E l’anno successivo, in un setificio di Agliè, il primo asilo aziendale in Piemonte
Il 3 agosto 1838 nasceva a Rivarolo Canavese il primo asilo del Regno sabaudo. Nella cittadina a trenta chilometri da Torino, l’annuncio ufficiale venne dato in una cerimonia a palazzo Farina di Rivarolo, durante un incontro tra il sindaco Maurizio Farina – che fu, in seguito, senatore del Regno – Ferrante Aporti e Camillo Benso, conte di Cavour. Già da un paio d’anni, nelle terre dei Savoia, esistevano asili per l’infanzia, come quello istituito a Torino nel 1836 dalla marchesa di Barolo, ma la loro funzione era esclusivamente quella di accudire i bambini. L’abate Ferrante Aporti, sfidando conservatori e perbenisti, sosteneva invece come questi istituti dovessero porsi anche l’obiettivo di fornire ai piccoli dei principi educativi e istruttivi. Un’idea di stampo progressista, mal vista e mal digerita dal potere costituito. Così il Farina , all’inizio del 1838, in qualità di sindaco del centro canavesano, si prese la responsabilità di fondare il primo asilo aportiano senza darne avviso al questore di Torino e informandone solo ufficiosamente il Marchese di Saluzzo, allora Governatore dei Reali Principi. Una scelta che venne poi ufficialmente riconosciuta qualche mese dopo, con la visita di Cavour a Rivarolo. Ferrante Aporti, pioniere dell’educazione scolastica infantile, aveva fondato pochi anni prima a Cremona il primo asilo d’infanzia a pagamento in Italia
per alunni da due anni e mezzo a sei anni; un esperimento che poi diffuse nel lombardo-veneto con scuole infantili gratuite finanziate dal governo austriaco. Scopo degli asili era accogliere i figli dei lavoratori, aiutare le famiglie a sostenerli mediante la refezione, curarne l’educazione fin dall’infanzia nello sviluppo intellettivo, religioso, morale e fisico. La scuola di Rivarolo continuò la sua attività e divenne progetto pilota per l’apertura di altre scuole aportiane. Nel centro storico rivarolese, sul fronte di palazzo Farina, una targa ricorda l’azione “di Camillo Cavour e altri nobili uomini” in quest’ impresa. Un anno dopo, nel 1839, sempre nel canavese venne aperto anche il primo asilo aziendale in Piemonte. Lorenzo Valerio, dirigendo un setificio ad Agliè, guidato dalle sue idee liberali e da un’impostazione sociale molto avanzata per l’epoca, non si limitò a questo ma si distinse per l’impegno profuso nel migliorare le condizioni di lavoro delle operaie. Tra l’altro si adoperò ad aprire scuole femminili e serali, a quel tempo estremamente rare, dimostrando una sensibilità fuori del comune.
Marco Travaglini
A Torino, a nord-ovest del centro storico, c’è Porta Palazzo (Pòrta Palass
stagione ? Nel 1856, a soli vent’anni, trovò la riposta applicando – per primo in Italia – il metodo inventato nel 1795 dal cuoco e pasticciere francese Nicolas Appert (detto appunto “appertizzazione”) che consisteva nella sterilizzazione di cibi cotti in contenitori chiusi ermeticamente. Fu un successo e di lì a poco Cirio inaugurò la sua prima fabbrica di conserve in scatola, la “Cirio-Società Generale Conserve Alimentari”. Nella prima e nella seconda Esposizione Agraria di Torino, nel 1864 e 1865, gli furono tributati grandi onori mentre la definitiva consacrazione del “re delle conserve” avvenne nel 1867 all’Esposizione Universale di Parigi, a cui fece seguito l’apertura di stabilimenti in altre zone d’Italia. Nel 1880 la produzione di conserve Cirio superava i 10.000 quintali e i 49.000 quintali
l’esportazione di prodotti ortofrutticoli all’estero (resa possibile grazie alla collaborazione con le Ferrovie Italiane e all’uso di appositi vagoni refrigeranti). Francesco Cirio lavorò alacremente ai suoi progetti , con esiti e fortune alterne. Poco prima della sua morte, a sessantatre anni da poco compiuti, ai primi di gennaio del 1900, avvenne lo spostamento della “Ditta Cirio-Società Generale Conserve Alimentari “da Torino a San Giovanni a Teduccio, vicino a Napoli e il passaggio del pacchetto azionario di maggioranza nelle mani della famiglia Signorini. Cirio, che riposa al cimitero Monumentale di Torino, legò comunque il suo nome ai celebri “pomodori pelati” e , in fondo, è giusto che sia così se si pensa che la prima capitale d’Italia è la più grande città meridionale del paese dopo Napoli e Palermo,come disse, a suo tempo, il sindaco di Torino Diego Novelli.
troppo allegro ma, a tutela della propria memoria, è decisamente opportuno decidere espressamente e chiaramente quale soluzione adottare in anticipo, almeno nei termini semplicistici esposti. Poi, se la cosa sta particolarmente a cuore, si può anche nominare, magari per testamento, una persona competente e di fiducia che possa agire in caso di problemi o evoluzioni tecnologiche o contrattuali future: si può essere certi che le cose cambieranno – molto e rapidamente – ma non si sa in quale direzione.

persone provenienti dall’area del disagio sociale, occupandosi del riciclo della carta, ha puntato i riflettori sul tema degli appalti e sulle distorsioni relative. Massimo Ribasso, il terzo lungometraggio del regista Riccardo Jacopino dopo le esperienze del film “40% Le Mani Libere del Destino” e del docu-film “NOI, ZAGOR”, si sviluppa sullo sfondo delle gare d’appalto, in cui vince chi presenta l’offerta più bassa a discapito di qualità, sicurezza, dignità del lavoro. 
*Professore ordinario di economia aziendale e coordinatore del corso di dottorato in Business e Management dell’Università di Torino
per quanto riguarda le scienze applicate. “I docenti referenti hanno avuto moltissime richieste da parte di persone interessate a questa sperimentazione nell’arco dell’intera mattinata – dichiara il dirigente scolastico Riccardo Rota – molte delle quali venivano da fuori zona, da Alessandria e dalla Provincia, dal Vercellese, dalla Città Metropolitana di Torino”. Si tratta di un corso di studi pensato per coniugare tradizione, innovazione e radicata preparazione. In pratica la solidità formativa delle materie scientifiche ed umanistico – linguistiche si va ad innestare sull’innovazione con quella che non è la didattica dei 5 anni fatta in 4, ma una didattica nuova per il quadriennale. A questo si aggiungeranno poi alcune peculiarità del Sobrero, come i contatti internazionali della scuola, la personalizzazione dei percorsi, l’eccellenza dei laboratori e della tecnologia che viene adottata. Naturalmente l’offerta formativa non si ferma al nuovo corso quadriennale (ci sono anche Istituto tecnico ad indirizzo tecnologico, il Liceo sportivo), ma questa è la novità di quest’anno e sarà anche al centro dell’Open day dell’Istituto che si terrà sabato 20 gennaio, dalle ore 14.30 alle 18, In questa occasione i docenti saranno nuovamente a disposizione per fornire dettagli su questo corso di studi. Le iscrizioni per il nuovo anno si apriranno il prossimo 16 gennaio per chiudere il 6 febbraio. Per ulteriori informazioni è possibile contattare la Segreteria alunni dell’Istituto, via Candiani d’Olivola 19, a Casale Monferrato allo 0142/ 454543

nonostante le due stufe a kerosene viaggiassero a pieno regime. Ma ci voleva ben altro per scaldare i locali al 41 di via Trieste dove erano stati trasferiti gli uffici che un tempo erano ospitati nella “casa del partito” di via Eugenio Bona. La gloriosa Federazione “biellese e valsesiana” contava sedi in quasi tutti i paesi, da Alagna – ai piedi della parete sud del Monte Rosa – fino a Viverone, sulle rive dell’omonimo lago. Del resto non era stato Togliatti a esprimere l’auspicio che “si aprisse una sezione in ogni luogo ove ci fosse un campanile“? E non era forse stato Giorgio Amendola, qualche anno dopo, ad affermare soddisfatto “siamo dappertutto”? E allora bisognava andare su e giù per il territorio, incontrare compagni, promuovere il proselitismo, fare riunioni e comizi, organizzare feste de l’Unità. Bisognava prestare attenzione alla formazione dei quadri politici del partito, estenderne l’influenza nelle amministrazioni locali, rafforzare il movimento sindacale. Insomma, una mole di lavoro da lasciare senza fiato. Così, in vista dell’imminente avvio della nuova campagna di tesseramento, si decise d’inviare due giovani ma già esperti compagni a tenere due riunioni a Roppolo e Viverone, ai confini con il territorio che
cadeva sotto la giurisdizione politica dei comunisti torinesi. Il più anziano dei due aveva meno di trent’anni, funzionario del partito con in tasca una laurea, ed era di Borgosesia. L’altro, di quattro anni più giovane, nativo di Portula, era stato operaio alla Bozzalla e Lesna di Coggiola, una delle aziende tessili più importanti della Valsessera. Ora, anch’egli, aveva scelto la vita del “rivoluzionario di professione”. Partirono un pomeriggio da Biella a bordo di una vecchia e un po’ scassata Prinz del 1968 , di proprietà del valsesiano, con la quale avevano percorso migliaia di chilometri, girovagando tra una sezione e l’altra. C’era nebbia già a quell’ora. Uno di quei nebbioni che si tagliavano con il coltello da tanto si presentavano densi, compatti. Un muro grigio. Tra Biella e Gaglianico pareva di viaggiare nell’ovatta e così fu per i circa venti chilometri o poco più che separavano i due da Roppolo. Sandigliano, Boscazzo, Vergnasco..le località scorrevano con una lentezza esasperante, imposta dalla prudenza che, quando si guida in queste condizioni, non era mai troppa. A Salussola sembrò che la nebbia si diradasse ma era un’illusione. Pochi istanti, il tempo di tirare il fiato e la speranza di poter accelerare un po’ s’infranse nuovamente su quel muro grigio e umido. Dorzano, Salomone e, finalmente, le prime case di Roppolo. Erano le 17,30 e
all’osteria dei Cavalcanti, nei pressi delle mura del Castello medioevale che s’innalzano in tutta la loro severa mole , li aspettava il segretario della sezione “Primo Maggio”, il compagno Augusto Tremolanti, detto “Gùstin il rosso”. Tra la consegna delle nuove tessere e dei Quaderni del Partito, formidabili strumenti non solo di propaganda ma di vera e propria formazione culturale, passò più di un’ora. Gùstin rese conto dell’attività dei comunisti locali e, incamerati i complimenti dei due dirigenti della Federazione, offrì loro un bicchier di vino, accompagnadolo con delle larghe fette di polenta, formaggio e salame. Consumata la frugale cena, ripartiromo alla volta di Viverone, sul lago. Per chi non lo sapesse, il lago di Viverone è situato nell’anfiteatro morenico d’Ivrea , ed è il secondo lago di origine glaciale in Italia per dimensione, dopo quello del Garda. Per chi vi abita è motivo di vanto anche se, nel vederlo con il bel tempo, paragonarlo al Garda o agli altri laghi piemontesi del nord lascia un po’ perplessi. La Prinz ansimava, procedendo a passo d’uomo nella coltre fitta della nebbia che, semmai fosse possibile, diventò ancora più spessa, obbligando il conducente a strizzare gli occhi per scorgere qualcosa in quella nebbiaccia che impediva quasi di scorgere il ciglio della strada. Enzo – il valsesiano – chiese al più giovane Willy di metter fuori la testa dal finestrino e controllare che l’auto non finisse in qualche fosso. Potete immaginare l’allegria di quest’ultimo che, imprecando, scrutò il bordo della strada, suggerendo le manovre ( “più a sinistra! Così.. vai che va bene. No, attento, c’è un cordolo..Occhio, sta più al centro che c’è una cunetta”). Senza sapere che strada avessero imboccato si ritrovarono nello spiazzo prospicente al porticciolo. Fermata l’auto, i due – un po’ per la tensione, un po’ per il freddo – scesero per fare pipì nel lago. “ Eh, Willy. Attento che questa zona del lago è frequentata dai Quattrocchi, dagli Svassi e dalle anatre tuffatrici”, dice Enzo, ridendo. “ “E quindi? Qual è il problema? Non si possono fare i propri bisogni qui?”, risponde l’altro. “Oh, per farli li puoi fare. Stai solo attento a non fartelo beccare”, e giù a ridere mentre Willy lo mandò a quel paese. Rientrati in auto il problema era come raggiungere la Sezione che si trovava in paese.
Nessuno dei due vi aveva mai messo piede ed entrambi non avevano la minima idea di come trovarla. L’indirizzo non l’avevano preso perché , come rispose Enzo al compagno Tornelli, responsabile provinciale della stampa e propaganda, “cosa vuoi mai che sia..Viverone non è mica Biella o Vercelli. Ci hai detto che è ai margini del paese, vicino al Circolo, no? Quando saremo lì chiederemo all’oste o a quelli che troveremo”. Tutto bene, salvo un particolare: dov’era il Circolo di Viverone? Riguadagnata a fatica la strada principale dopo una breve salita s’accorsero che non c’era in giro anima viva. Le poche case erano buie. Nemmeno un lumino acceso dietro alle finestre che sembrano occhi chiusi, con gli scuri serrati. I pochi lampioni diffondevano una luce fioca, vaporosa. La nebbia , come per magia, distorceva tutto e lasciva nell’aria un odore di muschio e caligine come fosse fumo dei camini. Ma dov’era mai questo Circolo? E a chi chiedere informazioni? In Sezione il telefono non l’avevano ( figurarsi..con i loro trenta iscritti, compresi quei sette o otto che venivano da Azeglio, era già tanto se riuscissero a pagare l’affitto dei due locali della sede). E poi, anche se l’avessero avuto, di cabine telefoniche non ne avevano intravista nemmeno una. Girarono e rigirarono per più di un’ora, a passo d’uomo, con una lentezza esasperante quando incrociarono una piccola costruzione dove s’intravedeva una flebile luce provenire dalle fessure della porta. “Dai, Willy. Prova a bussare e chiedi dov’è la sezione comunista che magari lo sanno. Anzi, magari è proprio lì”, disse Enzo. Ma Willy rifiutò categoricamente. “Eh,no. Questa volta vai
giù tu che io mi sono fatto venire la cervicale a tener la testa fuori dal finestrino con questo freddo del boia”. Era irremovibile e, seppur malvolentieri, Enzo si alzò il bavero della giacca e scese dall’auto. La casetta era piccola, sembrava quasi un capanno. Giunto davanti alla porta, bussò. Dall’altra parte si sentivano dei suoni, ma più che voci parevano grugniti. “C’è nessuno?”, disse Enzo, alzando la voce. Non ottenendo risposta se non il solito verso, afferrò la maniglia e provò ad aprire. La scena che vide lo lasciò di stucco. Un signore piuttosto anziano, con i pantaloni calati, era accovacciato su un gabinetto alla turca. Si guardarono perplessi ed Enzo, imbarazzato, disse balbettando la prima cosa che gli passò per la testa: “ Scusi, è qui la sezione comunista?”. Quello, visibilmente irritato, risponde “No, è la sezione socialista. E adesso vai fuori dalle balle che devo finire..”. Enzo richiuse in fretta la porta e, raggiunta l’auto, salì mettendola in moto. Willy gli chiese come mai tanta fretta e se avesse ottenuto le informazioni necessarie . La risposta di Enzo fu categorica, tale da non ammettere repliche: “No, mi hanno fatto capire che è meglio tornare a Biella. In questa nebbia la sezione non la troveremo mai. E quelli lì della casa hanno altro da fare e non sembrano dei compagni”. Così terminò, non certo in gloria, la missione dei due sul lago di Viverone.
I bambini di oggi ubbidiscono meno o sono i genitori che sono “formattati” diversamente? Correva il tempo in cui bastava uno sguardo del papà o un accenno della mamma per arrivare alla massima dichiarazione di ubbidienza.
notifiche e batteria. C’è campo, non c’è campo. Ed usano, per tenere a bada i figli, quella tecnologia in grado di ipnotizzare, quasi anestetizzare la coscienza umana. Il tablet o il cellulare ed i suoi giochini. Forse perché pensano “se distrae me magari funziona anche con mio figlio e forse la smette di richiedere la mia attenzione”.
Dott. Davide Berardi, Psicologo – Psicoterapeuta