ARTE- Pagina 10

Una città regale, le grandi famiglie e le preziose collezioni

Nelle Sale delle Arti della Reggia di Venaria, sino al 7 settembre

Vedrai una città regale, addossata ad una collina alpestre, superba per uomini e per mura, il cui solo aspetto la indica signora del mare”, affermava nel 1352 Francesco Petrarca, mentre Montesquieu, al termine del secondo decennio del XVIII secolo, emetteva il proprio giudizio pesante come un macigno: “I Genovesi non si raffinano in nessun modo, sono pietre massicce che non si lasciano tagliare. Quelli che sono stati invitati nelle corti straniere, ne son tornati Genovesi come prima.” E non sai bene, ancora oggi, se il giudizio suoni lodevole caparbietà o presunzione. Due scrittori, due osservatori a guardare con occhi acuti ad una città che, con la sua maestosità, con l’eleganza, con la storia, con il suo stesso mare, dal 10 aprile – e fino al 7 settembre – occupa le Sale delle Arti al secondo piano della Reggia di Venaria con la mostra “Magnifiche collezioni. Arte e potere nella Genova dei Dogi”, a cura di Gianluca Zanelli, Marie Luce Repetto, Andrea Merlotti e Clara Goria, Genova città di patriziato ma una Repubblica con a capo un doge che, dal 1528, rimarrà in carica due anni, famiglie che si contendevano l’elezione, che mettevano in campo sfarzo e prestigio, prestigiose alleanze e protezioni, che allineavano saloni e ospitalità, servitù e carrozze, quelle collezioni che sono l’anima della mostra. Per secoli, i medesimi nomi, i Pallavicino, i Doria, gli Spinola, i Balbi, le collezioni oggi conservate a Palazzo Spinola della Pellicceria, qui un centinaio e oltre di opere tra dipinti, sculture, argenti e arredi, tra Sei e Settecento, la ricchezza delle raccolte ma soprattutto il racconto (e gli esempi splendidi) dell’affermazione di sé, dogi e cardinali – a ostentare la lucentezza dell’abito e della berretta, come Giovan Battista Spinola affida il proprio successo al pennello del Baciccio alla fine del Seicento -, politici, monache e nobildonne, ogni immagine rivolta al culto della persona, ogni tela o tavola pensata “ad maiorem domini gloriam”.

Suddiviso in sei sezioni e tredici sale – per apprezzare veramente quel che significhi “Superba” il visitatore non dimentichi e non si perda per un lungo attimo la bellezza delle grandi tele, i nomi sono quelli di Rubens, di Guidobono, di De Ferrari, e l’allestimento che Loredana Iacopino ha inventato e che nella ampia sala finale raggiunge l’apice della bellezza e della magnificenza, tra pareti e un pavimento riflettente che riporta alle porte di Torino la calma del mare genovese -, un percorso artistico in cui svettano Antoon van Dick (il pittore era giunto, appena ventiduenne, in città nel 1621: uno dei suoi capolavori è il “Ritratto di Caterina Balbi Durazzo”, eseguito in occasione delle nozze della fiera ed elegante signora) e Rubens (in città dal 1604, a lui si deve la redazione del volume “I palazzi di Genova”, uno studio illustrato delle più grandi e aristocratiche dimore): il suo “Ritratto di Giovan Carlo Doria a cavallo”, opera che s’inserisce tra gli anni 1607 e 1608, vero “manifesto di potenza”, apre il percorso della mostra, ricco di riferimenti simbolici, il cane come segno di fedeltà, l’aquila a immagine della casata, la foga del cavallo a contrasto della calma del cavaliere ovvero “l’uomo che con le sue virtù riesce a vincere sull’istinto”, la rossa croce dell’Ordine di San Giacomo aggiunta pochi anni più tardi; e con loro Orazio Gentileschi, Guido Reni, Luca Giordano, Carlo Maratti e poi ancora Angelica Kauffman e Hyacinthe Rigaud e quanti furono i maestri della grande scuola figurativa genovese come Bernardo Strozzi, Domenico Piola, il Grechetto, al secolo Giovanni Benedetto Castiglione, e Gregorio De Ferrari, sino allo spegnersi della grande Gloria in un infelice tramonto con le tele di Anton von Marton, morto a Roma nel 1808, davvero autentico canto del cigno.

Di luci e ombre tutte caravaggesche è costruito “Qui vult venire post me” (conservato nel Rettorato dell’Università degli Studi torinese) di Giovanni Battista Caracciolo, detto Battistello, uno dei primi seguaci del pittore a Napoli, proveniente dalla quadreria genovese di Marcantonio Doria, fratello maggiore di Giovan Carlo, acquistato nel 1614 tramite il procuratore della famiglia nel capoluogo campano. Poco oltre, ancora Van Dick a darci l’immagine – seppur oggi frammentaria – del piccolo Ansaldo Pallavicino, figlio del doge Agostino, che trentenne acquisterà il palazzo di piazza Pellicceria dando vita a una quadreria che sarà il vanto della casata, prediligendo l’artista nato nelle Fiandre e il fantasioso Grechetto (qui presente, tra l’altro, con “L’entrata degli animali nell’arca”, un incredibile quanto variopinto insieme di cani e pappagalli, di capre e gatti, di oche e tacchini e vettovaglie). Le sale d’esposizione ci fanno sempre più immergere in quel desiderio di essere ritratti, di tramandare la propria immagine, una celebrazione che coinvolgeva una pittura non per il tempo presente ma per il futuro. S’allineano il “Ritratto del doge Pietro Durazzo” del Mulinaretto, una scenografia ad effetto, il prorompente color porpora, i segni del potere posti in bella vista, quello di Anton Giulio II Brignole-Sale, il proprietario di Palazzo Rosso, ambasciatore alla corte di Parigi, tramandato da Hyacinthe Rigaud, la nobildonna in veste d’Astrea (di Nicolas da Largillière, dal prestigioso prestito del Sovrano Ordine Militare di Malta) e il “Ritratto di monaca”, dovuto al grande Bernardo Strozzi, mirabile ritrattista, in quei tocchi di bianco che la mano del pittore deposita vistosamente corposi: gli ultimi due appartenenti – capolavori della sala 8 – alla raccolta della famiglia Balbi (banchieri, che all’inizio del Seicento fondarono una strada che porta il loro nome), Francesco Maria prima e Costantino (questo passato all’immortalità con il ritratto di Pellegro Parodi), con cui si scavalca il secolo d’oro per arrivare al Settecento, poi, compositori di una raffinata quadreria, patrimonio diviso due generazioni dopo e per una serie di vicende ereditarie confluito in parte – nel 1824 – nelle raccolte di Palazzo Spinola di Pellicceria.

Molto ancora andrebbe citato di questa mostra, che l’appassionato d’arte non dovrà lasciarsi sfuggire, e del carico di Storia che la contiene (esemplarmente formulate le targhe esplicative a corredo), genovese ed europea in un abbraccio più largo. Certamente “L’ultima cena” del Procaccini, bozzetto preparatorio per la monumentale tela commissionata da un anonimo nobile milanese per il refettorio del convento genovese della Santissima Annunziata – uno dei tanti esempi della predilezione che i Doria ebbero per il pittore bolognese, la proprietà invidiata di settanta e più dipinti -, le grandi tele del Grechetto, “L’aria e il fuoco”, “La terra e l’acqua”, “L’adorazione dei Magi” del Baciccio, la luce con cui Orazio Gentileschi ci trasmette il “Sacrificio d’Isacco” (appartenuto un tempo al nobile Pietro Gentile, grande estimatore di Orazio come della figlia Artemisia).

Le ultime sale ci danno la presa di coscienza da parte degli ultimi rappresentanti di un grande passato dello sconquasso che s’aggirerà per l’Europa sul finire del Settecento, nel dipinto della Kauffman a rappresentare Paolo Francesco Spinola c’è la calma ma la eguale consapevolezza del cambiamento di governo, della fine dei privilegi, dell’avvento dell’impero napoleonico. L’ultimo sguardo è, attraverso l’incisione di Antonio Giolfi del 1769, sulla prospettiva della Strada Nuova, oggi via Garibaldi, sui suoi palazzi, sui suoi signori e le ricchezze, il passeggio dei signori e il lavoro dei servi, sulle tante collezioni che hanno fatto importante e preziosa una intera epoca.

Elio Rabbione

Nelle immagini di Giuliano Berti alcuni allestimenti della mostra; Peter Paul Rubens, “Ritratto di Giovan Carlo Doria a cavallo”, olio su tela, 1607 – 1608, Galleria Nazionale della Liguria; Orazio Gentileschi, “Sacrificio di Isacco”, olio su tela, 1612 ca., Galleria Nazionale della Liguria; Antoon va Dick, “Ritratto di Caterina Balbi Durazzo, olio su tela, 1624, Palazzo Reale di Genova.

Gli “Appunti di volo” di Fernanda Core

In mostra a Cella Monte 

Attraverso la mostra “Appunti di volo” Fernanda Core, con  grande capacità tecnica e stile personale, affronta un tema contemplato sino dai tempi antichi in vari modi, dalla mitologia alla filosofia, dalla letteratura alla musica, dalla religione alla scienza.

Ancora oggi affascinano il mito di Icaro che sfidò il sole con ali di cera, la teoria di Platone nel dare alla filosofia il compito di volare verso la conoscenza, Charles Baudelaire cantore, nei suoi  “Le Fleurs du mal” dell’Albatros goffo in terra ma elegante in volo, la psicanalisi di Freud con l’interpretazione dei sogni, tra cui quello di volare insito nell’uomo.

L’arte figurativa ha trattato il tema, in pittura e scultura, con capolavori quali la dea di Samotracia dalle grandi ali spiegate a cui  Pitocrito ha dato il nome di Nike, personificazione della vittoria ed anche i disegni delle macchine volanti di Leonardo che uniscono l’arte alla scienza; senza dimenticare in tempi a noi più vicini la rappresentazione dell’Icaro danzante tra le stelle, con un cuore rosso sul petto segno di slancio vitale trattato da Henry Matisse, oltre al dipinto di Chagall che con Bella volteggia sopra Vitebsk  abbandonando a terra le ingiustizie e le paure.

Come asseriva Freud, l’arte non rappresenta dunque la sublimazione di un meccanismo di difesa che allontana le cose spiacevoli facendo nascere il desiderio di volare al di sopra di esse?

Fernanda Core accoglie questa teoria affermando “con la mia pittura voglio creare un mondo in cui immergermi quando, come ora, la cronaca è dura, difficile dal edulcorare, per certi versi insopportabile.”

La sua poetica è improntata alla bellezza che deriva dal volo mentale, tradotto sulla tela nei luoghi del cuore a lei cari come le montagne della Val d’Ayas, il Monferrato e l’America ma anche dalle suggestioni lasciatele  dai grandi capolavori dell’arte passata.

Spesso infatti è stimolata dalle figure alate, in particolare di Vittore Carpaccio e Piero della Francesca, giocando con geniali trasformazioni e trasposizioni come nel “Sogno di sant’Orsola “ in cui l’angelo di Vittore, immobile sulla porta della camera, scompare volando in un  turbinio di linee di dinamicità futurista, abbandonando una leggera piuma allusiva delle ali.

Allo stesso modo nel “Retablo della notte di Natale” l’angelo musicante della “Natività” di Piero, viene fatto volare sopra il paesaggio del doppio ritratto di Federico da Montefeltro e Battista Sforza con l’aggiunta dello splendido putto alato che suona il liuto di Rosso Fiorentino.

Attraverso un salto di secoli, ci troviamo nel clima del romanticismo tedesco di Kaspar Friedrich, intriso di panteismo mistico delle “Due dame di Challant” di  “Mitterand” e della “Luna piena sul Cres” accogliendo la poetica del Sublime nel contemplare l’incommensurabilità del creato sovrastato da aquile ad ali spiegate.

Un’atmosfera magica traspare dalla riproduzione esatta delle splendide montagne di Segantini in “Maloja” dove la Core riporta però alla vita reale aggiungendo due bimbi che giocano a palle di neve.

Enigmatica ed esoterica in “Endorfine” la grande rosa aperta in massima fioritura da cui prende il volo una farfalla gioiosa.

Con “L’hommage a Magritte” siamo in pieno surrealismo  in quanto la chioma di un albero è rappresentata da una pallina da golf.

Un  sottile gioco tra realtà e immaginazione avviene anche nella bellissima acquaforte  acquarellata “Mein land ist nicht Mailand” con un profilo femminile sul cui capo campeggia un cappello su cui si posa un paesaggio del Monferrato.

Un’immersione nel visionario avviene in  “A che punto è la notte?” attraverso il volo di una donna le cui ali hanno lo stesso colore di quelle dell’angelo di Beato Angelico in una annunciazione,  mentre scappa verso un mondo migliore.

Interessante la sezione dedicata a piccoli quadri che confermano l’anelito alla pace  della pittrice trovata in alcuni luoghi in cui la natura è silente, i bambini sono innocenti e gli animali hanno uno sguardo amico e sincero.

Tra i tanti paesaggi troviamo “Il vecchio paese di Champoluc”, “Tramonto a Moleto”, “La chiesa di san Quirico” avvolti nel silenzio e nella natura incontaminata.

Fernanda riesce a trasmetterci  tutto questo con empatia cognitiva alimentando l’interesse degli spettatori facendoli coinvolgere nel grande mondo dell’Arte.

Giuliana Romano Bussola

La bellezza femminile, da Botticelli a Mucha alle divine del cinema muto

Nelle Sale Chiablese, sino al 27 luglio

 

Un percorso lungo più di quattro secoli si snoda attraverso le sale Chiablese, in piazzetta Reale (curato in collaborazione con Arthemisia con la ricchezza di oltre cento opere, sculture disegni dipinti, prestiti da musei nazionali e internazionali e raccolte private, dalle collezioni sabaude, da Annamaria Bava, sino al 27 luglio), andando “Da Botticelli a Mucha”, un percorso attraverso “bellezza, natura, seduzione” che riserva nell’ultima piccola sala gli sguardi e i veli, gli occhi a tratti allucinati e le movenze azzardate, i sorrisi delle bellissime e sospirose di quel cinema muto che ai primi anni Dieci dello scorso secolo enumerò Sarah Bernhardt e la sua rivale italica Eleonora Duse, che avrebbe girato nel ‘16 il solo “Cenere” di Febo Mari, Lyda Borelli e Francesca Bertini dalla lunga vita, con un ultimo applauso per la sua monaca nel “Novecento” di Bertolucci, sino a Lina Cavalieri, ovvero “la donna più bella del mondo” con il viso e le curve in seguito della Lollo, immortalata da Boldini, regina del Salone Margherita, “massima testimonianza di Venere in terra”, secondo il conio di Gabriele D’Annunzio, travolta nel ’44 durante un’incursione aerea alleata.

Undici sale e dieci sezioni, un percorso attraverso le tante forme di rappresentazione della bellezza, dell’eterno femminino, espresso in più differenti declinazioni, ad iniziare dai disseminati bassorilievi archeologici di età romana, e statue, al Quattrocento di Sandro Botticelli con la sua “Venere” (1485-1490, sinuosa ed elegante “espressione di un ideale di bellezza umanistico di stampo neoplatonico”, probabile ritratto di quella Simonetta Vespucci che fu amata da Giuliano de’ Medici, bellezza senza pari del proprio tempo: una versione pressoché identica è conservata alla Gemäldegalerie di Berlino) che trovò posto nelle collezioni Gualino dopo l’acquisto degli anni Venti – ora in bella e definitiva mostra alla Galleria Sabauda a cui il mecenate l’aveva destinata nel 1930: opera che finì nelle mani della Banca d’Italia allorché il regime, per nulla soddisfatto della disobbedienza dell’imprenditore, decretò il confino e una infelice requisizione, che portò l’opera ad arricchire significativamente gli arredi dell’ambasciata italiana a Londra. Sulla parete della sala odierna, s’allineano altresì i risultati delle indagini diagnostiche compiute sull’opera tra il 2020 e il 2023, i particolari e le correzioni, i ripensamenti dell’artista, e anche questo è manna per l’appassionato d’arte. La dea, simbolo altresì della forza generatrice della natura, avvicinata qui all’opera dallo stesso titolo di Lorenzo di Credi, dove più è considerata la plasticità del soggetto, gareggia in bellezza con il “Volto di fanciulla” disegno autografo di Leonardo, realizzato tra il 1478 e il 1485 circa e proveniente dalla Sabauda (il visitatore potrà accedere al nuovo “Spazio Leonardo” posto al primo piano, previo l’acquisto del biglietto combinato Mostra + Musei Reali e/o dei soli Musei Reali).

La seconda sezione vede un omaggio al Mito di Elena, bellezza e femminilità immortalate nelle tavole del tardo Cinquecento di Lambert Sutris e da due splendidi arazzi posti ad inizio del secolo successivo, dovuti alla Manifattura di Bruxelles, come dal gruppo marmoreo rappresentante “Il ratto di Elena” di Francesco Bertos (1738). E ancora le tre Grazie, considerate fin dall’antichità la personificazione in toto della grazia femminile, l’arte di Canova in tre disegni – un nudo femminile, un gruppo di ninfe con un amorino e un disegno a carboncino ritenuto uno dei più intensi tra i fogli preparatori per il celebre gruppo scultoreo, provenienti dalle collezioni della Biblioteca Reale ne mostra tutta la bellezza. Un’eleganza e una aggraziata raffinatezza che ritroviamo più in là con il gruppo “La danza” del torinese Edoardo Rubino. La successiva sezione ci fa conoscere il “Taccuino romano” di Girolamo da Carpi, ferrarese, attivo nella prima metà del Cinquecento, pittore e architetto affermato, dedito qui a quello che viene considerato il suo capolavoro, schizzi a raffigurare monumenti romani e sculture antiche, un grande album contenente 180 fogli, disegnati tutti su entrambi i lati, oggi smembrato e diviso tra la Biblioteca Reale di Torino, che ne detiene il maggior numero, ben novanta, il Rosenbach Museum&Library di Philadelphia e il British Museum londinese. Quanto attiene alla “meraviglia della natura”, è proprio del trionfo degli “album naturalistici” di Carlo Emanuele I, la natura intesa come dispiegamento di forze vitali, la rappresentazione coloratissima di fiori e pesci e uccelli, tavole che all’inizio del Seicento facevano parte della “camera delle meraviglie” del duca.

Con intenso interesse si guarda al “fascino dell’arte classica” e all’influenza che essa ebbe nella nascita del nostro Rinascimento. I punti d’attenzione sono Firenze e Roma, ma anche la meno importante Padova, grazie alla lunga permanenza del genio di Donatello e con l’influenza che certe sue opere ebbero ad esempio sugli allievi della bottega di Francesco Squarcione, quali Mantegna, Marco Zoppo e il dalmata Giorgio Schiavone, di cui dalla Sabauda arriva la “Madonna con il bambino”, una tavola composta tra il 1456 e il 1460, una rispettosa quanto vivace rivisitazione del mondo antico in quel maestoso arco trionfale  che avvolge la Vergine, in quegli inserti di marmi policromi e porfido, nei festoni di frutti e nei putti, alcuni in carne e ossa, altri come bronzetti animati. Ancora i nomi di Macrino d’Alba e del Garofalo, ancora il gusto per le “grottesche”, sviluppatesi con il primo venire alla luce della Domus Aurea neroniana, un tripudio inarrestabile di figure umane e mitologiche, di oggetti e di mostri, di prodotti del mondo vegetale, che coinvolgono con successo i nomi di Perin del Vaga e Giovanni da Udine, come quello di Baccio Bandinelli di cui s’ammira un foglio con “Due studi di figure femminili”, come non si passa indifferenti dinanzi all’imponenza della testa colossale proveniente da Alba, forse appartenente a una divinità femminile.

“L’universo della bellezza femminile” si alterna tra la virtù e la castità, “allegorie” che ancora una volta prendono a prestito il corpo femminile in tutta la sua avvenenza, l’immagine di Lucrezia emblema di eroismo e di forza morale, le varie Sibille in sei tele sono opera di Orsola Maddalena Caccia, monaca e pittrice, figlia di Guglielmo denominato il Moncalvo dal piccolo centro piemontese dove trascorse la maggior parte della vita e morì, un ciclo proveniente dal palazzo della famiglia Dal Pozzo del ramo di Castellino, in Moncalvo, una delle testimonianze più alte della produzione dell’artista; “Regine, principesse e belle di corte”, visi regali vissuti tra il Seicento e l’inizio del Settecento, trentasette ritratti femminili raccolti nell’Appartamento dei Principi di Piemonte (qui ne sono esposti sedici) tra gioielli preziosi e abiti sontuosi, giochi di ricami e passamanerie, non ultimi esempi di signorilità la Contessa di Castiglione, seducente agente segreto pronta a far breccia nel cuore dell’Empereur, e Margherita di Savoia, grazie ai pennelli di Michele Gordigiani (nel 1872), prima regina d’Italia che vede crescere la propria popolarità presso i sudditi grazie ai molti viaggi e alle pubbliche cerimonie, presenti entrambe in omaggi che guardano già alla fotografia. E l’incantevole Sissi, dalla tragica fine, resa celebre dai film della Schneider. Il finale che suona “Incanto e seduzione tra Ottocento e Novecento”, dove sono le prove importanti di Giacomo Grosso (“Nudo di donna”, 1915, dallo sguardo carico di sensualità nascosto dietro il braccio destro ripiegato, in cui il pittore rivisita “La source” di Ingres in una concezione più intima) e di Leonardo Bistolfi (testa di “La bellezza liberata dalla materia”, 1906, per il monumento funebre a Segantini a St Moritz, proveniente dal Museo Civico di Casale Monferrato), di Cesare Saccaggi la cui “Semiramide”, dipinta intorno al 1905, è venuta di recente a far parte delle raccolte dei Musei Reali torinesi. Nei passi finali, il “Ritratto femminile”, bellissimo gesso dovuto ancora a Bistolfi, comunica con le figure di Alphonse Mucha, cecoslovacco, nome di punta dell’Art Nouveau, scomparso nell’immediato indomani dell’invasione hitleriana del suo paese, avvolte di fiori e rimandanti ancora una volta allo spirito di raffinatezza del Rinascimento italiano: uno stile personalissimo che apriva le porte alla Belle Èpoque.

Elio Rabbione

Nelle immagini, Sandro Botticelli, “Venere”; tra gli allestimenti della mostra “Da Botticelli a Mucha”; “Nudo di donna” di Giacomo Grosso e “La bellezza liberata” di Leonardo Bistolfi; in primo piano “La danza” di Edoardo Rubino e alle spalle “Le tre grazie” di Pietro della Vecchia, tra i capolavori della mostra.

Ponte del primo maggio: Forma e colore. Da Picasso e Warhol

Sabato 3 maggio secondo appuntamento del ciclo di incontri esclusivi alla mostra curata da Vincenzo Sanfo  alla Galleria Sottana dell’Oratorio di San Filippo Neri.

 Ponte del 1° maggio a Torino nel segno della bellezza e dell’arte. Tra gli eventi previsti in città nel lungo fine settimana, sabato 3 alle ore 17:30 all’Oratorio della Chiesa di San Filippo Neri, visita guidata con la storica dell’arte Barbara Stabielli alla scoperta delle pregiate ceramiche della mostra Forma e Colore, da Picasso a Warhol – La Ceramica dei Grandi Maestri, organizzata da ArtBookWeb con Aics Torino, e curata da Vincenzo Sanfo e Giovanni Iovane.

Alla esclusiva visita guidata, durante la quale la mostra sarà chiusa al pubblico, seguirà il Concert Art dell’arpista Katia Zunino e un brindisi finale. L’evento è a cura dell’Associazione culturale Aics e di Scealta-Si.

Per partecipare, obbligatoria la prenotazione (massimo 60 partecipanti) all’e-mail: biglietteriamostrato@gmail.com, oppure al numero: 353.4780786. Acquisto biglietti su VivaTicket. Costo 25 euro.

L’esposizione ospita circa 70 opere in ceramica, di collezioni private e firmate da grandi artisti del ‘900 e contemporanei di tutto il mondo, a cominciare da Pablo Picasso con alcuni esemplari del periodo di Vallauris, e molti altri, tra i quali: Salvador Dalì, Joan Mirò, accanto a quelle di Marina Abramovic, di Keith Haring, Andy Warhol, Carla Accardi e Sol Lewitt, Ezio Gribaudo, Félix Bracquemond e Zhang Hongmei. Un viaggio da una parte all’altra del mondo attorno all’arte su ceramica, con i contributi di artisti abitualmente dediti ad altre forme d’arte, con incursioni nella porcellana e nella terracotta, visitabile sino al 2 giugno.

Sulla Terrazza Belvedere di Torre Canavese, la mostra “Natura Arte-Fatta”

Inaugura il 17 maggio presso la Pinacoteca “Raissa Gorbaciova”, sulla Terrazza Belvedere di Torre Canavese, la mostra “Natura Arte-Fatta”, con opere di Biagio Vellano, e una nuova sala della pinacoteca sarà dedicata a Marco Datrino

La mostra  dal titolo “Natura Arte-Fatta” verrà inaugurata il 17 maggio prossimo, alle 17.30, presso la Pinacoteca “Raissa Maksimovna Gorbaciova” sulla Terrazza Belvedere, in via Balbo a Torre Canavese, in provincia di Torino. Si tratta di un’esposizione di quadri-scultura creati con materiali di recupero e terre naturali dal Maestro Biagio Vellano, originario di Trino Vercellese, nato nel 1928 e scomparso a Brusaschetto, nell’Alessandrino, nel 2008.

Contestualmente all’apertura dell’evento artistico, la nuova sala della Pinacoteca verrà dedicata a Marco Datrino, importante gallerista, antiquario, proprietario del vicino castello, e protagonista della vita culturale di Torre Canavese, distintosi per meriti artistici e culturali.

“Intitolare questa nuova sala della pinacoteca a Marco Datrino – ha commentato Gian Piero Cavallo, Sindaco di Torre Canavese – è un gesto dovuto e doveroso per ringraziare e ricordare un concittadino che tanto ha fatto per il paese e il mondo dell’arte nel Canavese, instaurando scambi tra artisti e portando i Pittori per la Pace sul nostro territorio. Ci auguriamo che sia davvero un nuovo inizio e che questi spazi possano in futuro, come oggi, accogliere nuovi eventi importanti in grado di dare lustro al paese”.

L’allestimento, curato dalla critica d’arte Carla Bertone, resterà aperto fino al 15 giugno dal venerdì alla domenica, dalle 16 alle 19. Apertura straordinaria per la Camminata Reale domenica 18 maggio dalle 9 alle 12.

“La mostra sarà composta – spiega la curatrice –  da 25 opere materiche corredate da spiegazioni, didascalie e frasi dell’artista.  Il percorso sarà introdotto da una presentazione dell’artista con una biografia e una breve spiegazione delle opere, fotografie, acquerelli e disegni, in modo da fornire una visione completa del percorso artistico di Vellano.

Biagio Vellano, designer ed arredatore di talento, fu uno spirito introspettivo e coltissimo. Un filosofo che amava la vita. Un appassionato di archeologia e di musica jazz, innamorato e rispettoso del creato e dell’arte nella sua forma più alta e più pura.

Mai influenzato dalla materia di partenza, bensì soltanto dalla “materia ri-creata”, l’artista Biagio Vellano ha usato liberamente qualsiasi tecnica potesse corrispondergli: la pittura ad olio tradizionale, i fondi serigrafici stampati che riprendeva con diverse tipologie di pastelli, polverosi o cerosi, e i materici, le opere che costituiscono l’aspetto peculiare della sua creazione artistica. Nel momento della massima creatività delle avanguardie, l’artista indaga con tutto sé stesso il modo di ‘ricreare’ la natura che da sempre ha catturato con gli occhi e con gli obiettivi della sua macchina fotografica. Nascono così le opere più straordinarie di Biagio Vellano, uniche ed irripetibili, quelle che lo classificheranno per sempre nel firmamento della storia dell’arte: i materici.

Se infatti i pastelli sono colore e luce, i materici sono materia e ombra, un microcosmo, una natura ricreata. Sono ricami di materia colata, di parti sporgenti, ammassi di plastiche combuste con il cannello e lavorate ancora incandescenti, per ricreare rocce, ghiacciai, fondali marini, fango e terra calpestata. L’artista bruciava strati su strati di plastiche e colature di vinavil mentre le esalazioni nere ardevano nei suoi polmoni. La cosa più terribile è che sapeva a cosa stesse andando incontro, e che ha sempre accettato come una sortadi sacrificio sull’altare della grande arte”.

Per informazioni consultare il sito www.torrecanavese.piemonte.it

Mara Martellotta

La Fondazione Accorsi-Ometto rende omaggio a “Carol Rama – geniale sregolatezza”

Da martedì 15 aprile a domenica 14 settembre prossimi, a dieci anni dalla scomparsa, la Fondazione Accorsi-Ometto rende omaggio, attraverso una vasta retrospettiva intitolata “Carol Rama – geniale sregolatezza” alla grande artista torinese di fama internazionale scomparsa nel 2015, premiata con il Leone d’Oro alla carriera alla Biennale di Venezia del 2003. La mostra, curata da Francesco Poli e Luca Motto, presenta un’accurata
selezione di un centinaio di opere provenienti da importanti collezioni pubbliche e private, che documentano le principali tappe della ricerca
dell’artista dagli anni Trenta ai primi anni Duemila.

“Innanzitutto tengo a ringraziare il Presidente della Fondazione Accorsi-Ometto per aver voluto e poi promosso questa bellissima e curata mostra dedicata a Carol Rama, nel decennale della scomparsa, e che abitava proprio vicino a poche decine di metri dagli spazi del museo, in via Napione – ha dichiarato Luca Mana, direttore artistico della Fondazione Accorsi-Ometto – è importante sottolineare che il museo sta attraversando un periodo di trasformazione culturale, che ne vuole fare una vera e propria porta della città”

“L’esposizione, che si articola in diverse sezioni, otto per la precisione, si apre con una serie di acquerelli risalenti alla fine del decennio degli anni Trenta – hanno dichiarato i due curatori della mostra Francesco Poli e Luca Motto –
caratterizzati da una singolare libertà espressiva del segno grafico e da un’esplicita carica erotica, nei quali l’artista riversa le fantasie e le inquietudini della sua adolescenza, raffigurando personaggi e oggetti allusivi ed emblematici del suo vissuto. Si affianca la parallela produzione espressionista degli anni Quaranta di oli denotati da una densa materia pittorica e dai disegni rappresentanti volti, figure e paesaggi, per proseguire con le ricerche di inizio anni Cinquanta che si avvicinano all’astrattismo di matrice concreta e che confluiscono nell’Informale. Nel 1953 aderisce, unica donna insieme a Paola Levi Montalcini, alla compagine torinese del movimento “Arte concreta”, cui aderiscono Biglione, Galvano, Parisote Scroppo. Alla fine del decennio Carol Rama, come la maggior parte degli artisti, si rivolge all’Informale.

In mostra sono esposti una serie di dipinti denotati da una spessa materia pittorica dove emerge una potente carica cromatica e segnica. Segue la nota serie dei ‘Bricolages’ prodotta dalla metà degli anni Sessanta, che deve il suo nome al poeta Edoardo Sanguineti, ed esposti anche alla galleria di Luciano Anselmino: i Bricolages risalgono a partire dalla metà degli anni Sessanta e l’approccio pittorico a macchia, di derivazione Informale, è integrato con il collage di oggetti quali occhi di bambola, scarti della lavorazione del metallo, siringhe, pietre, tappi in gomma e molto altro. Si tratta di materiali e oggetti di recupero che per l’artista sono carichi di vissuto ed entrano nella composizione del dipinto. Vi sono poi I lavori risalenti alla fine degli anni Sessanta, composti da smalti, vernici nebulizzate e inserzioni di oggetti che attraverso l’allusione a figure con gli arti protesi a bombe atomiche rimandano alla condizione umana in piena Guerra Fredda. La sezione successiva della mostra prende in considerazione la produzione degli anni Settanta, in cui l’artista, con la serie delle cosiddette ‘Gomme’, si distanzia dalla produzione precedente propone opere d’impronta completamente rinnovata: scompare il pittoricismo di base a favore dell’esperienza del quadro in sé, ridotto nei suoi minimi termini. In superficie monocrome bianche o nere, Rama dispone porzioni di camere d’aria, talvolta pendule, in bilanciate composizioni astratte, animate soltanto dalle differenze cromatiche e dalle tracce dell’uso. Possiamo dire che in questo periodo l’artista sia passata dal colore all’oggetto come fine. Segue il ritorno a una rinnovata figurazione tipica degli anni Ottanta e Novanta dalla tecnica complessa e raffinata, cromaticamente accesa. I mondi di Carol Rama si popolano di figure umane, angeli, animali, geometrie, paesaggi e prospettiva fantastiche su carte prestampate, spesso del secolo precedente. L’esposizione si chiude con la produzione più recente, risalente al periodo compreso tra gli anni Novanta fino ai primi anni Duemila: figure umane, volti, animali, parti anatomiche costellano l’intricato linguaggio allusivo dell’artista. Carol Rama sviluppa a partire dalla metà degli anni Novanta un tema che sarebbe diventato una costante fino agli anni Duemila; dopo aver visto immagini riguardanti il morbo della mucca pazza, trae da essi ispirazione per costruire una nuova serie di opere dal forte impatto visivo.

Vi sarà inoltre una “mostra nella mostra”, intitolata “Inside Carol Rama”.
I 12 scatti fotografici dell’artista Bepi Ghiotti, realizzati in occasione del progetto omonimo del 2012-2014, permettono di addentrarsi nell’affascinante mondo di arredi, di oggetti e di immagini della mitica casa-studio di via Napione a Torino, dove Carol Rama ha vissuto per oltre
settant’anni.


Il visitatore è così catapultato nel magico mondo dell’abitazione dell’artista, luogo di creazione artistica, ma anche di
incontro e di scambio con artisti, intellettuali, critici, galleristi, musicisti tra i quali Felice Casorati, Albino Galvano, Italo Cremona,
Edoardo Sanguineti, Italo Calvino, Cesare Pavese, Massimo Mila e Luciano Berio.

Carol Rama nasce a Torino nel 1918 e conduce un’infanzia agiata grazie alla florida attività imprenditoriale del padre, una carrozzeria che produce materiali per automobili. A soli 18 anni, nel 1936, dipinge il suo primo quadro intitolato “Nonna Carolina”, ora conservato alla GAM di Torino. Risale alla prima metà degli anni Quaranta lo spostamento di casa in via Napione 15, un alloggio mansardato dove l’artista avrebbe lavorato e vissuto fino alla sua scomparsa. Qui avrebbe maturato contatti anche con Casorati e la moglie Dafne, oltre che con altri intellettuali. Entrata in contatto e amicizia con Paola Levi Montalcini, Italo Cremona e Albino Galvano, di Carol Rama si ricordano l’esposizione collettiva del 1946 presso la Galleria del Bosco, insieme a Casorati tra gli artisti. Espone fino agli anni Ottanta in tutta Italia, diventa maggiormente nota al pubblico conseguentemente alla mostra del 1985 a Milano curata da Lea Vergine. Da quella data si sarebbero susseguite importanti personali dell’artista in Italia e all’estero. Carol Rama muore a Torino il 24 settembre 2015.

Museo Accorsi-Ometto – Via Po 55, Torino

Info: info@fondazioneaccorsi-ometto.it

Telefono: 011 837688

Mara Martellotta

TAG Art Night, sabato 10 maggio dalle ore 19 alle ore 23

Nel mese torinese dedicato alla fotografia, l’associazione culturale no profit TAG Torino Art Galleries, si unisce all’intensa programmazione cittadina dedicata alla fotografia, in concomitanza con il festival Exposed e alla fiera The Phair. La programmazione delle gallerie associate a TAG sarà dedicata in larga parte al mezzo fotografico indagato in tutte le sue sfaccettature e possibilità attraverso mostre personali e collettive che presenteranno capolavori del Novecento e ricerche contemporanee. Ciò avverrà nel Gallery Weekend, in cui è prevista la nuova edizione della Gallery Art Night, la notte delle Gallerie TAG, sabato 10 maggio 2025 dalla ore 19 alle 23.

Si tratta di un evento collettivo e condiviso delle gallerie associate che fornirà agli appassionati di accedere liberamente in orari serali, al fine di incrementare la capacità inclusiva e l’accoglienza delle gallerie. L’evento offrirà così un libero percorso di mostre in giro per la città, ben evidente sul sito di TAG, www.artgalleries.it, realizzato grazie al sostegno della Fondazione per l’Arte moderna e contemporanea CRT, unico ente sostenitore fin dalla prima edizione. Nella stessa settimana TAG propone le “TAG Art Coffee Breakfast”. I visitatori potranno recarsi alle gallerie aderenti venerdì 9, sabato 10 e domenica 11 maggio, dalle ore 10 alle 12, ed essere accolti dalle “Colazioni con l’arte”. L’ingresso a tutti gli eventi di TAG è gratuito.

“L’associazione TAG – sostiene la Presidente Elisabetta Chiono – è lieta di prendere parte al mese della fotografia con iniziative che coinvolgono le gallerie associate, che esplorano in particolare il mezzo fotografico. La nostra città ha un’importante tradizione legata alla fotografia, e nuovamente accoglieremo il pubblico in occasione della Notte Bianca di sabato 10 maggio e delle Colazioni in galleria. Inizia in questa prima parte dell’anno la pianificazione  dedicata ai 25 anni dell’associazione. TAG, fondata nel 2000, riunisce 17 gallerie d’arte torinesi con l’obiettivo di favorire la crescita culturale del territorio e della comunità locale attraverso l’arte. Fin dalla sua costituzione, TAG si è posta come interlocutore privilegiato per gli enti locali, collaborando attivamente alle loro iniziative e sviluppando progetti autonomi volti a coinvolgere il pubblico di appassionati e le nuove generazioni.

Per maggiori informazioni sulle gallerie associate a TAG, consultare il sito www.torinoartgalleries.it

Mara Martellotta

“Forza Vittorio Sgarbi, una mostra tributo nel mondo del Metaverso

È stata pubblicata recentemente su tanti social la mostra collettiva nella galleria d’Arte nel Metaverso a cura dell’ideatrice Fabiana Macaluso Art Director del progetto di aggregazione artisti del mondo no profit VIRTUAL ART WORKSHOP SOCIAL GROUP un progetto nato nel 2019.

Come sempre gli artisti che ne fanno parte sono stati invitati a questo tributo artistico per il grande Critico Vittorio Sgarbi che nell’ultimo mese è stato poco bene e con grande affetto, gli artisti del progetto hanno partecipato, omaggiando con la loro arte l’affetto per il critico…
Una mostra collettiva in una galleria nel Metaverso proprietà del progetto,per un augurio di pronta guarigione e in attesa di vedere presto Vittorio Sgarbi di presenza al le mostre e nei teatri dove la sua grande cultura ci ha sempre cullati.
“Noi artisti siamo molto affezionati al nostro grande Critico Vittorio Sgarbi e con un caloroso affetto abbiamo voluto dimostrare la nostra vicinanza e fargli capire che per noi la sua presenza è molto importante e che in tutti questi anni ha dato all’arte un grande contributo e a noi grandi insegnamenti “
La realizzazione informatica della galleria a cura della Sisnet informatica di Aurelio Moroni Digital Creator. https://www.sisnet-informatica.it/
Collaboratori nel supporto di giuria e premi e per gli attestati BmSrl Event https://www.instagram.com/anto.bmsrl_eventart?igsh=MTBreDB5MXZ5bDh4bg== Le Tenere Piume est-odv. https://www.letenerepiume.org/
Saggio artistico a cura di Fulvio Leopardi https://www.instagram.com/leopardi.fulvio?igsh=MWpmNHRlMnc2MGg2OA==
Artisti presenti in galleria:
e la Onlus
Monika Dangel, Chiuto, Antonella Bovino, Giovanna Ciquera, Aurelio Moroni, Fabiana Macaluso, Stefania Falco, Manuela Tassone, Maglione Teresa, Gina Fanaru, Catalina Jimenez, Lucia Canepa, Miriam Villarroel, Elia Ribichesu.
Galleria sul canale YouTube del progetto: https://youtu.be/pqJQd8TftNc?si=KjaOmcRzwZnNj5TI
Ricordiamo che è da poco stato pubblicato il secondo volume dell’Almanacco D’Arte https://amzn.eu/d/4ZQ0VIB con l’arte e le biografie di tutti gli artisti del progetto Virtual Art Workshop Social Group su Amazon e molte librerie tra cui Feltrinelli e libreria universitaria, edizione a cura di Montabone Editore di Eugenio Costa Milano, impaginato da Sisnet informatica ideato da Fabiana Macaluso direttrice del progetto.

Pagine social del progetto:
https://www.facebook.com/share/15MjcUMUUn/?mibextid=wwXIfr https://www.instagram.com/virtual_art_social_group?igsh=MTc2Z3dreWY0amJrYw==

Web site della direttrice del progetto Fabiana Macaluso

https://www.fabianamacaluso-chiuto.it/

Daniele Fissore, “Natura e vita”

Busca e Cherasco dedicano due ampie e congiunte retrospettive alla grande arte iperrealista del saviglianese 

Fino al 22 giugno

Busca – Cherasco (Cuneo)

Dipinti tanto perfetti nella loro narrazione di segno e colore da sembrare “irreali”. Perfino “impossibili”. Può la realtà pittoricamente trasmessa – viene da chiedersi – spingersi a tanto? E mantenersi tale nei suoi caratteri figurativi e cromatici senza spingersi “oltre”, senza assumere i contorni di un linguaggio metafisico che preclude al “reale” la rivendicazione della propria concreta e mai elusa identità?

 

Le opere dell’indimenticato Daniele Fissore (Savigliano, 1947 – 2017) sembrano proprio confermarcelo. Nel suo fare pittura, la realtà non s’è mai lasciata coinvolgere in funamboliche operazioni di destrutturante visionarietà o a giochi di “post-avanguardie pop” dove il “tutto” era (è) spesso simile al “nulla”, pur mantenendosi a livelli di perfino ossessionante e preciso all’inverosimile rigore linguistico. In tal senso il suo fare arte può collocarsi in quella vasta area di pittura iperrealista o realista “a matrice fotografica”(mai “mimetizzata”, ma invece ampiamente sfruttata nel risalto dialettico apportato agli “effetti cromatici e luminosi dell’intervento manuale”) che negli anni Settanta-Ottanta coinvolse in Italia – come ebbe a scrivere nel 2022 Francesco Poli, in occasione dell’“Antologica” dedicata a Fissore dalla sua città natale e ospitata in Palazzo Muratori Cravetta – “pittori con caratteristiche diverse fra loro come Gianfranco Ferroni e Piero Guccione (ancora legati a valenze specificamente pittoriche) o Luciano Ventrone (autore di illusionistiche ‘nature morte’) e Angelo Titonel, più freddamente oggettivo e pop”. Paragoni possibili e condivisi, in una sfera tuttavia di una singolarità artistica e di un eclettismo pittorico-concettuale, cui Fissore restò fedele in ogni istante del suo intenso operare.

 

E caratteristiche ben riscontrabili nelle due retrospettive dal titolo “Natura e vita”(concetti mai inscindibili per l’artista) a lui dedicate, fino a domenica 22 giugno, con la curatela di Cinzia Tesio, dalle Città cuneesi di Busca e Cherasco, rispettivamente negli spazi di “Casa Francotto” e del seicentesco “Palazzo Salmatoris”. Oltre 140 (realizzate fra il 1973 e il 2017) le opere complessivamenteesposte, un lungo viaggio, rigoroso e ogni volta curioso e appassionato, attraverso la molteplice davvero continua evoluzione dei temi trattati.

Dalle prime serie delle “Cabine telefoniche”(1973/’74) alle “Opposizioni”, frutto di tempi di ribollente fervore politico, la mostra conduce via via al ciclo delle “Simulazioni” e alle “Ricognzioni” (1975/’77), a quel suo guardarsi e riprendersi nel proprio studio o altrove, come nell’“Autoritratto” del ’76 con un aerografo in mano di fronte a un tavolo pieno di barattoli e pennelli e, in fondo, una figura di spalle, “forse lo stesso artista sdoppiato”. La sensazione è di trovarsi di fronte ad una foto in bianco-nero. E l’iter prosegue con la serie dei “Pic–nic” e le novità elaborate durante il suo soggiorno londinese culminato con un’importante mostra alla “House Gallery”, mentre il suggestivo ciclo dei “Muri” (1983) e l’esplorazione del paesaggio ci portano alla serie (di reminescenza inglese) dei “Green” (con quelle distese perfette e ordinate di campi da Golf) e delle “Marine”, dove le acque prive d’ogni minimo sussurro di estraniante ondosità prendono il posto o si accoppiano, con leggere vele in lontananza, alle verdi perfette distese dei prati. E poi l’ultimo periodo. Quello dei “Video spenti” e di “Eroica”, ricerca, quest’ultima, che prende avvio da alcuni quadri dell’ ’85 dedicati a Santorre di Santa Rosa (protagonista dei “Moti piemontesi” del 1821) e ispirati al monumento all’eroe saviglianese opera dello scultore romano Giuseppe Lucchetti Rossi, per sfociare anni dopo, nel 2011, nella grande Antologica “Eroica. Eroi noti e ignoti. Dal Risorgimento al Futuro” presentata al “Museo Regionale di Scienze Naturali” a Torino, in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia.

Opera diventata, in seguito, una grande installazione permanente (560 metri quadri) al “Nuovo Parco Dora”, con le gigantografie degli stessi personaggi risorgimentali rappresentati in mostra sui muri dell’ ex fabbrica della “Teksid”. Pienamente esaustiva nel racconto dell’avventura artistica di Daniele Fissore, la doppia rassegna, serve pur anche a far luce sulla necessità di “un’ulteriore valorizzazione – sottolinea a ragione Cinzia Tesioe di un giusto accreditamento all’oggettivo talento” di un artista troppo spesso tenuto in biasimevole e incomprensibile sordina.

L’evento espositivo sarà arricchito durante l’apertura da attività didattiche con le scuole e da eventi collaterali.

Gianni Milani

“Natura e Vita, Daniele Fissore opere dal 1973 al 2017”

“Casa Francotto”, Busca (ven. 15,30/18,30; sab. 10/12 e 15,30/18,30; dom. e festivi 10/12 e 14,30/18,30; tel. 371/5420603 o www.casafrancotto.it ) e “Palazzo Salmatoris”, Cherasco (merc. giov. ven. 14,30/18,30; sab. dom. e festivi 9,30/12,30 e 14,30/18,30; tel. 0172/427050 o www.turismoeventicherasco.it )

Fino a domenica 22 giugno

Nelle foto: Daniele Fissore: “Green e mare”, acrilico su tela, 2000; “Autoritratto”, acrilico su tela, 1976; “Pic-nic”, olio su tela, 1980; “Marina, acrilico su tela, 2012

MAO, la mostra sugli “Haori. Gli abiti maschili del primo Novecento narrano il Giappone

Dal 12 aprile al 7 settembre prossimo è ospitata e aperta al pubblico presso il MAO, Museo di Arte Orientale, la mostra intitolata “Haori. Gli abiti maschili del primo Novecento narrano il Giappone”, che offre una singolare esplorazione della cultura materiale giapponese attraverso circa 50 haori e juban ( le giacche sovrakimono e le vesti sotto kimono maschili) nonché alcuni abiti tradizionali da bambino, provenienti dalla collezione Manavello, in dialogo con installazioni di artisti contemporanei.

La mostra non ha precedenti né in Italia né in Europa e si pone come una novità assoluta nel panorama delle proposte aventi come tematica l’arte dell’Estremo Oriente.

Le raffigurazioni che decorano gli abiti presentati non solo sono esempi di preziosa manifattura, ma documenti e testimonianze che approfondiscono il Giappone del primo Novecento, un periodo cruciale segnato da trasformazioni sociali, culturali e politiche , tra una modernizzazione accelerata e tensioni interne imperialiste.

All’interno del percorso espositivo sono presentate opere di artisti contemporanei come strumenti d’analisi e di riflessione, invitando il pubblico a orientarsi in un’epoca storica di relazioni complesse tra Giappone, Cina e Corea, ancora poco conosciuta in Italia.

Il progetto espositivo si avvale della consulenza curatoriale di Silvia Vesco, docente di Storia dell’Arte Giapponese presso l’università Ca’ Foscari di Venezia, Lydia Manavello, Yu Mi (curatrice indipendente e attualmente docente di Arte ed Economia all’Università di Kassel), in collaborazione con il direttore del MAO, Davide Quadrio, e la curatrice Anna Musini, con l’assistenza di Francesca Corrias.

Svelare, non esibire, suggerire senza palesare. A questi principi si ispira la millenaria cultura giapponese che, sull’equilibrio in perenne divenire tra pieni e vuoti e sul senso dell’armonia, tesse ancor oggi la propria esistenza.

L’abbigliamento concorre a definire i ruoli e gli spazi in cui si configura e si muove la complessa società nipponica; in questo contesto grande interesse ha sempre destato il kimono femminile, mentre l’ambito degli indumenti maschili è stato ancora poco indagato.

Meno appariscenti ma assai interessanti, le vesti da uomo costituiscono, in realtà, una parte consistente del ricco apparato tessile giapponese.

Nell’eleganza austera del completo cerimoniale o nella sobrietà di un abito da vivere tutti i giorni, i kimono da uomo racchiudono e definiscono un universo che si rende accessibile solo nel contesto domestico o nel segreto di un incontro amoroso. A rivelare l’anima di chi li indossa sono i soggetti che impreziosiscono gli interni delle giacche o l’intera superficie dei sotto kimono: immagini seduttive o narrative, sempre sofisticate, abilmente tessute o dipinte, elaborate con minuzia o appena suggerite da qualche tratto di inchiostro, raccontano la cultura del Sol Levante con riferimenti alla letteratura e all’arte della guerra, al mondo naturale e alla sfera divina.

Tradizionalmente considerati espressione dell’intimità quotidiana, gli haori e le juban presentati in mostra assumono un nuovo significato e diventano un’occasione per affrontare temi di grande attualità, tra cui le questioni legate all’espansione giapponese del XX secolo in Asia e alle implicazioni politiche e sociali che ne caratterizzarono il contesto storico. Tra queste anche la propaganda, affidata non solo ai tradizionali mezzi di comunicazione, ma in modo tanto sorprendente, quanto pervasivo, proprio agli abiti tra i quali anche quelli da bambino, cui è dedicata un’apposita sezione della mostra.

L’esposizione esplora, dunque, l’immaginario comune del Giappone in Occidente, ancora legato a una visione tradizionale e romantica, in contrapposizione alla percezione di un Giappone diverso, a tutt’oggi poco conosciuto che è quello che trapela dagli abiti maschili; le immagini che li caratterizzano da un lato celebrano il mito dell’Occidente, dai plurimi volti, dall’altro mirano ad enfatizzare l’orgoglio nazionale nipponico, entrambi culminanti nell’evoluzione tecnologica e nella strenua difesa della propria identità, prima e durante il secondo conflitto mondiale.

Questa eredità, lungi dall’essere cancellata dal tempo, sopravvive ancor oggi in Paesi e realtà al di fuori del Giappone, ma allora coinvolti, e di essa le installazioni ei video contemporanei in mostra offrono una tangibile testimonianza, arricchendo il racconto con riflessioni sul tempo passato e presente.

Con il patrocinio del Consolato Generale del Giappone a Milano

MAO Museo di Arte Orientale

Via San Domenico 11

Orari martedì- domenica 10-18. Lunedì chiuso.

 

Mara Martellotta