Si scorgono a nord e a sud di Villanova d’Asti. Svettano all’improvviso davanti agli occhi, alte una ventina di metri e larghe settanta, in mezzo alla campagna, tra fattorie, cascinali, aziende agricole e allevamenti di cavalli.
Sono le torri di Francesco I, re di Francia. Massicce e imponenti, prive di cinta muraria, purtroppo scomparsa da secoli, erano piccole fortezze in mano ai francesi che nel Cinquecento difesero città e borghi del Piemonte dagli eserciti stranieri. Villanova d’Asti rispolvera il suo passato da “grandeur” francese. Sembra quasi impossibile che questo paese di poco più di 5000 abitanti sia stato cinque secoli fa una delle piazzeforti militari francesi più importanti del Piemonte, eppure la presenza di due grandi torri lo testimoniano e narrano un pezzo di storia astigiana. Comunemente chiamate “bissoche”, appartengono al demanio militare e il Comune vorrebbe acquistarle e ristrutturarle. Costo del progetto: un milione di euro. All’epoca i monarchi francesi erano i padroni della nostra regione. Il nuovo sovrano Francesco I di Valois diede nuovo vigore alle guerre in Italia seguendo la stessa politica di forza e di egemonia condotta nella penisola dai suoi predecessori Carlo VIII e Luigi XII. Torino, Chieri, Chivasso, Pinerolo e Villanova erano cittadelle fortificate sotto il controllo dei francesi. Possenti torri di avvistamento difendevano Villanova d’Asti dall’esercito del rivale Carlo V che disponeva di presidi militari in altre aree del Piemonte. I lavori di costruzione delle torri, iniziati nel 1520, terminarono nel 1548, un anno dopo la morte di Francesco I. Dall’alto dei torrioni i soldati comunicavano con la torre municipale del paese con fuochi notturni e, di giorno, con le bandiere per avvertire in tempo i villanovesi dei pericoli imminenti. All’interno delle torri si trovavano viveri e riserve d’acqua, la cucina, l’armeria e i posti letto. Sotto le torri sono stati scoperti di recente lunghi cunicoli sotterranei usati come vie di collegamento. Oggi restano in piedi due torri a base quadrata: la bissoca di Supponito a nord e la bissoca di San Martino a sud di Villanova in strada per Isolabella. Dove trovare i quattrini per riportarle in vita? Si spera nel mitico Recovery Fund che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe risolvere tutti i problemi italiani. Il comune di Villanova ha presentato al governo il progetto di recupero per avere i fondi necessari e ora si attende la decisione del Demanio miliare e l’arrivo dei finanziamenti per iniziare le prime opere di ristrutturazione. “Si tratta di due tesori da custodire con cura per le future generazioni, afferma entusiasta il sindaco Christian Giordano, faremo di tutto per recuperare le torri, aprirle ai turisti e valorizzare il patrimonio storico del nostro territorio”.
Filippo Re

Grazie al sapiente allestimento, i bei dipinti e le pregevoli sale espositive, non semplici contenitori, si valorizzano a vicenda nella vasta antologica che percorre a ritroso i periodi di un artista costantemente attento ad ogni movimento dell’arte moderna e contemporanea. Nella sala Chagall sono esposti gli ultimi lavori, i “Paesaggi lenti”, simboleggiati da tartarughe dipinte e inserite in una rarefatta sinfonia tonale del blu, ritenuto da Kandinskij colore del sentimento, già usato come protagonista della mostra “Il Silenzio è blu” in una precedente esposizione a Villa Vidua di Conzano.
Nell’ultima sala le prime opere, ancora tradizionali, mostrano attenta preparazione tecnica e passione che gli saranno di sostegno nelle successive opere che gradualmente abbandoneranno la figurazione.Il breve ma prezioso catalogo con gli acuti commenti di Carlo Pesce e il video di Marco e Stefano Garione contribuiscono a far conoscere il lungo viaggio durato quarant’ anni di questo bravo artista già pronto a rimettersi in cammino per nuove avventure.
Queste Mostre, a volte basate sul nulla, oppure per promuovere un personaggio, un artista straniero, si basano su una pletora di curatori, allestitori e responsabili a vario titolo, decine di collaboratori, arrivando a cifre talmente elevate che viceversa, con gli stessi importi si potrebbe restaurare un monumento in degrado. Pertanto è stata una piacevole sorpresa, sentire dal neo Direttore di Palazzo Madama a Torino,Giovanni Villa, che è sua intenzione e programma, invertire questa tendenza.

Circa quarant’anni di lavoro. “Che non è facile riassumere, capire e giudicare per la quantità e la specie di problemi messi in campo. In una stagione effervescente, come furono gli anni Cinquanta, ricca di informazioni e suggestioni (alla complicata eredità europea si era aggiunta la spettacolare forse rivoluzionaria novità americana, tanto che ai giovani ambiziosi e desiderosi d’aggiornamento fu giocoforza scommettere su Parigi o New York), Saroni mise a frutto una curiosità ingorda e un talento indiscutibile”.
in avvio Sessanta la scelta di Saroni è di ‘percorrere una strada della realtà’ e di sviluppare l’interesse per il ‘racconto’”, ricorda ancora Mantovani. Procede l’artista attraverso una “figurazione sempre più analitica e precisa” (l’approdo è l’isola perfetta dell’incisione), guarda da smanioso trentenne a scelte sempre più precise, diviso tra l’allinearsi, seppur criticamente, ai linguaggi artistici della sua epoca o se anche affidarsi a quei legami che dovrebbero ricollegare il pittore alla Storia di ieri: un esempio su tutti, l’interesse per la Mitteleuropa, in special modo per la Vienna con i suoi fermenti di inizio secolo. Una ricerca che è quasi una lotta, avvincente ma altresì logorante, tanta è l’ostinazione. Vincenzo Gatti, in un suo intervento nella presentazione, analizza in stringati quanto incisivi tratti il carattere umano e artistico di Saroni: “Il proverbiale perfezionismo, l’ossessione per il miglior raggiungimento e il tormento che accompagnava questo ricercare, attraverso le prove della vita potevano placarsi nell’intimità del grembo soccorrevole dello studio dove, lontano dalle tempeste, era possibile finalmente trovare una pace che altrove gli veniva negata”.