Nel mese di febbraio, a grande richiesta si moltiplicano le proposte per il tempo libero delle famiglie a cura del Dipartimento Educazione Castello di Rivoli.
Il Weekend’Arte del 19 e 20 febbraio prende spunto dalla mostra dedicata a Otobong Nkanga – a cura di Carolyn Christov-Bakargiev e Marcella Beccaria – che si snoda attraverso le cinque grandi sale del terzo piano del Castello e affronta temi di attualità legati alla crisi ecologica, allo sfruttamento delle risorse e alla sostenibilità ambientale a livello planetario. Nel workshop per le famiglie andremo a realizzare elementi di varie forme e colori ispirati al mondo minerale e non solo, fino a comporre inediti paesaggi mutevoli e fluidi per ricordare che, come affermava il poeta John Donne già nel XVI secolo, Nessun uomo è un’isola, completo in sé stesso: ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto.
A questi appuntamenti si aggiungerà inoltre lo Speciale Carnevale al Museo, in occasione del Giovedì grasso, con le attività pomeridiane giovedì 24 e venerdì 25, più un’edizione straordinaria del Weekend’Arte sabato 26 e domenica 27 febbraio. Una formula che negli anni è stata molto amata dal pubblico, confermando come il Castello di Rivoli sia tra i musei kids and family friendly più apprezzati. Per l’occasione è stata riprogettata in modo da accogliere piccoli gruppi, in linea con le disposizioni di sicurezza anti-Covid 19 e in un ambiente controllato.
Weekend’Arte Paesaggi fluidi Sabato 19 e domenica 20 febbraio ore 11 e 16
Speciale Carnevale al Museo Giovedì 24 e venerdì 25 febbraio ore 17, Sabato 26 e domenica 27 febbraio ore 11 e 16
TARIFFE
Biglietto a tariffa speciale per adulti e bambini 4,50 Euro.
Gratuito per i possessori di Abbonamento Musei e Passaporto Culturale, per i cittadini Rivolesi il terzo sabato del mese.
PRENOTAZIONI
Dipartimento Educazione Castello di Rivoli Tel. 011.9565213 Fax 011.9565232
educa@castellodirivoli.org www.castellodirivoli.org/dipartimento-educazione
Fanpage facebook Dipartimento Educazione Castello di Rivoli twitter @EdRivoli Instagram @artenautecastellorivoli
Moroz nasce in Ucraina, a Dneprodzerzinsk, nel 1937, passa attraverso gli insegnamenti della scuola d’arte della città d’origine e quelli della scuola di belle arte di Kiev, per portare a termine il ciclo di studi dell’Accademia di San Pietroburgo (dove morirà nel 2015) all’inizio degli anni Sessanta. L’attività espositiva inizia un decennio più tardi e s’intensifica a partire dal 1980 con numerose mostre anche all’estero (passò anche a Torino, in queste stesse sale instaurò non solo un rapporto tra gallerista e artista ma una vera occasione d’amicizia), con varie personali di spiccato successo. Nel 2002 espone alla mostra per i 70 anni dell’Unione dei Pittori di San Pietroburgo e l’anno successivo è presente alla rassegna per celebrare i trecento anni della fondazione della città. Lontano dai soggetti “alti”, dagli schemi celebrativi di regime che al contrario occupano le opere di altri artisti suoi contemporanei, Moroz si affida alla natura che lo circonda, ne cattura tutta la poesia, continua, quotidiana, attraverso un colorismo estremamente squillante, acceso e reso ancor più “presente”, tangibile, dalle pennellate che depone – ti verrebbe da dire, per alcuni casi, quasi con ostinazione e rabbia – sulla tela. Sono grumi biancastri o gialli o violacei, prepotenti, aree massicce, stesi a volte direttamente dal tubetto, a riempire la tela. Si imbatte felicemente e rende con una verità davvero concreta, immerso in un favolistico en plein air, i pini ancora circondati dalla coltre bianca (“La gazza ladra” del 2007 e la staccionata e il covone ricoperti di “Appena nevicato” del 2004) e le apparizioni di piccoli laghi ghiacciati, come ricostruisce le tante suggestioni personali che gli suggeriscono una panca di legno più o meno nascosta tra gli alti girasoli, a ridosso di una finestra della casa (“Pioggia con il sole”, 2003), o le vaste distese di glicini (“Viola vellutato”, 2005), forse i suoi fiori preferiti che dipinge con più gioia, o i piccoli vasi di fiori poggiati su un tavolo, all’aperto, sotto la luce di un sole che preannuncia la primavera.
Scrittura e arte. Cinema. Impegno politico e sociale. Su questi temi si incentrano gli incontri organizzati dallo scorso dicembre dalla torinese “Fondazione Giorgio Amendola”, in concerto con l’“Associazione Lucana in Piemonte” e in collaborazione con il “Centro Studi Piero Gobetti”, in occasione e a ricordo dei 120 anni dalla nascita di Carlo Levi (Torino, 1902 – Roma, 1975). A corollario e in contemporanea alla suggestiva mostra dedicata (fino al prossimo 4 marzo) sempre negli spazi della Fondazione di via Tollegno, a “I volti del ‘900 nei ritratti di Carlo Levi”, gli incontri – tesi a dare il giusto peso e valore nel panorama culturale del secolo scorso alla figura di uno scrittore, pittore, fervente antifascista e lucido uomo politico, iconizzato al Sud e troppo spesso trascurato al Nord e nel suo Piemonte – riprenderanno il prossimo giovedì 17 febbraioper concludersi venerdì 4 marzo. Su “Carlo Levi e il cinema” tratterà ampiamente Elisa Oggero, il prossimo giovedì 17 febbraio (ore 16) mettendo in evidenza il fascino fortemente esercitato dalla “settima arte” su Levi che, fra l’altro, collaborò al restauro di due storici film quali “Patatrac” realizzato nel ‘31 da Gennaro Righelli (fra i primi esempi italiani di cinema sonoro) e “Il grido della terra” (1949) di Duilio Coletti, oltre a produrre insieme a Carlo Mollino i bozzetti preparatori per il “Pietro Micca” di Aldo Vergnano (1938), film perduto di cui restano solo cinque minuti conservati al “Museo Nazionale del Cinema” di Torino. A seguire altri due appuntamenti. Giovedì 24 febbraio (ore 17,30), saranno gli storici Cesare Pianciola e Giovanni De Luna a dialogare su “La formazione di Levi nella Torino di Gobetti e di Gramsci e il suo impegno in Giusizia e Libertà”. A chiudere il percorso, venerdì 4 marzo (ore 17,30), un dibattitto di sicuro interesse sul docufilm del 2019 “Lucus a lucendo. A proposito di Carlo Levi” di Enrico Masi e Alessandra Lancelotti, con interventi di Raffaele Benfante, Stefano Levi della Torre (pittore e nipote di Levi) e Pietro Polito, direttore del “Centro Studi Piero Gobetti”.
Tutti gli incontri sono ad ingresso libero, con obbligo di “green pass”, fino ad esaurimento posti. Saranno anche occasione per visitare la mostra (di cui sopra) “I volti del ‘900 nei ritratti Carlo Levi”: un percorso per immagini (sono una quarantina i dipinti esposti) che raccontano un mondo legato a Levi da forti vincoli ideologici e di comune pensiero ed umana empatia, realizzato con tratti pittorici di assoluta essenzialità e di multiforme forza espressiva. Dal delicato silente “Autoritratto con cappello” del 1928 alla vigorosa tempesta di colori del “Ritratto di Leone Ginzburg con le mani rosse” del 1933.
Inaugurata nell’ottobre del 2021, resta poco meno di una settimana, fino a domenica 13 febbraio, per visitare la mostra “Martin Parr. We Love Sports”, dedicata da “CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia” di via delle Rosine 18 a Torino, al grande fotografo inglese e ai suoi scatti (150 le immagini presenti in mostra) di spietata e divertita e divertente ironia, capaci di cristallizzare immagini del sociale in vere e proprie icone del nostro tempo. Quelle soprattutto dedicate al mondo dello sport. Un mondo visto da spettatore e fotografo assai curioso e originale. Con l’obiettivo attratto in particolare (come nell’esplorazione dell’umana quotidianità) da chi si accalca sulle tribune o a bordo campo, dall’universo della tifoseria più che dal gesto atletico, “capovolgendo così l’immaginario visivo dello sportivo- divo”. Il fotografo come spettatore narrante di spettatori. E come dimenticare allora le sue piccole e grandi folle vocianti a più non posso sugli spalti, i gadget vistosi e goliardici, le parrucche colorate in tinta con le divise della squadra del cuore, i travestimenti grotteschi, gli abiti eleganti e un po’ snob di chi assiste alle corse dei cavalli, così come alle parures kitsch sfoggiate con la naturalezza di una sana incoscienza fino a quella piacevole teoria di cappelli candidi a larghe tese, all’apparenza immobili come statue di gesso, al “Roland Garros” del 2016”? Mostra altamente apprezzata dal pubblico torinese, fors’anche per la concomitanza con le “Nitto ATP Finals”, che da ottobre a novembre scorsi hanno fatto di Torino la capitale internazionale del tennis. Fatto sta, fanno sapere da “CAMERA”, che la grande mostra dell’autunno-inverno 2021-2022 ha, fino ad oggi, conteggiato la presenza di oltre 10mila persone. Alti, benedetti numeri, cui altri se ne aggiungeranno, incrociando le dita, nei prossimi giorni. In una volata di grande euforia, se si pensa che il Centro di via delle Rosine ha già pronto un altro bell’ asso nella manica, di quelli destinati a sbaragliare il tavolo e per davvero a “fare storia”. In un passaparola New York-Torino che porterà a “CAMERA” la grande fotografia nientemeno che del “MoMA” newyorkese. L’appuntamento, su cui – com’è ben comprensibile – è notevole l’attesa, è dal 3 marzo fino al 26 giugno prossimi. Titolo, “Capolavori della fotografia moderna 1900-1940. La collezione Thomas Walther del Museum of Modern Art, New York”, la mostra – curata da Sarah Hermanson Meister e da Quentin Bajac con il coordinamento di Monica Poggi e Carlo Spinelli– verrà presentata per la prima volta in Italia e ciò inorgoglisce la città e ovviamente i responsabili di “CAMERA” che sottolineano: “L’esposizione è una straordinaria selezione di oltre 230 opere fotografiche della prima metà del XX secolo, capolavori assoluti della storia della fotografia realizzati dai grandi maestri dell’obiettivo, le cui immagini appaiono innovative ancora oggi. Come i contemporanei Matisse, Picasso e Duchamp hanno saputo rivoluzionare il linguaggio delle arti plastiche, così gli autori in mostra, ben 121 tra nomi leggendari e sorprendenti scoperte, hanno ridefinito i canoni della fotografia facendole assumere un ruolo centrale nello sviluppo delle avanguardie di inizio secolo”. Accanto ad immagini iconiche di fotografi americani come Alfred Stieglitz, Edward Steichen, Paul Strand, Walker Evans o Edward Weston e europei come Max Burchartz, Karl Blossfeldt, Brassaï, Henri Cartier- Bresson, André Kertész e August Sander, la collezione “Walther” valorizza il ruolo centrale delle donne nella prima fotografia moderna, con opere di Berenice Abbott, Marianne Breslauer, Claude Cahun, Lore Feininger, Florence Henri, Irene Hoffmann, Lotte Jocobi, Lee Miller, Tina Modotti, Germaine Krull, Lucia Moholy, Leni Riefenstahl e molte altre. Inoltre, accanto ai capolavori della fotografia del Bauhaus (László Moholy-Nagy, Iwao Yamawaki), del costruttivismo (El Lissitzky, Aleksandr Rodčenko, Gustav Klutsis) e del surrealismo (Man Ray, Maurice Tabard, Raoul Ubac) troveremo anche le sperimentazioni futuriste di Anton Giulio Bragaglia e le composizioni astratte di Luigi Veronesi, due fra gli italiani presenti in mostra insieme a Wanda Wulz e Tina Modotti.


Iniziato nella primavera del 2021, è ormai in “zona Cesarini” l’anno #Green della Reggia di Venaria. Un anno culturale in cui la Reggia e i suoi Giardini sono stati teatro di numerose e variegate proposte artistiche, espositive, didattiche e laboratoriali a tema: dalle visite guidate tematiche alle attività di fitness nei Giardini; dalla grande mostra sul paesaggio italiano “Una infinita bellezza” (che riunisce oltre 250 opere provenienti da un centinaio di istituzioni museali e collezioni private) al festival di musica, danza e teatro “Metamorfosi”; dalla rassegna floreale “Corollaria” al mercato di prodotti slow food e infine alle conversazioni sul paesaggio di“Changing Landscape”, con numerosi esperti di evoluzione paesaggistica in dialogo fra loro. Restano ancora due settimane del mese di febbraio per l’ultimo atto del “grande spettacolo”. Ultimo atto che vedrà ancora due appuntamenti della rassegna “Changing Landscape” – mercoledì 16 e 23 febbraio – e la presentazione dell’opera “Tempesta” dell’artista torinese Hilario Isola (mercoledì 16 febbraio), che andrà ad arricchire la mostra “Una infinita bellezza”, ospitata nella “Citroniera” juvarriana fino al prossimo 27 febbraio. Dopo l’appuntamento di mercoledì scorso 9 febbraio, con Michele Dalla Palma (fra i più noti fotoreporter italiani) sul tema “Dal caos perfetto della natura alle imperfette certezze del paesaggio umano”, nell’ambito di “Changing Landscape”, mercoledì 16 febbraio (ore 17), Carlo Tosco, docente al Politecnico di Torino, e Federico Larcher presenteranno, insieme al direttore della Reggia di Venaria, Guido Curto, l’opera “Tempesta” di Hilario Isola, mentre mercoledì 23 febbraio, sempre alle 17, si terrà un incontro dal titolo “Rinascita” con Fernando Caruncho (paesaggista e filosofo spagnolo, famoso per i suoi giardini minimalisti e per l’uso di forme leggere ed organiche), introdotto dal giornalista Alessandro Martini e Maurizio Francesconi, docente allo “IED – Istituto Europeo di Design” di Torino. Di grande interesse sarà certamente la presentazione (mercoledì 16 febbraio, come detto) della nuova opera d’arte “Tempesta” realizzata per l’occasione dal torinese (classe ’76) Hilario Isola e che il direttore Curto ha voluto inserire proprio all’inizio dell’ampio percorso espositivo dedicato a “Una infinita bellezza. Il paesaggio in Italia dalla pittura romantica all’arte contemporanea”.