ARTE- Pagina 10

Torinodanza alle Fonderie Limone

Le Fonderie Limone ospiteranno il 27 e 28 settembre, nella Sala Grande il balletto “Bring your own”, nella Sala Piccola, in prima nazionale, il balletto “Giocasta”, tratto dal celebre mito, per la rassegna Torinodanza

Il 27 e 28 settembre, rispettivamente alle 20.45 e alle 18, presso le Fonderie Limone di Moncalieri, nella Sala Grande, avrà luogo il balletto “Bring your own”, per la coreografia di Rambert Dance & (LA)HORDE. Il balletto si suddivide nei brani “Wearher is sweet”, “Room with view” e “Hop(e)storm”, in prima nazionale, in collaborazione con i danzatori di Rambert.

“Bring your own” è crudo, sensuale, vivo. Ti tufferai nel caos o ti tirerai indietro ? Sentirai tutto o niente ? In questa collaborazione epica con (LA)HORDE, i danzatori di Rambert si donano completamente all’opera della compagnia francese. “Weather is sweet” è caratterizzato da luci al neon, ispirato alla scena dei club di Los Angeles, catapultando il pubblico in alcune tra le domande più importanti del nostro tempo, riguardanti l’intimità, il consenso e la sex positivity; in “Room with a view”, viscerale e potente, costringe a guardarsi allo specchio e chiedersi cosa importi davvero; il terzo brano “Hop(e)storm” è commissionato in esclusiva per Rambert ed è presentato a Torinodanza Fest in prima nazionale. Come un viaggio viscerale nel caos di una festa, questa produzione elettrizzante sfuma i confini tra libertà e controllo, lasciando al pubblico la scelta se immergersi nella follia oppure allontanarsi. La collaborazione tra Rambert e (LA)HORDE è resa possibile dal supporto di Cockayne-Grants for the Arts e ai fondi raccolti da Vogue World London.

(LA)HORDE è stata fondata nel 2013 e unisce gli artisti Marine Brutti, Jonathan De Brouwer e Arthur Harel. La danza, il cuore pulsante del loro lavoro, e attorno ad essa il collettivo sviluppa opere coreografiche, film e performance.

Il 27 settembre, alle 19.30 in prima nazionale, presso le Fonderie Limone, nella Sala Piccola, verrà rappresentato il balletto “Giocasta”, con la partecipazione del Balletto Civile e la coreografia di Michela Lucenti. Si tratta della fine di una storia d’amore che condanna il futuro e segna un’intera generazione.

“I miti- secondo la regista Michela Lucenti – come segni indelebili continuano a vivere nei nostri atti quotidiani, nella violenza, nel sacrificio e nell’amore. Le storie delle nostre periferie non sono meno potenti o tragiche di quelle degli eroi, ed è ai nostri giorni che ambientiamo la storia di un amore impossibile tra una donna matura e un giovane marito, e poco importa se, come si mormora nei bar, lei sia veramente sua madre. Il legame tra tragedia e commedia è inestricabile, come la vita insegna. Così Giocasta, la madre controversa della tragedia greca, qui diviene una donna anonima, protagonista del racconto frammentato scaturito dalla tensione poetica che emerge di fronte al dramma dell’amore, nella sua forma più pura e nella sua assoluta e tragica prevedibilità. Pochi gli oggetti in scena, il linguaggio fisico accompagna la narrazione, la voce è strumento musicale, sono presenti una struttura non lineare, un flusso di coscienza, un canto dissonante e un corpo che freme per raccontare la velocità del tempo che passa, e la lucida follia della stirpe di Edipo. Una sfida alla società patriarcale in una Tebe contemporanea. Da un’idea di personaggio, da una ricerca antropologica sulla tragedia, nasce il desiderio di non assemblare né virgolettare il mito, ma di raccontarlo di nuovo per comprenderlo in profondità. La danza, per me, non è solo un fatto estetico ma un atto comunicativo, un pensiero condiviso sulla crisi che intercorre tra individuo e comunità in un tempo di trasformazione”.

Mara Martellotta

TO LISTEN TO Festival dell’ascolto sperimentale

Phill Niblock – We played it loud!

GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino

 

Concerto: giovedì 25 settembre ore 18:30

Installazione: 26 settembre – 4 ottobre 2025

 

 

La GAM di Torino è lieta di ospitare We played it loud! di Phill Niblock, un progetto sonoro e audiovisivo che si inserisce nel programma del festival dell’ascolto sperimentale To Listen To, giunto alla sua quarta edizione.

Il museo continua il suo percorso di apertura alla sperimentazione e alla pluridisciplinarietà, proponendosi come un laboratorio vivo capace di accogliere linguaggi diversi e molteplicità di visioni. In questo spirito, l’evento dedicato a Phill Niblock rappresenta ancora una volta un’occasione per tessere una trama tra l’anima storica della GAM e la sua vocazione contemporanea, sperimentale e trasversale.

Promosso dalla SMET – Scuola di Musica Elettronica del Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Torino, To Listen To si è affermato come punto di riferimento per la ricerca musicale e sonora, proponendo performance, installazioni, nuove composizioni, workshop e momenti di riflessione. Il festival mette al centro un’idea di ascolto attivo, curioso, non passivo, che attraversa le barriere di genere e generazione per aprirsi a esperienze inedite, con l’ambizione di formare un pubblico sensibile al nuovo, capace di accogliere l’inaspettato e di sviluppare strumenti critici attraverso il suono.

Il concerto – giovedì 25 settembre 2025, ore 18:30

In programma tre opere di Phill Niblock per strumento amplificato e fixed media, in cui la densità del suono e la tensione percettiva si combinano con la proiezione in multischermo dei film della serie The Movement of People Working:

FeedCorn Ear (2013), per violoncello amplificato – Agnese Polli Agnese Polli – violoncello

Twelve Tones (1977), per contrabbasso amplificato – Pietro Barbera – contrabbasso

First Out (2015), per chitarra elettrica – Guglielmo Diana – chitarra elettrica

 

Ingresso libero fino a esaurimento posti disponibili

L’installazione – dal 26 settembre al 4 ottobre, ore 10–18

Dal 26 settembre al 4 ottobre la GAM ospita l’installazione audiovisiva dedicata a Phill Niblock, con la proiezione multischermo dei film della serie The Movement of People Working e la diffusione in loop di un ampio corpus di composizioni elettroacustiche dell’artista: A Third Trombone, FeedCorn Ear, First Out, Four Full Flutes, Held Tones, Mix-A Trom & 12 Tones, Octavio Perc2, Organ (Nagro), A Rooks Pun, Bag, DreGliss, Euph, Praised Fan, Ronet, Stosspeng, Sweet Potato-Cured, Twelve Tones, Unipolar Dance, V&LSG.

Phill Niblock

 

Per oltre quarant’anni ha proiettato nella propria opera una visione intermediale del lavoro, associando musica minimalista, arte concettuale, cinema strutturale, arte sistematica o ancora politica, nella direzione di un cambiamento della percezione e dell’esperienza del tempo.

L’installazione audiovisiva che viene qui presentata è stata realizzata a partire dai materiali di The Movement Of People Working, una lunga serie di film realizzati da Phill Niblock tra il 1973 e il 1985 nelle aree rurali di paesi di tutto il mondo (Cina, Brasile, Lesotho, Giappone, Hong Kong, Messico, Ungheria, Romania, Perù).

Attraverso inquadrature semplici e sofisticate, con un montaggio secco e una gestione impeccabile dei colori, i film, con incredibile attualità, preannunciano le contraddizioni e i paradossi della globalizzazione.

La ripetitività dei gesti del lavoro manuale si associa con naturalezza all’apparente staticità dei suoni provenienti dalle composizioni elettroacustiche di Niblock, continuamente cangianti negli spettri sonori.

La musica che li accompagna esplora la struttura del suono ottenuto con microvariazioni organizzate in accordi molto densi ed eseguiti per lunghe durate. La combinazione di tessiture sovrapposte prodotte da strumenti tradizionali e di movimenti armonici graduali genera una musica estremamente originale e ipnotica. Suono e immagine si fondono in un flusso continuo che elude ogni riferimento temporale dall’interno di una pulsazione trascendente.

Le maioliche di Franzo Grande Stevens donate ai Musei Reali

Martedì 23 settembre 2025 Mario Turetta, Direttore Delegato dei Musei Reali di Torino, ha firmato l’atto di donazione di 146 maioliche della manifattura abruzzese di Castelli da parte dei figli Riccardo, Cristina e Sofia, eredi dell’Avv. Franzo Grande Stevens che danno così seguito alla sua volontà. “Nonostante nostro padre sia sempre rimasto legato alla città che gli ha dato i natali, la “sua” Napoli, ci ha sempre ricordato che non avrebbe mai potuto ottenere i suoi successi lavorativi, se non in una città come Torino. Lasciando la sua collezione, ha voluto così ringraziarla”.

 

“Siamo lieti di accogliere questa importante collezione raccolta con grande cura e passione da una delle personalità di primo piano nel panorama culturale torinese e che offre un sicuro arricchimento delle collezioni d’arte decorativa dei Musei Reali” dichiara Mario Turetta.

 

La collezione Grande Stevens è composta da oggetti che insieme documentano in modo esaustivo l’attività delle più importanti manifatture presenti nella città di Castelli d’Abruzzo (provincia di Teramo) tra l’inizio del Seicento e l’inizio dell’Ottocento, mostrando in maniera completa e attraverso esemplari di alta qualità stilistica la genesi, lo sviluppo e le caratteristiche di questa produzione. I manufatti sono attribuibili ai maggiori maestri castellani, appartenenti a dinastie specializzate nella lavorazione ceramica, tra cui si distinguono le famiglie Grue e Gentili, e illustrano l’evoluzione stilistica della maiolica, dal sobrio impiego del fondo bianco e dalla semplicità decorativa delle origini, fino ai molti esemplari istoriati di gusto barocco e rococò, impreziositi da allegorie, paesaggi, scene di genere e di caccia, composizioni pastorali e soggetti tratti dalla mitologia, dalla storia antica, dalle Sacre Scritture e dalla vita quotidiana. Le iconografie sono spesso ispirate a stampe di grandi incisori italiani quali Antonio Tempesta e Stefano Della Bella.

 

Nel corso del Seicento e del Settecento la maiolica di Castelli conobbe un significativo apprezzamento internazionale grazie alla raffinatezza dei motivi ornamentali, all’uso di una tavolozza brillante e preziosa composta principalmente da cinque colori (il giallo, l’arancio, il blu, il verde ed il bruno di manganese) e all’innovazione nelle tecniche produttive. Tale eccellenza influenzò le manifatture di altri centri abruzzesi e attrasse le committenze di importanti famiglie della borghesia e della nobiltà europea, nonché della corte imperiale russa, tanto che oggi i manufatti di Castelli sono conservati in alcune delle più prestigiose istituzioni museali del mondo, quali l’Ermitage di San Pietroburgo, il Metropolitan Museum di New York e il British Museum di Londra.

La collezione trova un coerente inserimento nelle raccolte dei Musei Reali in quanto il Palazzo Reale di Torino conserva alcune significative maioliche di Carlo Antonio Grue (1655-1723), allestite nel piccolo e raffinato Gabinetto delle Scritture private del re, all’ingresso della Galleria del Daniel, nell’Appartamento di Rappresentanza: inserite all’interno di una boiserie intagliata e dorata in stile rocaille, le dodici scene di forma circolare spiccano per la vivace policromia che nel tempo ha portato alla denominazione dell’ambiente di “Gabinetto delle Maioliche”.

 

Dopo un accurato studio la collezione Grande Stevens troverà posto lungo il percorso di visita dei Musei Reali.

 

Musei Reali di Torino (Piazzetta Reale, 1)

 

Informazioni: https://museireali.beniculturali.it/

 

“Apnea”, Weber & Weber ospita l’artista e fotografa francese Sylvie Romieu

 

Prosegue fino al 25 ottobre prossimo, presso la galleria Weber & Weber di via San Tommaso 7, a Torino, la mostra dell’artista Sylvie Romieu, dal titolo “Apnea”. Sylvie Romieu nasce nel 1960 Sigean, vive e lavora a Portel des Corbieres, in Francia. La sua prima mostra di fotografia fu allestita presso la Weber & Weber nel 2005, a seguire le personali del 2008-2012 e 2015. Ai loro esordi pochi artisti affrontano la sfida di descriversi e, soprattutto, quella di rappresentarsi dipinti. Diverso è il caso di Sylvie Romieu. Probabilmente è vivo nella maggior parte degli artisti il timore che l’immagine dello specchio rifletta solo una giovinezza che si mette alla prova, ma non l’intimità di un mondo già affermato. Essi dipingono, disegnano per offrire agli altrui sguardi dei paesaggi, degli oggetti, delle mistificazioni visive. La presenza di adulti e bambini, spesso mescolate con parentele reali e inventate, paesaggi, abitazioni famigliari rinnegati e graffiati sono una costante nell’opera di Romieu. Un altro aspetto che ritorna è il territorio che delinea la coscienza, l’idea di guardare qualcosa di bello con l’idea che possa nuocerci. Il percorso dell’artista è probabilmente influenzato da un processo di lutto o, più probabilmente, da un processo di lutti accumulati. Nelle opere dell’artista il movimento è ascendente, a spirale, a ondate successive, il centro è sospeso, vi è una spinta mobile che forza la nuvola di immagini verso un percorso a spirale. Sylvie Romieu è consapevole che l’arte non consista nel riprodurre categorie, non è né pensiero né sogno puro, ma quel buio o penombra che apre alla veggenza.

“Alcuni fotografi sono sul terreno dell’azione, altri stanno alla finestra ha commentato il curatore Claudio Isgrò –  Sylvie Romieu é una di queste.
Da sempre ci ha abituati a viaggi ed incontri statici. Dalla finestra il mondo non lo vede, lo risente e da questa lontananza ne percepisce gli echi, gli stati d’animo. Le immagini le si impsonono e chiedono visibilità. Rappresenta «l’assurdità umana» con l’arte della bellezza, del mistero, della delicatezza e della poesia. Costruisce materialmente e poi fotografa un mondo in miniatura, popolato da brandelli, rametti, soffi di polvere colorata e semi strappati al vento e alla natura del suo paesaggio natale.
Semi/Umani si affollano, si riparano, si proteggono come possono, con brandelli del pianeta che si sgretola, si scompone e si ricompone, spazzati dal vento violento che regna su questa pianura polverosa. Folle di umani spauriti di fronte alla tragedia? Utopia e distopia si affrontano. Qualcosa salverà il mondo?
Arthur Schopenhauer, il più pessimista tra i filosofi, trova un piccolo appiglio. L’Arte, la Morale della compassione e l’Ascesi.
Nell’Idiota di Fëdor Dostoevskij c’é una frase «La bellezza cambierà il mondo». Questa espressione, spesso citata come affermazione e non come questione, ne limita la complessità. Nel testo Ippolit si rivolge al principe Myškin «È vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza? […]. Il principe afferma che il mondo sarà salvato dalla bellezza! […]. Quale bellezza salverà il mondo? […] Il principe, che lo osservava attentamente, non rispose.»
Sylvie Romieu osserva il movimento umano. Costruire, distruggere e ricostruire. Camminare, cadere e rialzarsi mille e più volte in forma ipnotica come Pina Baush in «Café Muller»”.

Gian Giacomo Della Porta

“Equilibri”. In mostra alla Galleria “metroquadro”

Tutto l’astratto degli americani Monique Rollins e David Row

Fino al 25 ottobre

Monique Rollins, americana di Wilmington – Delaware, classe ‘80 (oggi residente fra States e Italia, in Toscana) e David Row, (americano di Portland, dove nasce nel 1949 e che lascia per vivere oggi a New York e nel Maine). Artisti “di casa”, o per lo meno già in più occasioni proposti da Marco Sassone, negli spazi della sua Galleria “metroquadro” di corso San Maurizio, a Torino. In comune, i due, hanno le origini natali e uno sviscerato amore, frutto di attenti studi e assidui contatti con i “grandi” del settore, per quell’arte genericamente definita “astratta”, ma vissuta dai due (e a incidere qui è forse anche una differenza d’età non da poco e di frequentazioni amicali e professionali assai diverse) su piani artistici ed emozionali apparentemente assai lontani fra loro. Già, perché si fa presto a dire “arte astratta”. Ma c’è “astrattismo” e “astrattismo”! Ci sono, solo per citare i grandi “iniziatori”, i Kandinsky, ma anche i Mondrian.

La libera fantasia e il gesto spontaneo a fronte dell’uso, per contro, di forme geometriche pure e di un approccio assolutamente razionale e strutturato al linguaggio di segno e colore. Nel primo caso, eccoci per mano a Monique Rollins, nell’altro a David Row. E allora perché  quel titolo dato alla rassegna: “Equilibri”? A ben vedere e a volerlo proprio cercare un perché c’é. Condividiamo infatti quanto scritto nella presentazione delle opere dei due: “Accostati, i due linguaggi – leggiamo – non si annullano ma si amplificano: la forza gestuale di Rollins trova un contrappunto nella precisione di Row, l’urgenza del colore incontra la calma della forma. In questo incontro, l’astrazione rivela la sua natura plurale, capace di contenere tanto la vertigine del sentimento quanto la chiarezza della costruzione”. Dunque: “equilibrio” come salvifica “differenza” (e non è un “paradosso”) necessaria, in un ben calibrato accostamento, ad “amplificare” le intuizioni e i messaggi segnici e cromatici dell’arte astratta. Dell’arte di Monique e di quella di David.

“Incontrare le opere di Monique Rollins – scriveva il critico Roberto Mastroianni in una mostra del novembre 2024 tenuta dall’artista sempre alla ‘metroquadro – fa lo stesso effetto che sentire una canzone di Jimi Hendrix: ci si trova davanti a immagini che sono un’alchimia di colori e forme, di suggestioni ed emozioni, ricche di una profonda musicalità”. Vero! Tant’è che a quella personale venne proprio dato il titolo di “Welcome to Electric Ladyland”, in memoria di quell’“Eletric Ladyland”, doppio vinile del ’68 firmato dal più grande chitarrista nella storia d’ogni tempo della musica rock. Le opere oggi esposte dalla Rollins si articolano in modo quanto mai vario aggirandosi all’interno di una produzione eterogenea incentrata su  dipinti a olio, acrilici, disegni a carboncino e collage di carta su tela, utilizzando differenti medium, tra cui matita, acrilico, acquerello, penna e inchiostro e, nell’ultima produzione, anche materiale tessile. Ad affascinare nelle sue opere è quell’imperterrito inseguirsi (alla De Kooning, in primis) di “linee caotiche e violente” tese alla ricerca o al contrario al voluto smarrimento di ogni definizione della struttura, senza mai dimenticare, però, la delicata magia del colore, ispirata ai toni del “Rinascimento italiano” (veneziano in particolare, sua specializzazione presso il “Pratt Institute” di New York) e da quel “rosa Tiepolo” mirabilmente capace di addolcire e ammorbidire gli indefiniti labirinti cromatici delle sue tele. Accanto, altra cosa.

Le pagine di “investigazione segnica e cromatica” (si intitolava proprio “Investigations” l’ultima sua mostra alla “metroquadro”) portata avanti da Row “attraverso forme, spazi, poligoni irregolari ed ellissi carichi – si è scritto – di grande energia ma bilanciati da un equilibrio e da una precisione formale, a loro volta fratturati e frammentati da sottili linee in vividi colori fosforescenti”. Allievo alla “Yale University” di Al Held (particolarmente noto per i suoi dipinti “Hard-edge” su larga scala, cui molto devono gli “spazi geometrico-luminosi” o “scivolosi”, come li definisce lo stesso Row), l’artista di Portland espone a Torino una contenuta serie di lavori a olio su carta “Arches”, ideati per la realizzazione di tele e tavole di dimensioni maggiori, ma assolutamente opere in tutto e per tutto perfettamente compiute (come le “Ellissi” e le grandi “X”) e vive di una loro ben specifica e lirica realtà. Grande architetto, Row, di universi rigorosi, come di “bislacche” geometrie nella fuga oltre i confini di un “narrato” pur sempre imbrigliato nella rigorosità del segno. Capita anche questo (ma sempre nella pacatezza dei toni) all’interno di “un perimetro irregolare che richiama il limitato campo visivo dell’uomo”.

Gianni Milani

“Equilibri. Monique Rollins e David Row”

Galleria “metroquadro”, corso San Maurizio 73/F, Torino; tel. 328/4820897 o www.metroquadroarte.com

Fino al 25 ottobre. Orari: dal giov. al sab. 16/19

Nelle foto: Monique Rollins “Ring My Bell” e “Spring Scape”, oil on canavas, 2018 e 2012; David Row “Study for Dept Grammar” e “Heartburn”, oil on Arches paper, 2017

Spazio Tonti celebra il genio dell’artista

Inaugurando, sabato 27 settembre a Sala Monferrato, lo Spazio Tonti, si avvera il sogno a lungo accarezzato, di creare uno polo permanente delle opere di un geniale artista qui vissuto dal 1999 al 2021, anno della scomparsa, dove trovò, tra la bellezza e la tranquillità dell’atmosfera collinare, il luogo adatto per le sue sperimentazioni.
Giorgio Tonti fu uno di quegli artisti cosiddetti Isolati, non perché insulare, rinchiuso nella torre d’avorio, distaccato dal contesto storico ma in quanto, non inserendosi in un movimento specifico, volle mantenere una propria identità accostandosi liberamente ad ogni espressione artistica che lo stimolasse rendendosene interprete ed innovatore al tempo stesso.
Con libertà di pensiero non cedette alle lusinghe delle mode e alle leggi di mercato che imponevano scelte obbligate nel periodo in cui spingevano all’arte aniconica, penalizzando l’arte figurativa. Pur sperimentando, con stile personale, anche l’arte non figurativa attraverso una continuità creatrice ed innovativa dell’astrattismo spiritualistico di Kandinsky e delle larghe, colorate campiture di Rothko, oltre alle informali graffiature di Wols e del geometrismo di Klee, mai Tonti volle una decisa rottura con l’immagine che desse corpo all’Idea privando l’arte dei valori storici e umani, cadendo in una sorta di nichilismo niechtzschiano. Si scoprirà un’arte complessa, dai sublimati significati profondi da parte di un uomo pregno di cultura umanistica, aperto ad ogni risvolto espressivo, ora sintetico e rigorosamente arcaico, ora, allacciandosi all’Art Brut con immagini sgradevoli ma belle in quanto arte, ora enigmatico ed ambiguo, come amava definirsi nel far scaturire sensazioni evocative di un mondo interiore al di là della scorza effimera della realtà visibile. Un’occasione in più per valorizzare non solo Sala ma l’intero territorio monferrino, rendendo in seguito uno spazio fruibile anche per ulteriori iniziative culturali.
Giuliana Romano Bussola 

La Reggia di Venaria presenta Fernard Léger dal 27 settembre 

Dal 27 settembre 2025 al primo febbraio 2026 la Reggia di Venaria si prepara ad accogliere negli spazi della Sala delle Arti al primo piano un’importante mostra dal titolo “Fernard Léger!  Yves Klein, Niki de Saint Phalle, Keith Haring”, esposizione che mette in luce il legame tra Fernard Léger (1881-1955) e il movimento dei nuovi realisti, fino ad approdare alla pop art e alle successive avanguardie.
La Reggia di Venaria, dopo un triennio di collaborazioni con la Tate Gallery, rivolge ora il suo sguardo museale alla Francia, attraverso questa esposizione  co-organizzata dal Consorzio delle Residenze Reali Sabaude, insieme a Grand Palais RMN, ai Musées nationaux du XXe siècle des Alpes- Maritimes, in particolare al Musée d’Art Modern et d’Art Contemporaine (MAMAC) di Nizza, che si avvale della collaborazione di Manifesto Expo e MondoMostre.
A curare l’esposizione, costruita sulle collezioni dei musei  francesi  che hanno co-organizzato la mostra, è  stata Anne Doppfer, direttrice dei Musei Nazionali del XX secolo delle Alpi Marittime, con la collaborazione di Rebecca  François del MAMAC di Nizza e di Julie Gutierrez del Musée Léger di Biot.

La mostra rappresenta la terza tappa di un’esposizione che è  stata già  due volte protagonista in Francia.  L’edizione italiana si arricchisce di prestiti ulteriori, tra cui un gruppo di opere di Niki de Saint Phalle provenienti dal MAMAC di Nizza.
Sono più di trenta le opere di Léger in mostra e poste in dialogo con lavori di artisti che, a partire dagli anni Settanta, hanno dato vita a nuove avanguardie sia in Europa sia in America. In particolare l’esposizione si concentra  sul rapporto tra il maestro e il gruppo del Nouveau Réalisme, che venne fondato nel 1960 dal critico Pierre Restany e che andò  via via arricchendosi di artisti quali Arman,  César, Raymond Hains, Yves Klein e Niki de Saint Phalle.
Attraverso l’uso di materiali quotidiani e l’appropriazione poetica della realtà urbana, questi artisti si confrontarono con la società dei consumi.
L’esposizione si sviluppa secondo quattro sezioni tematiche.  La prima è intitolata “I cinque elementi” e sviluppa un’indagine sul dialogo tra colore, natura e modernità.  Già nel 1924 Fernand Léger riconosce il colore come un elemento vitale, al pari dell’acqua e del fuoco. Su questa strada proseguono i nuovi realisti, creando un’arte di gesti in dialogo con natura e società.
La seconda sezione si intitola “La vita degli oggetti” e qui emerge il ruolo centrale dell’oggetto nella ricerca di Léger e dei Nuovi realisti . Nel ’45 Léger afferma che l’oggetto deve diventare protagonista e sostituire il soggetto. Già negli anni Venti l’artista si era allontanato dalla rappresentazione mimetica, aveva liberato forme e colori e conferito agli oggetti un valore artistico autonomo.
La terza sezione intitolata “L’arte è la vita” evidenzia il rapporto di Léger con i cambiamenti sociali del suo tempo. L’artista celebra il dinamismo del mondo moderno, i nuovi stili di vita e il tempo libero che man mano conquistano le classi popolari negli anni Trenta. La stessa visione che troveremo negli anni Sessanta nelle celebri opere Nanas di Niki di Saint Phalle, allegorie ricche di colore che indicano libertà e emancipazione.
Nell’ultima sezione, dal titolo “La bellezza è  ovunque”, Léger affronta, accanto ad opere di pittura da cavalletto, opere decorative  e monumentali pensate per l’architettura,  convinto che il colore possa avere un valore sociale ma anche terapeutico.

Accanto al confronto tra Léger e i nuovi realisti, la mostra indaga in profondità anche il confronto tra l’artista e la street Art degli anni Ottanta,  con esponente  Keith Haring, che trasforma i muri di New York in spazi collettivi, confermando che l’arte non deve essere elitaria, ma accessibile a tutti. Il confronto si arricchisce di un parallelismo con la pop art americana, con artisti come Robert Indiana e May Wilson e le sperimentazioni degli anni Settanta e Ottanta di cui sono protagonisti Keith Haring a New York e Gilbert & George a Londra.

Reggia della Venaria Reale

Sala delle Arti I piano

Da sabato 27 settembre 2025 a domenica 1 febbraio 2026

Mara Martellotta

Quando l’arte contemporanea si ispira all’arte classica, “Vedova Tintoretto in dialogo”

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Il contemporaneo e l’antico dialogano tra loro in una mostra d’eccezione che apre venerdì 19 settembre 2025, presso Palazzo Madama-Museo Civico d’Arte Antica, in piazza Castello, a Torino, dal titolo “Vedova Tintoretto in dialogo”. Curata da Gabriella Belli e Giovanni Carlo Federico Villa, l’esposizione è stata possibile grazie alla collaborazione tra il Museo Civico d’Arte Antica di Torino e la Fondazione Emilio e Annabianca Vedova.

“Il progetto dell’esposizione prende avvio dalla straordinaria opportunità di ospitare a Torino una delle ultime opere della parabola umana e artistica di Tintoretto: l’Autoritratto del 1588, in prestito dal Musée du Louvre – ha dichiarato Massimo Broccio, presidente della Fondazione Torino Musei – si tratta di un progetto di grande qualità e conferma il ruolo di Torino Musei in quanto piattaforma attiva di promozione culturale. La mostra ci regala un percorso espositivo che sa mettere in parallelo le opere dei due maestri veneziani: Emilio Vedova e Tintoretto, a cui Vedova si ispirò per gran parte della sua opera”.

Un eccezionale percorso espositivo concepito per accostare l’arte di due grandi pittori veneziani, ciascuno tra i massimi interpreti della propria epoca. Jacomo Robusti, detto il Tintoretto ( Venezia 1518-1594) e Emilio Vedova (Venezia 1919-2006), letti in parallelo, così da affrontare lo sviluppo dell’opera di Vedova nel suo confronto con quello che è stato il suo maestro d’elezione, indagando similitudini e temi consonanti o contrastanti alla base delle singole scelte espressive. Tintoretto è stato fondamentale nella maturazione artistica di Vedova. La mostra di Palazzo Madama sottolinea l’impeto dell’articolato rapporto che lega i due artisti attraverso l’accostamento di capolavori del maestro rinascimentale e dell’artista esponente dell’informale.

“Questa mostra è la prima che si inaugura senza l’avvocato Alfredo Belli, che è stato presidente della Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, recentemente scomparso, e che è stato anche l’artefice del mio coinvolgimento in questo progetto – dichiara la curatrice Gabriella Belli – Per la prima volta questa mostra delinea con estrema scientificità e cura i processi della formazione e il pensiero del giovane Vedova sui testi pittorici del Tintoretto. Il percorso, ordinato e visionario allo stesso tempo, proietta il pubblico nella piena maturità del pittore veneziano quando era ancora forte il debito verso la pittura incandescente e premonitrice di Tintoretto. L’intensità si coglie anche nella monumentale opera di Vedova intitolata “In Continuum”, cento e più tele, un lavoro unico, quasi un omaggio in felice competizione con lo sforzo creativo dei grandi teleri veneziani del suo profeta Tintoretto. Questa mostra mette in risalto anche l’ossessione di Vedova per l’autoritratto, sottolineando quanto quest’ultimo guardi al Tintoretto. Dal 1942 in poi il Tintoretto diventa una vera e propria scuola per Emilio Vedova, che vi si ispira per i parametri che riguardano la luce, l’ombra e la spazialità. Dal 1947 Vedova vira verso il concetto dell’astrazione, dove è oggi possibile cogliere l’anima della sua opera e di quella di Tintoretto”.

“Questo formidabile dialogo sul farsi dell’arte è stato fortemente voluto da Palazzo Madama – afferma il curatore della mostra Giovanni Carlo Federico Villa – per evocare il ruolo dei Musei Civici di Torino così come furono voluti e concepiti da Vittorio Viale, tra i più significativi direttori europei del Novecento. Viale ha portato a Palazzo Madama il Museo Civico e ha creato la GAM Galleria Civica d’Arte Moderna, una delle più importanti d’Italia. Infine ha strutturato con Luigi Carluccio delle mostre definibili epocali. Al magistero di Viale (1891-1977) questa mostra è dedicata. Una precisa riflessione sull’antico capace di generare il contemporaneo. È stato importante trovare in Tintoretto l’accostamento giusto per Emilio Vedova in quanto il primo ha accorpato la tecnica del disegno di Michelangelo al colore di Tiziano, esaltato nel corso dei secoli dal genio romantico dell’inglese Ruskin (1819-1900) ‘Non sono mai stato così completamente annichilito da una mente umana quanto lo sono stato oggi osservando Tintoretto’ e dalle penne di Goethe, Stendhal o Henry James”.

Emilio Vedova scriveva:”Tintoretto è stato una mia identificazione. Quello spazio appunto, una sede di accadimenti. Quella regia a ritmi sincopati e cruenti, magmatici di energie, di fondi interni di passioni, di emotività commossa […]”

Per Vedova, Tintoretto ha rappresentato la quotidianità di una consuetudine con chiese, scuole e palazzi di Venezia, in quanto autodidatta. Consuetudine che è stata fondamentale per trovare il proprio maestro, l’unico che è riuscito a rivelargli il segreto per trasformare la tecnica da strumento espressivo di belle forme in una lama affilata capace da incidere nella storia. Da Tintoretto trae ispirazione per temi e contenuti, ricava insegnamenti basilari per dominare lo spazio della tela, tradurre in colore la luce delle sue composizioni, modellare nel gesto rapido senza esitazione le forme, che scaturiscono dal suo nuovo segno che, già dal 1948, lascia da parte ogni tentazione figurativa per risolversi in astrazione, giungendo infine alla sequenza indimenticabile dell’opera “In Continuum”, “Compenetrazioni/traslati”, del 1987, a riprova di quanto l’incontro di una vita abbia reso grande anche il discepolo.

Info: palazzomadama@fondazionetorinomusei.it

Telefono: 011 4433501

Orari: Lunedì e da mercoledì fino a domenica 10-18 / martedì chiuso

Mara Martellotta

Quella “costante blu” che invade la natura e le strade del borgo antico

Una mostra da vedere nelle sale di Villa Casalegno a Pianezza

Un’estate impegnativa ma immancabilmente ricca di soddisfazioni quella della pittrice Ines Daniela Bertolino. Una prima collettiva nelle sale della Biblioteca Civica di Carignano, curata da chi scrive queste note, poi altre due ad Avigliana e Chieri, a fine agosto il successo di “Flores et arbores”, una bella personale all’interno del castello dei Della Rovere a Vinovo, adesso – sino al 5 ottobre – ancora una personale nelle sale di Villa Casalegno a Pianezza (via al borgo 2), “…bisbigliano i nidi nell’ombra”, non soltanto ancora una volta la poetica di un sogno, con soggetti e con il tema della Natura che le sono cari ma bensì un omaggio alla città alle porte di Torino che la ospita, con le facciate delle sue ville antiche, villa Casalegno o villa Leumann, dove pare che il tempo si sia fermato – dove ti pare di intravedere ancora gli abiti lunghi e gli affanni delle servente e i giochi dei bambini come le ombre che le hanno attraversate -, gli squarci delle stradine ombreggiate, con le scalinate appartate e gli angoli esterni delle chiese, i piccoli arbusti che s’arrampicano lungo le pareti delle case. Una mostra che è il corollario a quello stendardo che Bertolino ha creato, quest’anno, in occasione del Palio dij Semna-Sal, che si corre la terza domenica di settembre, nelle vie che circondano il borgo antico: uno stendardo preparato a ricordare il sacrificio eroico della popolana Maria Bricca, che nel 1706 corse a liberare il piccolo paese e la comunità dall’assedio delle truppe francesi che si erano insediate nel castello.

Una trentina di lavori, di differenti dimensioni, piccoli acquerelli e acrilici come ampie tele che racchiudono la medesima tecnica e che derivano da vecchie lenzuola, trattate in precedenza e pronte per essere ricoperte di colori. Non ultimo quel profondo blu – acuto, disseminato per macchie, sparso a invadere le superfici, che in altre occasioni ha già circondato piccoli animali, tronchi nodosi o paesaggi invernali, filari ricoperti dalla neve (i paesaggi della Langa) o rose solitarie o balconi magnificamente fioriti, spazi di Storia come la Mole o la Sagra di San Michele: oggi inconfondibile sfondo di alberi, di merli e di capinere, scriccioli e pettirossi, abbondantemente mescolato al verde dei prati e dei giardini, ombra poggiata dal sole sulle tante costruzioni oppure quella dell’imbrunire che invade gli spazi cittadini – che pare ormai essere la costante, la cifra distintiva dell’artista. Oggi l’artista guarda al nido, piccolo spazio che “ci parla della fragilità e ciclicità dell’esistenza, ci ricorda la crescita e il perpetuo rinnovamento della vita”, lo esplora in quei tratti finissimi e concentrici, nell’intessitura degli esili rami, esplora i colori degli uccelli, squillanti, vivissimi, i piumaggi che paiono un raffinato intarsio, i cinguettii per noi silenziosi e le posizioni, precisamente osservate, sui rami, a cui difficilmente abbiamo badato.

Leggiamo, sotto un nuovo sguardo, il paesaggio, ne guardiamo con attenzione i particolari e la tranquillità, il riposo che circonda le cose, animate e no, ci sentiamo spinti ad abbracciare una nuova filosofia. Un nuovo modo di percepire, di cogliere e di fare nostro questo ambiente per cui troppe volte si vocifera per frasi fatte: non è soltanto la tecnica, ormai cresciuta negli anni di professione e pronta a elevarsi visivamente ancora, a catturare lo sguardo di chi visita questa, come ogni altra, mostra di Bertolino ma è il nostro intimo ad ammirare la semplicità e i messaggi, le suggestioni che da queste opere nascono, il sentimento del tempo e delle cose, le intensità e le morbidezze, le trasparenze e le sonorità cromatiche, l’importanza che ogni più piccola creatura viene a possedere come la propria momentanea sospensione, tra il tempo e il luogo, la morbidezza di tratto che rispecchia un carattere, un atteggiamento, un modo gentile di porsi della pittrice al suo pubblico.

Gli orari di apertura della mostra sono: 19 e 26 settembre ore 15,30 – 19; nei giorni 14 – 20 – 21 – 27 – 28 settembre e 4 e 5 ottobre dalle ore 10,30 alle 12,30 e dalle 15,30 alle 19,00.

www.inesdanielabertolino.it

Elio Rabbione

Nelle immagini, alcune opere di Daniela Bertolino esposte nella mostra “…bisbigliano i nidi nell’ombra”.