ARTE- Pagina 117

Il Tennis a Corte: a Stupinigi il Ritratto di Francesco Giacinto e Carlo Emanuele II di Savoia

12 – 21 novembre 2021

Per le ATP Finals la Palazzina di Caccia di Stupinigi espone il Ritratto di Francesco Giacinto e Carlo Emanuele II di Savoia con la racchetta in primo piano, uno dei rari casi che documenta l’importanza del gioco nella formazione dei piccoli principi

 

Il gioco della pallacorda (jeu de paume in Francia), antenato del tennis, viene adottato presso le corti europee nei primi passi della formazione dei piccoli principi. L’esercizio corporale è infatti ritenuto fondamentale per la costruzione del valore militare e le attività atletiche, tra cui i giochi con la palla, si affiancano ai tradizionali apprendimenti dell’arte equestre e del maneggio delle armi. L’uso della palla ha un doppio valore pedagogico: è esercizio fisico per la sanità del corpo unito alla prontezza della mente (destrezza) ed è anche svago lecito sotto il profilo morale perché insegna ad elaborare strategie e a rispettare le regole.

Il ritratto, che verrà esposto in occasione delle ATP Finals dal 12 al 21 novembre negli ambienti della Biblioteca della Palazzina di Caccia di Stupinigi, è uno dei rari casi in cui viene documentato il ruolo del gioco d’azione nel procedimento pedagogico.

Il dipinto ritrae due dei figli del duca Vittorio Amedeo I di Savoia e di Cristina di Francia: Francesco Giacinto, nato nel 1632 e morto nel 1638 e il fratello minore Carlo Emanuele, nato nel 1634. I due bambini posano accanto a un seggiolone rosso e mostrano i loro passatempi preferiti: il più grande una pallina e racchetta da pallacorda, che si può considerare l’antenata del tennis, e il più giovane un uccellino legato con una cordicella. La racchetta cordata non è solo un giocattolo, ma è uno strumento da impiegare per l’apprendimento di gesti che gioveranno al coordinamento dei movimenti e alla destrezza del tiro.

 

Ritratto di Francesco Giacinto e Carlo Emanuele II

Pittore attivo alla corte sabauda

1636-1637

Olio su tela, 140 x 115 cm

Fondazione Ordine Mauriziano, Palazzina di Caccia di Stupinigi

 

INFO

www.ordinemauriziano.it

Giorni e orario di apertura: da martedì a venerdì 10-17,30 (ultimo ingresso ore 17); sabato, domenica e festivi 10-18,30 (ultimo ingresso ore 18).

Biglietti: intero 12 euro; ridotto 8 euro

Indispensabile il Green Pass

 

Anatomia umana, un dialogo con lo spazio urbano

La galleria d’arte Mazzoleni presenta alla città  di Torino l’11 novembre prossimo la scultura “Anatomia umana” di Salvatore Astore, collocata in corso Galileo Ferraris

 

Giovedì 11 novembre prossimo, alle 18,  la galleria torinese Mazzoleni  presenterà al pubblico il gruppo scultoreo  dal titolo “Anatomia umana” dell’artista Salvatore Astore. Le opere sono state appositamente studiate e realizzate per poter instaurare un dialogo con lo spazio urbano circostante e sono collocate in modo permanente in corso Galileo Ferraris angolo via Cernaia, nel cuore di Torino.

Il progetto espositivo si inserisce all’interno delle ricorrenze del quinto centenario della scomparsa di Leonardo Da Vinci ed è statorealizzato in collaborazione con la Città di Torino, sotto il Coordinamento  dell’Ufficio Arte Pubblica e con il patrocinio di Regione Piemonte e della Città Metropolitana di Torino. L’inaugurazione si terrà  alla presenza dell’artista e delle istituzioni.

Salvatore Astore, diplomatosi  all’Accademia Albertina di Belle Arti, attivo già  a partire dagli anni Ottanta sulla scena italiana einternazionale, ha privilegiato i linguaggi della scultura, pittura e disegno, dando vita a una serie di cicli di opere corrispondenti a fasi esistenziali e periodi storici diversi, tutte, però,  accomunate da un profondo desiderio di sperimentazione di tecniche e materiali legati al contesto urbano industriale.  L’artista risulta particolarmente interessato alla condizione e al destino dell’essere umano.

Dopo una serie di lavori pittorici dedicati alle Anatomie umane e animali, a partire dall’84 Astore ha iniziato a produrre un ciclo  di sculture di medie e grandi dimensioni, dapprima realizzate in ferro saldato e verniciato, in seguito in acciaio inox, ancorate alla volontà  di creare un vocabolario  di forme nuove. Le Calotte, i Container, le “Suture e Forma” inauguravano, così, una straordinaria stagione espositiva dove emergeva l’indagine sulla plasticità  della forma, ormai libera dai riferimenti all’arte figurativa, e piuttosto incentrata sull’idea di un rinnovato interesse nei confronti dell’individuo e del suo tempo.

Fondamentale è  poi stato per Astore l’incontro con l’artista Sol Lewitt, verso il quale ha sempre mostrato un profondo interesse.Nei lavori di Astore, a partire dalla fine degli anni Ottanta, è diventata più urgente l’esigenza di rafforzare la relazione tra l’opera d’arte e il reale, l’impulso creativo ha iniziato a fare i conti con un processo di forte accelerazione industriale e tecnologica. Nei suoi lavori iniziava a emergere una forte tensione strutturale interna alle opere stesse, unita a una calda organicità,  capace di marcare le opere di questo artista dai colleghi del minimalismo oltreoceano.

Presentazione di “Anatomia Umana” di Salvatore Astore, 11 novembre alle 18.

Mara Martellotta 

Le opere d’arte di sette artisti in arrivo per il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea e per la GAM

LE NUOVE ACQUISIZIONI DELLA FONDAZIONE PER L’ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA CRT AD ARTISSIMA 2021

Anche quest’anno la Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT ha rinnovato il proprio sostegno ad Artissima – Internazionale d’arte contemporanea, procedendo all’acquisizione di 12 nuove opere realizzate da artisti che andranno a implementare la storica Collezione della Fondazione e saranno concesse in comodato gratuito ai due principali musei torinesi. Cinque lavori selezionati di Micol Assäel, Giuliana Rosso, Francis Offman e Gokula Stoffel saranno destinati ai progetti curatoriali del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, mentre sette opere di Chiara Camoni, Pesce Khete e Davide Sgambaro arricchiranno le proposte espositive della GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino.

«Artissima rappresenta una vetrina esclusiva e ormai consolidata a livello internazionale per il comparto dell’arte contemporanea – commenta Anna Ferrino, presidente della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRTAttraverso il proprio sostegno alla manifestazione, Fondazione Arte CRT intende supportare con continuità il sistema dell’arte torinese e le nuove tendenze espressive, storicizzandole attraverso l’acquisizione di nuove opere selezionate che entreranno a far parte della propria Collezione. Nel tempo queste diventeranno protagoniste dei nuovi progetti curatoriali messi in campo dai due più importanti musei cittadini, custodi della raccolta, e saranno messe a disposizione del grande pubblico».

La kermesse ha sempre rappresentato un importante fattore di attrattività per Torino e oltre a essere la più accreditata fiera d’arte contemporanea d’Italia, è luogo d’elezione in cui Fondazione Arte CRT, ente strumentale della Fondazione CRT, intende investire le proprie risorse. Oltre a supportare concretamente gli attori dell’arte contemporanea torinese, quali gli artisti e le gallerie, le nuove acquisizioni implementeranno la storica Collezione della Fondazione che ogni anno si arricchisce di opere di sempre maggior valore artistico, in grado di confrontarsi con altre prestigiose collezioni sia pubbliche sia private.
La raccolta costituisce un’eccellenza all’interno del panorama internazionale e si compone di circa 870 opere realizzate da più di 300 artisti dai linguaggi espressivi distinti – dalla pittura alla scultura, dal video alla fotografia, dal disegno all’installazione – per un investimento di oltre 40 milioni di euro.

 

 

Ultimo giorno: il Collegio “San Giuseppe” ricorda l’artista torinese Elisabetta Viarengo Miniotti

Animati sogni/di una sovraterrestre primavera”

Un appassionato e creativo amore per la Natura

Fino al 9 novembre

Ci ha lasciati nel giugno di un anno fa Elisabetta Viarengo Miniotti (Torino 1937-2020). Aveva dipinto per una vita intera, ritagliandosi uno spazio prestigioso e assolutamente meritato nel panorama dell’arte piemontese e non solo. Arte di figurazione, carica di pathos e di singolare forza innovativa nel trasformare il reale in narrazione di segno e colore lasciati correre in vibrante, materica libertà. Per arrivare all’essenza poetica delle cose. Per raggiungere con il cuore ciò che agli occhi non è dato sempre di vedere. Nota soprattutto come artista della stampa incisa, di notevole valore e piacevolezza sono pur anche i suoi oli, così come gli acquerelli e i disegni. A dimostrarlo, ancora una volta, la retrospettiva a lei dedicata nella sala mostre del Collegio “San Giuseppe” di Torino, con la curatela di Alfredo CentraDonatella Taverna e Francesco De Caria.

Al primo colpo d’occhio è subito ben chiara l’impronta  in lei lasciata dai preziosi insegnamenti di Giacomo Soffiantino alla torinese “Accademia Albertina”, così come di Riccardo Licata nel Corso Internazionale di “Grafica Sperimentale” di Venezia.  Ad accompagnare la mostra al Collegio di via San Francesco da Paola, i versi di Jean Arp, pittore e scultore esponente di punta di  alcuni fra i più importanti movimenti artistici del ‘900 (dal surrealismo all’arte astratta al dadaismo) ma anche poeta di forte impronta emozionale: “Animati sogni/di una sovraterrestre primavera”“Sogni” e “sovraterrestre primavera”. Parole e concetti in cui si riflette, infatti, alla perfezione l’opera della Viarengo Miniotti. Natura come “sogno”, “primavera” d’impronta quasi surreale, “sovraterrestre”. Natura, soggetto principale della sua narrazione artistica, che non è mai cristallizzata in pagine di rigorosa, fotografica fedeltà al “veduto”, ma è altresì occasione, premessa e strumento non di rado casuale per raccontare visionarie emozioni, immagini traslate dalla concretezza dei “paesaggi aspri e petrosi” delle sue montagne, così come dalla “rugosità e dalle macchie di cortecce e intrighi di rami e radici”, all’intimità di un “guardarsi dentro” per offrire spazi larghi all’immaginazione e alla poesia.

Così da perdersi, senz’ombra di pause o tentennamenti, nella sciolta fluidita del verbo astratto. O nel compiacimento del trafiggere e dello scomporre la materia in rivoli tattili di corposa godibilità. In quest’ottica, si vedano in rassegna la sontuosa acquaforte “Betulle” o la quasi informalità di “Acqueo”  come l’olio su tela, pura poesia, “Dee di fiori si fingono nuvole”.  “L’osservazione ‘macroscopica’ della Natura – scrive Francesco De Caria – fa sconfinare  il realismo con la visione ‘astratta’ fatta di linee, maculazioni di cortecce, macchie di colore. Affascinano l’artista anche le espressioni di grande energia della natura, dalla rigogliosità del bosco e del sottobosco – è la natura selvaggia, non dominata dall’Uomo ad attrarre soprattutto l’attenzione della Viarengo- alle ondate del mare mosso che si frangono sugli scogli, alla vitalità della vegetazione, in vedute caratterizzate dall’intrecciarsi di linee o dal polverizzarsi dell’acqua sugli scogli”. Restano, in queste opere, la passione e la totale dedizione ad un “mestiere”, che non è solo sovrapporsi di grafia e colore, ma soprattutto vitalità di cuore e capacità di sconfinare oltre  i limiti di tempo e spazio.

g.m.

“Elisabetta Viarengo Miniotti. “Animati sogni/di una sovraterrestre primavera”

Collegio “San Giuseppe”, via San Francesco da Paola 23, Torino; tel. 011/8123250 o www.collegiosangiuseppe.it

Fino al 9 novembre

Orari: lun. ven. 10,30/12,30 e 16/18; sab. 10/12

Nelle foto

–         “Dee di fiori si fingono nuvole”, olio su tela

–         “Betulle”, acquaforte

–         “Vite alla prima luce”, olio su tela

–         “Acqueo”, serigrafia

L’arte di Giovanni Fattori, un percorso lungo quarant’anni tra i campi di battaglia e i paesaggi della sua Maremma

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Sino al 20 marzo prossimo, nelle sale della GAM

Due autoritratti, l’uno, del 1854, conservato a Pitti, quello di un ragazzo non ancora trentenne che approda alla maturità artistica, grande massa di capelli corvini, elegante giubba marrone, pennelli e tavolozza nella mano, soprattutto gli occhi scuri e imperiosi che trafiggono chi guarda; l’altro, quarant’anni dopo, proprietà dell’Istituto Matteucci di Viareggio, la tela sul cavalletto, altri lavori alle spalle, la grande e disordinata giubba chiara e il berretto scuro in testa, i grandi baffoni bianchi e lo sguardo tranquillo e disincantato di vecchio signore che ha attraversato una vita. Tra le due tele, oltre una sessantina di opere nella mostra “Fattori. Capolavori e aperture sul ‘900” (sino al 20 marzo prossimo, forse una delle più belle esposizioni viste in città negli ultimi anni, assolutamente da non perdere) con cui la GAM torna a dare il benvenuto ad un pubblico numeroso, non più rarefatto, seppur co

n ogni cautela, dai timori della pandemia.

“Una mostra raffinata e intensa”, l’ha definita il direttore Riccardo Passoni, altresì “ambiziosa”, dovuta all’organizzazione della GAM Torino – Fondazione Torino Musei e di 24 Ore Cultura – Gruppo 24 Ore in collaborazione con l’Istituto Matteucci e il Museo Civico Giovanni Fattori di Livorno e alla ricerca attenta e mai facile, quasi ardimentosa, delle due curatrici, Virginia Bertone, Conservatore Capo della GAM, e Silvestra Bietoletti, Storica dell’arte e specialista di pittura toscana dell’Ottocento (affiancate da un Comitato scientifico composto da Cristina Acidini, Giuliano Matteucci e Fernando Mazzocca), la ricerca di opere preziose che non appartengono soltanto a Musei ma pure al collezionismo privato giustamente geloso dei propri tesori. E una ricerca che ha voluto abbracciare, a completare l’arco espositivo, alcune opere emblematiche di allievi di Fattori e di artisti influenzati dalla sua pittura – una pittura per cui si sono spesi i nomi antichi di Giotto e di Masaccio, di Paolo Uccello e di Piero della Francesca -, da Plinio Nomellini a Oscar Ghiglia, da Modigliani (“Ragazza rossa”) a Carlo Carrà con i suoi capanni deposti sulla riva del mare, del 1927, a Giorgio Morandi con il suo “Paesaggio”, datato 1942.

Un percorso ospitato per la prima volta, nei suoi 158 anni di storia, nelle sale della Galleria torinese, entro nove tappe, con tele di grandi proporzioni come con minuscoli gioielli e una interessante selezione di acqueforti, tutti a raccogliere i temi del maestro ottocentesco, dalle grandi e importanti battaglie risorgimentali ai ritratti, dai soggetti legati alla vita dei campi e al paesaggio rurale, trattati nell’espressione più umanamente sensibile della fatica e della rispettosa solennità: un arco cronologico quarantennale a partire dalla sperimentazione “macchiaiola” e dalle importanti opere degli anni Sessanta e Settanta per giungere alla produzione dell’età matura, dove lo sguardo innovatore dell’artista si spinge verso quei panorami artistici e quelle aperture sul Novecento su cui giustamente il titolo della mostra lascia cadere tutta l’importanza.

Tra gli anni e le opere risorgimentali spicca – con “Garibaldi a Palermo”, del periodo 1860/62 – “Campo italiano alla battaglia di Magenta” del 1862, una sorta di passaggio tra le regole accademiche e la tecnica definita “macchiaiola”, una grande tela di oltre 2 metri per 3,50, con cui l’artista aveva vinto il concorso indetto dal Governo Provvisorio toscano di Bettino Ricasoli (se ne andò con il denaro vinto sui luoghi della battaglia, per confrontarsi sino all’ultimo con gli elementi del “vero”), quattro lavori a ricordare altrettanti momenti salienti della Seconda Campagna (gli altri, Curtatone Palestro e San Martino), tra le truppe franco-piemontesi e quelle austriache, oltre seimila vittime lasciate sul terreno. Le distruzioni, le sofferenze, la guerra e la vittoria viste non nel loro momento di gloria, ma l’obiettivo, mentre ancora i fumi delle ultime cannonate scuotono in lontananza la cittadina lombarda, mentre uomini per cui nulla rimane da fare giacciono sul terreno, posto ad inquadrare nei tanti particolari il ritorno dei soldati feriti, distesi sul carro e affidati alle cure delle suore infermiere. Altri capolavori tra queste opere di carattere militare: “Il muro bianco (In vedetta)”, del 1872, i tre militari posti sotto un sole troppo luminoso a ridosso di quel muro osservato di sghembo, in tutta la loro solitudine, unici elementi a rompere la geometria della perfetta composizione; “Militari e cavalli in pianura”, “Posta militare al campo” (1874) e “La lettera al campo” (1873/75), un’unica presenza umana, il piacevole intervallo della lettura dopo il combattimento, i due cavalli, le tende sullo sfondo. La guerra vista dal basso e opere di rara immediatezza, di descrizione perfetta delle situazioni, dei sentimenti della truppa.

“Quasi una sorta di affettuosa identificazione con la propria indole, che permise fino all’ultimo a Fattori di ricercare maniere innovative per rappresentare la sua idea del ‘vero’”, sottolineano le curatrici. A ribadire lo sguardo di Fattori – era nato a Livorno nel settembre del 1825, gli studi abbandonati con le elementari, un fratello, Rinaldo, più vecchio di quindici anni, che instaurerà con lui un rapporto quasi da padre a figlio, un’innata predisposizione per il disegno, l’Accademia fiorentina e la frequentazione del Caffè Michelangiolo, rifugio e trincea dei Macchiaioli, in compagnia del critico Diego Martelli, l’incancellabile desiderio d’autonomia artistica, la morte a Firenze nell’agosto del 1908 – verso un mondo povero e semplice, lontano da ogni traccia di facili raggiungimenti, il rapporto con la campagna, con la sua amata Maremma, è stretto, intimo. Lo dimostrano, a tratteggiare una nuova poetica e a costruire forti emozioni in chi guarda, le tante presenze degli animali (“Bovi bianchi al carro”, 1868), l’animazione dei panorami e dei mercati, il lavoro degli uomini (il viso scavato dei butteri) e delle donne (“Le macchiaiole” del 1866). Non soltanto sulle tele: ma anche nei disegni preparatori, nelle incisioni-acqueforti cui è dedicata l’ultima sezione, la settima dell’intero percorso espositivo, materiale appartenente agli anni a cavallo del Novecento e tutto raccolto nel Museo di Fattori a Livorno. Visioni quali il Lungarno alle Cascine basterebbero a descrivere la grandezza di un poeta.


Nell’attraversare le sale, ancora il ritratto della moglie Settimia Vannucci o quello della “Signora Martelli a Castiglioncello” (!867/70, il personaggio femminile immerso tra gli alberi di un’estate toscana), “Gotine rosse” del 1882 (un profilo bellissimo, un semplice muro a fare da sfondo, la carnagione rosea), assicurato alla GAM da Vittorio Viale nel 1930 dopo aver fatto parte delle collezioni fiorentine di Giovanni Malesci: un’opera che riafferma degli stretti rapporti di Fattori con il capoluogo piemontese, iniziati nel 1863 allorché il pittore inviò alla Promotrice di Belle Arti torinese “Ambulanza militare”, appuntamento ripetuto sino al 1902, ancora alla Promotrice come alle Esposizioni Nazionali. Un’attenzione e un successo che coinvolsero anche vari estimatori, tra cui Marco Calderini, brillante allievo di Antonio Fontanesi e autorevole animatore della scena culturale cittadina, come i collezionisti privati, quali Riccardo Gualino, che acquistò il “Ritratto della seconda moglie”, conservato a Pitti e oggi presente in mostra.

Elio Rabbione

Nelle immagini:

“Soldati francesi del ’59”, 1859 ca., olio su tavola, 15,5 x 32 cm, Istituto Matteucci, Viareggio;

“In vedetta”, 1872, olio su tela, Fondazione Progetto Marzotto, Trissino;

“Pastura maremmana (Cavalli al pascolo”, 1872 ca., olio su tela, Istituto Matteucci, Viareggio;

“Autoritratto”, 1894, olio su tela, Istituto Matteucci, Viareggio

A Flashback l’arte di qualità ha attirato oltre 18 mila persone in fiera

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Dal 4 al 7 novembre all’ex Caserma Dogali di Torino.

Un grande spazio abbandonato che l’arte ha fatto rivivere.  

Flashback, l’arte è tutta contemporanea vince la sfida di una nuova sede. Non era scontato poter allestire una fiera d’arte all’interno di uno spazio fortemente connotato da vicende storiche come la ex Caserma Dogali di via Asti a Torino, pressoché dimenticato dalla Città e senza più un utilizzo. A riportare a nuova vita questo grande edificio storico, vincolato dalla Soprintendenza, ci hanno pensato, con coraggio e sensibilità, le due direttrici di Flashback, Ginevra Pucci e Stefania Poddighe grazie soprattutto alla collaborazione e grande disponibilità delle gallerie partecipanti e del Museo Diffuso della Resistenza di cui la ex Caserma è una delle sedi diffuse.

 

L’edizione è andata al di là delle nostre aspettative – commentano le direttrici di Flashback Ginevra Pucci e Stefania Poddighesia in termini di qualità delle opere sia in termini di pubblico partecipante che di vendite. Ma la più grande soddisfazione è sicuramente stata notare lo stupore negli occhi delle persone nel rivedere uno spazio come la ex Caserma Dogali riprendere vita grazie all’arte. In questo momento però, quello che ci dispiace è che questo splendido spazio da domani, tornerà nell’oblio. Cogliamo l’occasione per offrire uno spunto di riflessione alle istituzioni e agli enti, come Cassa Depositi e Prestiti – proprietari della struttura – perché la possibilità di utilizzo temporaneo degli immobili diventi una pratica semplice e veloce per tutti coloro si occupano di arte e di cultura.

 

Alla ex Caserma Dogali, hanno esposto oltre una trentina di gallerie italiane, sia di lunga tradizione che di recente fondazione e quindi dirette da giovani galleristi come Flavio Gianassi Fine Art di Londra, Umberto Benappi, Luca Cena (White Lands) e Caretto & Occhinegro di Torino, Miriam di Penta Fine Arts di Roma.

L’anteprima a inviti di mercoledì 3 novembre ha accolto tantissimi tra collezionisti, direttori di musei e addetti ai lavori, per lo più dal nord Italia ma con presenze anche da altre regioni e dalle vicine Francia e Svizzera. Questa edizione segna inoltre un aumento di pubblico rispetto all’ultima edizione in presenza del 2019. Un risultato inaspettato che soddisfa le direttrici e fa ben sperare in questa graduale ripresa. La fiera, che si conclude oggi domenica 7 novembre, va avviandosi verso le oltre 18.000 presenze (dati delle ore 17.00 di domenica 7 novembre mentre la fiera è ancora in corso).

 

Le trattative di vendita delle opere, come si sa, sono riservate e spesso richiedono tempi lunghi per essere finalizzate. A vendite ancora in corso, riportiamo alcune informazioni segnalate dalle gallerie (aggiornate a domenica 7 novembre, mattina).

 

Galleria dello Scudo (Verona), il cui stand ha presentato importanti opere di Mimmo Paladino, riferisce di aver venduto due terrecotte dipinte dell’artista campano a 80.000 Euro l’una. Caretto & Occhinegro (Torino), giovane galleria specializzata in arte fiamminga, ha venduto un’opera di Denijs van Alsloot: “Paesaggio Invernale con la Fuga in Egitto”, olio su rame circolare del 1610 ca. per un valore di 60.000 Euro. La Galleria Carlo Virgilio (Roma), alla sua prima presenza sulla scena torinese, ha finalizzato con soddisfazione la vendita di 5 opere a nuovi clienti. Schreiber Collezioni (Torino) ha venduto un cavallo in terracotta della dinastia Tang (618 – 907 d.C.) intorno ai 10.000 Euro ad un nuovo cliente conosciuto in fiera. Galleria Russo (Roma) ha finalizzato delle acquisizioni a clienti storici, e anche a nuovi, di opere di Giacomo Balla. Aleandri Arte Moderna (Roma) si ritiene soddisfatto delle vendite a vecchi e nuovi clienti di opere tra le quali si segnalano Mario Sironi “Manichino Metafisico” del 1919, l’opera “Ermafrodito” di Antonietta Raphaël del 1937 e “Notturno con linee atmosferiche” di Sexto Canegallo del 1917. White Lands (Torino) ha venduto a nuovi clienti “Autoritratto” di Gerardo Dottori del 1932 e “Composizioni” di Enrico Prampolini del 1956. Biasutti & Biasutti (Torino) ha finalizzato vendite di opere di artisti internazionali tra i 10.000 e i 50.000 Euro. Flavio Pozzallo (Oulx), ad un cliente acquisito due anni fa proprio a Flashback, ha venduto un’opera in legno dorato: “Coppia di angeli cerofori” del Maestro di Magione del 1550 -1570 e ha, inoltre, riscosso l’interesse di un’istituzione per un’altra importante opera. Sempre da Roma, la gallerista Miriam di Penta riporta di aver venduto subito due oggetti preziosi: una miniatura su pergamena francese fine 1600 da Charles Lebrun con cornice di argento dorato Bulgari degli anni ‘20-‘30 e una pietra paesina toscana dei primi del 1600 con Cristo che cammina sulle acque. Molto interesse sulle due teste Neoclassiche su carta di ambito Gandolfi 1770-80 ca. e sull’Orazio Fidani con un intrigante ritratto di un paggio favorito del Granduca Ferdinando II de Medici.

Altre gallerie, come Galleria Luigi Caretto (Torino) e Galleria Alessandro Bagnai (Foiano della Chiana), per citarne un paio, sono in trattativa con collezionisti consolidati per alcune opere di grande pregio.

 

Insieme alla scoperta delle opere d’arte presentate dalle gallerie di Flashback in questa edizione, il pubblico, si è addentrato nei racconti delle tre mostre – la prima dell’artista Enrico Bertelli, autore dell’immagine guida di questa edizione, poi la presentazione dei manifesti di Opera Viva Barriera di Milano e infine la documentazione del progetto / workshop Artista di Quartiere di Alessandro Bulgini – si è potuto perdere nelle immagini del video Stanze dei fratelli De Serio, fermarsi ad ascoltare i talk che hanno affrontato i temi del collezionismo e dell’arte pubblica e imparare a conoscere l’arte attraverso i laboratori per i più piccoli.

 

La Notte delle Arti Contemporanee alla Fondazione Torino Musei

Sabato 6 novembre 2021 Apertura straordinaria fino alle 23 di GAM, MAO e Palazzo Madama e ingresso a 1 € dalle 18 alle 23

 

 

Torna la Notte delle Arti Contemporanee, l’appuntamento promosso da Contemporary Art Torino Piemonte in occasione del mese dell’arte contemporanea, e GAM, MAO e Palazzo Madama aderiscono all’iniziativa proponendo per la serata di sabato 6 novembre un’apertura straordinaria dalle 18 alle 23 con biglietto a 1€ per le collezioni e alcune delle mostre temporanee (ultimo ingresso alle 22).

Tante le esposizioni da visitare:

GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea

dalle 18 alle 23 ingresso a €1 alle collezioni e alle mostre:

UNA COLLEZIONE SENZA CONFINI. Arte internazionale dal 1990 (Sala -1)

LUIGI ONTANI. Alam Jiwa & Vanitas (Wunderkammer)

CLAUDIO PARMIGGIANI (VideotecaGAM)

ALESSANDRO SCIARAFFA. Sinfonia (Sala 1)

 

La mostra FATTORI. Capolavori e aperture sul ’900 è visitabile a tariffa ordinaria

 

MAO MUSEO D’ARTE ORIENTALE

dalle 18 alle 23 ingresso a €1 alle collezioni e alle mostre:

FERNANDO SINAGA. Il Libro delle Sorti e dei Mutamenti

HUB INDIA Classical Radical. Residues & Resonance

PALAZZO MADAMA – MUSEO CIVICO D’ARTE ANTICA

dalle 18 alle 23 ingresso a €1 alle mostre:

CARLO D’ORIA. Sentinelle 

HUB INDIA Classical Radical. Disruptive Confluences

La mostra Il Rinascimento europeo di Antoine de Lonhy è visitabile a tariffa ordinaria.

Il biglietto speciale a 1 € si applica anche ai possessori di Abbonamento Musei Torino e Piemonte.

 

 

 

Tutte le informazioni sul sito http://www.fondazionetorinomusei.it/it

“Una collezione senza confini” e la “ghirlanda allegorica” di Luigi Ontani In mostra alla GAM

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Nuove opere destinate al “Contemporaneo” e la sinuosa immaginifica linearità delle opere del bolognese Ontani

Doppia inaugurazione nei giorni scorsi alla “GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea” di Torino. Con la prima si é inteso presentare il nuovo allestimento delle Collezioni permanenti del “Contemporaneo” alla luce di un rafforzato percorso che mette in mostra 56 opere (molte delle quali mai esposte negli ultimi anni, se non per brevi periodi) a firma di 33 grandi artisti di diverse generazioni, appartenenti alla più blasonata scena artistica dell’avanguardia internazionale: dalla serba naturalizzata statunitense Marina Abramovic, la “nonna della performance art” (sua autodefinizione), al sudafricano William Kentridge, al cubano Kcho, fino al britannico Liam Gillick, solo per citarne alcuni. La seconda, dal titolo “Luigi Ontani. Alam Jiwa & Vanitas”, ha invece focalizzato l’attenzione su oltre 130 opere su carta alle quali l’artista settantottenne di Vergato ha rimesso mano negli ultimi due anni. La personale di Ontani, visitabile fino al 30 gennaio del prossimo anno, a cura di Elena Volpato, è un “meraviglioso” gioiello di istrionica fantasia che non poteva che trovare spazio nella “Wunderkammer” del Museo di via Magegenta.

Partiamo dalla prima, che finalmente, sotto la regia di Riccardo Passoni, direttore della “GAM”, ha permesso di mettere in bella vista opere che da tempo bussavano alle porte per incontrare il grande pubblico. Opere di notevole rilievo facenti riferimento alla storia di recenti acquisizioni e giunte in Museo negli ultimi vent’anni attraverso diversi canali: dalle scelte effettuate ad “Artissima” o nell’ambito delle acquisizioni annuali, entrambe rese possibili grazie al contributo determinante della “Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT”, oltre a doni e acquisti mirati. In ogni caso la rassegna è anche preziosa testimonianza di come la “GAM” abbia perseguito negli anni un lodevole percorso di internazionalizzazione, avviato nel 1948 con  l’acquisizione di “Dans mon Pays” di Marc Chagall alla “Biennale di Venezia”, per poi proseguire coerentemente nei decenni successivi, come già dimostrato con la mostra “Strangers. Tra informale e pop dalle collezioni GAM”, realizzata nel 2012. Non solo. Se infatti, fino a pochi decenni fa, era normale, in certo senso, aprirsi in primis  all’arte parigina e a quella americana, negli ultimi 25-30 anni nella collezione GAM sono altresì entrate, accanto ad opere di provenienza europea, altre arrivate da culture e linguaggi espressivi estremamente diversi – dalla Cina, da Cuba e dall’Africa ad esempio – ormai itineranti e ampiamente accolte nel più sofisticato circuito artistico globale.

“Nell’antologia che abbiamo proposto in questa esposizione – sottolinea Riccardo Passoni – possiamo in concreto verificare i tanti stimoli portanti  di una certa ricerca, senza che vi corrispondano una geografia specifica o uno stile di riferimento. Vi sono rappresentazioni che evocano una narrazione, conclusa o in sospensione (Marina Abramović, Hannah Starkey); la tradizione e la cura (Chen Zhen); gli affioramenti del rimosso (William Kentridge, Tracey Moffatt); il dramma della storia e delle sue cicatrici, in una dimensione ideologica (Alfredo Jaar). E ancora: emergono la messa a fuoco di una dimensione favolistica o leggendaria (Mark Dion, Matt Collishaw), a contrasto con lo sguardo sull’inammissibile, la dura necessità del ricordo (Christian Boltanski); o il recupero di certi spazi mentali, di alienazione (Ilya e Emlia Kabakov) o di incursioni sul paranormale (Marcos Lutyens, Laurent Grasso).

Con “Alam Jiwa & Vanitas” Luigi Ontani porta in mostra 130 opere su carta, che sono una rivisitazione pittorica di disegni a china realizzati fra gli anni Ottanta e Novanta: un affascinate “microcosmo intriso del suo immaginario”, cui già ci aveva abituato con i celebri “tableaux vivants” e con la “Stanza delle Similitudini”. Qui si aggiungono estranianti elementi di “sacro” e “profano”, cui non poco deve avere influito il suo ritiro a Bali durante il periodo del lockdown“Anche questa mostra – scrive Elena Volpato – è un ambiente-mondo attraversato da un’unica ghirlanda allegorica di innumerevoli figure e significati, sacri e profani, della cultura d’Oriente e d’Occidente”. Il tutto sotto il segno della “Natura dell’anima” (come recita il titolo dal balinese) e della “Vanità”. Segni da scoprire “come una cifra nascosta, tra le sinuose linee dell’opera di Ontani”.

Gianni Milani

“Una collezione senza confini”/”Luigi Ontani. Alam Jiwa & Vanitas”

GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, via Magenta, Torino; tel. 011/4429523 o www.gamtorino.it

Orari: mart. merc. ven. sab. e dom. 10/18; giov. 13/21. Lun. chiuso

Nelle foto

–         Luigi Ontani: “Alam Jiwa & Vanitas” ChinAcquerello, 2021

–         Marina Abramovic: “The Comunicator” tecnica mista, 2012

–         Liam Gillic: “Loaded Bay”, tecnica mista, 2006

–         William Kentridge: “City of Moscow”, arazzo in lana di mohair tessuta a mano, 2009

Quell’angolo di Passy dove è nata la “Comédie humaine”

In un angolo dell’antico quartiere di Passy, un tempo Comune a sé, annesso il 1° gennaio 1860 a Parigi e oggi XVI arrondissement, sorge la casa di Honoré de Balzac, l’unica dimora parigina dello scrittore che si è conservata nel tempo.

Il 16 novembre 1840 Balzac annunciava a Madame Hanska: “A partire dal momento in cui riceverete questa lettera, scrivetemi al seguente indirizzo: M. de Breugnol, rue Basse n.19, Passy, vicino a Parigi. Sono là, nascosto per qualche tempo (…) Ho dovuto spostarmi molto rapidamente e devo restare là”. Per la sua casa di rue de Batailles, a Chaillot, dove aveva vissuto tra il 1835 e il 1838, aveva utilizzato uno pseudonimo femminile, “Veuve Durande”, “Vedova Durande”, mentre per Passy è diventato Monsieur de Breugnol.

La motivazione che si cela sotto i ripetuti cambi di residenza di Balzac e l’utilizzo di nomi falsi è quella di sfuggire ai creditori che lo incalzano per riavere il proprio denaro. La stessa casa di Passy possedeva un ingresso principale e uno secondario dal quale lo scrittore poteva uscire indisturbato: “Un appartamento situato in una casa (…) rue Basse n.19 e rue du Roc n.5 a Passy, con un ingresso sull’una e sull’altra strada…”.

Balzac trascorre nella casa di Passy sette anni, occupandola dal 1840 al 1847 e lavora incessantemente alla correzione delle sue opere che raggrupperà nel 1841 sotto il titolo di “Comédie humaine”. Questo libro monumentale che porta sulla scena vizi, virtù, drammi, dolori, solitudini, amori infelici, personaggi caricaturali che richiamano alla mente gli schizzi di Daumier, viene rivista e riordinata nello studio di questa casetta.

Il lavoro febbrile di Balzac riempie notti intere. Si racconta che l’autore riuscisse a scrivere molto rapidamente, di solito tra l’una e le otto di mattina, intervallando l’attività con moltissime tazze di caffè nero. Poteva lavorare anche per quindici ore continuative, senza pause, rivedendo e correggendo ogni pagina in modo quasi ossessivo tanto da ritardarne la pubblicazione e, di conseguenza, da aumentare le spese editoriali.

“La mia opera ha la sua geografia come ha la sua genealogia e le sue famiglie, i suoi luoghi e le sue cose, i suoi personaggi e i suoi fatti; come ha il suo stemma, i suoi nobili e i suoi borghesi, i suoi artigiani e i suoi popolani, i suoi politici e i suoi dandys, i suoi eserciti e infine tutto il suo mondo” scrive Balzac. La morte prematura, avvenuta a soli 51 anni, ha impedito a Balzac di unificare l’opera e, probabilmente, di effettuare altre revisioni, altre correzioni.

La “Comèdie Humaine”, che racchiude la parte più consistente della prolifica produzione dello scrittore, è composta da tante storie, eppure rappresenta, in realtà, un unico grande affresco: quello dell’umanità colta nei suoi particolari e, al tempo stesso, nella sua interezza. I personaggi che animano i diversi romanzi hanno una propria identità e un proprio spessore, tuttavia sono anche universali perché giungono a incarnare vizi, virtù, stati d’animo e caratteristiche dell’umanità intera.

Le singole vite si trasformano nelle vite degli altri, nelle vite di tutti, nelle nostre vite ed è facile per il lettore ritrovare un po’ di sé nei personaggi e nella complessità delle loro relazioni esattamente come in tutti loro è fortissima l’influenza dell’autore. Scriveva, infatti, Charles Baudelaire: “Insomma in Balzac ciascuno, anche le portinaie, ha del genio. Tutte le anime sono piene fino al collo di volontà…”.

In questa umanità dolente e controversa si percepisce la personalità del suo autore, con la sua tenacia e, soprattutto, con tutte le sue debolezze, i suoi drammi, le sue sconfitte e si colgono i mille conflitti che Balzac ha vissuto sulla propria pelle: quell’infinita lotta contro tutto e tutti per la scrittura e per l’arte, per continuare a raccontare, giorno dopo giorno, la triste commedia dell’umanità.

“Ahimè! Questo vigoroso lavoratore, mai stanco, questo filosofo, questo pensatore, questo poeta, questo genio, ha vissuto in mezzo a noi una vita tempestosa di lotte, di contese, di combattimenti, comune in tutte le epoche a tutti i grandi uomini. Oggi è in pace. Lascia le contestazioni e i livori. Entra, nel medesimo giorno, nella gloria e nella tomba. D’ora in poi brillerà… tra le stelle della patria”Queste sono alcune delle parole dell’orazione funebre per Balzac che Victor Hugo pronuncia al cimitière du Père Lachaise.

Honoré de Balzac si era spento il 18 agosto 1850 tra atroci dolori e, in quella triste circostanza, la realtà era stata mimesis della letteratura o forse la letteratura era semplicemente stata un presagio di quello che sarebbe accaduto perché la sua morte era stata incredibilmente simile a quella di papà Goriot.“Papà Goriot fu pietosamente ricomposto sul suo giaciglio e dal quel momento la sua fisionomia conservò la dolorosa impronta del conflitto che si svolgeva tra la morte e la vita in una macchina che ormai non possedeva più quella specie di coscienza cerebrale da cui scaturisce il sentimento del piacere e del dolore per l’essere umano. La distruzione non era più che una questione di tempo”.

Barbara Castellaro

 

Hub India esplora l’arte contemporanea del subcontinente indiano

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Maximum Minimum

Artissima – Oval Lingotto

5 – 7 novembre 2021

 

Classical Radical

Palazzo Madama, MAO e Accademia Albertina

5 novembre – 5 dicembre 2021

 

Hub India è una prolifica esplorazione degli innumerevoli registri che caratterizzano l’arte contemporanea del subcontinente indiano, una regione di estrema importanza nell’Asia meridionale e che sta svolgendo un ruolo sempre più rilevante nel mondo globale.  Con la presenza di oltre 65 artisti provenienti da dieci delle più importanti gallerie e musei indiani, il progetto si profila come il più ampio e significativo dialogo che l’arte contemporanea indiana abbia intrattenuto con il mondo occidentale in tempi recenti.

Hub India, a cura di Myna Mukherjee e Davide Quadrio, nasce come progetto per Artissima Internazionale d’Arte Contemporanea di Torino per poi espandersi in una mostra tripartita realizzata in collaborazione con Fondazione Torino Musei e con l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino.

Maximum Minimum @Artissima
Artissima 2021, in collaborazione con Emami Art, presenta Hub India – Maximum Minimum, un nuovo focus geografico che intende offrire una ricognizione sulle gallerie, le istituzioni e gli artisti attivi in un’area d’importanza capitale.

In uno spazio dedicato verranno presentati i lavori di gallerie e istituzioni indiane che offriranno una veduta d’insieme di una sorprendente cultura visiva che rispecchia le innumerevoli polarità, contraddizioni e dualità che compongono l’India. Dall’antico spiritualismo del paese al suo moderno materialismo, dal passato coloniale alla crescente centralità nell’economia globale e alla rapida urbanizzazione, dal dogma alla tecnologia, dal marginale al mainstream, dai monumenti storici all’architettura contemporanea, dal normativo al radicale, Hub India – Maximum Minimum presenterà una miriade di storie e rappresentazioni del subcontinente.

In collaborazione NATURE MORTE New Delhi – GALLERY ESPACE New Delhi – EMAMI ART Kolkata – AKAR PRAKAR Kolkata, New Delhi – ART ALIVE New Delhi – LATITUDE 28 New Delhi – SHRINE EMPIRE New Delhi.

 

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Ravinder Reddy, Portrait of Sankari, 2021, Dipinto su fibra di vetro resina poliestere, Courtesy Emami Art, Foto: Bharghav Dass

 

Classical Radical @Palazzo Madama, MAO e Accademia Albertina
Classical Radical è una mostra in tre sedi che si sviluppa nelle sedi di Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica, del MAO Museo d’Arte Orientale e dell’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino.Classical Radical presenta opere indiane contemporanee e moderne che esplorano i lasciti del passato e l’antichità nel qui e ora sociologico. Come le opere d’arte contemporanee illuminano, complicano e si riappropriano dell’eredità? Come si pone l’arte contemporanea nel variegato panorama di religioni e storie, e quali residui di motivi, stili e idee sono sopravvissuti attraverso i millenni fino ai giorni nostri?
Le opere selezionate rappresentano uno spaccato di generi, medium e processi che vanno dai disegni e dipinti alle miniature e sculture, terrecotte e metalli, dipinti su carta e su tela, stampe, incisioni e opere digitali e virtuali, in un tentativo di analizzare le eredità classiche e tradizionali attraverso una nuova lente. Una ricerca a tutto campo che offusca le polarità di religione, casta o razza, Asia ed Europa, figurazione e astrazione per costruire uno spettro ampio di voci che vanno dai maestri moderni e contemporanei alle avanguardie, passando per gli artisti indipendenti appena scoperti. Più stratificato e complesso di una panoramica, questo percorso espositivo offre una lente caleidoscopica che sposta la percezione e sfida la stasi in modi elaborati, evocativi e mai riduttivi.

A Palazzo Madama e al MAO le opere presentate per Classical Radical sono messe in dialogo con le collezioni permanenti dei musei, in modo da creare piccoli cortocircuiti capaci di generare significati nuovi e nuove linee di interpretazione, lontane da ogni tentativo di semplificazione: ciascun visitatore potrà cercare il proprio percorso, creando connessioni fra opere antiche e contemporanee, colmando con il proprio vissuto e la propria sensibilità gli spazi di senso lasciati vuoti e decidendo in libertà dove soffermare il proprio sguardo.
All’Accademia Albertina di Belle Arti l’allestimento prende invece forma nei piani superiori dell’affascinante Rotonda di Talucchi, l’edificio neoclassico recentemente aperto al pubblico dopo un importante restauro.

In partenership con Kiran Nadar Museum of Art (KNMA).

In collaborazione LATITUDE 28 New Delhi – AKAR PRAKAR Kolkata, New Delhi – ART ALIVE New Delhi – EMAMI ART Kolkata – GALLERY ESPACE New Delhi – SHRINE EMPIRE New Delhi – NATURE MORTE New Delhi – SAKSHI ART Mumbai – JHAVERI CONTEMPORARY Mumbai – VADEHRA ART New Delhi – VOLTE Mumbai

 

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Manjunath Kamath, Pukchardara, 2018, Terracotta colorata, Courtesy dell’artista e Gallery Espace

 

Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica | Disruptive Confluences (Confluenze perturbanti)
La mostra a Palazzo Madama esplora il sincretismo e l’ibridismo attraverso opere per la maggior parte tridimensionali che collegano e contrappongono la straordinaria collezione del museo con la storia del subcontinente indiano, suggerendo complicate storie di scambi commerciali e religiosi, dominazioni, residui imperialisti ed evoluzioni sincretiche. Dando vita a un immaginario ibrido, al tempo stesso velato e provocatorio, la mostra rivela narrazioni e rapporti da una prospettiva eurasiatica, ma capace di porsi in dialogo e creare riflessioni significative con i duemila anni di storia di un edificio, che concilia una porta romana con una corte medievale e una scalinata barocca. In questo evidenziandosi quale storico luogo di riflessione di contesti ed esperienze anche profondamente differenti, ma alla ricerca di matrici comuni per individuare nuovi assi di dialogo.Artisti: Jayashree Chakravarty, Ranbir Kaleka, Manjunath Kamath, Tayeba Begum Lipi, Benitha Perciyal, G Ravinder Reddy, Himmat Shah, Gulam Mohammed Sheikh, Prasanta Sahu, Ayesha Singh, LN Tallur.

 

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The Singh Twins, The Wedding Jange II, 1991, stampa a getto d’inchiostro, 89 x 113 cm, edizione 4 di 25, edizione da collezione firmata e numerata dell’artista, Courtesy dell’artista e Art Alive

 

MAO – Museo d’Arte Orientale | Residues & Resonance (Residui & Risonanze)
La mostra al MAO comprende opere del rinascimento contemporaneo che iconizzano e al tempo stesso obliterano lo stesso classicismo a cui fanno riferimento. I lavori sono radicati in un’eredità che esamina stili tradizionali, scuole e generi e si spinge oltre per stabilire con essi una relazione, un dialogo. Mentre gli interessi sono mutati con i capricci del tempo, le forme di queste opere hanno conservato ossessivamente pattern simili, risonanti di residui del passato. Come in un concerto di Philip Glass, dove ogni iterazione suona familiare ma l’accumulo delle iterazioni successive rende ognuna di esse un’esperienza unica e diversa.
Uno dei punti forti della mostra è una sezione radicale di neo-miniaturisti che prendono a prestito le decorazioni evocative, stilizzate e gemmate dei tradizionali stili miniaturistici e dei dipinti vasli, sovvertendole per esplorare modi in cui espandere e smantellare il vocabolario di uno stile apparentemente insulare.
Anche l’arte della Regione himalayana offrirà grandi suggestioni, grazie all’installazione di una serie di opere dell’artista Paula Sengupta dal titolo The plain of Aspiration, un progetto che parla della diaspora dei tibetani fuggiti dal loro paese in seguito alla partenza del Dalai Lama nel 1959 e del tentativo di conservare anche altrove, attraverso la memoria, il loro stile di vita e la loro cultura.
I lavori di Sengupta attingono fortemente alla tradizione dell’artigianato tessile e al simbolismo religioso tibetani e, nelle gallerie del MAO, vengono accostate alle opere della sezione dedicata alle copertine lignee intagliate.Artisti: Waseem Ahmad, Khadim Ali, Anindita Bhattacharya, Sakti Burman, Sudipta Das, Priyanka D’Souza, Baaraan Ijlal, Manjunath Kamath, Puneet Kaushik, Samanta Batra Mehta, Piyali Sadhukhan, Paula Sengupta, Yugal Kishore Sharma, Nilima Sheikh, The Singh Twins, Waswo X Waswo.

 

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Wardha Shabbir, As It Surrounds-1, 2, 2021, Gouache su carta senza acidi, 53 x 53 cm, Courtesy dell’artista e LATITUDE 28

 

Accademia Albertina di Belle Arti | Multitudes & Assemblages (Multitudini & Assemblaggi)
La traiettoria delle arti visive in India è caratterizzata da molteplici transizioni; abbraccia e interiorizza i discorsi più ampi del colonialismo, del nazionalismo e del modernismo internazionale. Si relaziona con le tradizioni visive alla luce del postmodernismo e cerca di legittimare la propria posizione nell’arena contemporanea della produzione d’arte. Narrazioni multiple si snodano simultaneamente, come elementi tattili che si rifiutano di perdere la loro realtà, presenza, velocità, calore o umidità, come incongrue testimonianze di un punto focale in un allestimento che mira a presentare una molteplicità di possibilità. Evocando più la nostalgia che la storia, queste voci si levano a volte all’unisono e a volte in una reciproca tensione, ai lati opposti del tempo, come uno specchio, ribaltando lo sguardo su un familiare ma radicale pastiche di liberazione, ecologia, urbanizzazione, migrazione, femminismo, genere, soggettività e sensazione.Artisti: Harshit Agrawal in collaboration with 64/1, Amina Ahmed, Chandra Bhattacharjee, Sakti Burman, Sheba Chhachhi, Jogen Chowdhury, Sudipta Das, Priyanka D’Souza, Tanya Goel, Laxma Goud, Ganesh Haloi, Manjunath Kamath, Puneet Kaushik, Bharti Kher, Martand Khosla, Neerja Kothari, Balbir Krishan, Rahul Kumar, Tayeba Begum Lipi, Shruti Mahajan + Ravindra G. Rao, Paresh Maity, Debasish Mukherjee, Dr.Uttam Pacharne, Manish Pushkale, Mona Rai, Vajay Raut, Rekha Rodwittiya, Debanjan Roy, Prasanta Sahu, Wardha Shabbir, Shailesh BR, Shambhavi, Gulam Mohammed Sheikh, Nilima Sheikh, LN Tallur, Gopa Trivedi.

Negli spazi dell’Accademia Albertina va in onda Sama: Symbols and gestures in contemporary art practices. Italy and India vol. 1., la prima parte di un documentario visionario e pionieristico che, attraverso una moltitudine di voci, esplora il mondo dell’arte contemporanea e dell’artigianato nel subcontinente indiano e in Italia. In questa prima “puntata”, un novero di artisti italiani contemporanei,  tra cui  Stefano Arienti, Alessandro Sciarroni, Sissi, Marzia Migliora tra gli altri, si alternano ad altrettanti artisti indiani, come Sheba Chhachhi, Taniya Goel, Rekha Rodwittiya e Ayesha Singh, offrendo al pubblico uno spaccato dell’estetica delle due regioni che mette in luce il rapporto tra tradizione e modernità, le pedagogie dell’Oriente e dell’Occidente, il genere, le archeologie e le politiche del tempo; i temi della migrazione, dell’esilio, del tempo e della memoria; la religiosità e il sincretismo e le specificità regionali nell’era della globalità.
Sama: Symbols and gestures in contemporary art practices. Italy and India è un progetto di Myna Mukherjee e Davide Quadrio, diretto in India da Onir e scritto da Alessandra Galletta.

Hub India è un progetto di Arthub & Engendered presentato in partnership con Indian Council for Cultural Relations (ICCR), Kiran Nadar Museum of Art, Fondazione Torino Musei, Artissima, Emami Art, Palazzo Madama, MAO e Accademia Albertina.
Con il sostegno di Ambasciata d’Italia a Nuova DelhiIstituto Italiano di Cultura di Nuova Delhi (IIC), Consolato Generale dell’India a Milano, Città di Torino.
Supporto logistico di UAPL.

Il film è commissionato e prodotto da Arthub, Engendered, Ambasciata d’Italia a Nuova DelhiIstituto Italiano di Cultura di Nuova Delhi (IIC) Indian Council for Cultural Relations (ICCR).

 

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Hub India – Maximum Minimum
Artissima |Oval Lingotto fiere | 5 – 7 novembre 2021Hub India – Classical Radical
Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica | lunedì, mercoledì, venerdì, sabato e domenica 10-18 – giovedì 13-21 (la biglietteria chiude un’ora prima). BIGLIETTI: INTERO € 10, RIDOTTO € 8, GRATUITO minori di 18 anni, possessori di Abbonamento Musei e Torino + Piemonte.
MAO Museo d’Arte Orientale | martedì, mercoledì, venerdì, sabato e domenica 10-18 – giovedì 13-21 (la biglietteria chiude un’ora prima). BIGLIETTI: INTERO € 10, RIDOTTO € 8, GRATUITO minori di 18 anni, possessori di Abbonamento Musei e Torino + Piemonte.
Accademia Albertina di Belle Arti di Torino |Rotonda di Talucchi | giovedì e venerdì 14–18, sabato e domenica 10-18 (ultimo ingresso 17.30). Biglietti: INTERO 5 euro, RIDOTTO 3 euro, gratis con l’Abbonamento Musei Torino Piemonte e con la Torino + Piemonte Card.