Ultima replica domani al Carignano di Torino per “Ragazzi di vita”, spettacolo tratto dal romanzo omonimo di Pier Paolo Pasolini, sulla breccia dal 2016 grazie alla drammaturgia di Emanuele Trevi e la regia di Massimo Popolizio che è valso a questo adattamento ben tre premi: Ubu, Critica e Le Maschere
Grande protagonista Lino Guanciale, attore di diverse fiction, idolatrato dal pubblico della tv generalista, già a Torino in autunno sempre allo Stabile per lo spettacolo “La classe operaia va in paradiso” dal film di Elio Petri. Qui lo ritroviamo nei panni dell’io narrante del testo pasoliniano, il punto di vista esterno su quella Roma del dopoguerra delle periferie degradate. Una scenografia scabra riproduce quelle borgate popolate da anime povere, costrette a vivere di furti, espedienti e lavori di ogni genere, dai meno legali ai più umilianti, e l’autenticità di un mondo primitivo scandito dalla noia, la miseria e la morte. Popolizio non opera un lavoro di trasposizione del testo alla lettera ma offre dei quadri corrispondenti ai diversi episodi del romanzo, dove il senso del comico e del tragico si rincorrono continuamente, alternandosi in giusta dose senza cadere nel parossismo o nella caricatura. Un lavoro corale che coinvolge tantissimi attori giovani, diciotto in tutto, che incarnano tutta quella vitalità e spregiudicatezza dei “borgatari”. Tutti insieme sul palco si presentano in larghe mutande bianche con un’ingenuità puerile che verrà declinata via via da ogni interprete in maniera personalissima e convincente nei diversi personaggi: Riccetto, Lanzetta, il Caciotta, Amerigo, Begalone, Alvaro, Spudorato e tutti gli altri che insieme rappresentano l’affresco della povertà morale e materiale dell’Italia degli emarginati che si presentò agli occhi di Pasolini al suo arrivo a Roma nel 1950.
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Il raccontarsi dei personaggi ora in prima ora in terza persona, eredità di Ronconi, grazie al ritmo sostenuto degli attori non fa cadere lo spettacolo nel didascalico o nell’effetto “libro parlato”, anche se la struttura a quadri giustapposti e un’interpretazione non sempre emotivamente sentita fanno cadere a tratti l’attenzione dello spettatore. E se Emanuele Trevi voleva far emergere il narratore/attore (Lino Guanciale) uno “straniero” come Pasolini rispetto a quella realtà, ci è riuscito, complici anche il costume da borghese e una recitazione non sempre empaticamente coinvolta, che lascia Guanciale un po’ ai margini, distante dagli eventi. Per un’ora e quarantacinque minuti i giovani attori funambolici zompettano, urlano e gesticolano in dialetto romanesco sfruttando l’intera profondità del palco e tutti gli spazi che servono ad accorciare la distanza dal pubblico, il proscenio e i primi palchetti, dai quali ogni tanto sbuca a sorpresa un personaggio. Impalcature e carrelli semovibili che di volta in volta diventano trampolini, barche, tram, permettono di sfruttare lo spazio anche in altezza e rappresentano in modo efficace le spoglie periferie romane del secondo dopoguerra. Sono diversi i momenti godibili tra spunti comici, che squarciano per un attimo il dramma dei “borgatari”, battutacce in romanesco e canzoni dal vivo cantate in coro, spensierate e nostalgiche, attinte dal repertorio di Claudio Villa, che portano un po’ di leggerezza in quella dolente umanità.
Giuliana Prestipino
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Insieme con Lino Guanciale è doveroso citare gli altri interpreti: Sonia Barbadoro, Giampiero Cicciò, Verdiana Costanzo, Roberta Crivelli, Flavio Francucci, Francesco Giordano, Lorenzo Grilli, Michele Lisi, Pietro Masotti, Paolo Minnielli, Alberto Onofrietti, Lorenzo Parrotto, Silvia Pernarella, Elena Polic Greco, Francesco Santagada, Stefano Scialanga, Josafat Vagni, Andrea Volpetti.