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Benedetto Croce a Viù e in Piemonte

Sabato 24 giugno 2017 alle ore 16 nel Centro polifunzionale di piazza Cibrario 2 a Viù (Torino), si terrà l’importante Convegno sul tema: “Benedetto Croce a Viù e in Piemonte”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel centenario della villeggiatura a Viù di Benedetto Croce, il Centro Pannunzio di Torino e la Società Storica delle Valli di Lanzo organizzano un convegno per ricordare il grande filosofo napoletano e quegli anni – 1916, 1917, 1918. Sono lunghe stagioni, di più mesi, nelle quali Croce, in operosa solitudine, elabora non poche delle sue pagine maggiori.

Il convegno è sotto il patrocinio del Consiglio Regionale del Piemonte, ed è realizzato in collaborazione con il Comune di Viù e la Pro Loco di Viù.

Moderati da Umberto Levra (Università di Torino e Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano), intervengono:

Pier Franco Quaglieni (Centro Pannunzio), Benedetto Croce: un nuovo italiano, figlio del Risorgimento.

Ripercorrendone la vita, nel campo intellettuale Croce si delinea capace di mantenere l’autonomia critica, senza isolarsi nell’arcadia dei poeti, come dimostrano la sua posizione contro la guerra nel 1915, la sua opposizione al fascismo, il suo operare come senatore e per due volte ministro. Uno dei pochi italiani della sua epoca che ebbe rapporti con uomini di cultura e scienziati a livello internazionale.

Bruna Bertòlo (giornalista e scrittrice), I soggiorni estivi di Benedetto Croce in Piemonte.

Il forte legame fra Croce e il Piemonte, favorito dalla moglie Adele Rossi, torinese, emerge anche dai suoi frequenti soggiorni a Viù, Bardonecchia, Meana, Pollone, e naturalmente Torino. Attraverso testimonianze dell’epoca, lettere e ricordi, si evidenzia quanto Croce amasse “quel Piemonte”, culla del Risorgimento.

Clara Allasia (Università di Torino), «Ma ti scrivo ciò per chiacchierare»: gli ultimi difficili anni del carteggio Croce-Cian, fra Viù e Procaria.

Dagli scambi epistolari fra Benedetto Croce, villeggiante a Viù, e Vittorio Cian, stabilitosi a Procaria di Ceres, si snodano polemiche sull’interventismo, annotazioni di vita quotidiana, sincere preoccupazioni per la salute del corrispondente. Ma a Viù Croce riceve anche le lettere della più illustre e sfortunata vittima di Cian, lo «sciagurato caporettista» Umberto Cosmo, determinato a fronteggiare «il cittadino Cian» con dignità e indipendenza.

Bruno Guglielmotto-Ravet (Società Storica delle Valli di Lanzo), «Qui, dove sono in villeggiatura»: Viù ai tempi di Benedetto Croce.

Gli anni in cui Croce sceglie Viù per la villeggiatura coincidono con quelli della Prima guerra mondiale. Egli partecipa anche alla vita della comunità, ne condivide i riflessi del conflitto, la carenza di generi alimentari e, infine, le preoccupazioni per l’influenza spagnola. Ed è a Viù che il 4 novembre 1918 coglie, lieto, la notizia della vittoria.

 

Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

di Pier Franco Quaglieni

Il Tar del Lazio lascia in carica Pagella Twitter, il cinguettio che diventa urlo, la riflessione di una giovane studiosa   I due Gianni, lo storico controcorrente Oliva e l’avvocato e politico d’altri tempi  Oberto  L’elogio della cravatta  tra eleganza e rispetto istituzionale 

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Il Tar non ha toccato Enrica Pagella
La sentenza del Tar del Lazio che annulla le nomine di cinque direttori di Musei italiani su 20,
fa sicuramente discutere, come fecero discutere le nomine del ministro Franceschini in base ad un concorso che è stato considerato dal Tar non conforme alle norme vigenti.  La sentenza riguarda solo alcuni direttori perché solo due concorrenti scartati si sono rivolti al Tar, potremmo dire hanno avuto il coraggio di presentare un ricorso. Sicuramente aveva ragione Vittorio Sgarbi ad esprimere perplessità su questo concorso molto “privatizzato”, svoltosi a porte chiuse o addirittura in parte via Skipe. A costo di apparire un bastian contrario, continuo a pensare che i concorsi debbano essere pubblici e trasparenti. La sentenza del Tar pone infatti in evidenza dei criteri valutativi non accettabili a termini di legge.  Enrica Pagella, già presidente della Fondazione Torino Musei, che dal 2003 era direttore di Palazzo Madama e Borgo medievale, non è stata toccata dalla sentenza. Nel caso di Torino non era stata seguita la “linea straniera” e non erano stati umiliati i dirigenti di carriera, ma venne applicato il criterio “tradizionale”.E i buoni risultati si sono visti. Ovviamente nessuno discute di per sé le scelte di Franceschini, ma la forma-mi insegnava Mario Allara- nel diritto, è sostanza.

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Twitter come pietre?

Scriveva il torinese Carlo Levi che <<le parole sono pietre>>. Una vecchia frase degli anni immediatamente successivi alla fine della II guerra mondiale ed in effetti, allora, nel clima infuocato del dopoguerra italiano, le parole erano non solo pietre.Il “triangolo della morte” lo sta a testimoniare. Anche l’apolitico padre di Nicola Matteucci venne ammazzato per il solo fatto di essere un possidente. Un’analoga sorte era toccata al padre del filosofo torinese Vittorio Mathieu, ammazzato con la moglie da partigiani garibaldini nell’agosto 1944. Un incontro questa settimana con una giovane e colta docente torinese mi ha reso consapevole che la virulenza dei linguaggi sui social ,in particolare su Twitter, fa pensare a vere e proprie pietre scagliate attraverso la rete. L’obbligo della sintesi trasforma il pensiero in azione,riducendo al minimo il pensiero che si snatura in slogan. Viene a mancare il confronto delle idee e la politica si manifesta in modo primordiale ed insieme modernissimo. Io avevo sempre pensato che la tolleranza, senza se e senza ma, per tutte le idee dovesse sempre essere la stella polare di un laico. Solo di fronte alle azioni, in particolare a certe azioni, non ci poteva essere tolleranza. Idee e azioni avevano due diversi metri valutativi. Facevo un’eccezione per l’infame manifesto degli oltre 800 intellettuali che armarono la mano agli assassini del commissario Calabresi. La giovane docente mi ha ricordato che già durante la Grande Guerra molti intellettuali si lanciarono nell’uso di un linguaggio violento in cui la parola diventava un proiettile da scagliare contro il nemico. E mi ha anche fatto rilevare che il mio discorso finiva di privare la parola di parte del suo effettivo valore. Lo stringato e pacato manifesto degli intellettuali antifascisti di Croce del 1925 non fu solo un documento scritto, ma animò l’impegno di molti. Osservazione ineccepibile. In effetti oggi il cinguettio di Twitter è solo apparentemente un cinguettio. Spesso diventa un urlo feroce, un incitamento all’odio e alla violenza.

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Il  nuovo coraggioso libro di Oliva
 Gianni Oliva è noto al vasto pubblico dei lettori per i suoi libri coraggiosi sulle foibe, sull’esodo giuliano- dalmata, sui Savoia, su Umberto II, sull’Esercito. Tutti temi che uno studioso di sinistra  non dovrebbe considerare degni di attenzione se non per  scrivere critiche spesso astiose o riservare silenzi  conditi di disprezzo. Oliva è uno dei pochi storici seri che la storiografia italiana abbia oggi.  L’ultimo libro dal  titolo “Combattere. Dagli arditi ai marò, storia dei corpi speciali” non passerà inosservato. Prevedo già alcune critiche aprioristiche e faziose che quasi sicuramente verranno espresse ,anche se il modo per liquidare chi dissente da noi è oggi la condanna del silenzio, della non recensione, del non invito in TV. Penso che sarà difficile mettere il silenziatore sullo scomodo libro di Oliva che ripercorre in modo lineare una storia che meritava di essere raccontata senza apriorismi faziosi. Gli arditi ,i marò, i paracadutisti ,la “Folgore” apparivano come i simboli dell’Italia fascista e guerrafondaia, incompatibile con l’art. 11 della Costituzione  in cui la guerra viene ripudiata.  I paracadutisti appiedati che resistono fino alla morte nel deserto africano di El Alamein  erano appannaggio dei nostalgici. Oliva ripercorre la loro storia, ricordando l’eroismo di quei soldati caduti a cui solo il Presidente Ciampi ebbe il coraggio di rendere omaggio. Ma dal libro viene fuori anche la storia della X Mas del principe Borghese, dei marinai che violarono il porto di Alessandria . L’autore parla di Luigi Durand de La Penne, di Teseo Tesei e di Elios Toschi, ma prima ancora di  Luigi Rizzo e della Beffa di  Buccari  nella I Guerra Mondiale e persino di Italo Balbo e di Giuseppe Bottai ,arditi nella Grande Guerra ,poi fascisti di primissimo piano. E’ un libro che non si può sintetizzare e che merita di essere letto. Fa onore ad Oliva l’averlo scritto ,diventa un dovere di un lettore che vuole informarsi sulla storia italiana leggerlo. Sicuramente è un libro che darà uno scossone alle vulgate.

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Gianni Oberto e il comune amore per Gozzano

Bello il nuovo tascabile di Palazzo Lascaris dedicato a Gianni Oberto Tarena, Presidente del Consiglio regionale e della Giunta regionale del Piemonte nel corso della I legislatura costituente, dopo essere stato Presidente della Provincia di Torino. La definizione di “disinteressato galantuomo” che costituisce il titolo di un paragrafo del libretto ,appare davvero calzante. Piemontese, avvocato, pubblicista, politico, uomo di grande cultura umanistica e giuridica, Oberto è stato un protagonista rimasto un po’ in ombra. Ingiustamente in ombra. Il Consiglio regionale gli dedicò un centro culturale che lavora in simbiosi con la biblioteca della Regione. Cattolico convinto, era anche un uomo aperto, potremmo dire un cattolico liberale, molto amico di Vado Fusi che me lo fece conoscere poco tempo prima di morire. Lo ricordo come un uomo molto cortese, riservato, direi “vecchio Piemonte “. Amava il suo Canavese profondamente, Ivrea faceva parte del suo DNA. Ricordo un altro incontro con lui insieme a Silvio Geuna che era stato rinchiuso nel carcere eporediese dopo la condanna all’ergastolo nel processo dell’aprile 1944 nel quale venne condannato a morte il generale Perotti. Più che di politica o di Resistenza, parlammo di Guido Gozzano e del “Meleto” di Agliè. Mi citò qualche verso a memoria. Io gli risposi con altri versi. Il nostro rapporto nacque nel nome di Gozzano. Raro, quasi eccezionale esempio di politico, specie democristiano. Per altri versi, già nel 1967 il Presidente della Repubblica Saragat ho la aveva insignito della medaglia d’oro dei benemeriti della scuola,della cultura e dell’arte.

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LETTERE –  scrivere a quaglieni@gmail.com

Lei scrisse tempo fa un elogio della cravatta .Come giudica i politici senza cravatta ed in jeans ,anche in cerimonie pubbliche ? A me sembra una mancanza di rispetto.

Gabriella Uberto

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La cravatta per me è un segno di eleganza, ma anche di rispetto. Le cravatte mi piacciono e ne ho una vasta collezione. Quando faccio un evento importante ne indosso una nuova che mi ricordi quell’evento. Da Marinella a Napoli sono di casa da molti anni. Ci andavano già mio nonno e mio padre. Longanesi , che scrisse che non portare la cravatta era un segno di indipendenza dai vincoli borghesi, è quasi sempre ritratto con la cravatta. Anche Togliatti portava la cravatta e anche il doppiopetto. Magari sono convenzioni, ma in Occidente sono convenzioni consolidate. Sergio Marchionne che si presenta al Quirinale con il solito maglioncino, è fuori posto come lo è Massimiliano Fuksas – progettista del grattacielo della Regione Piemonte- con la maglietta nera in ogni occasione. Ci sono anche politici in maniche di camicia. Diede il cattivo esempio Craxi quando al Palacongressi di Bari parlò, dopo essersi tolto la giacca per il caldo soffocante. Io mi sentirei di chiedere almeno a chi rappresenta le Istituzioni di sottoporsi al sacrificio di indossare giacca e cravatta. Enzo Ghigo, presidente della Regione per un decennio, era sempre inappuntabile come Aldo Viglione .Il via la cravatta e dentro i jeans, come è stato scritto, è un modo errato di voler assomigliare ai cittadini. I cittadini pretendono ben altro da chi eleggono .Se fossero bravi e onesti amministratori, il loro abbigliamento potrebbe passare in secondo piano ma ,quando un Sindaco o un Assessore indossano la fascia tricolore, devono avere l’abbigliamento adatto. Senza eccezioni.

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Il detective di Eco si aggira tra i volumi della grande biblioteca

“Non ho solo deciso di raccontare del Medioevo, ho deciso di raccontare nel Medioevo, e per bocca di un cronista dell’epoca”. Così Umberto Eco nelle “Postille” al suo Nome della rosa, romanzo cardine del Novecento, bestseller vincitore dello Strega nel 1981 e tradotto in 47 lingue, 50 milioni di copie vendute sino ad oggi, nell’86 un’indimenticabile trasposizione cinematografica ad opera di Jean-Jacques Annaud, interprete Sean Connery.

Un giallo al primo, frettoloso sguardo, un accavallarsi di assassinii, indizi, prove trafugate, labirinti fisici e mentali, castighi, sconfitte e tragedia finale dove s’intrecciano i mondi della storia e della filosofia e della teologia, attraverso il ricordo del vecchio Adso che in gioventù, sotto la guida del frate Guglielmo da Baskerville, antico inquisitore, testardo filosofo, uomo di scienze – nello svolgersi della vicenda, perché non allineare quell’acume alle figure di Guglielmo di Ockham e più vicino a noi di un Sherlock Holmes accompagnato nell’indagine da un impreparato quanto sconcertato Watson? -, assistette ai fatti narrati. La struttura del romanzo di Eco, con le sue sette giornate suddivise ognuna in otto capitoli corrispondenti alle ore liturgiche del convento, con i suoi cinquantasei capitoli introdotti e denunciati già da una linea-guida delle azioni che poi seguiranno, è trasportata nella versione di Stefano Massini (l’autore mai troppo lodato della Lehman Trilogy), diretta da Leo Muscato e vista in finale di stagione – ma una lunga tournée l’attende la prossima attraverso i teatri italiani – al Carignano nella produzione dello Stabile di Torino – Teatro Nazionale, dello Stabile del Veneto – Teatro Nazionale e dello Stabile genovese, dentro uno spazio non lontano dal sogno, essendo stati sostituiti necessariamente i linguaggi più minuziosi e aperti della letteratura e del cinema.

Aiutato in questo il suggestivo spettacolo che ne è nato dalla partitura musicale di Daniele D’Angelo e soprattutto dalla visualità e dalla visionarietà dei video inventati da Fabio Massimo Iaquone e Luca Attilii che respirano gli esterni con cieli bui e tempestosi (quasi a voler riprendere un mancato incipit dell’autore), tra mostri e corvi, e si sovrappongono in maniera certosina e spessissimo inquietante (gli iniziali marchingegni che fluttuano nell’universo, le parole sconosciute impresse sulle pareti, le fiamme della distruzione) alla scenografia firmata da Margherita Palli (i costumi sono di Silvia Aymonino, un lavoro finissimo tra i sai dei francescani e dei certosini e i mantelli dei messi papali), dove troneggiano in primo luogo le scale ed i vari piani della biblioteca e ancora i banchi da lavoro, gli scaffali, i luoghi delle morti e dei supplizi, le piccole celle seminascoste. E nel luogo circoscritto della mente (e del teatro), attraverso i tanti labirinti che si vanno formando, pungolati dalle parole dettate dalla memoria del vecchio frate, che ha il volto del sempre presente Luigi Diberti, costruiamo lo spazio ad un nuovo percorso, anche se risulta davvero difficile cancellare certe immagini e certi ambienti, riandare a ben definiti passaggi, respingere l’identificazione di un volto e di una voce (come fai a fare un ritaglia e un elimina con il viso di Connery o con la voce di Pino Locchi?): visto che in non pochi momenti manca al Guglielmo/detective di Luca Lazzareschi la autorevolezza, la grande dignità, il lento e profondo raisonneur del protagonista e buttarla in chiacchiera o in battuta che strappa la risata non lo aiuta granché (il che può fare il paio con la brutta e insignificante scena della discussione tra gli uomini di Chiesa, disposti a ringhiarsi gli uni di fronte agli altri come ad una partita a carte tra gente alticcia), seguendolo nell’opacità l’Adso di Giovanni Anzaldo.

Ben al di là di una perfetta ma pure poco sanguigna trascrizione si va man mano che lo spettacolo presenta le sue carte finali, con l’intervento di Bernardo Gui (un tonante Eugenio Allegri, mostro dell’Inquisizione, già prima un dolce Ubertino da Casale) e l’apparizione conclusiva del cieco Jorge da Burgos (grandioso Renato Carpentieri): si sente come diventi “magnifica” e attuale e concreta la lotta del Bene e del Male, in quale misura si butti in faccia a tutti come la paura sia il fondamento della fede, come Aristotele e la sua Poetica, il peso del riso come termine e strumento di conoscenza, le selve oscure e le epoche buie (“meglio essere morti piuttosto che vivere in questi giorni bui”), ogni cosa e tassello si rimettano al loro giusto posto, nella consunzione dei corpi e delle cose. Piace il lavoro che Muscato ha fatto sulle figure minori, sui fraticelli presi negli ingranaggi dell’assassino. Giulio Baraldi, Marco Gobetti, Mauro Parrinello e Franco Ravera hanno i loro giusti momenti in primo piano ed è soprattutto il Salvatore di Alfonso Postiglione a catturare lo sguardo, con la sua fanciullaggine costruita su quel miscuglio babelico di latino, volgare, francese, tedesco e inglese. Uno spettacolo che forse rimane leggermente al di sotto delle (mie, personalissime) aspettative, ma cui tuttavia va riconosciuta un considerevole sforzo produttivo, una grandeur non facilmente riscontrabile sui nostri palcoscenici e un onesto, appassionato omaggio al medievalista Umberto Eco.

 

Elio Rabbione

 Foto di scena Alfredo Tabocchini

I VIGILI SABAUDI SI LAUREANO CAMPIONI ITALIANI ASPMI NEL TIRO A SEGNO

Primo titolo nazionale del 2017 per la compagine gialloblù, che con i suoi tiratori ha la meglio su Milano e Rimini. Dominio assoluto nella carabina

Dopo un avvio di stagione caratterizzato dal secondo posto agli italiani di corsa campestre e dalla terza piazza ai nazionali di nuoto, il Gruppo Sportivo Polizia Municipale di Torino ha conquistato il primo alloro stagionale, trionfando in occasione dell’edizione numero 49 dei campionati ASPMI di tiro a segno, svoltasi a Ravenna sotto la supervisione del responsabile tecnico tricolore Armando Imondi.

La competizione, spalmata sull’arco di tre giornate, ha visto i tiratori sabaudi contendere il trofeo ai loro abilissimi omologhi di Milano e Rimini, superati grazie alla prestazione delle squadre di pistola 10 metri (Franco Grandi e Andrea Scialò), carabina 10 metri e carabina a terra (Cristina Bignami, Giovanni Lorenzo e Gabriele Lamberto). A livello individuale, inoltre, gli atleti piemontesi hanno fatto registrare score strepitosiCristina Bignami si è classificata prima nella carabina a terra (categoria A) e terza nella carabina 10 metri (categoria A), Franco Grandi ha vinto la gara di pistola libera (categoria A) e ha agguantato l’argento nella pistola 10 metri (categoria B), Nunzia Fresolone ha ottenuto un doppio secondo posto nella pistola sportiva e nella pistola 10 metri (categoria B), Gabriele Lamberto si è posizionato terzo nella carabina 3 posizioni (categoria A) e secondo nella carabina 10 metri (categoria A), Giovanni Lorenzo ha dominato le categorie master della carabina 3 posizioni e della carabina 10 metri, al pari di Giovanni Scarpetti, primo nella categoria master della pistola automatica. Da segnalare anche le ottime performance di Andrea Scialò (oro nella pistola 10 metri, categoria A) e di Loredana Tesoro (bronzo nella pistola 10 metri, categoria B). La somma di questi risultati ha consentito al GSPM Torino non solo di laurearsi campione d’Italia, ma anche di gustarsi il primato in tre graduatorie a squadre (carabina 3 posizioni, carabina a terra e carabina 10 metri) e il secondo posto in altre quattro classifiche collettive (pistola 10 metri uomini, pistola 10 metri donne, pistola sportiva, pistola libera).

Durante il campionato, inoltre, a titolo sperimentale, è stata introdotta la specialità “tiro rapido”; anche in questa i tiratori torinesi si sono distinti con il secondo posto individuale di Gabriele Lamberto, il terzo posto individuale di Cristina Bignami, l’argento a squadre femminile e il bronzo a squadre maschile. Al termine della trasferta in landa romagnola, la responsabile di settore, Loredana Tesoro,  recentemente subentrata a Paolo Parecchini, si è detta estremamente soddisfatta per l’esito della competizione: «Il ringraziamento più grande va agli atleti del settore tiro del GSPM Torino, che nonostante i loro impegni personali e lavorativi, alle divergenze di vedute, all’impegno fisico e mentale richiesto dalla disciplina, hanno dato il meglio di sé senza risparmiarsi, dimostrando a tutti cos’è il vero spirito sportivo. Oltre al responsabile tecnico nazionale Armando Imondi, vorrei ringraziare il presidente del tiro a segno nazionale di Ravenna, Gianni Fusci, e tutti i suoi collaboratori per l’ottima organizzazione e la disponibilità dimostrata nei confronti dei partecipanti, sia per le attività sportive che per quelle ricreative. Particolarmente interessanti sono state le visite guidate alla Basilica di San Vitale e al Mausoleo di Galla Placidia, presso cui siamo stati accompagnati da Ivo Angelini, che ci ha gentilmente dedicato il suo tempo. Grazie infine al comandante di Ravenna, Andrea Giacomini, e alla sua vice, Alessandra Bagnara, che hanno partecipato alla cerimonia di premiazione». Il prossimo appuntamento per il GSPM Torino è in programma mercoledì da mercoledì 31 maggio a domenica 4 giugno, quando, a Pesaro, si terranno i campionati italiani ASPMI di pallavolo.

Ricerca pediatrica, concerto dei Carabinieri per Città della Speranza

Una serata all’insegna della musica per sensibilizzare il pubblico sulle gravi patologie tumorali che colpiscono i bambini. È questo l’obiettivo del concerto che il Comando delle Scuole dell’Arma dei Carabinieri organizza per venerdì 12 maggio a Torino. Alle ore 20.30, nella Chiesa del Santo Volto, si esibirà la Fanfara del 3° Reggimento Carabinieri di Milano, diretta dal M° Andrea Bagnolo. Saranno ospiti anche i cori “Voci bianche del Coropò”, della “Scuola Protette di San Giuseppe” e della Scuola Allievi Carabinieri di Torino, con la presenza straordinaria del soprano Stefania Delsanto e della flautista Rebecca Lewis. Il repertorio privilegerà brani e musiche per bambini e ragazzi, invitati a partecipare.

L’iniziativa, che fa seguito ad un analogo concerto svoltosi con successo a Roma il 27 aprile scorso, mira a dare un messaggio informativo sulle leucemie pediatriche e su quanto viene fatto dalla Fondazione Città della Speranza, onlus vicentina che dal 1994, tramite il fundraising, si pone lo scopo di migliorare le condizioni di cura e assistenza dei bambini malati e di sostenere la ricerca scientifica in ambito oncologico. Per dare risposte sempre più concrete, nel 2012 la Fondazione ha dato vita a Padova ad un suo Istituto di Ricerca Pediatrica che, con i suoi 17.500 mq, è il più grande polo europeo dedicato alla lotta contro le malattie infantili, collegato con i più importanti centri di ricerca internazionali.

L’Arma dei Carabinieri, sempre attenta a dare il suo contributo a quanti si impegnano nel sociale, oltre a promuovere i concerti di Roma e Torino, ha realizzato anche un’agenda contenente semplici consigli per diffondere il patrimonio di conoscenze e di valori civili tra i giovani. L’agenda, che sarà consegnata al pubblico, è impreziosita da disegni e messaggi dei pazienti in cura nella Clinica di Oncoematologia Pediatrica di Padova.

“Città della Speranza, nell’accogliere con particolare soddisfazione la consueta disponibilità dell’Arma nel sostenere programmi di così rilevante importanza sotto il profilo umano, morale e assistenziale, ancora una volta ringrazia i Carabinieri per la significativa e preziosa collaborazione, già data anche in passato, consentendo di portare all’attenzione di migliaia di cittadini una problematica particolarmente delicata, qual è la tutela della salute dei bambini meno fortunati che non sempre riescono a ritrovare il sorriso a causa di gravissime malattie purtroppo ancora non curabili – spiega Giovanni Franco Masello, presidente della Fondazione –. Solo la ricerca potrà consentire di arrivare a terapie più efficaci e risolutive, ma sono determinanti la più estesa conoscenza del problema e la generosità di quanti contribuiranno a risolverlo aiutando il lavoro di preziose risorse umane da tempo impegnate nello studio di nuove soluzioni terapeutiche”.

Quale antifascismo? Storia di” Giustizia e Libertà”

Di Pier Franco Quaglieni

Giovedì  4  maggio all’Istoreto di Torino viene presentato il libro di Marco Bresciani Quale antifascismo? Storia di” Giustizia e Libertà”,edito da Carocci.


Ad 80 anni dall’assassinio di Carlo e Nello Rosselli esce un libro che storicizza le vicende di “Giustizia e Libertà” che a Torino ebbe esponenti di primissimo piano:da Umberto Calosso ad Augusto Monti,da Vittorio Foa ad Aldo Garosci,da Leone Ginzburg a Franco Venturi. I “giellisti” torinesi degni di essere citati sarebbero molti di più. Bresciani è un torinese che ha studiato a Pisa. E’ nato nel 1977 ed ha prodotto libri di alto livello per il rigore storico e la  capacità di andare oltre certe impostazioni mitizzanti. E’ un esempio raro, in particolare a Torino dove la scuola storica locale si è avvitata su alcune figure che hanno per decine d’anni  impedito una vera pluralità di idee nell’ambito universitario. Già il titolo con il punto interrogativo è emblematico del contenuto del libro.
Quale antifascismo ? Non appare un interrogativo retorico,ma il segno di una ricerca storiografica non ideologica che appartiene al modo di concepire la storia e la storiografia che fu di Federico Chabod e di Franco Venturi. L’autore parte dalle origini ,parlando della “Voce”  di Prezzolini, della passione interventista nel 1915  e del rifiuto del massimalismo socialista  che fu di tanti futuri giellisti, a partire da Salvemini ed Ernesto Rossi.

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Una parte molto interessante del libro è quella sull’antigiolittismo che accomunò Salvemini , Einaudi e Gobetti ,tanto per citare solo tre nomi importanti. L’incapacità di vedere nello statista di Dronero l’unico capace di trasformare l’Italia ,rifiutando la retorica, in uno Stato moderno ispirato ai valori che oggi definiremmo liberal-democratici, fu uno dei limiti vistosi di quegli uomini. Benedetto Croce nella sua Storia d’Italia mise invece  in un luce il valore dell’Italietta giolittiana valutata positivamente ,con molto ritardo,persino da Palmiro Togliatti .    Molto tardivamente Salvemini riconobbe l’ errore che commise  quando scrisse il libretto polemico  Il Ministro della malavita. Non aver capito Giolitti significò per molti diventare naturaliter interventisti e prendere un colossale ,iniziale  abbaglio persino di fronte a Mussolini :Salvemini confessava  ,sia pure anche lui molto tardivamente, che nel 1922 non avrebbe avuto dubbi a  preferire Mussolini rispetto a Giolitti. Ed Ernesto Rossi collaborò inizialmente al” Popolo d’Italia” del futuro duce. Dal libro emerge che anche il maestro di antifascismo al torinese Liceo “d’Azeglio”, Augusto Monti, tanto mitizzato dai suoi allievi,si espresse valutando positivamente le <<buone intenzioni>> di Mussolini. Anche Ferruccio Parri ,futuro capo carismatico della Resistenza  e primo presidente del Consiglio dell’Italia liberata,ebbe qualche esitazione.

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Importante è l’analisi del rapporto con Gobetti che insieme a Rosselli viene considerato un padre nobile del giellismo. Ma il rapporto Gobetti -Gramsci  determina posizioni molto diverse rispetto a Rosselli,a partire dalla valutazione della Rivoluzione d’ottobre che non fu affatto liberale,come Gobetti sostenne. Bresciani pone in evidenza come i giellisti facessero fatica  a <<decifrare la novità e la radicolità del fascismo>>.La loro era una cultura << impregnata di umori antigiolittiani,di ardori interventistici e di slanci combattentistici>> che aveva loro impedito di cogliere il senso del fenomeno fascista fin da subito.Certamente poi la scelta successiva fu antifascista senza ambiguità,caratterizzandosi  in termini di assoluta intransigenza: Salvemini in esilio,Rossi in galera,Rosselli al confino e poi fuoruscito in Francia. Gobetti era morto nel 1926 e sicuramente fu l’unico a vedere con chiarezza il fascismo fin dalle sue origini,anche se la sua interpretazione del fascismo come <<autobiografia della nazione>> era decisamente  sbagliata.

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Il movimento “Giustizia e Libertà” venne fondato a Parigi da Rosselli,la cui opera Socialismo liberale è rimasta a testimoniare il tentativo di fondere gli ideali di giustizia e di libertà attingendo dal socialismo l’idea di giustizia e dal liberalismo quella di libertà. Furono miraggi o fu un’idea politicamente praticabile ? Secondo Croce ,il Partito d’Azione nato da “Giustizia e Libertà” era un<<ircovervo>>, un mostro favoloso non esistente in natura,  in cui convivevano idee non fatte per essere amalgamate insieme,ma in conflitto.Al massimo una forzata  giustapposizione di idee configgenti. Infatti, il socialismo riformista di Turati,di Matteotti e di Saragat si definirà socialismo democratico  e non socialismo liberale. Giorgio Spini evidenziò che comunque la parola liberale era solo un aggettivo rispetto al socialismo che era invece un sostantivo. Certamente Rosselli fu critico implacabile  del comunismo sovietico e dello stalinismo e per questo motivo subì una persecuzione da parte dei comunisti. Bresciani attribuisce a Rosselli  un corsivo non firmato in cui nel 1935 apparirebbe un giudizio sostanzialmente elogiativo della Rivoluzione sovietica.

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Con la Guerra di Spagna nel 1936 Rosselli  avrebbe adottato <<un linguaggio insolitamente brutale,disponibile a giustificare qualsiasi violenza in chiave antifascista>>.
Addirittura, secondo Bresciani, negli scritti rosselliani <<si registrava una sempre più netta identificazione di anticomunismo  e fascismo>>. Un’idea che avrebbe trovato molti continuatori.
E’ certo che  dopo aver letto  il libro, l’icona di Rosselli non appare più così come sembrava.
E’ merito di questo libro aver contribuito a gettare nuova luce su una pagina che è rimasta per troppi anni identificata con certa” vulgata”. Chi ha scritto di Rosselli e di “Giustizia e Libertà” ci aveva offerto un’idea incompleta o parzialmente sbagliata. Certamente è lecito almeno sollevare anche noi un dubbio: se Gramsci e Rosselli non fossero morti nel 1937,ma fossero stati a capo del Partito Comunista e del Partito Socialista,  che cosa sarebbe successo? Forse la storia italiana avrebbe preso una piega diversa dopo la Resistenza e l’avvento della Repubblica.


Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

di Pier Franco Quaglieni

Ztl: vorrei che  non passasse un’idea a danno dei negozianti e anche dei torinesi  che non potrebbero accedere al centro ,di fatto nel corso dell’intera giornata, se non  in bus o taxi. Tutto ciò che oggi può danneggiare le aziende che reggono e affrontano una  crisi che ha portato molti a chiudere, andrebbe, non foss’altro per ragioni di buon senso, osteggiato con tutti i mezzi possibili”

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Il nuovo libro di Elisabetta Chicco

E’ appena uscito, edito da Castelvecchi, il bellissimo ed assai documentato libro “Nietzsche .Psicologia di un enigma” di Elisabetta Chicco Vitzizzai, nota ed apprezzata scrittrice torinese. Laureata all’Università di Torino in Estetica e in Psicologia Clinica, è autrice di romanzi di successo, anche se nel saggio rivela doti non indifferenti di ricercatrice e di studiosa di rango che difficilmente convivono in una narratrice  di straordinaria fantasia e creatività come è Elisabetta.Il libro coniuga una riflessione sull’opera filosofica di Nietzsche  con lo studio della sua vita e della sua personalità.Particolare interesse assume il capitolo sulla fine del filosofo. L’indagine rigorosa condotta attraverso la lettura  approfondita del suo epistolario contribuisce significativamente  all’evoluzione degli studi nicciani ,una italianizzazione consentita da Umberto Eco. Il libro fa anche  implicita giustizia delle tante sciocchezze scritte su Nietzsche  da sedicenti germanisti torinesi del passato, incredibilmente presi sul serio anche  dall ‘editore Einaudi.L’autrice che si è cimentata con la narrativa,la poesia,il teatro e anche con la pittura (è figlia del notissimo ed apprezzato artista Riccardo Chicco(un pilastro della storia dell’arte novecentesca, non solo torinese)è, a sua volta, una protagonista della vita intellettuale subalpina, prima come docente nei Licei di stato ,poi come scrittrice e come conferenziera  di rara seduzione intellettuale. Remo Bodei, uno dei maggiori filosofi italiani che ha scritto una lunga prefazione al libro, ha scritto che l’opera della Chicco è “una sfida alle leggende tenacemente sopravvissute sulla vita e il pensiero di Nietzsche”. Una parte del libro è ovviamente dedicato al soggiorno torinese del filosofo a Torino.

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Alassio, il “Toscana”, ”L’Unità” 

Una domenica di quasi cinquant’anni fa andai ad Alassio con una mia compagna di liceo. Era uno dei miei primi viaggi in cui guidavo la Fulvia  che mi aveva regalato mio padre per la maturità. Era primavera e la città del Muretto era illuminata di sole. Non c’era la folla domenicale che c’è adesso. Si parcheggiava con facilità. Era la Alassio di Mario Berrino, il pittore che aveva ridato ai torinesi il piacere della vacanza al mare dopo gli anni tormentosi della guerra. Andammo a pranzare in un ristorante che non conoscevo, il “Toscana” ,che c’è anche oggi ed è sempre piacevole come allora. Entrai in quel locale  con la mazzetta dei giornali, la più visibile ,casualmente, era la testata dell’”Unità”. Un cameriere  torinese che faceva la stagione al “Toscana” – è un fatto incredibile ,ma vero –  dopo avermi portato una sogliola alla mugnaia (allora, noi torinesi, apprezzavamo ,da veri provinciali, quasi soltanto quel pesce di mare )mi sussurrò testualmente :”Compagno, dì che non è cotta, così te ne porto un’altra”. Quel giornale, in quel clima di svolte epocali di sinistra, dava un senso-diciamo così- di  fortissima appartenenza, oggi impensabile .Per fortuna dei ristoratori, ma soprattutto nostra…  Non era del tutto casuale che quel cameriere fosse torinese.

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Francesco Barone  il filosofo della libertà 

 Il torinese Francesco Barone è stato uno dei più grandi filosofi della scienza, docente all’Università e alla Scuola Normale  di Pisa dove la baronia di  Augusto Guzzo nella Facoltà filosofica torinese costrinse  il laico Barone ad emigrare. Un po’ come accadde a Mario Fubini  a causa di Giovanni Getto che era sì cattolico, ma  che con i suoi allievi ,lui rigorosissimo fino al paradosso, si rivelò molto liberale.  L’altro sabato ho parlato di Barone  a lungo  con il suo allievo prediletto Marcello Pera,  mio amico da una vita.  Era figlio di un tipografo de “La stampa” alla quale collaborò per anni con elzeviri di grande valore. Lo aveva chiamato al giornale  Carlo Casalegno. Poi lo esclusero da quella collaborazione, cui teneva moltissimo. Ci soffrì molto. Scriveva importanti  articoli  sull’Illuminismo e sui rapporti tra filosofia e scienza ,ma si occupava anche  di università e di scuola con grande  coraggio e  assoluto anticonformismo, denunciando gli errori del ’68 e i pericoli della violenza contestatrice a cui si oppose tenacemente, e inutilmente, a Pisa come preside di Facoltà. La stessa città dove D’Alema e Mussi furono protagonisti di una contestazione un po’ troppo esagitata. Pera, nel corso della nostra conversazione lo ha definito “un liberale torinese  di temperamento, prima ancora che di cultura”. Non avrebbe  potuto dire meglio. 

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I cavalieri di gran croce romani 

A Torino con Antonio Maria Marocco, Paolo Emilio Ferreri, Enzo Ghigo, SIlvio Pieri, Mario Garavelli, Carlo Callieri, Giovanni Quaglia e pochi altri  fondammo in prefettura , esattamente dieci anni fa ,l’associazione nazionale degli insigniti del cavalierato di gran croce , l’equivalente italiano della Legion d’onore francese. Poi l’associazione trasmigrò a Roma, come forse era indispensabile e sicuramente inevitabile. Tutto ciò che nasce a Torino è destinato a finire a Milano o a Roma. L‘altra sera abbiamo festeggiato la Pasqua con il presidente Raffaele  Squitieri , presidente della Corte dei Conti. Di tanti cavalieri torinesi l’unico dei fondatori presente ero io. Ma è stato bello conversare con tanti amici provenienti da ogni parte d’Italia: prefetti, ambasciatori, docenti universitari, generali. Nel mio tavolo ho conosciuto un grande medico di Bologna che scrisse il testo una canzone di Lucio Dalla. L’associazione è una grande risorsa per la Repubblica ,una riserva di uomini e di donne al servizio dello Stato. Non a caso, tra noi, c’era anche il prefetto Tronca che a Milano e  a Roma si è distinto per le sue doti e per la sua onestà.

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Tom e il cimitero Sud

Mi ha sorpreso che lo storico vicesindaco di Chiamparino, Tom Dealessandri , sia invischiato in una vicenda relativa al crac del CSEA ,il consorzio per la formazione professionale partecipato dal Comune di Torino. Mi auguro per lui che si risolva nel migliore dei modi e che la Magistratura contabile accerti la sua non responsabilità per una vicenda per cui sono stati condannati sul piano penale amministratori  del CSEA.  Non ho mai conosciuto di persona il mitico Tom del decennio chiampariniano che fu anche assessore ai cimiteri. In occasione di un funerale in quello squallido cimitero torinese costruito a misura dei casermoni di via Artom -il Cimitero Sud, p oi ribattezzato da Beppe Lodi Cimitero Parco- scoprii una raccapricciante  lapide , piuttosto vistosa. in un settore del cimitero che riportava  parole che mi parvero  irrispettose dei morti: “Salme indecomposte”. Fotografai la lapide e la mandai ai giornali. Dopo circa un mese di silenzio si fece sentire anche l’assessore che non trovò fuori posto quell’iscrizione e scrisse che ,al massimo, era questione di punti di vista e di sensibilità personale. Mi rimase in mente la risposta dell’assessore e vice sindaco di Torino. Forse avevo torto io, ma la burocrazia non può essere sempre insensibile ed aver sempre ragione, anche quando sbaglia, non rispettando la dignità delle persone.

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ZTL fino alle 19 

Molti commercianti del centro torinese hanno affisso  sulle loro vetrine  un modesto foglio  senza commenti polemici,denunciando l’idea folle che l’amministrazione comunale ha in mente: estendere la zona ZTL fino alle 19 ed estenderne anche i confini. Non vorrei che qualche zelante vigile contestasse  loro l’affissione abusiva del foglio. Soprattutto vorrei che  non passasse un’idea a danno dei negozianti e anche dei torinesi  che non potrebbero accedere al centro ,di fatto nel corso dell’intera giornata, se non  in bus o taxi. Tutto ciò che oggi può danneggiare le aziende che reggono e affrontano una  crisi che ha portato molti a chiudere, andrebbe, non foss’altro per ragioni di buon senso, osteggiato con tutti i mezzi possibili. Il timido foglietto di carta bianca non basta

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LETTERE (scrivere a quaglieni @gmail.com)

Ho letto il suo ricordo di Giovanni Sartori che mi è piaciuto, ma perché ha taciuto la sua contrarietà all’immigrazione islamica ? Non è da lei.

                                                                             Giuseppe Lomonaco

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Ho scritto di getto il ricordo di Sartori pochi minuti dopo aver appreso della sua morte. Ho citato la sua difesa di Oriana Fallaci e la sua polemica contro Gino Strada. Ho dato erroneamente per sottintesa la sua posizione critica sui rapporti con l’Islam. Andava invece citata e andava anche aggiunto che egli venne esaltato come critico di Berlusconi,ma successivamente  isolato e censurato per aver denunciato i pericoli insiti nell’islamismo. La mia preoccupazione,per altri versi, era quella di evidenziare la statura di uno studioso di straordinario valore che pochissimi politici italiani hanno letto. E ne vediamo (e ne paghiamo)le conseguenze.

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E’ tempo di Hispánica al Circolo dei lettori

Fa centro ancora una volta il Circolo dei lettori di Torino con il ciclo di incontri “Hispánica” che porta la letteratura spagnola a Torino.

Gli appuntamenti imperdibili sono con 4 grandi scrittori della levatura di Alicia Giménez Bartlett, Julio Llamazares, Javier Cercas e Almudena Grandes. Quattro voci delle vicina penisola iberica diverse tra loro, ma tutte strategiche e fondamentali per tracciare i cambiamenti del paese che, liberatosi della lunga dittatura franchista, è oggi una democrazia moderna la cui storia è stata segnata da boom economico e periodi critici. Stili, tematiche, universi narrativi e punti di vista diversi nei libri di questi 4 autori, ma denominatore comune la maestria della scrittura e la capacità di delineare spaccati della vita e della letteratura spagnola contemporanea.

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Si inizia domani 7 marzo alle ore 18,30 con Alicia Giménez Bartlett , la regina del giallo. Per molti la “Camilleri spagnola” che, lasciati i panni di professoressa di letteratura, si è immersa nella scrittura e ha dato vita ai polizieschi con protagonista l’ispettrice di Barcellona Petra Delicado. Un successo travolgente per la poliziotta attaccabrighe, ribelle, un po’ anarchica e decisamente testarda, alla quale fa da spalla il bonario viceispettore Fermin Garzòn.Ma la Bartlett ha scritto anche opere di narrativa di altissimo livello, tra le quali “Una stanza tutta per gli altri” (2003) e l’ultimo “Uomini nudi” (Sellerio) che nel 2015 le è valso il prestigioso Premio Planeta.Domani nelle sale del Circolo (in Via Bogino 9) l’autrice incontra i suoi lettori subalpini nell’appuntamento dedicato al genere noir di cui è maestra.

Martedì 11 aprile sarà la volta di Julio Llamazares, poeta e viaggiatore il cui sguardo punta al rapporto tra uomo e natura. Ha iniziato a scrivere poesie fin da giovanissimo e dopo la laurea si è trasferito a Madrid dove nel 1976 gli è stato assegnato il Premio Nazionale di Poesia Universitaria e tre anni dopo il Premio Antonio Gonzalez de Lama. Con “Memoria della neve” nel 1982 ha vinto il Premio Guillén.

Giovedì 20 aprile appuntamento con il grande Javier Cercas, autore del famoso “L’impostore” (Guanda), docente di letteratura spagnola all’Università di Gerona. Lui definisce i suoi scritti “racconti reali” in cui finzione e realtà sono amalgamati, come nel nuovo “Il sovrano delle ombre” (Guanda) dove mescola storia e ricordi familiari. Scava nella storia della sua famiglia e apre una pagina scomoda del passato. Nel romanzo ripercorre la vita dello zio materno Manuel Mena che fu sottotenente falangista arruolato nell’esercito di Franco e morto a 19 anni, nel 1938, nella battaglia dell’Ebro, la più sanguinosa della guerra civile spagnola.

Giovedì 4 maggio a chiudere il ciclo “Hispánica” sarà Almudena Grandes. La scrittrice madrilena diventata famosa con il romanzo “Le età di Lulù” che nel 1990 ispirò l’omonimo film di Bigas Luna. E il feeling col cinema si è rinnovato con “Malena” (1994) da cui il film di Gerardo Herrero. Ancora successi per la Grandes con le opere successive “Atlante di geografia umana” (1998), “Gli anni difficili” (2002) e “Troppo amore” (2004). L’ultima fatica letteraria è “I baci sul pane” (2015) ambientato a Madrid durante la crisi del 2008; protagonisti coppie, famiglie allargate, single, giovani e meno giovani, spagnoli e stranieri. E l’autrice si concentra sull’esperienza umana di fronte ai grandi eventi storici.

Laura Goria

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Per informazioni: Il Circolo dei lettori

Via Bogino 9

Tel. 011 4326827

info@circololettori.it

CARMAGNOLA, RIPARTE IL COMMERCIO DI VIA TORINO

commercio quattrocchioL’Assessore Surra ha incontrato i commercianti della zona carmagnolese

Un comitato per far ripartire il commercio di Via Torino a Carmagnola e per animare la zona e chi la abita. Questo è quanto è stato deciso nell’incontro tra l’Assessore al Commercio del Comune di Carmagnola GianLuigi Surra e i commercianti della zona, svoltosi nei giorni scorsi presso il salone d’incontro Bruno Longo di via Torino. L’incontro che ha visto più di cinquanta commercianti presenti è stato promosso da Sergio Sandrone, giovane commerciante (farmacista) della zona e dai consiglieri Domenico La Mura e Pasquale Sicilia. All’incontro ha partecipato anche il Sindaco di Carmagnola, Ivana Gaveglio, oltre al Presidente dell’Ascom Carmagnola, Giuseppe Lanfranco. Presenti anche l’Assessore alle Politiche Sociali, Graziana Grasso e i Consiglieri Giuseppe Quattrocchio e Paolo Sobrero. Durante l’incontro si è commercianti quattrocchiodiscusso del commercio della zona situata tra il centro cittadino e Borgo Salsasio. Per promuovere il commercio, andare incontro ai commercianti e ai cittadini della stessa zona, dall’incontro è emerso che si dovrà agire attraverso un comitato della zona che dovrà essere formato dagli stessi commercianti. Uno dei promotori dell’incontro, Sergio Sandrone spiega: “a breve verrà ufficializzato il comitato e attualmente si sta lavorando sulla stesura dello statuto – e sottolinea lo scopo che avrà il comitato di Via Torino – lo scopo del comitato sarà quello di intraprendere iniziative utili per promuovere, tutelare, salvaguardare e rivitalizzare il commercio di Via Torino e delle vie adiacenti, nell’interesse dei consumatori e della comunità carmagnolese, il tutto con la collaborazione del Comune di Carmagnola che attraverso il Sindaco e l’Assessore Surra ha espresso il consenso a questa iniziativa“.

Ivan Quattrocchio

 

Rispetto per il povero Crescenzio: la lapide non si tocca

quaglieniBaloccarsi su cosa scrivere sulla targa è inutile se non si ricostruisce l’insieme. E dall’insieme risulta che violenza politica, violenza terroristica, terrorismo sono difficilmente scindibili in quegli anni di piombo. Anche le parole sono pietre, diceva Carlo Levi, pietre che uccidono come la P 38

Di Pier Franco Quaglieni*

La polemica che sta montando ad una settimana dallo scoprimento di una lapide in ricordo del lavoratore studente (come si diceva allora) Roberto Crescenzio non è un buon segnale, rivela l’appannarsi di alcuni valori di riferimento che si credevano acquisiti una volta per sempre. In quell’anno conducevo un seminario a Palazzo Nuovo quasi esclusivamente riservato ai lavoratori studenti e so cosa significasse lavorare e studiare tra mille difficoltà ,come faceva Crescenzio.
terrorismo2La polemica su cosa si deve  incidere sulla lapide (violenza politica? violenza eversiva? violenza terroristica? terrorismo?) appare un po’ pretestuosa, soprattutto quando si vuole sostenere che quella vicenda terribile fu solo violenza politica. L’uso di bombe molotov  in manifestazioni  non è mai solo violenza politica. Assaltare la sede del MSI, partito che aveva una folta rappresentanza in Parlamento, è un’idea inconciliabile con la convivenza civile. Le idee si combattono con il confronto delle idee ,non con le aggressioni alle sedi. Altrettanto per l’assalto di tipo squadristico all’”Angelo Azzurro”.

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Spadolini aveva scritto degli opposti estremismi che finiscono di confondersi nei modi di comportarsi di agire. Squadristi rossi e squadristi neri. Scannarsi su cosa scrivere sulla targa non è segno di rispetto per questo giovane disgraziato, vittima incolpevole di una furia che non può trovare spiegazioni,  nè tanto meno giustificazioni ragionevoli. Meno che mai sono tollerabili i tentativi di sminuirne la portata. I protagonisti -responsabili non hanno mai dato spiegazioni convincenti.Alcuni hanno anche fatto carriere impensabili. Il solo Silvio Viale, andato assolto ed accusato  esclusivamente per l’assalto alla sede missina ha espresso, sia pure molto tardivamente, le sue scuse alla mamma di Crescenzio. Il prof. Stefano Della Casa, Steve Lotta_continua_1973per i compagni di LC, laureatosi proprio nel 1977,anno della morte violenta di Crescenzio, che pure passò un anno in carcerazione preventiva per quell’episodio, si è sempre dichiarato innocente e quindi non  si è mai espresso su quel dramma, pur prendendo  successivamente le distanze dall’uso della violenza. Nel 2006 ebbe la riabilitazione del Tribunale di Torino e questo chiuse per sempre il discorso giudiziario. E’ vero che nel 1976 Lotta Continua si sciolse proprio di fronte al dilemma del terrorismo, ma una parte  significativa di suoi militanti confluirono nei gruppi terroristici.

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Non va inoltre dimenticato l’omicidio nel 1972  del commissario Luigi Calabresi ad opera di militanti di LC il cui mandante,come assodato da sentenza definitiva, dopo innumerevoli processi, fu  Adriano Sofri  per il quale intellettuali irresponsabili chiesero per anni la grazia dopo la condanna, grazie che il casalegno-2presidente Ciampi non firmò. Baloccarsi su cosa scrivere sulla targa è inutile se non si ricostruisce l’insieme. E dall’insieme risulta che violenza politica, violenza terroristica, terrorismo sono difficilmente scindibili in quegli anni di piombo. Anche le parole sono pietre, diceva Carlo Levi, pietre che uccidono come la P 38. In particolare l’idea di ridurre la portata della tragedia dell’Angelo Azzurro con una variazione del testo della lapide appare profondamente sbagliata. Soprattutto sbaglia in modo clamoroso chi vuole ricondurre la responsabilità al clima di quegli anni. E’ un vetero sociologismo  di convenienza  che va respinto. Ciascuno è sempre responsabile dei suoi atti. LC fu un gruppo violento ed eversivo perché la Costituzione consente solo ed esclusivamente manifestazioni pacifiche. Chi ha fatto ricorso alla violenza è quindi eversore delle istituzioni repubblicane. Chi si aggrappa ai nominalismi intende magari ,al di là delle sue stesse intenzioni,non fare fino in fondo i conti  su una pagina nera e rossa della storia italiana, rossa anche di sangue versato da vittime innocenti. L’assalto all’Angelo Azzurro fu un atto criminale che non può trovare attenuanti. Di criminalità politica ed eversiva, in una parola terroristica, non foss’altro perché generò terrore in una città già straziata ed umiliata. Non dimentichiamo che nello stesso anno venne ammazzato Carlo Casalegno e ci fu chi persino all’interno di una redazione de “La Stampa” ne gioì.

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Ha ragione Giancarlo Caselli, il magistrato che insieme a Caccia, Barbaro, Maddalena ed altri, fu protagonista della difesa della democrazia repubblicana minacciata, quando  parla di “arretramenti”, se si modificasse  il testo della lapide. Il Presidente del Comitato Resistenza e Costituzione della Regione Nino Boeti, pur cercando di confrontarsi con tutti come è nel suo stile ed è proprio del suo crescenzio2ruolo istituzionale ,ha ricordato che  nel movimento studentesco e nell’autonomia il terrorismo trovò terreno fertile . Gli aspetti penali della questione sono archiviati da tempo. Quelli storici ed anche politici no. I fiancheggiatori di allora ,i simpatizzanti, quelli che non andarono in piazza San Carlo  per il “reazionario” Casalegno, quelli che parlarono di sedicenti Brigate rosse e poi  di compagni che sbagliano, sarebbe bene che  stessero zitti ed evitassero anche di farsi vedere all’inaugurazione della lapide. 

* direttore del Centro Pannunzio