ARTE- Pagina 160

La Duccio di Buoninsegna tra le donne (in nero) di Torino

Il presidio “Donne in Nero” è a Torino ogni ultimo venerdì di ogni mese per manifestare contro la guerra. La guerra e il militarismo sono le due logiche che il movimento nato in Israele nel 1988, rifiuta decisamente. Donne in Nero è contro alle armi e contro il nazionalismo e porta l’attenzione al dialogo e al ruolo tradizionalmente imposto alle donne nei confronti della guerra, un ruolo di passività a cui è necessario ripensare. Donne in Nero chiede, manifestando in nero e in silenzio, di assumere responsabilità nei confronti dei conflitti armati, resistendo all’odio, riflettendo sulla distruzione, sulla violenza e sull’esclusione che la guerra porta con sé. Con Donne in Nero, la riflessione si ferma sulle guerre passate per non dimenticare e per ricordare le prospettive di pace e di vita. La manifestazione silenziosa di Donne in Nero della Casa delle Donne di Torino è a Torino in via Giuseppe Garibaldi angolo via XX Settembre dalle ore 18 alle 19 ogni ultimo venerdì del mese e ci porta a pensare alle donne vestite di nero nella Storia dell’arte.   
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Tradizionalmente siamo portati a pensare alla veste di colore blu per Maria, come spesso si vede nei presepi, il mantello blu, come il cielo stellato, copre la madre di Gesù bambino conferendole un’aurea di purezza, ma sono molte le raffigurazioni di Maria di Nazareth con veste nera. Tra quelle conservate a Palazzo Reale, presso la Galleria Sabauda, vediamo ora uno dei pittori di cui Torino può fare vanto, il fondamentale Duccio di Buoninsegna. Ricordiamo sulla veste color granata, il mantello molto scuro, nero, anche se probabilmente il nero di quel mantello nero vira al viola, la Madonna del Buoninsegna è una delle nostre donne in nero. Maria con il bambino alla sua destra è raffigurata assisa su trono di legno, nel mentre compie un atto tenerissimo, con le mani controlla i movimenti del bambino giocoso che si protende verso di lei. La Madonna -attorniata da due angeli- guarda lo spettatore e con il suo gesto sembra chiedere silenziosamente al bambin Gesù di fare attenzione a qualcosa, chissà a cosa, o forse a qualcuno, magari proprio a colui verso cui lo sguardo è rivolto.
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Il dipinto risale al 1280-1283; non si parla ancora per quel periodo di dialogo della tela con lo spettatore, siamo lontani dai racconti scenografici delle tele tipici del trentennio 1630-1660 (il Barocco) in cui lo spettatore è portato al centro di una scena costruita con sapiente uso della prospettiva, ma quella della Madonna del Buoninsegna (1255-1319), quella Madonna è una buona intuizione, ha un non so che, che coinvolge lo spettatore tra due figure, in altri termini ha un quid che ci porta tra la Madonna e il bambino; potremmo aspettarci che da un momento all’altro il bambino si volti accorgendosi di quanto la madre sta guardando, oppure che la madre si dimentichi di ciò che ha catturato la sua attenzione per cullare il piccolo. La Madonna di Torino è alla Galleria Sabauda dal 1930, fa parte delle opere donate dal Gualino e in assoluto è il dipinto più antico rimasto di Duccio da Buoninsegna pittore senese che prende il modo di dipingere con linee spezzate di Cimabue bizantino, linee spezzate da cui si ricava l’idea del volume delle figure. Tra le altre Donne in Nero nella Storia dell’Arte a Torino, prossimamente vedremo ancora una volta un’opera che appartiene alla raccolta della Galleria Sabauda e che anche in questo caso fa parte del lascito di Riccardo Gualini, la algida Madonna con bambino e ciliegie del 1470.

Elettra- ellie- Nicodemi

 

Il mondo femminile nei dipinti e nelle stampe giapponesi in mostra al MAO

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“Onna to onnagata”

Fino al 17 aprile 2022

Facciamo subito chiarezza sul titolo della mostra. In giapponese il termine onna significa “donne” e per onnagata, termine in uso dal Seicento, si intendevano, sempre nel “Paese del Sol Levante”, “attori maschi” travestiti con indumenti e sembianze femminili. Il titolo, dunque, dato alla nuova rotazione di kakemono (dipinti o calligrafie giapponesi su seta, cotone o carta a forma di preziosi e fragili rotoli da appendere in verticale) proposta, fino al 17 aprile del prossimo anno, dal MAO di Torino, chiarisce subito l’obiettivo di un evento espositivo teso ad invitare il visitatore a esplorare la varietà dell’universo femminile giapponese: dalle divinità alle dame di corte, dalle danzatrici alle popolane fino agli onnagata e senza dimenticare la simbologia di fiori e uccelli correlati alla femminilità. Discorso alquanto complesso. Fino al VI secolo circa, la società giapponese era infatti una società che manteneva ancora elementi di tipo tribale e una forte impronta matriarcale: grazie anche allo shintoismo, che attribuiva grande considerazione alle donne per la loro capacità di generare la vita, in Giappone non mancavano sacerdotesse, regine e dee. Con l’arrivo del buddhismo e del confucianesimo le cose cambiarono drasticamente: la donna perse gradualmente il suo ruolo sociale e fu obbligata all’obbedienza all’uomo, padre, fratello o marito. Eppure, nonostante il ruolo di subordinazione a cui le si volle relegare, le donne, in particolare quelle appartenenti all’aristocrazia o alla corte imperiale, continuarono a godere di stima, rispetto e anche di una parziale libertà, soprattutto in ambito amoroso. Ed è proprio, sottolineano al MAO, “grazie all’amore, ai diari e ai carteggi fra amanti, che nacque la letteratura giapponese: se i contratti e i documenti ufficiali erano appannaggio maschile, le opere letterarie presero vita dall’ingegno femminile”. Attorno all’anno Mille, videro la luce opere che hanno attraversato i secoli e dettato le regole della letteratura nipponica, fra cui i celeberrimi “Genji Monogatari” e “Makura no Soshi”, le “Note del guanciale”. Per non dire del teatro. All’epoca della  sua fondazione da parte di Izumo no Okuni, una ballerina itinerante, il teatro tradizionale kabuki era una forma d’arte esclusivamente femminile. Gli spettacoli riscuotevano enorme successo presso tutte le classi sociali e cominciarono ad essere emulati persino nei bordelli, tanto che lo shogun (i dittatori militari che governarono il Giappone fra il 1192 ed il 1868) decise di vietarli. Per questa ragione, attorno al 1630, le onna, termine giapponese – come detto – per “donne”, furono rimpiazzate in scena da ragazzi, gli onnagata (letteralmente “a forma di donna”), uomini travestiti con abiti femminili e, da quel momento, il teatro fu considerato un luogo disdicevole, non adatto alle donne.


Ne è testimonianza in mostra la “Danzatrice Okame con ventaglio” (1741), trasposta teatralmente in “Ame no Uzume”, divinità shintoista dell’alba e dell’allegria collegata al mito della dea del sole Amaterasu no Omikami. Secondo il mito fu proprio Uzume, con la sua danza oscena e comica, a far uscire la dea dalla caverna in cui si era rinchiusa e a far tornare così la luce nel mondo. Sempre sul tema della danza è la rappresentazione dei “Niwaka”, i balli cosiddetti “improvvisati” e a contenuto trasgressivo, mentre tra le dame di corte si ricorda “Ono no Komachi” (834-880?), vissuta durante il periodo Heian (VII-XII secolo), famosa per la sua bellezza e come autrice di versi dedicati al tema dell’amore. Contestualmente alla mostra sono anche stati sostituiti i libri e le stampe della galleria dedicata al Giappone: in particolar modo, la selezione di xilografie include così le opere più antiche del Museo, molte delle quali ritraggono celebri onnagata, fra cui “La danza della volpe” di Utagawa Toyokuni, e una riproduzione novecentesca de “Il Fuji visto da Kanaya” di Katsushika Hokusai, esposta accanto alla sua matrice lignea.

Gianni Milani

“Onna to onnagata”

MAO-Museo d’Arte Orientale, via San Domenico 11, Torino; tel. 011/4436919 o www.maotorino.it

Fino al 17 aprile 2022

Orari: dal mart. alla dom. 10/18 – giov. 13/21; lun. chiuso

Nelle foto

–         Ogawa Haritsu: “Danzatrice Okame con ventaglio”, inchiostro e colori su seta, 1741

–         Nishiyama Hoen: “Dama di corte del periodo Heian”, inchiostro e colori su seta, metà XIX secolo

–         Utagawa Toyokuni: “ Danza della volpe”, stampa, 1815