

Negli spazi del “Centro Videoinsight” di Torino
Dal 4 novembre al 2 febbraio 2023
Il titolo in lingua inglese recita“Love Bombing. Gaslighting”. In italiano: “Bombardamento d’amore”. Espressione che potrebbe essere intesa positivamente come “cosa bella”. Come una sorta di (permettetemi l’espressione attempata) “mettete dei fiori nei vostri cannoni”. Ma, a seguire, nel titolo leggiamo anche: “Gaslighting”. Ovvero “Manipolazione Psicologica” o, come dice Rebecca Russo, “Narcisismo Patologico – Abuso Narcisistico”. Rebecca Russo è un’importante Collezionista d’Arte Contemporanea, ma è anche Psicoterapeuta e Ricercatrice Scientifica. Della mostra in oggetto è la curatrice e promotrice. Nella sua duplice veste di Collezionista e di Psicoterapeuta, scientificamente convinta com’è che l’Arte Comporanea “possa rivelarsi molto efficace per conoscere la Personalità di chi la guarda, oltre che di chi la crea, perché attiva proiezioni, pensieri e risonanze emotive soggettive”. “Le immagini dell’Arte – dice ancora – possono curare perché promuovono il cambiamento in modo profondo, provocano, toccano le parti più nascoste della personalità”. Nasce di qui l’idea di “Love Bombing. Gaslighting”, prodotta dalla “Fondazione Videoinsight” (nata nel 2013 per volontà della stessa Rebecca Russo) e ospitata, in occasione dell’ormai prossima 29° edizione di “Artissima”, fino al 2 febbraio 2023, presso il “Centro Videoinsight – Spazio per l’Arte Contemporanea” fondato a Torino nel 2010, con sede in via Bonsignore 7 e l’obiettivo di creare “interazione psicologica con l’opera d’arte contemporanea, finalizzata all’attivazione dell’‘insight’, ovvero alla presa di coscienza trasformativa ed evolutiva provocata nella personalità dalla visione del prodotto artistico”. La mostra è il risultato di una “Open Call”, lanciata nel gennaio di quest’anno, a cui hanno risposto ben 80 artisti europei. 44 le opere selezionate, fra loro in competizione per aggiudicarsi il “Videoinsight Prize 2022”. Nelle sale del Centro di via Bonsignore, troveremo quindi una ricca Collettiva all’insegna del Contemporaneo, nelle sue più varie espressioni stilistiche, concettuali e tecniche: dalla Pittura alla Scultura, all’Installazione fino alla Multimedia Art, alla VideoArte, alla Fotografia, al Disegno, al Collage e all’Arte Digitale. L’opera vincitrice sarà acquisita dalla “Collezione Videoinsight”, una raccolta di Arte Contemporanea che “segue il filo della Cura attraverso l’Arte”.
Nello specifico, la rassegna che andrà ad inaugurarsi il prossimo venerdì 4 novembre (opening dalle 19 alle 22), “è finalizzata – sottolinea la curatrice – alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul tema del ‘Narcisismo Patologico’ e sulla necessità di sostegno alle sue vittime”. “Le vittime di relazioni tossiche con i Narcisisti Patologici – ancora Rebecca Russo – presentano una condizione psicofisica traumatica caratterizzata da impotenza psicologica, crollo dell’autostima, ansia, depressione, sintomi psicosomatici, dipendenza affettiva. La mostra vuole focalizzare l’attenzione sul problema, risvegliare le coscienze, sollevare interrogativi, suggerire salvataggi. E questo perché l’Arte provoca, scatena un’esperienza intellettuale ed emozionale: fa pensare, fa sentire, fa cambiare”. E conclude: “Questa convinzione motiva il perché dell’elevata quantità delle opere finaliste esposte in mostra: più immagini si guardano, si introiettano, si elaborano, più si attivano pensieri, emozioni, ‘insight’, fondamentali per il cambiamento, per la cura”.
Per ulteriori info: www.rebecca.russo@fasv.it o ginevraelaluna@gmail.com
Gianni Milani
Nelle foto:
– Rebecca Russo
– Immagine-guida della mostra
– Gianluca Capozzi: “Untitled”, acrilici su lino, 2021 e opera fra le finaliste di “Videoinsight Prize 2022”
Fino al 26 febbraio 2023
Il loro fu un incontro fra due immani giganti. Ognuno nel suo campo, nella musica il primo, nella fotografia il secondo. David Robert Jones, in arte David Bowie (Brixton, 1947 – New York, 2016) e Steve Schapiro (New York, 1934 – Chicago, 2022) si incontrano per la prima volta, su richiesta del manager di Bowie, nel 1974, in un pomeriggio anonimo e in uno studio fotografico di Los Angeles. Per “The Thin White Duke” (“Il Sottile Duca Bianco”, nome ispirato al protagonista del film “The Man Who Fell to Earth” ruolo interpretato proprio da Bowie, snello biondo ed elegante) non erano tempi facili. Tutt’altro. A metà degli anni Settanta, infatti, dopo essere diventato mitica icona musicale in Inghilterra, Bowie con l’album “Diamond Dogs” e il relativo tour promozionale, si prepara ad imporsi sul mercato americano e si trasferisce a Los Angeles, dove, per sua stessa ammissione, vivrà uno dei periodi più complessi della sua vita, fra l’abuso di cocaina e l’ossessione per l’occultismo che misero seriamente a dura prova la sua salute fisica e mentale. A uscire da quel terribile tunnel furono allora il cinema, la sua musica e proprio l’incontro (trasformatosi in sincera amicizia) con Shapiro, che in quello studio fotografico di Los Angeles iniziò a confezionare – lungo un percorso durato fino alla fine degli anni Ottanta – una straordinaria galleria di immagini della star inglese, nate spontaneamente dalla mente eclettica del cantante stimolata da quella del grande fotografo – amico.
Oggi molti di quegli scatti sono raccolti nella mostra “David Bowie / Steve Shapiro. America. Sogni. Diritti” – a cura di “ONO arte”, prodotta in anteprima nazionale da “Radar”, “Extramuseum” e “Le Nozze di Figaro” – e allestita fino al 26 febbraio 2023, nelle sale espositive dell’“Archivio di Stato” di piazza Castello 209 – piazzetta Mollino, a Torino. In tutto una settantina di foto, in cui Shapiro interseca la storia biografica di uno dei più grandi miti della cultura popolare del XX secolo con le problematiche e le vicende più eclatanti della società americana dell’epoca: dall’avvento dei Kennedy passando per l’epopea pop di Andy Warhol e la sua Factory, dai movimenti per i diritti civili di Martin Luther King Jr. a personaggi dello sport come Mohammed Alì fino al cinema d’autore per il quale lavorò come fotografo di scena in pellicole memorabili come “Il Padrino”, “Taxi Driver”, “Un uomo da marciapiede” e “Apocalypse Now”.
Altra ancora di salvataggio per il Bowie degli anni americani, il cinema. E la musica, sempre. Fu in quel periodo che iniziarono le riprese di un film che lo avrebbe visto come protagonista, il primo della sua carriera. Grazie a “L’Uomo che Cadde sulla Terra” Bowie dovette, infatti, imparare a gestire sé stesso in modo da essere professionale sul set. Musicalmente parlando invece, scrisse alcuni brani che avrebbero dovuto essere inclusi nella colonna sonora del film: si trattava perlopiù di musica strumentale che non venne utilizzata per lo scopo che per il quale fu prodotta. Quei landscape sonori divennero però poco tempo dopo il tema principale di due dischi fondamentali come “Low” e “Heroes”, dischi che segnano il ritorno di Bowie in Europa e la sua rinascita come artista precursore e innovatore.
E, inoltre, prima di lasciare definitivamente Los Angeles, sotto le spoglie del suo nuovo personaggio, “The Thin White Duke”, Bowie registra il suo nono album in studio ovvero “Station to Station”. In tutte le fasi della sua avventura americana gli sarà sempre accanto, nei momenti più cruciali, Steve Schapiro, che sarà fotografo di scena di “L’Uomo che Cadde Sulla Terra” e autore degli scatti che compaiono sulla copertina sia di “Station to Station” sia di “Low”. Soggetti in cui prevale l’umanità sull’esaltazione figurale del personaggio. Concetto trasparente in mostra all’“Archivio di Stato” e assolutamente condiviso da Bowie e Shapiro che, al pari, condividevano una particolare sensibilità per quelli che erano i temi sociali dell’epoca, a cominciare dalle lotte per diritti civili degli afroamericani, delle donne e delle persone queer. Temi, del resto, da sempre sposati da Bowie, che ebbe un’intensa collaborazione con molti musicisti di colore e che non esitò a denunciare apertamente “MTV”, colpevole di non dare sufficiente spazio agli artisti di colore, proprio in un momento storico nel quale nelle strade di molte periferie americane stava nascendo l’“Hip Hop”.
Gianni Milani
“David Bowie/Steve Shapiro. America. Sogni. Diritti”
Archivio di Stato, piazza Castello 209-piazzetta Mollino, Torino; tel. 011/5624431
Fino al 26 febbraio 2023
Orari: giov. e ven. 15/19; sab. e dom. 11/20
Nelle foto:
– Bowie Blue 2, “©Steve Schapiro”
– Bowie with Keaton book, “©Steve Schapiro”
– Bowie Lazarus, “©Steve Schapiro”
– Taxi Driver – De Niro: Graffiti, “©Steve Schapiro”
È dedicata al paesaggista lombardo Federico Montesano la prima mostra che apre l’anno 2023 alla Galleria Malinpensa by La Telaccia, dal 31 gennaio all’11 febbraio prossimi. In una moderna e singolare rappresentazione paesaggistica l’artista trasforma il dipinto in una ricerca contemporanea dal sicuro impatto visivo, servendosi di varie tecniche quali l’acrilico e la carta su tela, la pittura digitale su fotografia d’epoca e raggiungendo risultati di notevole resa stilistica e di sicura manualità. Le tematiche da lui affrontate lo portano a descrivere la natura in un clima a metà tra realtà e sogno, conferendo alle proprie opere un profondo significato contenutistico.
Vi emergono colori, segni e forme di originale rappresentazione e di una forza vitale ricca di poetica. Lo spazio ambientale indagato da Federico Montesano trova espressione in un soggetto di straordinaria libertà interpretativa e in una profondità di immagine ricca di emozioni, che dialogano con uno sfondo molto suggestivo. La natura da lui rappresentata è animata da uno slancio vitale di luci che risultano sapientemente dosate, capaci di conferire un’intensità creativa di notevole effetto e di attento simbolismo. Il paesaggio vive all’interno dell’opera grazie a un’armonia compositiva movimentata da efficaci giochi di chiaroscuro e da ricorrenti tratti scenici, che si richiamano a simboli evocativi, a memorie e momenti unici. L’infinito azzurro del cielo e i toni caldi della terra risultano perfettamente bilanciati nelle loro campiture cromatiche, conferendo valore sia estetico sia tecnico alle sue creazioni. La luce penetra e si evolve magistralmente nelle sue opere in uno spazio-tempo senza confini,attraversando il soggetto con intensi stati d’animo. Nel percorso artistico di Montesano si coglie un’atmosfera sognante, capace di alimentarsi di energia e di continue sensazioni, in cui si fondono lo studio appassionato della tecnica e il rapporto tra segni e colore, in grado di dirigersi verso una dimensione testimone di una personalità capace di attrarre lo sguardo dell’osservatore.
Federico Montesano, appena iniziò a frequentare il liceo artistico, capì subito che il mondo delle arti visive lo avrebbe appassionato per tutta la vita. Innamorato del mondo dell’arte, è stato molto legato al suo Professore di Visiva, che lo ha introdotto non solo nell’universo del disegno e della pittura tradizionale, ma anche ai nuovi strumenti del digitale. Nato a Monza il 10 ottobre 1990, dopo aver frequentato il liceo artistico, si è laureato con lode in Scenografia e specializzato con lode in Scenografia per il teatro presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano. Nel 2017 veniva ammesso al corso di Scenografia Teatrale dell’Accademia Teatro alla Scala. Nel 2019 ha lavorato alla realizzazione delle scenografie dell’opera “Elisir d’amore per i bambini”, in scena al Teatro alla Scala, per la regia di Grischa Asagaroff, per le scene e costumi di Luigi Perego. Nello stesso anno ha partecipato alle realizzazioni sceniche per l’ottava edizione de “La Prima Diffusa”, la manifestazione promossa dal Comune di Milano e da Edison per riunire tutta la cittadinanza attorno alla “Prima” della Scala, che quell’anno coincideva con la messa in scena del capolavoro verdiano di “Attila”, affidato alla direzione di Riccardo Chailly, per la regia firmata da Davide Livermore.
MARA MARTELLOTTA
Pollenzo (Cuneo)
Nei giorni scorsi, la cerimonia di inaugurazione. Oggi l’opera domina, imponente, a pochi chilometri dal centro di Bra, in piazza Vittorio Emanuele II, il prato antistante l’“Università di Scienze Gastronomiche” di Pollenzo, a pochi passi dalla locale “Agenzia CRC” e dalla “Banca del Vino”. Formata da una serie di sedute in marmo, tubi in metallo e fioriere che ospitano piante aromatiche locali e stagionali (suggerite da Alberto Arossa di “Slow Food Italia”), la rocciosa scultura è un’installazione ambientale site-specific opera dell’artista nigeriana Otobong Nkanga (Kano, 1974, residente ed operante oggi ad Anversa in Belgio), dal titolo molto esplicativo “Of Grounds, Guts and Stones / Sulle terre, le trippe e le pietre”. Dietro alla realizzazione e alla collocazione ci stanno il supporto scientifico dell’“Università” di Pollenzo” (Rettore dal 2021 il professor Bartolomeo Biolatti), di “Slow Food” e la curatela di Carolyn Christov – Bakargiev, direttrice del “Castello di Rivoli – Museo d’Arte Contemporanea”. La scultura della Nkanga – tesa ad esaltare nelle sue immagini plastiche “il valore dell’orticoltura come pratica di rigenerazione in cui la mescolanza fra piante autoctone diventa metafora di felice coabitazione fra i viventi, sia umani sia vegetali, all’insegna di un mondo più equo e sostenibile” – rappresenta il quarto e ultimo appuntamento di “A cielo aperto”, il progetto di “arte pubblica” promosso dalla “Fondazione CRC” per celebrare il suo 30° compleanno e segue le istallazioni delle opere “A Song A Part” dell’artista scozzese Susan Philipsz a Mondovì, de “Il Terzo Paradiso dei Talenti” di Michelangelo Pistoletto a Cuneo e di “The presence of absence pavilion” del danese Olafur Eliasson al “Castello di Grinzane Cavour”, susseguitesi nel corso del 2022.
“Con l’inaugurazione della quarta e ultima tappa del progetto ‘A cielo aperto’ – dichiara Ezio Raviola, presidente della ‘Fondazione CRC’ – si conclude un’iniziativa culturale unica, che ha lasciato un segno tangibile e di grande valore sul territorio provinciale, grazie al posizionamento delle opere di quattro artisti particolarmente significativi della scena internazionale”. Parole cui fanno eco quelle di Edward Mukiibi, presidente di “Slow Food”: “Le enormi sfide che caratterizzano la nostra epoca toccano ogni singola entità vivente sul Pianeta e chiamano a un’azione di collaborazione. Anche l’arte contemporanea è chiamata a fare la sua parte, mettendo a disposizione la straordinaria capacità degli artisti come Otobong Nkanga di leggere i tempi che viviamo, immaginare il futuro e trasformare pensieri e visioni in forme espressive di forte impatto. La rigenerazione di cui parla ‘Slow Food’ trova una grande spinta nell’opera degli artisti contemporanei e gli artisti camminano a fianco delle comunità di ‘Terra Madre’”.
Da segnalare, infine, in occasione dell’installazione di “Of Grounds, Guts and Stones” e, nell’ambito del progetto “Famiglie al museo”, la bella iniziativa del “Museo Civico” di Palazzo Traversa a Bra (via Craveri, 15) che, in collaborazione con l’ Associazione Culturale “ArteMidì”, propone i laboratori“Trame e legami: fili che uniscono”, dedicati ai bambini dai 6 ai 12 anni, sabato 28 e domenica 29 gennaio, dalle 15 alle 18, e a quelli dai 10 ai 14 anni, solo domenica 29 gennaio dalle 10 alle 12,30.
Per info e prenotazioni: tel. 0172/423880 o traversa@comune.bra.cn.it
g.m.
Nelle foto (credits Lavezzo studios):
– Otobong Nkanga
– Otobong Nkanga: “Of Grounds, Guts and Stones”, 2022-2023
Diasporas Now: Rieko Whitfield + Micaela Tobin (White Boy Scream) e Chinabot: Jpn Kasai & Neo Geodesia
Martedì 24 e mercoledì 25 gennaio 2023 ore 18.30
MAO Museo d’Arte Orientale, Torino
Il 24 e 25 gennaio il MAO Museo d’Arte Orientale ospita un doppio appuntamentonell’ambito del public program della mostraBuddha10.
Martedì 24 gennaioore 18.30 saranno ospiti del museo Reiko Whitfield e Miacaela Tobin per una conversazione e narrazioni alternative su identità migranti, background intersezionali, decolonizzazione, self-empowerment, cura e supporto reciproco.
Il termine diaspora è usato in relazione all’arte per parlare di artisti emigrati di prima o successive generazioni, che riprendono e utilizzano le proprie diverse esperienze culturali e identitarie, spesso creando nelle loro opere narrazioni alternative in contrasto a idee e strutture consolidate.
Mai prima d’ora è stato così importante per gli artisti raccontare le loro storie alle proprie condizioni, quindi mettiamoci in ascolto!
In questo pomeriggio molto speciale Rieko Whitfield, artista, scrittrice e musicista giapponese-americana di base a Londra, una delle fondatrici di Diasporas Now, piattaforma di solidarietà diasporica che si occupa di discorsi contemporanei sulle identità migranti, e Micaela Tobin, soprano e sound artist, filippina-americana di prima generazione di base a Los Angeles, presenteranno due dei loro più recenti lavori: due film/opere musicali che partono da mitologie speculative per togliere centralità alle traiettorie storiche del colonialismo eurocentrico.
In parte rituale sonoro, in parte narrazione diasporica, “BAKUNAWA: Opera of the Seven Moons” di Micaela Tobin è un’opera sperimentale e coinvolgente basata sull’omonimo album acclamato dalla critica di Tobin, che rivendica la mitologia pre-coloniale delle Filippine dopo secoli di violenta cancellazione culturale. Raccontando la storia di Bakunawa, un drago simile a un serpente della mitologia filippina, Tobin porta la sua voce al di fuori delle mura imperialistiche del teatro dell’opera e sulla Costa della California di fronte all’Oceano Pacifico – creando un ponte sonoro verso le isole delle Filippine in un atto di guarigione.
“Regenesis: An Opera Tentacular” di Rieko Whitman è una storia sui cicli della vita, sulla morte, sull’importanza della comunità ambientata in un mondo post apocalittico e narrata in modo non lineare tramite l’impersonificazione di avatar soprannaturali. La narrazione in tre atti è ispirata a Izanami, dea shintoista della creazione e della distruzione, che brucia fino a morire per dare vita al mondo. “Regenesis” mette in scena una mitologia speculativa evocando esseri soprannaturali che guariscano il corpo sofferente della terra, attraverso l’utilizzo di metodi di collective care e creando al contempo prototipi alternativi di futuri sostenibili.
Lo screening delle due opere musicali sarà seguito da una talk su temi diasporici in cui interverranno le due artiste, moderato da Ilaria Benini, editor della collana Asia di Add editore, ed esploratrice della scena culturale asiatica contemporanea.
Mercoledì 25 gennaio alle ore 18.30 il MAO ospita invece una serata con Chinabot, collettivo che vuole cambiare la discussione sulla musica asiatica. Canti Khmer, samples di karaoke, musica popolare giapponese, juke e batteria metal.
Sin dal suo lancio l’etichetta-collettivo londinese Chinabot ha ampliato e demistificato la percezione pubblica delle scene musicali sperimentali asiatiche pubblicando opere bizzarre, imprevedibili e innovative di artisti provenienti da varie regioni dell’Asia. Ogni uscita è stilisticamente varia e significativamente concettualizzata attraverso riferimenti culturali locali, esperienze di ascolto immersive che sono più adatte per il teatro d’avanguardia che per i club.
L’etichetta lavora per dare spazio alle varie unicità del continente asiatico a livello di culture, tradizioni e generi (sia musicali che identitari) e per dare spazio agli artisti provenienti dai paesi in via di sviluppo dell’Asia. Ciò include come parte del suo modus operandi uno sforzo per l’ampliamento della conoscenza del continente che vada al di là delle scene giapponesi e cinesi, che ormai da tempo rappresentano la produzione creativa dell’Asia sulla scena mondiale, e la rappresentazione di temi di attualità e politica asiatica. Gran parte della produzione di Chinabot è infatti tematica, incentrata su governi, geopolitica e ambiente nel tentativo di stimolare la discussione e far luce su questioni sottorappresentate con artisti le cui opere abbracciano argomenti come disordini nazionali, decolonizzazione, femminismo, fluidità di genere e futurismo cyborg.
Per questa serata speciale il MAO ospita unaselezione di videoclip di artisti Chinabot e una talk con Saphy Vong, fondatore dell’etichetta, eGiulia Mengozzi, assistente curatrice presso il PAV Parco Arte Vivente, parte di ALMARE, collettivo dedicato alle pratiche contemporanee che usano il suono come mezzo espressivo, e di AWI – Art Workers Italia.
A seguire il concerto in streaming da Kyoto di JPN Kasai, che abbina musica popolare giapponese Ondo e Minyo a juke e footwork minimali, ed un live dello stesso Vong che mixa samples di canti Khmer, karaoke e batteria metal sotto lo pseudonimo di Neo Geodesia.
*Entrambi gli incontri si svolgeranno in inglese
Info e prenotazioni:eventiMAO@fondazionetorinomusei.it
Costo per i due eventi: 15 € intero | 10 € ridotto studenti
Uno dei più famosi fotografi che fanno parte della “staged photography”
Dal martedì alla domenica dalle 9.30 alle 19.30, mercoledì dalle 9.30 alle 22.30. Chiusura il lunedì.
Aperta al pubblico fino al 22 gennaio 2023, alle Gallerie d’Italia in piazza San Carlo 156 a Torino, una grande esposizione dal titolo “Gregory Crewdson. Eveningside”, première mondiale della nuova serie di fotografie dal titolo omonimo “Eveningside” (2021-2022), di Gregory Crewdson, concepite dall’artista come atto finale di una trilogia che abbraccia dieci anni del suo lavoro.
La mostra è una rassegna di questa trilogia curata da Jean-Charles Vergne, che inizia con la fotografia “Cathedral of the Pines” (2012-2014) e “An eclipse of Moths” (2018-2019) accanto ai precedenti scatti minimalisti dello stesso artista, intitolati “Fireflies” (1996).
Nella sala multimediale adiacente alla mostra è anche proiettato un video realizzato dietro le quinte intitolato “Making Eveningside”, con musiche originali di James Murphy e Stewart Bogie, polistrumentista e compositore americano. In contrasto con le foreste solitarie e remote di “Cathedral of the Pines” e i paesaggi di carattere postindustriale di “An eclipse of Moths”, nella serie ‘Eveningside’ l’artista esplora momenti di contemplazione entro i confini della vita quotidiana, cogliendo anche lo spirito dei luoghi di lavoro e degli spazi adiacenti. Nei suoi scatti compaiono le figure umane, per lo più scarne e colte attraverso le vetrine dei negozi, nel riflesso di uno specchio o viste nella quotidianità.
Nelle sue opere fotografiche si possono cogliere, infatti, ponti ferroviari, portoni, portici, negozi come una latteria, una ferramenta, un mercato rionale e la tettoia di uno sportello bancomat. L’artista avvicina il suo punto di osservazione alle figure, utilizzando una combinazione più o meno intensa di luce e ombra e creando effetti speciali quali la nebbia, la pioggia, il fumo e la foschia. Crewdson è in grado di ottenere, anche grazie alle luci al completo, in una tavolozza monocromatica, una ricca atmosfera gotica, evocativa del cinema classico e dei film noir, ma con la chiarezza della tecnologia resa disponibile dalla attuale fotografia digitale. Eveningside è, infatti, costituita da stampe digitali a pigmenti da 87,6×116,8 centimetri. Insieme alla trilogia sarà esposta in mostra una serie di scatti minimalisti, realizzati in precedenza, dal titolo “Fireflies”, un lavoro capace di cogliere la commistione delle correnti che si agitano in profondità nell’arte di Gregory Crewdson. Queste immagini di lucciole, realizzate con due macchine fotografiche su pellicola analogica in bianco e nero, offrono un tessuto connettivo che appare quasi un contrappunto capace di testimoniare l’attitudine del fotografo alla contemplazione.
Ogni serie della trilogia individua tappe fondamentali del percorso artistico e creativo di Crewdson, capace di affrontare temi che spaziano dalla dimensione personale e intima fino alle visioni esistenziali del mondo, suggerendo una riflessione sul profondo rispetto e ammirazione che l’artista ha nutrito per la storia della fotografia, della pittura e del cinema, tutti mezzi da lui reinventatiper narrare le sue storie.
A latere della mostra è presente un ricco calendario di incontri pubblici gratuiti e il programma #INSIDE, che prevede talk con ospiti di rilievo e eventi speciali il mercoledì alle 18.30.
La prima di queste conferenze ha visto protagonisti lo stesso artista e Jean-Charles Vergne, moderati da Alessia Glaviano, direttore di Photovogue Festival.
Gregory Crewdson, nato in un quartiere di Brooklyn nel 1962, faceva parte di un gruppo punk-rock chiamato “The Speedies” e può essere considerato uno dei maggiori esponenti della staged photography. Le sue fotografie sono, infatti, irresistibili per chiunque ami Hopper e anche per i cinefili, che apprezzeranno le sue citazioni a registi come David Lynch e Steven Spielberg, oltre alla perfezione dei suoi scatti, dovuta a una preparazione e organizzazione degna di un set cinematografico. Basti pensare che per una singola fotografia Gregory Crewdson riesce a coinvolgereuna troupe di quaranta persone. Ciò fa capire come sia profonda nelle sue opere la connessione tra cinema e fotografia, sfumando fino ad approdare alla fusione delle due arti.
Nei suoi scatti emergono bellezza, inquietudini e luci straordinariamente perfette.
MARA MARTELLOTTA
Fino al 28 gennaio
Chieri (Torino)
La mostra inaugura il 2023 della “Fondazione Chierese per il Tessile e per il Museo del Tessile” di Chieri (Torino) e rappresenta una ghiotta occasione per ammirare, negli spazi della “Porta del Tessile” (via Santa Chiara 10/A), immagini fotografiche e film d’autore del fiorentino Rossano B. Maniscalchi, pluripremiato fotografo e film maker di fama internazionale, senatore accademico onorario della “Medici International Academy” di Firenze e autore di celeberrimi “ritratti” scattati, fra gli altri, ai più importanti “Premi Nobel” internazionali, da Rita Levi Montalcini a Dario Fo, da Rigoberta Menchù al 14° Dalai Lama. In rassegna, fino a sabato 28 gennaio, ad accogliere i visitatori sono diversi filmati proiettati in loop che fanno da contrappunto a 15 scatti fotografici di Maniscalchi generosamente prestati alla “Fondazione” dalla storica azienda tessile chierese “Angelo Vasino S.p.a.” e realizzati nella stessa azienda di corso Torino 62, con l’eccezionale bravura dell’artista che sa, attraverso la concreta ricezione delle cose, leggere le infinite possibilità di trasformarle in sogni, in memorie, in mondi “altri” in cui lasciarsi guidare senza richiesta alcuna di suggerimenti e appigli esterni. Liberi nella più totale fascinosa e provocatoria immaginazione. “Attraverso l’obiettivo– si legge in una nota stampa – una ‘allure’ particolare si sprigiona dalle rocche colorate che alimentano un orditoio, fili che avvolgono un subbio o scorrono fra i licci di telai oggidiani, dove mani giovani e meno giovani di operatori esperti infondono nuova linfa vitale a un’arte antica, ma nel presente”. In mostra anche telai, orditoi di ultima generazione, immortalati nello stabilimento chierese, fondato nel 1955 da Angelo Vasino con il cognato (“Vasino & Ciaudano”) e oggi guidato dai figli Giuseppe e Renato Vasino, ormai affiancati dalla terza generazione di famiglia, con Giovanni, Valentina e Stefano. Che continueranno a far loro le parole dello scrittore (e politico) di Prato, Edoardo Nesi, fino al 2004 ai vertici dell’azienda tessile di famiglia: “Il rumore di una tessitura ti fa socchiudere gli occhi e sorridere, come quando si corre mentre nevica. Il rumore di una tessitura è continuo e inumano, fatto di mille suoni
metallici sovrapposti, eppure a volte sembra una risata”. Parole in cui c’è tutta la filosofia (azienda non solo business) della “Vasino S.p.a.”. Insieme a quella particolare angolatura poetica, fuori dal tempo e dal mondo, degli scatti grandiosi di Rossano B. Maniscalchi, cui la Città di Chieri, “culla del tessile” dal Medioevo, ha conferito – in occasione della mostra e in memoria proprio di Angelo Vasino – il Premio “Navetta Arcobaleno”, riservato ad artisti distintisi nel coniugare linguaggi multimediali con le arti tessili. “Con questo evento di inizio anno, all’insegna dell’eccellenza – commenta Melanie Zefferino, presidente della ‘Fondazione Chierese per il Tessile e per il Museo del Tessile’ – la ‘Fondazione’ rinsalda il legame con i propri Soci Fondatori e la comunità del territorio di riferimento facendo luce, attraverso l’arte, sulla produzione tessile contemporanea in una delle sue migliori declinazioni”.
Gianni Milani
“Fotografando il Tessile”
Sala della “Porta del Tessile”, via Santa Chiara 10/A, Chieri (Torino); tel. 329/4780542 o www.fmtessilchieri.org
Fino al 28 gennaio
Orari: sab. pomeriggio 14/18
Nelle foto: alcuni scatti di Rossano B. Maniscalchi, Copyright “Angelo Vasino S.p.a:”
Dal 21 gennaio al 12 marzo
Ivrea (Torino)
Già nel titolo, la rassegna esprime appieno la personalità e lo spirito del grande “Immaginifico” o “poeta – soldato” o “poeta – vate” (allo stesso modo di Giosué Carducci) cui la mostra si ispira. Ospitata in “Palazzo Giusiana” (ex sede del Tribunale) ad Ivrea, da sabato 21 gennaio a domenica 12 marzo, “Vate, Vanitas, Vittoria” è stata ideata per inaugurare la seconda parte dell’anno da “Capitale italiana del libro 2022” di Ivrea – terza capitale dopo Vibo Valentia nel 2021 e Chiari (Brescia) nel 2020 – e per ricordare il centenario della donazione, il 22 dicembre 1923, da parte di Gabriele D’Annunzio (Pescara, 1863 – Gardone Riviera, 1938), della sua casa-museo (“città nella città”, eretta, a memoria delle imprese dei soldati italiani durante la Prima Guerra Mondiale, sulle rive del Lago di Garda con l’aiuto dell’architetto Gian Carlo Maroni) allo Stato Italiano. Curata da Costanza Casali, assessore alla Cultura della Città di Ivrea, la mostra presenta opere di Nicola Bolla e Andrea Chisesi e sarà introdotta, sempre sabato 21 gennaio, alle ore 17, al “Teatro Giacosa” (piazza Teatro, 1), da una lectio magistralis di Giordano Bruno Guerri, storico e presidente dal 2008 della Fondazione “Il Vittoriale degli Italiani”, affiancato da Angelo Piero Cappello, studioso del “Vate” abruzzese e direttore del “Cepell – Centro per il libro e la lettura del Ministero della Cultura”.
A “Palazzo Giusiana”, “casa” di “Ivrea Capitale italiana del libro”, il romano (oggi residente ad Ortigia – Siracusa) Andrea Chisesi esporrà una serie di opere tutte dedicate al “Vate” e già esposte nel 2021 al “Vittoriale” a Villa Mirabella. “Opere – Fusioni”, come le definisce lo stesso artista, idealmente (e concretamente) nate nel 2004 come una sorta di collage fra immagine pittorica e fotografia – altra sua grande passione – e, in un secondo momento, come “impressione” dello scatto fotografico direttamente sulla pittura o su una serie di stratificazioni materiche quali tele, cartelli stradali o cartone preparati con gesso di Bologna, acrilici, giornali o manifesti strappati o stratificazioni di pitture foglia oro. Il risultato é la singolare creazione di una texture che “accoglie” lo scatto fotografico attraverso “un vero e proprio progetto immaginario di sovrapposizioni e trasparenze”. Il tutto realizzato attraverso un rigorosissimo processo artigianale, sempre guidato e ispirato alla magica visionarietà dell’arte.
Artista di fama internazionale, anche il secondo ospite di “Palazzo Giusiana”, Nicola Bolla, nativo di Saluzzo (Cuneo), ma residente a Torino, dove alterna l’attività creativa al lavoro di medico-oculista. Bolla è, per tutti, l’ “artista degli Swarovski”, il particolare pregiatissimo cristallo ideato nel 1862 dal tagliatore boemo Daniel Swarovski, attraverso il quale l’artista saluzzese raggiunge la notorietà negli ultimi anni grazie ad una serie di “installazioni iconiche” – “Vanitas” – fondate su opere scultoree che, attraverso l’utilizzo esclusivo di un materiale riflettente (come, appunto, il cristallo Swarovski) “rileggono la storia della scultura invertendo i fattori costitutivi della stessa, da sempre fondata su materiali pesanti, duri, poco propensi alla riflessione della luce”. Ottima la scelta dei due artisti e delle loro creazioni ispirate alla figura del Grande “Immaginifico”, interpretata in maniera non didascalica, traendo ispirazione da tre termini a lui fortemente legati e ben ricordati nel titolo della mostra a tre “V”: “Le opere di Andrea Chisesi e Nicola Bolla – sottolinea in proposito, Costanza Casali – si discostano dalle tecniche tradizionali, e offrono un punto di vista diverso su D’Annunzio: se Chisesi utilizza la ‘fusione’ intervenendo con la fotografia dopo aver dipinto la tela, Bolla utilizza materiali inusuali per la scultura come cristalli e carte da gioco, che esprimono pienamente l’effimero. Le opere di Chisesi dedicate al ‘Vate’ rivelano fotogrammi di vita di D’Annunzio. Le ‘Vanitas’ di Bolla sono un ‘memento mori’ e la ‘Vittoria’ è rappresentata dalla ‘Nike di Samotracia’ reinterpretata da Chisesi e da ‘bandiere ammainate’ in cristallo create da Bolla, che sono il simbolo di una vittoria effimera che rappresenta soltanto un momento e un passaggio che domani potrebbe tramutarsi in disfatta”.
Gianni Milani
“Vate, Vanitas, Vittoria” / Palazzo Giusiana, via dei Patrioti 20, Ivrea (Torino)
Da sabato 21 gennaio a domenica 12 marzo
Orari: giov. e ven. 15/18; sab. e dom. 10/13 e 15/18
Nelle foto:
– Andrea Chisesi: “Il Vate”, fusione su tela, 2020
– Andrea Chisesi: “Nike di Samotracia”
– Nicola Bolla: “Bandiere”