Un libro minuto, lieve ma molto bello, dove si narra la storia dell’incontro tra una donna e un clochard, entrambi amanti di musica classica. L’uomo senza fissa dimora si piazza davanti alla finestra aperta del conservatorio di Torino, assieme all’autrice, per ascoltare quel professore di pianoforte che, terminate le lezioni, esegue per sé Liszt e Ravel
“Quando abitavo in via Mazzini, proprio al fondo, vicino al Po, mi piaceva al mattino risalire tutta la strada verso il centro della città fino al Conservatorio Giuseppe Verdi e fermarmi qualche minuto ad ascoltare la musica che strimpellavano gli allievi e i tocchi sapienti dei maestri. Avevo imparato che dalla finestra che dava sulla via Mazzini uscivano suoni di batteria. Non mi interessava. Scartata la facciata di piazza Bodoni, dove si apriva l’ingresso dell’atrio che immetteva nella sala dei concerti, da cui al mattino non usciva alcun suono, facendo il giro del palazzo avevo individuato le aule dove si insegnavano i vari strumenti, e avevo scoperto, tra quelle in cui si insegnava pianoforte, una dove c’era un maestro particolarmente bravo: udivo infatti i tocchi incerti degli allievi e la sua mano che riprendeva il brano musicale, il suo interrompere l’esecuzione per far ripetere il passaggio, una, due, tre volte. Talora accadeva che il maestro sospendesse l’esecuzione dell’allievo per portare a termine il pezzo con le sue mani. E allora le note diventavano musica”. Inizia così “La musica dell’isola”, racconto breve di Laura Mancinelli, pubblicato dalla novarese “Interlinea” quasi vent’anni fa. Un libro minuto, lieve ma molto bello, dove si narra la storia dell’incontro tra una donna e un clochard, entrambi amanti di musica classica. L’uomo senza fissa dimora si piazza davanti alla finestra aperta del conservatorio di Torino, assieme all’autrice, per ascoltare quel professore di pianoforte che, terminate le lezioni, esegue per sé Liszt e Ravel. Poi, all’improvviso, quel rapporto s’interrompe perché l’uomo scompare, facendo perdere ogni traccia di se. Fino a quando, qualche anno dopo, riappare nelle vesti di organista che esegue “Eine feste Burg ist unser Gott” ( “Forte rocca è il nostro Dio” ), un grande corale di Bach basato sull’omonimo inno composto da Martin Lutero. La musica riempie di magia la messa di Natale sull’isola di San Giulio, che sembra galleggiare nella nebbia in mezzo al lago d’Orta, in una notte dall’atmosfera sognante. Da Torino al più romantico dei laghi, con il dramma della sclerosi multipla che colpì l’autrice, costringendola a muoversi su di una sedia a rotelle e ad affidare vita e passioni alla scrittura. Un racconto venato da malinconia, sospeso fra verità e invenzione, intriso di quella grazia che non manca mai nelle storie di Laura Mancinelli , dai “Dodici abati di Challant” al “Fantasma di Mozart” , da “La casa del tempo” ad “Andante con tenerezza”.
Marco Travaglini
Il tema dell’acqua rappresenta il fil rouge della mostra ospitata nel nuovo spazio espositivo della galleria di Arte Contemporanea Raffaella De Chirico, in via Barbaroux 16, dal titolo “Rain Gun”, personale dell’artista Fabio Perino.


Venerdì 28 maggio è stata inaugurata a Palazzo Lomellini, in Carmagnola, con ingressi contingentati secondo le attuali norme ministeriali, la mostra “…di là dal fiume e tra gli alberi…”. Intorno al paesaggio nell’arte dal secolo XVII a oggi, a cura di Elio Rabbione, in programma sino al 25 luglio.
Ad aprire il corpus delle sedici opere che offrono una visione sui secoli XVII e XVIII può essere il barcone di gentiluomini (di Jacques d’Artois) che attraversa un corso d’acqua per lasciarsi alle spalle massicci e chiomati tronchi d’alberi e per entrare in un bosco altrettanto ricco, mentre una luce o un raggio di sole (nascosto) colpisce quei tronchi e quell’acqua totalmente tranquilla. E poi i pastori di Nicholas Berchem, ambientati in una campagna romana abitata da rupi e rovine; o l’attenzione (affettuosa) dedicata agli animali da Paul Potter e da Michiel Carree, da Philipp Ross divenuto cittadino romano e dal nostro Michelangelo Cerquozzi che, pur occupando il primo piano con l’arrivo di Erminia tra i pastori, ha modo di “perdere” la sua tela in un suggestivo scorcio lontano di paesaggio. Con uno sguardo all’Ottocento, cogliamo il tempietto classico di Pietro Bagetti e le vedute di campagna di Lorenzo Delleani, la tristezza sperduta nel mare di Enrico Reycend e le ampie distese, trionfanti, celebrate da Enrico Ghisolfi, da Giuseppe Camino, da Carlo Follini in un geniale gioco di luci crepuscolari. Del Novecento (con trentasette opere in mostra) apprezziamo la pacatezza e l’intimità del villaggio bretone di Henry Cahours, quello più gioioso e assolato di Pierre Lesage come il piccolo porto inondato di luce e di riflessi dovuto alla poesia di Emmanuel Laurent; se buttiamo un occhio tra gli immensi spazi russi incontriamo le piccole barche di Dmitrij Kosmin sovrastate da un cielo innaturale, le case di San Pietroburgo di Boris Lavrenko, che allineano movimento e ricercato cromatismo, i tratti irruenti e corposi per il bosco di Maya Kopitzeva. Tra i paesaggi italiani parlano tra gli altri la bellezza dei colori trasmessi dalle opere di Giuseppe Augusto Levis, il lago di Avigliana di Cesare Maggi quasi al riparo degli alberi, l’Inverno di Francesco Menzio dai vasti biancori, il personaggio solitario di Gianni Sesia della Merla immerso nei terreni grumosi del deserto, Luigi Spazzapan che ci dà la sua idea di paesaggio, i favolistici gruppi di case di Nella Marchesini, tra il classicheggiante e l’impressionista, sino ad arrivare al “soffocamento” del paesaggio nel Tappeto-natura di Piero Gilardi.
Gli artisti dei nostri giorni, per concludere. Classicheggianti i paesaggi di Giancarlo Gasparin, di un affascinante nervosismo quelli di Luisella Rolle, pazienti, emozionalmente d’antan le distese di alberi e di poggi di Xavier de Maistre, gli antichi spazi siciliani di Pippo Leocata, le irruzioni del quotidiano tra le montagne di Luciano Spessot, i realistici scorci cittadini di Sandro Lobalzo, di recente scomparso, come Giacomo Gullo; e ancora, tra gli altri, la morbidezza impressionista di Bruno Molinaro, le stilizzazioni di Antonio Presti, le infinite colline dovute al lavoro di Franco Negro e di Adelma Mapelli. Infine in ultimo, tra i paesaggi di oggi, quelli della distruzione prodotta dall’uomo, quelli di Mario Giammarinaro dolorosamente coinvolgenti, amaramente affascinanti nella loro tristezza e nella loro rovina: un mesto risultato, mentre ci si volta indietro a guardare i boschi lussureggianti da cui ha mosso i passi la mostra.
L’amore per l’arte, la pittura in particolare, e per la natura, intrisa di spiritualità, rappresentano il sottile fil rouge che caratterizza, sin dagli anni dell’adolescenza, la vita dell’avvocato Erasmo Geusa, con studio legale torinese.
secondo me l’empatia è fondamentale e rappresenta un ponte per la nostra comprensione della sfera immaginale e delle stesse opere artistiche. Questa medesima empatia, secondo me, è alla base della mia professione di avvocato penalista, della capacità di “calarsi” nella realtà del cliente, prospettandogli una o più soluzioni possibili, dopo aver inquadrato la sua situazione, utilizzando le conoscenze giuridiche accanto alle doti umane”.
Amo molto disegnare e rivolgo una particolare attenzione alle figure, probabilmente perché la mia formazione è avvenuta a partire dalla copia di sculture, e lavoro molto con i colori. Le tecniche che utilizzo maggiormente sono la matita e pastello, il carboncino e l’acrilico su tela, che ritengo restituisca un’immediatezza di colore maggiore rispetto all’olio su tela”.
Nella femminilità è racchiusa, così, nella rappresentazione che ne fa questo artista, anche la concezione di una dea madre, che racchiude in sé la potenza di dare la vita.

