Per la notte delle arti contemporanee
In occasione della settimana torinese dell’arte contemporanea, la galleria di Raffaella De Chirico presenta un’opera unica di Sergio Regalzi, “La Grande Mère”, in un temporary space in via Mazzini 27, scelto per l’occasione. La scultura sarà visibile dalla vetrina del negozio per tutta la settimana, giorno e notte. Sarà visitabile su appuntamento anche durante la notte delle arti contemporanee di sabato 4 novembre dalle 17:00 alle 24:00.
Realizzata nel 2004, vestiti su struttura metallica e pittura industriale, risulta una struttura monocromatica nera dalle dimensioni in centimetri 320 × 100 × 80, e rivela una complessione plastica composta da una moltitudine di seni, definendo in modo evidente il femminile.
“L’archetipo femminile della Grande Madre – spiega Sergio Ragalzi in un suo scritto – è di protezione e di rinascita. La Grande Madre è l’origine primordiale; la sua figura ci rimanda alla procreazione, alla fertilità e alla sessualità in un ciclo di nascita – morte. In un centro cosmico le due ambivalenze vita – morte rappresentano l’immagine di una grande forma naturale con molteplicità di seni che nutrono il mondo, ma sono anche simbologie drammatiche simili a bombe inesplose che, attraverso questa metafora, rappresentano una liquidità nera, sotterranea, che crea un allarme sociale. Come minaccia di caduta del cielo sulla terra rappresenta un’immagine inquietante che produce ambiguità di vita e esistenza drammatica dell’umano.”
Il lavoro esposto rappresenta una sintesi dei temi trattati dall’artista torinese: il femminile, inteso come sessualità e come materno, l’origine, intesa come energia primordiale, le bombe, la guerra e uno scenario postapocalittico.
Sergio Ragalzi nasce nel 1951 a Torino, dove vive e lavora. Esordisce sulla scena dell’arte italiana nel 1984 con Estemporanea, e consacra la riapertura della galleria romana “L’attico” di Fabio Sargentini, galleria che gli dedicherà negli anni numerose personali. Dal 2020 collabora con la galleria di Raffaella De Chirico, con la quale ha realizzato due mostre personali negli spazi di Torino e Milano, oltre ad aver partecipato a alcune collettive.
La mostra aprirà il 30 ottobre alle 18:00 e durerà fino al 5 novembre. Sarà visitabile su appuntamento.
Mara Martellotta
“Repoussoir” è un progetto d’arte che dà il titolo alla mostra, ospitata fino a domenica 5 novembre, negli spazi della “Wunderkammer” della torinese “GAM”, ed è anche il titolo di un’opera specifica presente nella stessa mostra, “Repoussoir (Muffa)”, olio su lino del 2016, a firma del pittore di Subiaco, classe ’83, Michele Tocca, vincitore con tal progetto del cosiddetto “PAC2021 – Piano per l’Arte Contemporanea”, promosso dalla “Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura”. L’esposizione, a cura di Elena Volpato, nasce dalla volontà del Museo torinese di via Magenta di acquisire un gruppo di opere del pittore romano formatosi fra Italia, Belgio e Inghilterra dove completa i suoi studi presso il “Royal College of Art, Painting Department” di Londra. Tocca é “un pittore – sottolinea Elena Volpato – capace di porsi all’osservazione del mondo con l’immediatezza di una interiore “first-timeness”: con il candore di uno sguardo che sa vedere tutto come fosse la prima volta, eppure coltiva una profonda conoscenza dei meccanismi della visione, delle strutture di pensiero e delle eredità che l’arte ci tramanda”. Proprio in tal senso, il termine “Repoussoir”( termine che appartiene alla storia della pittura di paesaggio e che vuole solitamente indicare un elemento posto in primo piano “con lo scopo di rappresentare un ostacolo, una cornice, una quinta all’aperta visione”), assume invece nei dipinti di Tocca il senso di “ostacolo al positivo”, capace di rilanciare in profondità lo sguardo per arrivare al fulcro visivo del dipinto. Marginalità che è percorso perfetto per arrivare all’essenza profonda, la più vera, delle cose. E che sa tenere insieme il candore e la schiettezza di una pittura che parla linguaggi attuali pur non disconoscendo la grande lezione della storia. Per questo motivo, nell’allestimento della mostra, pochi, meditati, studi pittorici di piccole dimensioni, realizzati direttamente sulla natura da artisti del passato, come Antonio Fontanesi, Massimo d’Azeglio e Giovanni Battista De Gubernatis (tratti dalla collezione dell’Ottocento della “GAM”) sono stati disposti in alto sulle
pareti, come fossero degli “appunti ideali”, mentre le serie pittoriche di Michele Tocca scorrono sulla linea di visione. E anche una distinzione cromatica separa sulla parete la pittura del presente da quella ottocentesca, “così come nella mente dell’artista, talvolta, una sfumatura più o meno intensa di colore, la prospettiva un poco più ravvicinata sull’oggetto o la sintesi più o meno spinta di una pennellata, separa il suo proprio fare dalla memoria viva di quanto i ‘plenairists’ andavano scoprendo tra Sette e Ottocento, dando campo a vere rivoluzioni dello sguardo e all’emergere della consapevolezza storica del paesaggio”. Particolarmente interessante, nel percorso espositivo, la serie delle “Giacche da pioggia del pittore”, messe lì ad asciugare dopo una piovosa giornata di pittura all’aperto e che, al primo impatto non ci rappresentano null’altro che semplici accessori, mentre nella visione di Tocca (condivisibile, a ben pensarci) sono veri e propri “autoritratti”, dipinti dalle gocce di pioggia e dalle inevitabili macchioline di colore ad olio cadute durante il lavoro. “Il pittore – conclude la Volpato – ritraendo di spalle la propria giacca da lavoro fa di se stesso un ‘repoussoir’, un dispositivo della visione pittorica, e della sua opera una riflessione sull’‘attualità’ fisica e metaforica tra la pittura e i fenomeni”.











La mostra che apre l’autunno di rinnovamento presso Camera è dedicata a ‘André Kertész, l’opera 1912-1982’ e è realizzata in collaborazione con la Médiathèque di patrimoine e de la photographie (MPP) di Parigi, Istituto del Ministero della Cultura francese che conserva gli oltre 150 immagini che ripercorrono la carriera di André Kertész, fotografo di origini ungheresi, nato a Budapest nel 1894, approdato in Francia nel 1925 e trasferitosi negli Stati Uniti nel 1936, dove morirà nel 1985. La mostra segue le tappe biografiche dell’autore, a partire dalle prime fotografie amatoriali scattate nel suo Paese di origine durante gli anni della prima guerra mondiale. In quegli anni Kertész affina il suo sguardo e mostra una certa capacità di trasformare la quotidianità in immagini sospese tra sogno e apparizione metafisica, come accade nel “Nuotatore “, e negli autoritratti. Sono poi celebri le icone realizzate a Parigi nello studio del pittore Piet Mondrian, i ritratti di personaggi che hanno fatto la storia della cultura e del costume del Novecento, dal regista russo Sergej Ejzenstein alla musa Kiki de Montparnasse, allo scultore Ossip Zadkine. Nelle scene di strada, diurne e notturne, Kertész cerca “la vera natura delle cose, l’interiorità, la vita “, realizzando immagini che hanno contribuito decisamente a creare il mito della capitale francese nella prima metà del secolo. Molto note anche le sue ‘distorsioni’, giochi nati dagli specchi deformanti dei Luna park, che lo hanno reso una figura di primo piano anche nell’ambito surrealista.

