ARTE- Pagina 159

Brexit e mercato dell’Arte. Cosa cambierà?

Il parere dell’avvocato torinese Simone Morabito

La Brexit ha, sicuramente, modificato lo scenario all’interno del mondo dell’arte in quanto Londra è riconosciuta universalmente come la capitale europea del mercato dell’arte ed uno dei centri più importanti a livello globale

Gli asset del mercato dell’arte sono sempre stati considerati quali beni rifugio su cui investire anche nei periodi di maggiore incertezza economica. Il mercato dell’arte contemporanea, a livello globale, nel 2016 ha registrato un declino rispetto agli anni precedenti, con una diminuzione delle vendite delll’11% rispetto al 2015. Nel 2017 si è, invece, registrata la vendita record di un dipinto di Leonardo da Vinci, il “Salvator Mundi”, aggiudicato ad un’asta a New York nel novembre 2017, per 450 milioni di dollari Usa, pari a 380 milioni di euro, inclusi i diritti d’asta.

Sulle conseguenze e gli scenari che la Brexit può aprire nel mercato dell’ arte ne parliamo con l’avvocato torinese Simone Morabito, specializzato in diritto dell’arte, presidente e fondatore di Business Jus, associazione nata da un’idea torinese e sviluppatasi attraverso la collaborazione di professionisti italiani e stranieri, capaci di porsi quali punto di osservazione dei cambiamenti che interessano il mondo dell’impresa. L’avvocato Simone Morabito è anche autore di numerose pubblicazioni in materia di diritto commerciale e diritto dell’arte.

Per il mercato dell’arte, con l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, la situazione sarà sicuramente più complessa, anche a seguito della nuova normativa europea sull’importazione dei beni culturali, che verrà gradatamente implementata ( non solo per quanto riguarda l’antiriciclaggio) fino al 2025, anno in cui il sistema elettronico centralizzato, infatti, diventerà pienamente operativo. Tale sistema verrà applicato ai beni culturali importati nell’Unione Europea, una volta che il Regno Unito avrà definitivamente lasciato l’unione doganale.

I beni classificati come “archeologici” (datati oltre i 250 anni) necessiteranno di un’apposita licenza emanata dallo Stato di esportazione. Sarà, altresì, necessario un documento che attesti la legalità dell’esportazione del Paese di origine. I beni datati oltre i 200 anni necessiteranno, invece, solo di una dichiarazione da parte dell’importatore. Un dipinto risalente al XX secolo, di valore pari ad un milione di sterline, potrà, perciò, essere importato senza tale dichiarazione ma, paradossalmente, per una lampada antica del valore di cinquanta sterline potrebbe necessitare una licenza.

La Gran Bretagna attualmente emana in modo meno problematico le licenze necessarie all’esportazione di beni culturali (e queste sono e saranno accettate dall’Unione Europea) e si può pertanto sostenere che l’esportazione dalla Gran Bretagna sarà più semplice rispetto a quella dagli Stati Europei che emanano licenze di esportazione con maggiore difficoltà. Provare la legalità delle esportazioni potrebbe rimanere problematico sino a quando la Commissione Europea non avrà pubblicato specifiche linee guida a riguardo. La Gran Bretagna potrebbe scegliere di non replicare con un nuovo sistema di norme post Brexit e ciò si rifletterebbe sulle opportunità del mercato dell’arte, in particolare per quanto riguarda le fiere d’arte, principalmente in ragione del fatto che sarà molto più complesso importare temporaneamente antichità nell’Unione Europea rispetto al Regno Unito.

 Simone Morabito

Studio Legale Tributario Morabito
www.studiomorabito.eu
www.artlawyers.legal 

Al via le iniziative degli Amici di Villa della Regina

Con l’inizio del nuovo anno, riprendono le attività dell’associazione culturale

Il primo appuntamento è la  serata di presentazione del calendario delle iniziative del 2020, calendario che si presenta particolarmente ricco di nuove proposte. Quest’anno il Direttivo ha deciso di dedicare più spazio all’organizzazione di iniziative indirizzate ai soci e agli amici che da tempo sostengono l’attività dell’Associazione.

“Il magico potere della comunicazione olfattiva”

giovedì 6 febbraio ore 18.30
Fondazione Paideia Onlus – via Moncalvo 1 Torino.

Patrizia Balbo, consulente di marketing olfattivo e studiosa di simbologia e astrologia, propone un viaggio nel tempo e nella storia, attraverso l’evoluzione dell’Arte del profumo e del Linguaggio dello Zodiaco.

COME PARTECIPARE

La serata, con aperitivo in chiusura, è aperta ad accompagnatori ed amici e l’offerta minima è di 10 euro per i soci e 12 euro per i non soci che potete versare anticipatamente con bonifico bancario sul c/c dell’Associazione o pagare in loco. In ogni caso, la prenotazione dei posti va fatta entro lunedì 3 febbraio, scrivendo alla casella mail infoamicivilladellaregina@gmail.com

Questo primo incontro sarà anche l’occasione di rinnovare la quota di adesione 2020 per chi non avesse già provveduto oppure di associarsi per la prima volta all’associazione.
Anche per il 2020 la quota è rimasta invariata a 100 euro che diventano 85 se ci si iscrive in coppia (1 socio deve essere nuovo).

Riprendono anche gli incontri con lo storico dell’arte Luca Avataneo, che sarà presente all’evento del 6 febbraio e illustrerà il programma di visite organizzato per l’associazione.

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Mariateresa Buttigliengo,  presidente dell’associazione, nella foto di Daniela Foresto pubblicata da  ScattoTorino

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La Russia che incanta nei dipinti della Pinacoteca Albertina

E’ aperta al pubblico da oggi la mostra “Incanti russi”,  alla Pinacoteca Albertina di Torino

L’esposizione, curata da Salvo Bitonti, si propone di restituire uno sguardo ‘cinematografico’ su una terra, una cultura e  un popolo che hanno influenzato l’immaginario artistico europeo fin da prima della rivoluzione d’Ottobre.

In mostra  ventidue dipinti perlopiù di grandi dimensioni realizzati da studenti come tesi di diploma o durante i diversi anni di corso di studio all’Accademia Glazunov, nel periodo dal 1999 al 2019.

 

(Foto Carole Allamandi)

Risplende di armi orientali l’Armeria Reale di Torino

Ventisette pezzi originali tra spade, sciabole, coltelli, pugnali, lance e moschetti provenienti da un’area geografica molto ampia compresa tra il Medio Oriente e il sud-est asiatico si aggiungono alla già vastissima collezione dell’Armeria Reale che conserva una delle più ricche collezioni di armi e armature antiche del mondo

Sono pezzi eccezionali, mai esposti prima, custoditi da decenni nei depositi dell’Armeria e finalmente ora venuti alla luce e presentati al pubblico in un allestimento permanente in una delle storiche vetrine della Rotonda di fianco alla Galleria del Beaumont.

Gli oggetti, di grande qualità e bellezza, appartengono a un nucleo di 500 esemplari e le origini della raccolta risalgono al 1839, anno in cui l’Accademia delle Scienze di Torino donò una quarantina di oggetti che l’esploratore piemontese Carlo Vidua aveva raccolto nei Paesi dell’estremo oriente. A questi si aggiunsero in seguito i doni diplomatici offerti a re Carlo Alberto e ai suoi successori. La collezione esposta nella nuova vetrina della Rotonda comprende armi di vario tipo. Troviamo una spada da cerimonia del Cinquecento donata a re Vittorio Emanuele III da una missione diplomatica dello Yemen, la sciabola regalata dal sovrano del Siam a re Umberto I, la cui impugnatura termina con un Naga a tre teste, il mitico serpente che custodiva i tesori del regno e poi c’è la splendida “kilic”, la sciabola che riporta sulla lama iscrizioni in caratteri arabi che esaltano la figura del profeta Maometto e sul fodero il nome di Solimano il Magnifico, sultano dell’Impero ottomano dal 1520 al 1566.

Lance giavanesi decorate con il caratteristico disegno del “pamor” che appare in seguito al trattamento della superficie dell’acciaio, altre sciabole e pugnali di manifattura ottomana e persiana, moschetti e archibugi di acciaio rivestiti in argento parzialmente dorato, di lavorazione arabo-indiana, completano l’esposizione. In molti casi le lame sono in damasco wootz, un acciaio particolare prodotto dal IV secolo nell’India del nord e in Persia mentre le decorazioni sono spesso realizzate a “koftgari”, un tipo di damaschinatura di origine indiana con cui si applicavano all’acciaio metalli preziosi come l’oro e l’argento. L’Armeria Reale di Torino, fondata da Carlo Alberto nel 1837, conserva numerosi tipi di armature, armi bianche e da fuoco, dalle armi archeologiche a quelle medievali e cinquecentesche, una raccolta di armature e armi dei Savoia, cimeli napoleonici, armi orientali e una collezione di bandiere.

Suggestivo e piacevole il percorso per raggiungere l’Armeria reale: si entra a Palazzo Reale, si sale al primo piano e si attraversano gli appartamenti reali fino a raggiungere la Galleria del Beaumont con cavalieri armati e vetrine stipate di armi. L’orario di visita dell’Armeria Reale: da martedì a domenica ore 9-19, lunedì ore 10-19, la biglietteria è all’ingresso di Palazzo Reale.

Filippo Re

Incontri illuminanti con l’arte contemporanea

Porte aperte alla GAM di Torino e incontro con Luca Pannoli a conclusione del progetto inserito in “Luci d’Artista”

Sabato 18 e domenica 19 gennaio

Saranno due giornate di grande festa all’insegna dell’arte contemporanea, nelle sue varie espressioni e nella sua potenzialità di parlare e suggerire creatività e forza inventiva ai ragazzi e ai giovani, quelle organizzate sabato e domenica, 18 e 19 gennaio prossimi, presso il Dipartimento Educazione GAM (in via Magenta 31, a Torino), a conclusione del progetto “Segni Segnali Simboli”, seconda edizione di “Incontri illuminanti con l’arte contemporanea – Luci d’Artista” promossa dalla Città di Torino e dalla Circoscrizione V.

Il progetto, ispirato all’opera “L’amore non fa rumore” del visual artist torinese (fondatore dello studio multidisciplinare “ONDESIGN”) Luca Pannoli, quest’anno collocata in piazza Montale per “Luci d’artista”, ha visto coinvolti più di mille bambini e ragazzi tra scuole primarie e secondarie della Città di Torino, che hanno partecipato, tra il mese di ottobre e gennaio, alle proposte del Dipartimento Educazione GAM (con l’attività IN-VESTE), alle Attività Educative e Formative del PAV Parco Arte Vivente (con il progetto GREEN PARADE) e alle attività performative proposte da Stalker Teatro/Officine Caos.

Gli esiti dei laboratori, seguiti dai ragazzi con grande interesse e attiva partecipazione, saranno sono esposti in una specifica mostra allestita negli spazi della GAM in via Magenta.

 

Il programma delle due giornate:


Sabato 18 gennaio 2020 ore 10 – Sala 1 GAM – via Magenta, 31

“INCONTRO ILLUMINANTE” CON LUCA PANNOLI

L’artista, autore dell’opera “L’amore non fa rumore” (incentrata sui “rapporti realtà/finzione, segno/messaggio e identità/memoria quali emblemi della contemporaneità”) e il direttore della GAM, Riccardo Passoni, saranno a disposizione del pubblico in un dialogo aperto ad  impressioni e contributi relativi all’esperienza. Al termine inaugurazione della mostra con la presenza dell’Assessora comunale alla Cultura Francesca Leon e del Presidente della Circoscrizione V Marco Novello. Evento aperto a tutti.

 

Sabato e domenica ore 15 – Area Education GAM – Via Magenta, 31

“PERFORMANCE GREEN PARADE. Segni, Segnali e Simboli della natura senza voce”

A cura delle AEF/PAV Parco d’Arte Vivente

Sabato e domenica dalle 10 alle 18 – Area Education GAM – Via Magenta, 31

“MOSTRA ILLUMINANTE \ DIP.ED. GAM, AEF/PAV E STALKER TEATRO”

Per condividere i risultati positivi del percorso di avvicinamento all’Arte Contemporanea, le famiglie dei ragazzi e bambini che hanno partecipato alle attività sono invitate alla GAM, secondo un calendario concordato, con ingresso gratuito al museo. In programma, una grande festa che prevede un percorso alla scoperta di alcune opere della Collezione Permanente individuate durante il progetto, e l’esposizione degli elaborati prodotti dagli studenti durante gli incontri alla GAM, al PAV – Parco Arte Vivente e alle Officine CAOS con StalkerTeatro.

 

Info GAM-Galleria civica d’Arte Moderna e Contemporanea, via Magenta 31, Torino; tel. 011/4429630 o www.gamtorino.it / infogamdidattica@fondazionetorinomusei.it

 

g.m.

 

Nelle foto
– Festa illuminante in piazza Montale
– Alcuni gruppi di ragazzi partecipanti al progetto

Donne (in nero), L'Iverny: il tardogotico in Galleria sabauda

Donne (in nero) a Torino è una rubrica di pittura in dieci uscite del torinese.it ed è anche una manifestazione pacifista che si svolge in centro a Torino ogni ultimo venerdì di ogni mese

Donne (in nero) esce su iltorinese.it ogni martedì e potete leggerla quando volete, mentre avete occasione di incontrare il presidio cittadino del movimento nato in Israele nel 1988 solo una volta al mese, passando da via Garibaldi tra le ore 18 e le 19; le Donne In Nero manifestano contro la guerra, chiedono che il ruolo tradizionalmente attribuito alla donna nei confronti dei conflitti sia ripensato e, tra le molte discussioni a cui fanno riferimento, augurano che nessuna guerra sia mai dimenticata perché le prospettive di pace non vengano perse. Nero come l’inchiostro, il manto della madonna di Iverny attira lo sguardo dello spettatore, riassumendo su di sé la composizione tripartita e a due registri. Iverny lo dipinge sulle spalle, sulla testa e scivola sulle gambe, oltre ai piedi; apre sul fondo, sul lato destro e sul petto della donna per mostrare prima il risvolto verde, colore della femminilità e poi la veste, come si è visto anche in altre uscite, di uno dei colori tipici della madonna: l’arancione. Questa volta siamo di fronte a una “Madonna lactans”, in altre parole una madonna che sta allattando al seno il bambin Gesù. A ben guardare, dopo il primo avvicinamento al centro del trittico superiore, scopriamo che il mantello non è in realtà nero come è parso alla prima occhiata, ma piuttosto ha un ordito aranciato; potremmo immaginare che il pittore avignonese abbia voluto riprodurre un tessuto di pregiato velluto e che l’ombra arancione appaia nel lisciare distrattamente la stoffa. La madonna assisa su un trono sormontato da angeli, regge per le gambe il bambino lattante; il piccolo stringe il seno destro della madre portandolo alla bocca. Per associazione di idee legata alle dimensioni ridotte del seno della donna potemmo aspettarci di vedere Sant’Agata, la santa ritratta con i seni su di un piatto, invece la madonna in questo caso è accompagnata alla sua sinistra da santa Lucia, patrona della vista che infatti porta due occhi in una bacinella. A sinistra della composizione poi vediamo santo Stefano; nella biografia del santo si legge di un linciaggio e in effetti è dipinto con un sasso sul capo, si tratta probabilmente di uno dei sassi che lo colpirono, perché la testa è insaguinata. Come detto più sopra, si parla di un trittico con due registri; il registro superiore è molto più grande dell’inferiore che tuttavia è di grande interesse per il fatto che nella parte centrale mostra l’uscita dal sepolcro, ovvero la resurrezione di Cristo. L’opera di Iverny appartiene al tardo gotico, per la precisione è all’incirca del 1425 ed è realizzata in tempera e oro cosa che la collega all’altro trittico, lo Spanzotti, trattato nell’uscita precedente. Le opere menzionate si trovano in galleria Sabauda ai Musei Realidi Torino. Ci stiamo avvicinando alla fine di questa serie di quadri accomunati da madonne con veste nera, abbiamo visto opere in un arco temporale che va dal XIII secolo al XV toccando il XVI. Nella prossima e ultima uscita vedremo la bellissima Madonna con bambino di un pittore originario di Zara, lo Shiavone, conservata ancora una volta ai Musei Reali e ancora una volta ammantata di nero. Resta connesso!

Ellie 

 

Da Giovenone a Benson: le donne (in nero) di Torino

La serie donne (in nero) continua con un’altra Madonna con manto nero, inoltre ancora una volta, come per la precedente edizione, parliamo di Gerolamo Giovenone, pittore piemontese nato a Vercelli nel 1490; infine una riflessione sull’iconografia della Madonna con un accenno a Ambrosius Benson.

La “Madonna con bambino tra i santi Abbondio e Domenico, la committente Ludovica Buronzo e i suoi figli” è il lungo titolo del quadro di Gerolamo Giovenone conservato ai Musei Reali di Torino, datato 1514 e proveniente dalla città natale del pittore piemontese, Vercelli. La tempera su tavola è di dimensioni tutt’altro che modeste, misura infatti un lato di più di un metro e mezzo e in altezza supera abbondantemente i due metri; la stazza è tipica delle tavole realizzate per ambienti ampi, infatti in origine il quadro era esposto presso la chiesa di San Paolo, per la precisione nella cappella della famiglia Buronzo dedicata a Sant’Abbondio a Vercelli.

Vediamo che, anche questa volta come per la precedente quinta uscita, si tratta di una Madonna in trono, infatti si notano la seduta rialzata e il baldacchino. La Madonna, il bambino e gli altri personaggi si trovano in una struttura architettonica -una “volta” composta da archi-  che affaccia su sfondo aperto. Il paesaggio montano in lontananza è uno dei tratti essenziali della bellissima opera del 1514, già segnata dal tratto raffaellesco, ricercato dal Giovenone proprio in quegli anni. Nel 1514 Gerolamo Giovenone si è già autonomizzato dal suo primo maestro, Defendente Ferrari, per avvicinarsi a Gaudenzio Ferrari -altro piemontese di cui abbiamo avuto occasione di parlare nelle precedenti uscite- che a partire dalla prima decade del 1500, seppur in una fase iniziale della sua carriera, è considerato magister per il fatto di aver compiuto il viaggio in centro Italia in cui ha consolidato la sua formazione. Molto probabilmente è proprio da Gaudenzio che Gerolamo impara i tratti raffaelleschi, riconoscibili nell’espressione serena e nel collo allungato. Il collo e più in generale gli arti allungati, sono un segno tipico della pittura marchigiana e toscana a cavallo tra il XV e il XVI secolo, non è quindi insolito ascrivere le caratteristiche dei pittori piemontesi alle scuole dei colleghi centro-italiani, considerando i viaggi di formazione che rendono possibile la mescolanza degli accorgimenti stilistici e la diffusione delle mode (o correnti) pittoriche.     

La serie donne (in nero) collega la manifestazione Donne In Nero, presente in centro a Torino ogni ultimo venerdì del mese dalle ore 18 alle 19, a diverse opere pittoriche femminili con una caratteristica comune: il manto nero. Tradizionalmente quando immaginiamo Santa Maria, pensiamo alla Madonna con il manto celeste, infatti il colore azzurro della veste di Maria è scelto per i presepi ed è il colore che le si associa più comunemente. Per esempio anche il fiore primaverile che nasce spontaneamente nei giardini, chiamato “occhi di madonna” conosciuto anche come “non ti scordar di me” è di colore azzurro, non è insolito dunque che il colore blu (o blu chiaro) sia quello che ricordiamo per primo pensando a Maria di Nazareth. Tuttavia nella storia della pittura vediamo, a dispetto di quanto si è detto, che molto spesso Maria è vestita di rosso, colore simbolo della passione di Cristo e che può dunque essere letto -nell’economia del quadro- come preannuncio del dolore per il figlio. Il mantello nero non è insolito, come vediamo in questa serie e, bontà dei pittori, il tessuto del drappo spesso ha un colore acceso nel risvolto o nella fodera. Talvolta come ad esempio nella Madonna col bambino incoronata da due angeli di Ambrosius Benson, datata intorno al 1527, olio su tavola conservato a Palazzo Madama a Torino, il vestito è nero e il manto è rosso. Elettra-ellie-Nicodemi

https://www.museireali.beniculturali.it/opere/madonna-trono-col-bambino-fra-santi-la-committente-suoi-figli/

La Madonna (in nero) del Giovenone

La donna (in nero) protagonista di questa quinta uscita è dipinta da Gerolamo Giovenone e ancora una volta si trova ai Musei Reali di Torino presso la Galleria Sabauda. Prima di vedere brevemente la rossa Madonna in trono con il Bambino tra San Giulio D’Orta e San Giuseppe del Giovenone, seguitemi nel “recap” delle precedenti uscite.

Abbiamo iniziato con la Duccio di Buoninsegna, detta anche Madonna di Torino, il quadro è il più antico dipinto del pittore originario di Siena, Duccio di Buoninsegna. Risale al 1280-1283 e ha un’indole bizantina che non è insolita per il periodo in cui è stata realizzata, ma che è assolutamente affascinante perché la collega alle opere di un altro caposaldo del XIII secolo, il geniale, imprescindibile Cimabue, pittore di cui il notissimo biografo Giorgio Vasari scrisse nelle sue Vite, Fu il primo a scostarsi dalla goffa e ordinaria maniera greca, ritrovando il principio del disegno verosimile alla latina. In effetti Cimabue -e attraverso di lui Duccio di Buoninsegna-, intuisce il moto di cambiamento interno alla pittura bizantina, facente capo al forte desiderio di movimento. La pittura bizantina tradizionalmente ieratica e clamorosamente silenziosa, in Europa coltiva la tendenza alla resa dei volumi, come risultato del bisogno latente di comunicazione con l’osservatore. L’intuizione del Cimabue (1240-1302) è così forte da rendergli il merito di aver avviato la rinascenza della pittura italiana. I soggetti carichi di sentimento sono a qualche generazione di distanza nel solco dell’intuizione del senese; Dante lo cita nella Seconda Cantica come colui di cui si conserva il grido. Nella Duccio di Buoninsegna dunque notiamo tutte le caratteristiche che possono mostrare i passaggi tra gli stili, osservando due cose, prima di tutto, le linee spezzate, da cui si intuisce l’attenzione al volume del corpo, perciò al suo prendere spazio; poi, in secondo luogo, vediamo la Madonna tacere tra due momenti quello del dialogo con l’osservatore e quello ludico con il bambino. Quindi qui la comunicazione già esiste, con il volume al minimo, sospesa nel momento dell’ultimo sguardo e attaccata alla forza del gioco. Dopo è uscita la Madonna delle Ciliegie, del maestro dell’agosto di Palazzo Schifanoia. Ancora una volta abbiamo avuto occasione di parlare del movimento contro la guerra Donne in Nero; si è parlato del presidio portato avanti dalla Casa delle Donne di Torino in centro città all’angolo tra via Garibaldi e via XX Settembre ogni ultimo venerdì di ogni mese. La Madonna delle Ciliegie è dipinta con un mantello di colore nero e lucido come il velluto e ha pendenti sul capo due rami di ciliegio simbolo della passione di Cristo e per i quali si è ricordato l’episodio della battaglia di Keraso, vinta dai Romani. Poi con la terza uscita abbiamo visto il Polittico di Sant’Anna dell’amatissimo Gaudenzio Ferrari di cui si è detto, quattro tavole sono ai Reali di Torino e due alla National Gallery di Londra. Polittico che potrebbe essere oggetto di dialogo tra i lettori che vogliano interrogarsi su quale sia la parte preferita tra le quattro analizzate. In altre parole, vi sentite più vicini al tenero congiungersi della Madonna con il Bambino sulle ginocchia di Sant’Anna (scena centrale), all’abbraccio carico di salvezza (sulla sinistra), alla fuga di Gioacchino dal tempio (a destra) oppure, in ultimo, al pensoso e onnisciente Salvator Mundi (sopra)? Il pezzo della scorsa settimana, ossia la quarta uscita dedicata alla Madonna con il Bambino e sei Santi di Andrea Mantegna, ha dato occasione di ricordare di un certo modo di dipingere tipico del XV/XVI secolo quello che accosta i ritratti di figure viventi e figure sovrannaturali. La Madonna con Bambino e sei Santi è un quadro datato circa 1485 e conservato ai Musei Reali di Torino. Non è raro per Andrea Mantegna scegliere di dipingere Santa Maria in nero, ad esempio anche la Madonna con coro di angeli, conservata a Milano presso la pinacoteca di Brera, una tempera grassa su tavola attribuita sino al tardo XIX secolo al Bellini, ha indosso un mantello nero che le cinge il grembo, il capo e le spalle. Santa Maria e il Bambino della Brera di Milano si stagliano sullo stesso cielo azzurro della Madonna con sei Santi dei Reali di Torino, ma in questo caso i due sono circondati da angeli distinti in Cherubini e Serafini a seconda del colore delle ali; grande assente il San Giovannino, da sempre compagnia preferita di Cristo Bambino. Eccoci dunque a parlare della Madonna del Giovenone, accomunata alle altre per alcuni motivi e unica per certi aspetti. Per i caratteri di somiglianza vediamo prima di tutto il fatto che si tratta di una Madonna in trono -cosa che la rende più simile alla Duccio di Buoninsegna-, poi la Giovenone ha il mantello di un nero lucido come il velluto -e perciò ricorda la Madonna delle Ciliegie-, considerando la datazione invece, vediamo la data del 1533 cosa tra tutte quelle fin qui nominate che la rende la più vicina al polittico gaudenziano datato al 1508, in ultimo anche la Madonna del Giovenone inscena figure sovrannaturali proprio come nella Madonna con Bambino e sei Santi di Andrea Mantegna. Per quanto riguarda il resto, infine, la Madonna in nero di Gerolamo Giovenone tra i santi Giulio D’Orta e Giuseppe ha dei capelli di cui il colore porta eccezione rispetto a tutte le altre.

Ellie

https://www.museireali.beniculturali.it/opere/madonna-trono-bambino-fra-santi-giulio-dorta-giuseppe/


 

Mantegna, Madonna con bambino e sei santi: un’anima bronzea per le donne (in nero) a Torino

Per questa uscita di donne (in nero), mi sono recata di persona ai Musei Reali di Torino per vedere esposta al primo piano della Galleria Sabauda la Madonna con bambino e sei santi di Andrea Mantegna (1431-1506) di cui parliamo oggi

Trovarsi davanti al quadro del pittore veneto Andrea Mantegna è stata una grande emozione; mi era già capitato di vederlo dal vivo e anche quella volta come per la Madonna con bambino ai Musei Reali, ho provato lo stesso sentimento di gioia. Il Mantegna fa l’effetto di collegare direttamente a qualcosa di remoto, alla sensazione intorno a un bel ricordo legato a molto tempo fa, qualcosa di cui ne rimane solo l’essenza. Precedentemente abbiamo trattato di alcune opere che fanno parte della Collezione Gualini e quelle al momento non sono visibili, perché sono comprese nell’allestimento della mostra in apertura nel trimestre estivo dei Musei Reali, quindi bisognerà attendere il mese di giugno per poterle vedere di nuovo. La Madonna con il bambino e sei santi ha un mantello nero, cosa che la colloca a pieno titolo tra gli articoli di donne (in nero), serie che prende spunto per parlare delle donne della Storia Dell’Arte da Donne in Nero, l’omonimo movimento contro la guerra di origine israelita, supportato dalla Casa delle Donne di Torino con un presidio che si svolge in centro -nei pressi dell’incrocio tra via Garibaldi e via XX Settembre- ogni ultimo venerdì del mese dalle 18 alle 19. Donne in Nero manifesta in nero e in silenzio, usando uno striscione, dei volantini e poco altro oltre alla forza della presenza delle donne che chiedono che nessuna guerra sia dimenticata nella frenesia quotidiana, perché le prospettive di pace si mantengano e perché credono che il ruolo della donna nei confronti dei conflitti, tradizionalmente remissivo, debba essere rivalutato. L’opera del Mantegna è datata al 1485 circa e presenta una particolarità tipica dei secoli XV e XVI, per la quale vi chiedo di soffermarvi sull’opera e guardare bene tutte le figure dipinte. I lettori di donne (in nero) notano un certo distacco tra le persone che popolano il quadro, insomma i sei santi -di cui si riconosce Santa Caterina d’Alessandria sulla destra della tavola-, non sembrano e in effetti non sono in relazione tra di loro. In maniera cruda, sono alieni sia alla Madonna che al bambino e al San Giovannino. La spiegazione è banalmente legata al fatto che i cinque Santi rappresentati intorno ai tre al centro del quadro sono spiriti, in altre parole i santi sono apparizioni visibili che proteggono la Madonna, Cristo e San Giovanni Battista bambino. Insomma non si tratterebbe di un vero e proprio incontro tra Maria e i Santi che Andrea Mantegna ha ritratto, ma piuttosto di un’opera che riunisce insieme, prima nella mente poi nella pittura, figure neotestamentarie. Il Mantegna è in effetti uno dei più grandi del XV secolo e così lui riesce nel creare una circolarità, un movimento nel quadro, insomma a tratti potrebbe sembrare che Maria stessa sia per così dire assente, che essa sia spirito, che sia lì come entità sovrannaturale a proteggere la persona che ha accanto. Così via uno dopo l’altro si animano di carne e ossa per lasciare spazio al successivo; solo il bambin Gesù prende l’aspetto di essere vivo e il san Giovannino -con la sua schiettezza di bambino- porge un paragone all’altro infante mostrandone l’aria di sapienza, cosa che sottolinea la caratteristica divina del piccolo sul petto della donna, Santa Maria. Recandovi a vedere di persona il quadro del Mantegna vedrete che il nero del mantello portato da Maria sulla testa e sulle spalle ha, per così dire, un’anima bronzea, sembrerebbe che -oltre il nero- si trovi l’altro colore -il bruno dorato- che è il colore del risvolto. Nella prossima uscita di donne (in nero) vediamo un’altra donna in nero torinese e alcune curiosità, resta Connesso!

Elettra -ellie- Nicodemi 

 https://www.museireali.beniculturali.it/opere/madonna-bambino-santi/

Donne (in nero) a Torino, un polittico a più cornici

A Torino passando per via Garibaldi, poco prima di arrivare all’incrocio con via XX Settembre, si può vedere un presidio tutto al femminile, fatto di un ampio striscione, volantini e della forza delle sostenitrici che fanno parte delle Casa delle Donne di Torino e che partecipano con la loro manifestazione al movimento delle Donne in Nero ogni ultimo venerdì del mese dalle ore 18 alle 19

Donne in Nero il movimento a cui la Casa delle Donne di Torino afferisce, è nato in Israele nel 1988 e da allora in varie parti del mondo manifesta principalmente contro la guerra e contro il ruolo tradizionalmente attribuito alla donna nei confronti dei conflitti, un ruolo di passività e remissività. Donne in Nero si impegna affinché sia le condizioni di pace sia le prospettive che la pace porta con sé non siano dimenticate e inoltre chiede che nessuna guerra sia messa a tacere. donne (in nero) è anche una serie che collega le donne in nero che rispondano a due caratteristiche: facciano parte della storia dell’arte e siano legate alla città di Torino. Per la terza uscita della serie donne (in nero) come di solito vediamo qualcosa di pittorico, ossia il Polittico di Sant’Anna di Gaudenzio Ferrari (1475/1480-1546), in parte conservato ai Musei Reali. L’opera esposta nella Galleria Sabauda è composta da quattro parti, di cui tre una in fila all’altra e la quarta sopra. La scena centrale ritrae Sant’Anna, la madre di Maria, che regge sulle gambe il bambin Gesù mentre Maria è accanto. Ed è proprio da lì che partiamo, dallo spazio che separa la madre e il bambino. Maria ha un vestito rosso e, ancora una volta, indossa un mantello nero, portato su una spalla sola a ricordo della sua purezza. Il cedere e il sostenere di Sant’Anna è un gesto antico che Gaudenzio Ferrari sapientemente ci mostra, così come ci mostra l’abbraccio che dà sollievo nella parte di destra e la fuga, a sinistra, mentre il Salvator Mundi sovrasta- nella realtà fisica del polittico così come nella simbologia- le azioni e le scelte umane. Ma scegliamo la scena centrale come la più significativa per il polittico perché la tensione dell’avvicinamento è così evidente -nel mentre in cui Santa Maria si congiunge al piccolo- che sembra di sentire il contatto delle mani e lo sfiorarsi delle teste.  Nella precedente uscita della serie donne (in nero) abbiamo detto qualcosa sul polittico, è stato anticipato come un’opera plurale e fin qui abbiamo visto il perché, le scene che si svolgono sotto la paziente attesa, potremmo dire sotto l’Eternità del Salvator Mundi sono molteplici, ritraggono Gioacchino Cacciato dal Tempio e l’incontro tra Gioacchino e Sant’Anna presso la Porta Aurea, ma abbiamo anche detto di una musicalità che il polittico porta con sé, cioè la melodia suggerita dai due angeli musicanti alle spalle delle due sante. La scena centrale è la più significativa per riconoscere all’italiano Gaudenzio Ferrari una delle sue più belle caratteristiche, quella del riempimento, dello scorcio, della prospettiva; come non soffermare lo sguardo sull’orizzonte del quadro per riconoscervi il blu oltremare che nelle giornate buone si vede nell’aldilà degli alberi di un remoto bosco alpino, lo stesso tratteggiato nella seconda tavola Gioacchino che abbraccia Sant’Anna alle spalle di Gioacchino, come per raccontarci qualcosa del suo passato; lo stesso che si intravede in un punto insignificante sui tetti, là sulla casa oltre l’arco, alla fine dello scorcio prima che sia di nuovo cielo, nella scena di Gioacchino cacciato dal tempio, lo stesso blu da cui il Salvator Mundi sembra emergere rasserenandosi.  Gaudenzio Ferrari -di cui parleremo ancora per la serie donne (in nero)- è stato un pittore molto prolifico, per questo le sue opere sono catalogate su base decennale. Il Polittico di Sant’Anna è del 1508, si trova dunque, per chiunque volesse approfondire, tra le opere del primo decennio del XVI secolo, periodo in cui seppur in una fase iniziale della sua carriera, è già considerato magister e lavora su commissione. Il polittico, realizzato per la chiesa di Vercelli, conta altri due pezzi oltre a quelli dei Musei Reali di Torino, le due tavole sono alla National Gallery di Londra, raccontano dell’annunciazione dell’arcangelo Gabriele e di Santa Maria vergine. 

Elettra -ellie- Nicodemi

 
 
https://www.museireali.beniculturali.it/opere/polittico-di-santanna/