ARTE- Pagina 41

A Castellamonte la mostra “Carlos Carlè-Fuoco, Materia e Forma”

Il 27 aprile, a Castellamonte, riapre i suoi spazi, recentemente e sapientemente ristrutturati, il centro ceramico Museo Fornace Pagliero 1814, in frazione Spineto 61, a Castellamonte. Verrà proposta la mostra “Carlos Carlè-Fuoco, Materia e Forma”, un’antologica di circa 70 opere a cura di Antonella Gulli, della Gulli Arte di Savona, che collabora all’evento. La mostra sarà presentata sabato 27 aprile alle ore 11, e aprirà al pubblico domenica 28 aprile alle ore 10, per proseguire fino a domenica 30 giugno prossimo.

Carlos Carlè, nato in Argentina nel 1928, è mancato nel 2015 a Savona, città in cui a lungo ha vissuto ed è stato molto amato. Di lui, il critico Matteo Fochesati ha scritto: ”Tutta l’opera di Carlè pare ispirata dal complesso e articolato confronto con le mutevoli forme del concetto di tempo, a iniziare dalle opere del suo esordio artistico, improntato a modelli espressivi e iconografici delle culture primitive, per giungere agli sviluppi più tardi della sua produzione scultorea che, già a partire dalla fine degli anni Settanta, è stata contraddistinta da una dimensione monumentale, che ha trovato sfogo in strutture classiche, maestose e arcaiche, accompagnate da titoli evocanti remote delle civiltà del passato, come Colonna, Totem, Dolmen, Megalito, Pietra miliare. L’attenzione alle dinamiche del flusso temporale si può inoltre riscontrare all’interno del suo processo creativo sin dalla metà degli Anni Sessanta quando, in occasione della sua cruciale svolta artistica, cominciò ad avvicinarsi a dinamiche estetiche di matrice informale, impostando una personale attitudine a investigare le trasformazioni della materia. Tra le personalità con cui si confrontò, è importante citare Lucio Fontana: le geniali tracce dei suoi concetti spaziali sembrano riaffermare nell’impianto strutturale delle Bocce e delle Sfere che, tuttavia, attraversate da profonde incisioni, sembravano sgretolarsi per dare maggiore rilievo alle trasformazioni organiche della materia. Tangente alla pratica informale di Antoni Tàpies i Puig, marchese di Tapies, Carlè si distaccò dall’artista spagnolo per il suo rigore analitico nel controllo dei mutamenti materici e degli effetti determinati dagli interventi segnici e gestuali. La sua ricerca artistica va comunque principalmente interpretata alla luce della sua specifica scelta operativa: la ceramica, e in particolare il grès, con la sua solida e suggestiva carica espressiva”.

L’allestimento sarà aperto dal lunedì al venerdì dalle 14 alle 18, sabato, domenica e festivi dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 18.

Ingresso gratuito per i possessori dell’abbonamento Torino Musei

Per informazioni, telefonare al numero 377 4390604 – 0124 582642

Mara Martellotta

“Marks and Traces”… come dire “Segni e tracce”

 

Torna ad esporre alla torinese Galleria “metroquadro” il giovane artista giapponese Shinya Sakurai

Fino al 22 giugno

Quando approda a Torino, è fisso di casa (artisticamente, s’intende!) alla “metroquadro” di Marco Sassone. Anche perché Marco, il più che perspicace gallerista di corso San Maurizio, ha avuto l’occhio giusto e un sottile fiuto nell’intenderne, da subito, le indubbie capacità artistiche e il giusto tratto umano, quando anni fa iniziò a seguirne le vicende creative e il percorso espositivo. Così, eccocelo di nuovo (che bello!),  con i suoi odierni “Marks and Traces”, “Segni e Tracce”, raccontati con il solito amalgama di colore – composto e scomposto – in venti opere esposte, fino a sabato 22 giugno, negli spazi della “metroquadro”, al civico 73/F di corso San Maurizio a Torino.

Giusto due anni fa, nell’aprile del 2022, visitai da Sassone la sua “Terrific Colors” o “Colori Eccezionali”, puzzles cromatici, attraverso i quali (dopo le opere cicliche “Love and Peace” e “United Colors”, titoli apertamente echeggianti alle battaglie pacifiste anni Sessanta, nonché all’Oliviero Toscani impegnato per Benetton) Shinya Sakurai intendeva “esorcizzare il lato terrifico nascosto – e sempre in agguato – della realtà”. Nato nel 1981 a Hiroshima (con a fior di pelle e in fondo al cuore quella pesante eredità “omaggiata” a tante generazioni dal terribile “mostro” atomico lanciato da cieli che ancora oggi piangono fiumi di sangue), Shinya si laurea ad Osaka in “Belle Arti” – attratto dai Maestri “concreti” del “Gutai” – e oggi si divide fra l’isola di Honshu e la nostra (ma anche sua) Torino, dove ha modo di studiare “Scenografia” all’“Accademia Albertina”, portando avanti la sua ricerca nell’ambito di un’“astrazione”, in cui s’intrecciano, con suggestive citazioni stilistiche, oriente e occidente, tradizione e contemporaneità.

Nell’attuale mostra alla “metroquadro”(che segna fra l’altro il ventennale del suo arrivo sotto la Mole), il racconto pittorico di Sakurai si fa più cupo, denso di ombre e toni grigiastri o dai blu intensi, ben lontani dalle “colorate ed iridescenti geometrie” “neo-pop” o post-moderne proprie degli anni passati. La narrazione si fa più pacata e riflessiva. Inutile tentare gli agganci, già un tempo ipotizzati, con le opere di Schifano o con i “planisferi colorati” e ai “Tutto” di Boetti. Inutile. Perché ancora sono convinto e sto con Francesco Polinel ritenere che “Shinya Sakurai assomiglia soprattutto a sé stesso”. Anni fa, esattamente come oggi. In tempi umanamente non facili e ad alto potenziale di rischio sociale e politico che “lasciano nelle sue tele – si è scritto – tracce e segni inequivocabilmente e indelebilmente densi e carichi, simboli rivelatori della complessità del presente”. Una complessità espressa, nelle più recenti opere,  attraverso il supporto (con risultati di maggior eleganza e raffinatezza, fra sfumature  di blu e oro nero) del “velluto”, superfici monocrome su cui scorrono pennellate fluide, realizzate con colori a olio, resine e colle traslucide “a formare squarci di luce e stelle abbaglianti, che illuminano ed evocano armoniose simmetrie, simboli di fiducia e speranza per il futuro”. Stelle abbaglianti, reiterate in un gioco di “arte seriale”, in cui l’oggetto perde il proprio originale significato per diventare “immagine pura”. Simbolo. Forma fine a sé stessa. E in Sakurai, ancora oggi, voce di transizione, sempre “à la recherce” di strade in discesa, verso tempi più facili e più benevoli verso la specie umana.

Gianni Milani

“Shinya Sakurai. Marks and Traces”

Galleria “metroquadro”, corso San Maurizio 73/F, Torino; www.metroquadroarte.com

Fino al 22 giugno

Orari: giov. – sab. 16/19

Nelle foto: Shinya Sakurai “Marks & Traces”, tecniche miste, 2023

“Uno scatto nel passato” con gli allievi del corso di fotografia dell’Accademia Albertina di Belle Arti

Domenica 14 aprile 2024, dalle 15 alle 17, in occasione della mostra “L’Ottocento fotografa il Medioevo”, sarà presente uno scatto nel passato con gli allievi del corso di fotografia, un evento aperto a tutti per raccontare le storie della fotografia, dalle antiche silhouette alle macchine fotografiche ottocentesche, messe in azione di fronte ai nostri occhi fra le sale della Pinacoteca Albertina e l’affascinante sotterraneo della rotonda del Talucchi. Dai bambini agli adulti, è un evento per tutti a cura degli allievi del corso di fotografia dell’Accademia Albertina di Belle Arti.

Info: 011 0897370

comunicazioni@albertina.academy

 

Mara Martellotta

“La permanenza del segno”: Vincenzo Gatti alla Fondazione Amendola

Le sale espositive della Fondazione Giorgio Amendola, in via Tollegno 52, a Torino, ospitano la mostra di Vincenzo Gatti dal titolo “La permanenza del segno”, a cura di Armando Audoli. La mostra sarà visitabile fino al 5 maggio. Vincenzo Gatti presenta una vasta scelta di opere alla Fondazione Amendola, circa 40, che coprono un lungo periodo, dai primi anni Settanta fino a oggi, testimone della sua ricerca costante e appassionata legata alla grafica. Fin dagli inizi il vero protagonista delle opere è il segno, declinato in ogni forma, brulicante e atmosferico nelle incisioni, allargato e quasi snervante nella tensione dei disegni e delle recenti opere di grande formato, che trovano nuovi sviluppi espressivi con l’uso del pastello grasso su carte patinate.

Vincenzo Gatti, nato a Torino nel 1948, per vent’anni titolare della cattedra di Tecniche dell’incisione all’Accademia Albertina di Torino, sembra voler mettersi continuamente alla prova, dimenticando il consumato mestiere per sperimentare altre procedure, e entrando in territori grafici anche eterodossi, con una sorta di superamento critico dei risultati raggiunti. I temi trattati sono legati a varie esperienze, dalle seduzioni gestuali o pop degli inizi, alle visioni d’interni, tra luci e ombre, delle acque forti, agli scenari del mito della natura che favoriscono le metamorfosi della figura umana. Questo argomento ricorrente nell’immaginario dell’artista è riscontrabile anche in alcune terracotte presenti in mostra, e fa riferimento alla cultura visionaria e inquieta che ha percorso l’Europa tra Ottocento e Novecento.

Fondazione Amendola, via Tollegno 52, Torino

Apertura lunedì-venerdì 9:30/12:00 – sabato ore 10:00-12:00

 

Mara Martellotta

Nomi celebri e belle scoperte, dal Figurativo all’Informale

Il “Novecento” alla Galleria Aversa, sino all’11 maggio

La Galleria Aversa allarga i propri spazi e con gli spazi i propri confini. Con la mostra “Il Novecento, dal Figurativo all’Informale” (nei locali posti nel cortile aulico del Palazzo Luserna di Rorà di via Cavour 13, sino al 11 maggio prossimo) non rinuncia certo a quell’Ottocento cui da sempre ci ha abituato ma amplia i suoi interessi al secolo successivo, un lungo quanto prolifico periodo dell’arte italiana giù giù quasi sino ai giorni nostri, un terreno fertile di proposte e di esperienze pittoriche, un percorso che ha visto l’affermazione di varie correnti, dal Liberty al Divisionismo sino all’Informale. Un’esposizione che deve gran parte della sua ricchezza al lascito della collezione dello storico e critico d’arte Marco Rosci, collaboratore per venticinque anni de La Stampa, curatore di mostre d’arte moderna e contemporanea, autore di importanti testi e professore universitario, scomparso pressoché novantenne a Novara nel 2017.

 

Roberto e Jacopo Aversa hanno raccolto oltre trenta artisti, con grande ricchezza di tecniche e di formati, di volti e di paesaggi, di classicità e di sperimentazioni, da Nino Aimone a Bruno Cassinari, da Felice Casorati a Salvatore Fiume a Dario Fo, da Pinot Gallizio a Nedda Guidi a Ugo Nespolo, da Alessandro Lupo a Francesco Messina a Enrico Paulucci, da Carol Rama a Piero Ruggeri a Luigi Spazzapan, da Andrea Tavernier a Felice Vellan a Cesare Maggi. In un itinerario che potrebbe partire dalla “Preghiera” di Cesare Ferro, posta nella prima sala, un abito scuro, la espressività raccolta e indagatrice quasi di due occhi in un viso di donna, due mani giunti che dimostrazione la leggerezza ma altresì la solennità del momento di raccoglimento. Ma non vanno dimenticati “I fiori della mamma”, un pastello su tela di Giovanni Battista Carpanetto, il messicano Rufino Tamayo, che fondeva le tradizioni del proprio paese con le correnti che si sviluppavano in Europa, le proposte dello svedese Bengt Lindström, con la sua pittura ispirata ai miti e alle leggende della Lapponia, nato in un piccolo villaggio del Norrland e, attraverso gli studi e la passione per la pittura, approdato a Stoccolma e quindi a Copenhagen e Chicago e Parigi, affascinato dagli affreschi di Cimabue e Giotto ad Assisi, varie mostre in giro per il mondo, da Barcellona a Tokio, da Seul a Colonia a Milano.

Come Franco Costa, uno dei più importanti autori di manifesti del secondo Novecento, formatosi tra Zurigo e Parigi e il Sud America, collaboratore dei maggiori stilisti, da Valentino a Lancetti a Dior, legato a nomi quali Fellini, Stanley Kubrick, Matisse e Picasso, nel 1980 divenuto artista ufficiale della America’s Cup; come le opere di Mirko Basaldella e di Nedda Guidi, all’interno di questo panorama novecentesco che in questa Torino di primavera sta interessando gallerie e fondazioni di prestigio.

e. rb.

Nelle immagini: con la “Preghiera” di Cesare Ferro, in esposizione alla galleria Aversa, tra gli altri, anche opere di Pinot Gallizio e Nedda Guidi.

Selezionati gli artisti e le artiste di Futures 2024

Gli artisti e le artiste selezionate nel 2024 nell’edizione di Futures sono Anna Adamo, Giorgio di Noto, Giulia Vanelli, Ivo Sekulovski e Lucrezia Zanardi. Si tratta del programma europeo indirizzato alla promozione della fotografia contemporanea del quale Camera è l’unico rappresentante in Italia.

Attraverso un percorso di rafforzamento della propria ricerca artistica e attività di accompagnamento di natura espositiva, educativa, promozionale e relazionale, pensate su scala nazionale e Internazionale, il programma permetterà loro di entrare in contatto con oltre cento artisti provenienti da venti nazioni diverse e con gli staff curatoriali dei 21 musei e fondazioni per la fotografia che fanno parte della piattaforma.

Le artiste e gli artisti che parteciperanno alla settima annualità di Futures sono stati individuati da Walter Guadagnini, direttore artistico di Camera, e da Giangavino Pazzola, curatore associato del centro e coordinatore del programma.

Al fine di compiere una mappatura esaustiva e individuare le esperienze più significative e innovative nel contesto italiano, Camera ha deciso, per la prima volta nella storia di coinvolgere nell’individuazione delle candidature altri tre esperti del settore: la curatrice e fondatrice di Leporello.photobooks et al., Chiara Capodici, l’editore Tommaso Parrillo, fondatore di Witty Books e Giulia Pollicita, ricercatrice e curatrice della Fondazione Morra Greco.

 

Mara Martellotta

Inaugurazione della mostra di Roberto Demarchi “Forma, Parola, Musica”

Si inaugura giovedì 11 aprile, dalle ore 18, in corso Rosselli 11, a Torino, la mostra di Roberto Demarchi dal titolo “Forma, Parola, Musica”. Il richiamo del titolo dell’esposizione è al musicista Joseph Haydn, che nel 1786 ricevette l’incarico da un canonico di Cadice di comporre una musica sulle “Ultime sette parole di Cristo sulla croce”. Haydn aggiunse un’introduzione e un terremoto finale. Aldous Huxley scrisse:”Ciò che meglio descrive l’inesprimibile è la musica”. Si potrebbe aggiungere che ciò che meglio descrive l’invisibile è la pittura. Quando il “logos”, cioè la parola o il pensiero che esso sottende si accompagna alla musica e alla pittura, l’assoluto e il sublime non sono poi così lontani.

Telefono: 348 0928218

rb.demarchi@gmail.com

 

Mara Martellotta

‘Le donne nell’arte’ in mostra alla Galleria Malinpensa by La Telaccia 

Informazione promozionale

Si intitola “Le donne nell’arte” la mostra che viene ospitata dal 9 al 20 aprile presso la galleria d’arte Malinpensa by La Telaccia.

Un omaggio a artiste diverse tra loro, ma tutte capaci di una profonda introspezione psicologica. La prima in mostra è Paola Dalla Pellegrina, nata a San Bonifacio, in provincia di Verona, che prova un’autentica venerazione per la natura in tutte le sue forme e manifestazioni, soprattutto per gli elementi vegetali e per l’acqua. Dagli elementi naturali trae forza ed energia, e il rigoglio verde d’estate la ritempra puntualmente. È capace di fantasticare sulla forma di una radice, di una foglia o di un fiore, di percepire le piante come esseri silenziosi ma palpitanti, di una bellezza commovente, capace di nascondere i significati da interpretare. Per l’artista vedere abbattere un albero le provoca un vero dolore fisico. Le figure femminili cui si ispira sono quelle del maestro Lei Ji Matsumoto, le cui anime ammirava da piccola e su cui si esercitava provando a riprodurle.

“La pittura dell’artista Dalla Pellegrina – spiega l’art director della galleria La Telaccia Monia Malinpensa -risulta caratterizzata da un’ evidente introspezione psicologica, ancorata ai veri valori di ricchezza umana e di contenuto, sempre condotta con potenza creativa e logica strutturale. La vibrante resa stilistica, la personalissima sintesi della forma e la grande comunicatività testimoniano una composizione moderna, a dimostrazione di un risultato figurale di notevole carica interpretativa. Il tratto deciso, il colore vivido e incisivo, e la stesura magistrale della tecnica mista ad acrilico e olio su tela, trovano all’interno dell’opera una narrazione simbolica di immediata sensibilità”.

La seconda artista in mostra è Lucilla Restelli, nata a Rho, in provincia di Milano, dove risiede e lavora, e dove ha frequentato corsi di disegno e pittura presso la scuola degli Artifici dell’Accademia Brera di Milano. Dal 1989 partecipa a concorsi di pittura collezionando numerosi premi e segnalazioni in campo europeo e internazionale. Nella sua lunga carriera ha sempre cercato nuove forme ed espressioni accostandosi, oltre che alla pittura ed esperienza di collage di materiali inusuali, alla lavorazione della ceramica e alla scultura quale il bronzo e l’acciaio. Dal 2010 è entrata a far parte della società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente di Milano.

“Lo straordinario equilibrio di contenuti e dell’aspetto segnico, che si coglie tra la materia e il colore, attraversa le opere dell’artista Lucilla Restelli, con un’espressività sia visiva sia tecnica in cui rivivono emozioni e sensazioni uniche. Lo spazio prospettico, la magica luce, le suggestive ombre e il deciso tracciato vengono strutturati con una propria identità compositiva e con un rigore tecnico evidente che ci comunica una padronanza dei mezzi non comune. L’indiscussa creatività e l’alto livello formale raggiungono nell’opera alti livelli di spessore artistico e culturale, che coinvolgono il fruitore in un’attenta osservazione ai dettagli”.

Terza artista in mostra è Monica Simoni, nata a Montecatini Terme e che vive e lavora in Toscana. Negli anni ’80 la sua passione per l’arte la dimostra e riesce a apprendere forma dopo diversi mesi passati a New York, dove ha avuto la possibilità di conoscere i maestri dell’astrattismo come Frank Stella e Morris Louis. L’innamoramento per le linee pulite e razionali la ispira a interpretare a modo suo queste intersezioni, che rappresentano la base su cui ha costruito il suo percorso artistico.

“L’artista Monica Simoni – afferma Monia Malinpensa – si serve dell’acrilico su tela con una buona padronanza della tecnica, e realizza opere interpretate con un’abilità operativa e con uno stile ricco di personale espressione costantemente fondato sui valori pittorici e sui contenuti. L’interessante alternanza di trame cromatiche e di soluzioni grafiche è densa di emozionali valenze simboliche, sempre misurate dal senso dell’equilibrio. La geometria netta e il suo linguaggio essenziale rivelano un tratto nitido e rapido, indice di una dimensione dinamica e di un vivido fervore creativo. Intrisa di chiara astrazione, la sua pittura esprime una ricerca artisticamente valida, in un si coglie un’attenta analisi del colore e di una compiutezza grafica”.

L’ultima artista in mostra, ma non meno importante, è la barese Anna Vavalle. L’artista vive a Siena e insegna Storia dell’arte presso il Liceo di Scienze Umane “Piccolomini” di Siena. Parallelamente alla sperimentazione del processo creativo in architettura, la sua ricerca come artista ha avuto origine dalla tensione tra intellegibilità e percezione, laddove i nostri sensi si aprono alla bellezza. C’è un’intelligenza innata nella natura che percepiamo nel disegno delle venature di una foglia, nella spirale di una conchiglia o nella forma di un fiore. L’arte è l’incontro col mistero della forma, e l’artista risulta ispirata dall’equilibrio tra creazione naturale e creazione umana, dall’armonia spirituale che genera.

“L’armonica partitura cromatica, ritmata con una dinamica gestualità del segno – afferma Monia Malinpensa- contraddistingue l’operare dell’artista Anna Vavalle, arricchendosi di un’espressività pittorica altamente emotiva e di elevata sensibilità spirituale. Il colore, a volte pacato, a volte vivace, crea nel fruitore emozioni uniche che si uniscono in un dialogo profondo, intriso di meditazione e sollecitazione dell’anima. L’artista, protesa alla continua ricerca, realizza opere astratte ispirate alla natura e all’essenza dell’essere umano, con dissolvenza intense sia cromatiche sia segniche. La capacità della tecnica di acrilico su tela, con l’intensità del colore e di magistrale stesura, ed evidenzia manualità di notevole spessore artistico.”

 

Mara Martellotta

Gino Mazzoli, la mostra al Museo di Moncalvo

Il museo civico di Moncalvo con la mostra di Gino Mazzoli (Casale 1900-1974) vuole riportare in vita uno dei più importanti pittori del secolo scorso nati in Monferrato, famoso in vita poi pressoché dimenticato ingiustamente con il passare delle mode.

Figlio di Rodolfo, abile scalpellino di marmo e pietra e di Adele Pallavicini discendente dei marchesi di Ghemme, disobbendo al padre che, iscrittolo all’Accademia Albertina di Torino, sognava per lui un avvenire di scultore che seguisse le orme di Leonardo Bistolfi, anch’egli casalese e figlio di un artigiano del legno, Gino preferì seguire il corso di pittura tenuto da Giacomo Grosso.

Gli inizi del percorso artistico di Mazzoli sono segnati dall’influsso del grande maestro, ai tempi osannato per la straordinaria perfezione tecnica e il virtuosismo accademico, attenuato da lui a favore di un pacato intimismo e da emozioni scapigliate.

Costantemente fedele al figurativo mai si avvicinò all’arte aniconica, convinto, allo stesso modo di Casorati, che l’annullamento della forma avviasse ad un nichilismo privo di valori. In mostra sono presenti splendidi disegni e dipinti che trattano varie tematiche, dall’autoritratto referenziale di pittore severo e professionale ai ritratti della moglie Tilde, quasi sacrale simbolo dell’eterno femminino, dipinta con la proverbiale “tavolozza francescana” di parco colore; dai paesaggi verdeggianti del Monferrato e dell’Alto Adige alle nature morte con semplici oggetti, frutta, verdura, fiori colti sotto l’orto di casa secondo la poetica del quotidiano.

Giuliana Romano Bussola

“Felice Casorati. Pittura che nasce dall’interno”

In mostra al Museo Archeologico Regionale di Aosta

 

Il Museo archeologico regionale di Aosta dedica un’importante retrospettiva a Felice Casorati e alle generazioni di artisti e artiste che egli ha formato.

Il titolo della bella mostra ospitata dal Museo Archeologico Regionale di Aosta si intitola “Felice Casorati. Pittura che nasce dall’interno” e comprende oltre cento opere di uno degli artisti italiani più affascinanti della prima parte del Novecento.

Felice Casorati è stato uno degli artisti più importanti del Novecento in Italia e uno dei più longevi della sua epoca, avendo attraversato il periodo delle avanguardie, il ritorno all’ordine, il periodo del fascismo fino ad approdare al dopoguerra. Felice Casorati nacque a Novara nel 1883 da un ufficiale in servizio permanente, Francesco, e da Caterina Borgarelli. A causa del mestiere del padre, la famiglia si trasferisce frequentemente e Felice si trova a vivere a Padova, dove compie gli studi laureandosi in legge. Tuttavia, mentre sembra essere avviato ad una carriera nel settore giuridico, maturò una profonda passione per le arti, per la musica in particolare, dilettandosi come pittore. Nel 1907 provò a inviare alcune opere alla VII Biennale di Venezia, tra cui il Ritratto della signora Elvira, oggi in collezione privata, che fu accettato.

La critica era convinta di trovarsi di fronte a un giovane molto puomettente, che aveva solo 24 anni. Tra il 1908 e il 1911 si trasferisce a Napoli, spostandosi poi a Verona, dove fondava la rivista La via lattea, per la quale eseguiva anche degli schizzi e illustrazioni in stile art nouveau. Nel1912 partecipa all’IX biennale di Venezia ed espone 41 opere alla mostra di Ca’ Pesaro, che diventerà per lui più importante tanto da indurlo a rifiutare un invito alla Biennale nel 1920.

Casorati dapprima si avvicinò al simbolismo, con uno sguardo aperto sugli scenari internazionali e fu, in particolare, affascinato dalla secessione viennese dei vari Gustav Klimt, Oskar Kokoschka e colleghi, ma guardò anche a Cézanne e fu molto vicino ai principali critici e collezionisti del suo tempo, da Piero Gobetti a Lionello Venturi, da Antonio Casella a Riccardo Gualino. In particolare Casorati strinse una profonda amicizia con Riccardo Gualino, che gli commissionò opere, tra cui la decorazione del suo teatrino privato e fece sviluppare in lui l’interesse per le arti applicate. Nel capoluogo piemontese è stato il maestro più influente dell’Accademia di Belle Arti, ma ha anche avuto una sua scuola privata in cui sono cresciute interessanti figure, tra le quali la moglie Dafne Maugham e parecchie altre artiste, in controtendenza con un’Italia profondamente maschilista, come la scrittrice Lalla Romano, Marisa Mori e Nella Marchesini. Alla fine del percorso della mostra è proposta una piccola scelta di opere di sue adepte.

Le opere in mostra illustrano cronologicamente tutto il cammino dell’artista e arrivano da collezioni pubbliche e private, come “Le Sorelle” o “Le ereditiere”, provenienti dal Mart di Rovereto del 1908, in cui emerge la bravura del pittore nell’utilizzo del nero. Nell’opera intitolata “Le due sorelle” è possibile cogliere il legame profondo dell’artista con la pittura di Piero della Francesca, in particolare, che Roberto Longhi aveva riletto nel suo primo saggio a lui dedicato sette anni prima. Accanto ai ritratti, molto interessanti in quanto appartenenti a collezioni private, si ricordano le opere di paesaggio degli anni Dieci, come “La bianca e nera città turrita”, una tempera su cartone che proviene da una collezione privata. Sono anche parecchie le sculture in mostra come “Maschera rossa” e “Maschera nera” del 1914, altre meno note come “L’attesa” o il “Viso di donna”, rispettivamente terra cotta e terra cruda, realizzate una prima volta alla fine degli anni Dieci.

Di interesse anche i bozzetti che Casorati realizzò per il teatro alla Scala, che ci presentano un artista più gioioso.

 

Mara Martellotta