La leggerezza della stoffa, accompagnata da evidenti vibrazioni tonali, è il fil rouge delle opere dell’artista
Inaugura martedì 8 marzo, giorno della festa della donna, la mostra dedicata all’artista Dada c e ospitata presso la galleria d’arte Malinpensa by Telaccia fino al 19 marzo prossimo. Titolo dell’esposizione “La rinascita della stoffa si evolve in vibrazioni tonali”.

L’artista mostra una sintesi di solida rappresentazione e risultati di evidente rilievo, in cui il gusto compositivo si sposa alla simbologia, in una continua ricerca personale che affonda le sue radici in uno scavo interiore capace di comunicare emotività allo spettatore.
L’elemento primario utilizzato da Dada è la stoffa, tra le pieghe della quale vive una spazialità di forte valenza formale, ritmata di atmosfere e di prospettive molto felici.
Nelle sue opere emerge un’esaltazione della materia accompagnata dall’importanza del suo riciclo e da un’essenza spirituale ricca di valori umani. Tra istinto e profonda analisi, le opere di Dada c si avvalgono di una personale espressiva animatada una fine capacità introspettiva, capace di concretizzarsi in una concezione dinamica e in un senso volumetrico di indagine, denso di maestria e di resa assoluta.
Il suo stile, definito da una compositiva libera, è facilmente riconoscibile in quanto la forza vitale tra colore e materia accende il soggetto di notevoli effetti tecnici e di giochi mirabili tra pieni e vuoti. Le sue opere, caratterizzate da una sperimentazione tecnica impegnativa, risultano, infatti, ricche di vitalità, di magnetismo e frutto di un processo creativo interessante che si distingue e vive attraverso il percorso artistico di Dada.
Le sue creazioni sono percorse da una forte vibrazione della materia, che si fonde all’elemento cromatico, in un equilibrato rapporto tra spazio, forma e luce, in cui il soggetto acquista dinamicità. La fantasia e il messaggio simbolico che l’artista vuole trasmettere, il rilevante effetto scenico vivono magistralmente nel loro iter grazie alla forte passione di Dada. La leggerezza della stoffa, che vibra di purezza e di forte energia vitale, si evolve in un impianto cromatico ricco di accordi tonali e di un flusso formale continuo.
Proprio tale leggerezza rappresenta il fil rouge che accomuna le sue opere, in una narrazione in cui lo studio si accompagna all’originalità e lo spirito universale della materia, il forte impatto estetico-emotivo, sono capaci di trasmettere un’impronta tale da rendere unica la sua arte. Dada c dimostra, inoltre, una forte padronanza dei mezzi espressivi e una matura elaborazione artistica.
Mara Martellotta
La mostra è visitabile alla galleria Malinpensa by Telaccia in corso Inghiletrra 51.
Orario 10.30-12.30. Pomeriggio 16-19.
Chiusura lunedì e festivi
Tel 0115628220, 3472257267

Le immagini – in cui si cristallizzano momenti di gioia estrema alternati ad altri, ahinoi più numerosi, che raccontano di dolorose tragedie umane – sono visibili, fino al prossimo 1° maggio, al “Forte di Bard” (principale polo culturale della Valle d’Aosta) all’interno delle sale dell’“Opera Mortai” della fortezza. Dodici le sezioni, per altrettanti temi trattati. Non più solo pandemia, ma tanti fatti nazionali ed internazionali, dalla cronaca alla politica, dallo sport al costume. Anche se sulla pandemia non si poteva certo (e purtroppo) tacere. Ma pandemia raccontata, per il procedere dei fatti ad essa legati, sotto una prospettiva diversa rispetto al 2020; a due anni di distanza dagli esordi del Covid 19, alle foto dei malati nei reparti di terapia intensiva si sono via via sostituite quelle delle file dei cittadini in attesa d’essere vaccinati, delle tante riaperture dei luoghi della cultura, del lavoro e del turismo, accanto a quelle di chi esibisce il “Green Pass” e, per contrasto, alle manifestazioni di piazza dei negazionisti.
militari della “Coalizione Internazionale” aiutano un bambino ad entrare nell’area dell’aeroporto. Ancora una volta, guerra e bambini. La dolorosa, ignobile mortificazione dell’innocenza. Ci sono poi le immagini della politica nazionale: del governo a guida Mario Draghi e dei sindaci delle maggiori città italiane, la cui elezione è stata dimezzata da un astensionismo senza precedenti. A seguire: fra una sezione dedicata al grande caldo che ha caratterizzato l’inizio estate, con temperature vicine ai 50 gradi, e una allo sbarco su Marte del “Rover Perseverance”, ad essere protagoniste sono le vittorie nello sport (iconica la foto scattata dall’argentino Diego Azubel che documenta l’esultanza di Marcel Jacobs dopo la vittoria nei 100 metri a Tokyo) e nella musica.
2021” non poteva non registrare, quello dell’escalation della violenza contro le donne (giovani, anziane, madri di famiglia, studentesse o lavoratrici) che, giorno dopo giorno, va ad aggiornare le drammatiche statistiche sul femminicidio. Nella foto di Tino Romano, la manifestazione a Torino della rete nazionale “Non una di meno” contro le violenze di genere. Mentre già è certo il tema chiave su cui andranno a incentrarsi i primi mesi del 2022: la straziante vicenda dell’Ucraina, chiusa nella morsa (crudele e ancora ad oggi incerta) di una guerra “fratricida” voluta dalla “madre-matrigna” Russia.
Artista, scrittore, poeta, saggista, fra gli esponenti più singolari dell’arte concettuale italiana (collabora con Enrico Castellani e Piero Manzoni alle attività della Galleria “Azimut” aperta nel 1959 a Milano), a Vincenzo Agnetti (Milano, 1926 – 1981) la “GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea” di Torino dedica, negli spazi della “Videoteca”, il quinto appuntamento del ciclo espositivo nato dalla collaborazione con l’“Archivio Storico della Biennale di Venezia” e volto a testimoniare la stagione iniziale del video d’artista italiano fra gli anni Sessanta e Settanta. A cura di Elena Volpato, l’esposizione affronta attraverso poche ma “irrinunciabili” opere, il rapporto assai complesso e complicato dell’artista con il “mestiere del fare arte” nonché un aspetto centrale del suo lavoro: “la sostituzione tra parola e numero – spiega la Volpato – come ultimo grado di analisi critica e azzeramento del linguaggio”. Tema rompicapo che emerge nei suoi lavori a partire dal 1968 con la realizzazione della “Macchina drogata”, una calcolatrice che traduce i numeri digitati in sequenze di lettere che vanno liberamente a combinarsi fra loro senza alcun significato. Del resto, bisogna dire che tutta la sua produzione “manifesta” si è sviluppata in poco di quindici anni, dal 1967 al 1981, sperimentando vari “media”, dalla fotografia al video, dalla performance alle registrazioni vocali via via fino ai testi a stampa. Delle opere precedenti, quelle che Agnetti definiva “pre-artistiche” non s’ha conoscenza; sparite, in quel periodo di “liquidazionismo” o “arte no” (rifiuto di dipingere) che va dal 1962 al 1967 (anno della sua prima personale, “Principia”, al “Palazzo dei Diamanti” a Ferrara) quando l’artista si trasferisce in Argentina per lavorare nel campo dell’automazione elettronica. Dal ’67-‘68 in poi, al ritorno a Milano, la sua ricerca – sulla via dell’azzeramento di ogni strutturato sistema culturale e nella convinzione di un’univoca, similare ambiguità di parole e numeri – si volgerà caparbiamente alla tentata utopica acquisizione di un linguaggio universale. Nell’esposizione di un’opera della serie “Assiomi”, realizzata nel 1969, Agnetti mostra sotto una sequenza di lettere rovesciate ed elevate a diversi valori numerici, una frase incisa, ben chiara: “Quando le parole si elevano a valori di numeri i numeri valgono le parole”. Come dire: l’uno e l’altro codice, lettere e numeri, si trovano in posizione di simmetrico rispecchiamento, visivo e concettuale. “Se sussiste – sottolinea la Volpato – una promessa di intensità, un sentore di dimenticato fondamento, può trovarsi solo nello spazio tra di loro, in quel
nero compatto della bachelite che sembra arretrare nel tempo, come volesse sottrarsi alla funzione di supporto agli instabili segni bianchi. Il nero che occupa il centro e la maggior estensione dell’opera è una delle molteplici forme di quel vuoto attorno al quale si raduna tutta l’intelligenza dell’opera di Agnetti. Un vuoto nato dal voluto collasso di tutti i linguaggi e tuttavia aperto alla ricerca di qualcosa, forse un’eco, un rimbombo sonoro che abbia a che fare con l’interiorità del senso e non con la formulazione di un significato”. Il tema della permutabilità di parole e numeri giunge a compiuta espressione nel 1973, anno di realizzazione del video presentato in mostra, “Documentario N.2”, dove, nell’arco di pochi minuti si assiste al passaggio dalla messa in scena dei più tipici e scolastici codici del linguaggio documentario all’ermetico prodursi della voce dell’artista che pronuncia un discorso fatto unicamente di numeri e diverse intonazioni espressive, mentre le immagini passano dalla ripresa fissa di una sequenza numerica trasformata in pattern visivo allo schermo nero, al buio che è anche interruzione-azzeramento di suoni. Il 1973 è pure l’anno di realizzazione di “Frammento di Tavola di Dario tradotto in tutte le lingue”, dove si trova l’evocazione di un passato remoto presentato con i caratteri della scrittura cuneiforme per confrontarsi con una sequenza numerica, linguaggio del presente tecnologico. “La linea di confine tra l’una e l’altra immagine è uno iato nel tempo che rende ancor più profondo l’evidente tradimento che si nasconde nella promessa di una traduzione universale. L’opera nella sua semplice ieraticità è la rovesciata ‘Stele di Rosetta’ che l’artista ci consegna per scardinare di ogni passato e futuro linguaggio la presunzione illusoria di possedere le chiavi del significato”.