Antonio Grulli nominato curatore della manifestazione torinese per le edizioni 2023-2024 e 2024-2025
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La Fondazione Torino Musei è lieta di annunciare e dare il benvenuto ad Antonio Grulli nella nuova posizione di curatore di Luci d’Artista.
Sono molto lieto della nomina di Antonio Grulli per la curatela del progetto Luci d’Artista, dichiara il Presidente della Fondazione Torino Musei Massimo Broccio e colgo l’occasione per ringraziare i numerosi candidati che hanno partecipato alla selezione e la commissione scientifica per il lavoro svolto. Le Luci d’Artista rappresentano da quest’anno, con grande orgoglio, la quinta linea culturale della Fondazione Torino Musei insieme alla GAM, Palazzo Madama, MAO e Artissima. Si configurano quale eccezionale Museo a cielo aperto, unico nel suo genere a livello internazionale, e patrimonio della Città di Torino. La nomina di un curatore e responsabile del progetto è il primo atto nell’ambito del Piano strategico che prevede una evoluzione che possa coniugare il prestigio nazionale e internazionale delle Luci con opportuni elementi di innovazione, sostenibilità, inclusione e relazione con il territorio.
Dal 1998, quando le giornate si accorciano e cala presto il buio, la città si trasforma in un museo a cielo aperto composto di più di trenta opere luminose. Luci d’Artista è un progetto di arte pubblica della Città, nato dalla convinzione che l’arte debba contribuire al bene comune e abitare le vie, le piazze e i palazzi. Le Luci nascono come inedite luminarie per celebrare le feste natalizie e da subito diventano oggetto di un obiettivo ambizioso: creare una collezione pubblica di installazioni d’arte contemporanea, espressione di una cultura alta capace di comunicare con tutti.
Antonio Grulli è il primo curatore nominato a svolgere questo compito, e si occuperà delle edizioni del 2023-2024 e del 2024-2025. La prossima edizione di Luci d’Artista inaugurerà a fine ottobre, nei giorni che precedono la fiera Artissima.
Il curatore avrà il compito di sviluppare e valorizzare la manifestazione sia come evento annuale, sia come vero e proprio museo a cielo aperto, ponendo le basi per la costruzione di un archivio di materiali che comprenda bozzetti, progetti, disegni alla base della realizzazione delle installazioni luminose. Il curatore si occuperà inoltre di rafforzare il posizionamento internazionale di Luci d’Artista e favorire il prestito e la circuitazione delle opere, oltre che di rendere il progetto inclusivo e condiviso con la cittadinanza attraverso un articolatoPublic program e attività collaterali.
A Luci d’Artista hanno già contribuito i più grandi artisti italiani e internazionali: basti pensare a nomi come Daniel Buren, Piero Gilardi, Jenny Holzer, Rebecca Horn, Joseph Kosuth, Mario Merz, Giulio Paolini, Gilberto Zorio, capaci di realizzare interventi entrati nell’immaginario collettivo e integrati alla perfezione nel tessuto urbano della città, della quale sono ormai un simbolo.
Antonio Grulli (La Spezia 1979), è critico d’arte e curatore. Nel corso della sua carriera ha orientato il proprio lavoro principalmente sulla critica d’arte, sul linguaggio della performance, e sulle ultime tendenze nel campo della pittura. Negli anni ha curato mostre per spazi pubblici e istituzionali quali: Ala Scaligera della Rocca di Angera (Varese), Fondazione Carispezia (La Spezia), Fondazione del Monte (Bologna), Le Dictateur (Milano), Match Gallery (Lubliana), MAMbo (Bologna), Museo di Castelvecchio (Verona); i no profit C21 (Reggio Emilia), Codalunga (Vittorio Veneto), Hamlet (Zurigo), Neon Campobase (Bologna), Viafarini (Milano); e presso gallerie come: 3+1 (Lisbona), Artnoble (Milano), De Foscherari (Bologna), Francesca Minini (Milano), Francesco Pantaleone (Palermo), Giovanni Rizzuto (Palermo), MAI36 (Zurigo), P420 (Bologna), Raffaella Cortese (Milano), Tiziana di Caro (Napoli). Si è occupato della collezione e delle attività legate all’arte contemporanea di Palazzo Bentivoglio (Bologna), ha fatto parte del board di Viafarini (Milano), e ha dato vita e curato una serie di progetti espositivi, progettuali ed editoriali in collaborazione con colleghi curatori, artisti e collezionisti. Per il Museo MAMbo di Bologna ha ideato (con il curatore Davide Ferri) Sentimento Nuevo, una ricerca sulla critica d’arte fatta di incontri, conferenze, lectures e performance. Con l’artista Keren Cytter ha curato a Bologna il festival di performance e time-based art intitolato The First Morning Fest of Unreasonable Acts, e sempre assieme hanno pubblicato perHumboldt Books (Milano) il libro Tel Aviv – Jerusalem Diaries. Segue due progetti espositivi senza fine di lucro: Lucerna, a Milano, assieme all’artista Federico Pepe, e lo spazio FBI nello studio di Jacopo Benassi a La Spezia. Ha collaborato, tra le altre, con le testate Arte e Critica, Arte Mondadori, Artribune, ATP Diary, Boite, Cura Magazine, Exibart, Flash Art, Le Dictateur, Mousse Magazine, Studio Magazine, e scritto per artisti quali: Andreas Angelidakis, Paola Angelini, Jacopo Benassi, Anna-Sophie Berger, Luca Bertolo, Chiara Camoni, Pierpaolo Campanini, Giulia Cenci, Paolo Chiasera, Cuoghi Corsello, Francesco De Grandi, Flavio Favelli, Kinkaleri, Iva Lulashi, Luigi Ontani, Anna Ostoya, Katrin Plavcak, Alessandro Pessoli, Concetto Pozzati, Sissi, Maddalena Tesser, Nico Vascellari, Italo Zuffi.
Le cronache ufficiali affermano che, quando nel 1919 Enrico Scavini e la moglie Elena König, torinese di nascita da madre austriaca e padre tedesco, fondarono a Torino la fabbrica che aveva in sé l’obiettivo di dar vita a una produzione di giocattoli, bambole, confezioni, articoli di vestiario e arredamenti per la casa, coniarono il marchio Lenci, più facile acronimo del superbo “Ludus est nobis constanter industria”. Una trottola come immagine, il tutto invenzione di Ugo Ojetti. Quelle familiari ricamano che l’invenzione di quel nome racchiuso in cinque lettere altro non fosse che il diminutivo di Helen, di quel Elenchen con cui il padre vezzeggiava la sua bambina e che lei, piccolissima, non riusciva a pronunciare, storpiandolo in “Lenci” appunto. Nel 1925, in occasione dell’Esposizione Internazionale di Parigi dedicata alle arti decorative, si affacciò l’idea di una nuova produzione di statuette in terraglia smaltata, rientrando con garbo in quello che verrà definito lo “Stile 1925”, pronto ad indirizzarsi verso l’Art Déco. Un’avventura che attraverserà circa quarant’anni, sino al 1964, incontrando la crisi dell’inizio dei Trenta, la scomparsa del fondatore, il periodo della guerra, il boom, altre scelte, l’entrata di nuovi soci.
devotamente affezionato. S’affezionarono – o forse il termine è troppo debole, riduttivo, si innamorarono perdutamente – Giuseppe e Gabriella Ferrero, industriali torinesi (con sede in corso Crimea, la SIED svolge attività di produzione di energia da fonti rinnovabili, in particolare idroelettrico), avviando una storia di collezionismo che prese il via sul finire degli anni Ottanta, il mattino di una domenica, passeggiando tra le bancarelle di un mercatino. La riproduzione di un pellerossa, l’altezza di una trentina di centimetri, “le fattezze perfette, i colori splendidamente e vivacemente lucidi, un incanto, “se ti piace perché non te lo compri?”, mi spinge mia moglie – racconta Ferrero, con la gentilezza e la signorilità d’altro tempo -, “la nostra collezione è nata da quel pellerossa”. Poi arrivò l’epoca degli antiquari e dei piccoli negozi di modernariato ormai scomparsi, soprattutto nelle vie del centro, luoghi e occasioni d’obbligo per appassionati e ricercatori, poi internet e le aste con i primi anni del nuovo millennio, in seguito la Consulta – attiva da 36 anni, la SIED è uno dei 40 attuali soci -, la fatica in primo luogo nel convincere gli altri collezionisti a cedere i pezzi già in loro possesso; e il primo approccio con Enrica Pagella, direttrice dei Musei Reali. Nel 2010, in veste di direttrice di Palazzo Madama, Pagella ospitò una prima mostra con i tesori che già facevano parte della collezione Ferrero; oggi, a discorsi avviati e definiti, quella collezione, 132 opere ideate da diciassette artisti attivi per la manifattura Lenci, nella sua fase più creativa, tra il 1928 e il 1936, sono stati donati dai coniugi, in perfetto accordo con le figlie Silvia e Paola, a creare una nuova sezione permanente posta al terzo piano della Manica Nuova di Palazzo Reale, in un ambiente (l’immensità della luce, “da qui l’idea di creare per la collezione una scatola scura, che semplifica la percezione del luogo, in cui la luce naturale dà verticalità allo spazio, mentre il candore delle pareti lascia il passo a un nastro bianco dalla linea sinuosa che accoglie e guida il pubblico alla scoperta delle collezioni, consentendo di avere sempre una visuale dell’intera sala”) giocato tra colori luci e ombre, un abbraccio ben visibile, in cui la collezione si sposa con le opere di vari pittori operanti nella Torino tra le due guerre. L’allestimento è di Loredana Iacopino, moderno, essenziale, segnato da una eleganza tutta particolare.
Ad allinearsi e a proseguire idealmente il “progetto Gualino” a cui i Musei Reali hanno dato vita nei mesi scorsi, nelle vetrine, un’eccellente illuminazione e targhette nitidamente leggibili, in un percorso articolato in dieci temi – la donna moderna, la donna ideale, la donna reale, il tempo e le stagioni, innamorati, scene di vita, miti e storie, il mondo nel vaso, la fiaba e le maschere, animali – trovano spazio le 132 opere, repertorio degli Scavini affidato alla leggerezza, alla maestria, all’ironia, al gusto di artisti come Mario Sturani (del gruppo del d’Azeglio e di Monti, grande amico di Cesare Pavese) – si guardino i suoi “vasi con frutta” o il suo “Ragazzo su elefante” del 1929, Gigi Chessa con i suoi nudi femminili (“Le due sorelle”, ancora del ’29), Ines e Giovanni Grande, che riproducono con grande bellezza quadri di vita contadina e popolare (di lui, i gruppi di “Castore” e “Polluce” e quei piccoli capolavori che sono ”Don Chisciotte e Sancho Pancia”, 1929, e “Il trionfo di Bacco”, 1928 ), di Massimo Quaglino (“Danza campagnola” del ’30), della stessa Elena König di cui “la signorina grandi firme” citata in “Al caffè” del 1933. Ancora Giulio Da Milano, Massimo Quaglino, Giuseppe Porcheddu e Giovanni Riva, autore nel 1930 dell’Angelica di piazza Solferino.






