Torino, bellezza, magia e mistero
Torino città magica per definizione, malinconica e misteriosa, cosa nasconde dietro le fitte nebbie che si alzano dal fiume? Spiriti e fantasmi si aggirano per le vie, complici della notte e del plenilunio, malvagi satanassi si occultano sotto terra, là dove il rumore degli scarichi fognari può celare i fracassi degli inferi. Cara Torino, città di millimetrici equilibri, se si presta attenzione, si può udire il doppio battito dei tuoi due cuori.
Articolo 1: Torino geograficamente magica
Articolo 2: Le mitiche origini di Augusta Taurinorum
Articolo 3: I segreti della Gran Madre
Articolo 4: La meridiana che non segna l’ora
Articolo 5: Alla ricerca delle Grotte Alchemiche
Articolo 6: Dove si trova ël Barabiciu?
Articolo 7: Chi vi sarebbe piaciuto incontrare a Torino?
Articolo 8: Gli enigmi di Gustavo Roll
Articolo 9: Osservati da più dimensioni: spiriti e guardiani di soglia
Articolo 10: Torino dei miracoli
Articolo 10: Torino dei miracoli
Torino è talmente magica che c’è spazio anche per i miracoli.
Data: 29 aprile 1644. Alla periferia di Torino, in riva al Po, nell’attuale C.so Casale 195, c’era solo un pilone votivo dedicato alla Madonna. Nei pressi si trovava un mulino ad acqua, e lì si stavano dirigendo Margherita Mollar e la figlia di 11 anni. Mentre la madre affidava al mugnaio il sacco di farina, la figlia si allontanò per giocare in riva al fiume. In un attimo la piccola cadde nell’acqua, la corrente la stava trascinando via tra le sue grida spaventate e le urla terrorizzate della madre. Quando tutto sembrava ormai perduto, la mamma della piccola, disperata, non trovò sostegno se non nell’invocare un’altra Madre. Ed ecco il miracolo: una bianca signora comparve sull’acqua, prese per mano la bambina e la accompagnò fino alla riva. Il prodigio ebbe larga eco e per volontà della reggente Maria Cristina di Francia, nello stesso luogo, l’anno seguente venne eretta una chiesa che fu aperta ai fedeli il 25 maggio del 1645, chiamata ancora oggi “Madonna del Pilone”.
Dunque, se i miracoli non avvengono qui a Torino, dove è conservata la Santa Sindone e dove pare sia nascosto il Santo Graal, allora dove dovrebbero avvenire? Andando indietro nel tempo, l’urbe augustea fu sede di un altro avvenimento soprannaturale, conosciuto come il miracolo del SS Sacramento. Siamo nel 1453, la Francia e il Ducato di Piemonte-Savoia sono in guerra, Renato d’Angiò vuole riconquistare il Regno di Napoli e, per nascondere la vera motivazione dello scontro, addita l’unione tra Carlotta di Savoia e il figlio di re Carlo VII, Luigi. Proprio in questo periodo turbolento e tumultuoso, l’esercito piemontese saccheggiò Exilles, senza risparmiare la chiesa del paese, da cui alcuni soldati sottrassero l’ostensorio con l’ostia consacrata. Quegli stessi uomini, il 6 giugno, festa del Corpus Domini, tornarono in città, a Torino, per vendere la merce rubata e ricavarne qualche soldo. Accadde a questo punto che il mulo che trasportava la refurtiva decise di sdraiarsi, facendo così cadere giù dalle borse tutto il bottino: gli oggetti rotolarono rumorosamente a terra, attirando l’attenzione della gente, invece l’ostia consacrata fuoriuscì dal sacco aleggiando nell’aria e risplendendo come un piccolo sole.
Nel trambusto un sacerdote alzò il calice verso l’ostia, e questa si inserì al suo interno, il calice venne portato in processione nella cattedrale di S. Giovanni. Ben undici persone confermarono l’accaduto, firmando un documento ufficiale andato ovviamente perduto. Sul luogo in cui accadde il miracolo venne dapprima eretta una colonna, poi un’intera chiesa, denominata Corpus Domini. Anche l’unica prova tangibile dell’avvenimento è andata distrutta, l’ostia, venerata per anni, fu consumata per ordine della Santa Sede, “per non obbligare Dio a fare un continuo miracolo, conservandola intatta”. Pare che l’avvenimento divino abbia ispirato molti uomini a dedicarsi a Dio e all’aiuto del prossimo; se sia stato per questo motivo o meno, è indubbio che nel XIX secolo il Piemonte abbia dato i natali a religiosi illustri e magnanimi, come Don Bosco, Cottolengo o Cafasso. Proprio a Torino si tenne, nel 1953, il Congresso Eucaristico Nazionale, in cui intervenne colui che in futuro sarebbe stato Papa Giovanni XXIII. Certo queste storie appartengono ad un tempo in cui nessuno avrebbe messo in discussione la veridicità di tali avvenimenti, quando fede e magia impregnavano la quotidianità e davano rapide ed esaustive risposte per quasi ogni cosa, e c’era una frase, un ritornello, un’esclamazione adatta a chiedere aiuti divini o per scongiurare il malocchio.
“Sant’Antòini pien ëd virtù, fame trové lòn ch’a l’hai përdu”, e subito venivano fuori le chiavi, le penne, gli occhiali e tutti quegli oggetti che costantemente “non si vogliono” far trovare; per il meteo valevano i “di’d marca”, decisamente più veritieri ed immediati delle applicazioni sui cellulari; e per essere pronti ad ogni evenienza bastava fare attenzione ai pruriti, per esempio se dava fastidio il palmo della mano destra presto sarebbero arrivati dei soldi, al contrario “sente’l nas a smangè, a l’é quaidun ch’a veul rusé”; attenzione invece ai bambini che sentivano i genitori dire “i-t l’as la schin-a ch’a t’smangia!” E poi badate alle orecchie, “oria drita paròla mal dita, oria manca paròla franca”. Tempi tanto lontani che pure non se ne vanno, perché gli usi si sono radicati nei nostri comportamenti, essi continuano a vivere nei nostri gesti quotidiani, solo che non ne conosciamo il vero significato. Quante volte diciamo “salute” a chi starnutisce, è una semplice reazione di cortesia, no? Affatto, sono dei demoni che solleticano il naso, in modo che l’anima esca dal corpo, e allora ecco l’esortazione di augurio, affinché i satanassi si allontanino e lascino in pace il malcapitato. Possiamo allora giocare a fare meno gli scettici, e finché ci sarà ancora un innamorato pronto a staccare i petali di una margherita chiedendo “m’ama, non m’ama”, la magia sarà con noi, almeno un pizzico, a consigliarci come agire in queste nostre esistenze così razionali.
Alessia Cagnotto


Magnifica. Di straordinaria armonia e lirica sensualità la “Ragazza sulla sedia” realizzata nel 1983 da Giacomo Manzù (Bergamo, 1908 – Roma, 1991) – fra gli artisti più grandi del secolo scorso e che soprattutto ha fatto del suo mestiere un mezzo grandioso di denuncia storica e civile delle brutture del mondo – da sola potrebbe bastare a raccontare l’essenziale universalità di quella coraggiosa e resiliente “figurazione”, capace di esprimere le tensioni e i capricci sperimentali di molte cosiddette avanguardie artistiche del Novecento, senza mai accantonare la preziosa lezione dei grandi Maestri del passato.
complice di uno stilizzato e sintetico “primitivismo” formale tradotto in volumi di rigorosa intensità plastica, nelle sculture, allestite al “Gamba”, di Arturo Martini (Treviso, 1889 – Milano, 1947) così come nelle “immagini ideali” (definizione di Carlo Carrà) perfettamente esaltate nella rinascimentale bellezza di quello stupendo “Narciso” bronzeo, realizzato dal siciliano Francesco Messina (Linguaglossa, 1900– Milano, 1995) nel ’56. Manzù, Martini, Messina: tre voci esemplari e storiche dell’arte del secolo scorso, cui fece costante riferimento, pur se allievo all’Accademia bolognese di Belle Arti di Giorgio Morandi, anche Luciano Minguzzi (Bologna, 1911 – Milano, 2004), accostato in mostra alle “pagine” più sperimentali del napoletano, ma milanese d’adozione, Giuseppe Maraniello, elemento di spicco negli anni ’80 e sotto l’egida di Renato Barilli, della corrente dei “nuovi nuovi” e dell’ottantanovenne toscano da Barberino del Mugello Giuliano Vangi autore di opere di intenso e minuzioso realismo “capace di dialogare con la scultura di tutti i tempi: da quella assiro-babilonese, all’egizia, fino alla scultura del primo Rinascimento”. Donatello, il suo artista di riferimento. Originali e di suggestivo valore simbolico anche le proposte di “frammentata umanità” del romano Paolo Delle Monache (classe ’69), cui si accompagnano sei sculture di Aron Demetz (Vipiteno, 1972), uno dei più rappresentativi artisti di una giovane generazione che in Val Gardena reintepreta oggi la tradizione della scultura in legno accoppiandola, nel caso di Demetz, al metallo, anteponendo l’intervento umano sulla forma all’azione del tempo con i suoi processi naturali di trasformazione della materia. A completare l’iter
espositivo sono infine gli scatti in bianco e nero della fotografa torinese Carola Allemandi (relizzati espressamente per l’occasione) e 12 grafiche di Mimmo Paladino (fra i principali esponenti della Transavanguardia italiana, teorizzata negli anni Ottanta da Achille Bonito Oliva), appartenenti al ciclo creato nel 2005 dal talentuoso artista di Paduli e dedicato alla fantasiosa interpretazione della favola senza tempo di Pinocchio: “metafora di una materia che attraverso lo scalpello diviene persona viva, allegoria dell’arte stessa della scultura”.
Si è scritto che la mostra Sussurri nel bosco, a cura di Luigi Castagna e Giuliana Curino, con cui Serena Zanardo presenta le sue opere fino al 25 ottobre (ogni sabato e domenica, dalle 16 alle 20) presso lo spazio di “Arte per Voi” ad Avigliana, è “da visitare in punta di piedi”: e credo sia vero. 