla luce diffusa per mezzo di numerose finestre che emergono curiosamente all’esterno della struttura, dove il tamburo è recinto da una linea sinuosa che racchiude i finestroni. La mirabile opera venne pesantemente danneggiata dallincendio dell11 aprile 1997, ed è stata oggetto di un restauro ricostruttivo di particolare difficoltà; la riapertura al  pubblico risale al 27 settembre 2018. La maestosità delledificio del Duomo nasconde un dettaglio singolare: sulla parete destra -arrivando dalla Piazzetta Reale- appare una meridiana dallaspetto non comune. Si tratta di una meridiana zodiacale, meglio qualificata come planetaria. Essa appartiene alla piùantica concezione di meridiane, utilizzate già tempo addietro dai Babilonesi, dagli Ebrei e dagli Egizi. Questa tipologia di oggetti presenta al posto dei numeri i dodici segni astrologici, poiché la tradizione vuole che ad ognuna delle dodici ore corrisponda linfluenza di un pianeta. Anche laspetto della meridiana è piuttosto insolito, con il quadrante costituito da una croce: lasta verticale è una freccia che punta verso il basso, Capricorno-Cancro; lasta orizzontale congiunge Ariete e Bilancia. I segni ai vertici coincidono con linizio delle stagioni e ne determinano il ciclo: 21 marzo – Ariete; 21 giugno- Cancro; 23 settembre – Bilancia; 22 dicembre – Capricorno. Lasta centrale congiunge il Capricorno, segno di Gesù, con il suo ascendente, il Cancro. Lincrocio delle due assi rappresenta il Cristo, centro dellUniverso.

Tale meridiana zodiacale può anche essere intesa, in chiave esoterico-cristiana, come una sorta di talismano, formato dai quattro elementi da cui è nato tutto luniverso: la terra è il lino in cui è avvolto Gesù; laria è il tempo da lui impiegato per giungere fino a noi; lacqua sono i viaggi che egli ha dovuto compiere; il fuoco è la fiamma energetica della Resurrezione. Le due interpretazioni si sovrappongono e conferiscono una doppia energia alloggetto. Il talismano ha dunque sia forza intrinseca che estrinseca, infatti esso viene caricato dalla fede dei fedeli che venerano la Sindone, e si crea così uno scambio energetico in più direzioni, dallinterno verso lesterno e viceversa, ossia dalla Sindone verso Torino e dalla Sindone verso ciascun fedele. Tuttavia il discorso sui segni zodiacali non termina qui. Larchitetto Enrico Castiglioni (1914-2000), uno dei membri fondatori del CIDA, (Centro Italiano Discipline Astrologiche), intraprese uno studio secondo il quale ad ogni zona torinese sarebbe associato  un elemento zodiacale. Egli divise la mappa della città in una raggiera a dodici quadranti, con centro in piazza Castello, allo scopo di evidenziare il nesso tra la porzione di città selezionata nei vari spicchi, le attività che lì si svolgono e le persone che vi abitano, con le caratteristiche del segno zodiacale corrispondente. Ad esempio allAriete, che è il segno piùmaschile, collegato allelemento fuoco, che a sua volta rimanda a Marte, dio greco della guerra, corrisponde la zona di Madonna di Campagna, territorio caratterizzato dalla presenza di molte industrie metallurgiche. Ed ecco come continua lelenco: al Toro, segno di elevazione dellanima, è affine lasse di Corso Regina Margherita (dove c’è una moltitudine di chiese); ai Gemelli si accorda la zona che va da Corso Francia a Borgata Parella, area propizia per intellettuali, commercianti e occultisti; al Cancro fa riscontro il territorio di Borgo San Paolo; al Leone, segno di comando, spetta la Crocetta, dove sta la crème de la crème della città; la Vergine è in simmetria con  il settore di Porta Nuova, Corso Massimo fino agli ospedali; alla Bilancia soddisfa piazza Maria Teresa, verso Valsalice, luogo in cui è larte a farla da padrone; allo Scorpione, segno magico per eccellenza, aderiscono piazza Castello, via Po e la Gran Madre; al Sagittario compete la Mole Antonelliana; al Capricorno, segno che governa lAldilà, ben si adatta la zona dei cimiteri; all Acquario tocca  la Barriera di Milano: il segno è collegato alla speranza, e nel territorio le molte autostrade possono essere intese come frecce che puntano verso il destino; affine ai  Pesci è la  Falchera, là dove vivono assembramenti di persone semplici ma autentiche. Davanti allo zodiaco ci comportiamo tutti allo stesso modo, come di fronte alloroscopo, nessuno ci crede ma tutti lo leggiamo.

Alessia Cagnotto