Vogliamo fare la pipì senza glifosato

Il glifosato (in inglese glyphosate, noto anche con la denominazione commerciale di Roundup) è il diserbante più usato al mondo e dalla sua comparsa sul mercato, che risale al 1974, ne sono state sparse sui campi quasi 9 milioni e mezzo di tonnellate. Da tempo è sotto accusa per i possibili danni alla salute, tanto che nel 2015 lo IARC, l’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, legata all’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità), lo ha inserito nella lista delle sostanze “probabilmente cancerogene” (gruppo 2A).

Nonostante queste preoccupazioni, lo scorso mese di novembre, l’Unione europea ha rinnovato l’autorizzazione al suo impiego in agricoltura. Una scelta che ha fatto felici gli azionisti della Monsanto, che oggi produce il glifosato (mentre ieri produceva il DDT), ma che lascia perplessi e preoccupati noi consumatori. Diciassette sono i Paesi della UE che hanno votato a favore del rinnovo all’autorizzazione all’uso in agricoltura dell’erbicida, mentre nove sono stati i contrari: Italia, Belgio, Grecia, Francia, Ungheria, Cipro, Malta, Lussemburgo e Lettonia. Astenuto il Portogallo. Contro si è espressa in modo particolare la Francia, che attraverso il suo rappresentante ha affermato: ‘Il glifosato è un prodotto potenzialmente a rischio per la salute, per l’ambiente e la biodiversità’.

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Ricerche sono state fatte per verificare la presenza di residui dell’erbicida negli alimenti, visto che si è riscontrata la sua presenza nell’urina delle persone, così come nel latte materno. Il Test-Salvagente ha effettuato le prime analisi nel nostro Paese su 100 alimenti a base di cereali (e sull’acqua potabile), rilevando tracce di glifosato nella pasta e in altri prodotti come fette biscottate e corn flakes. Anche nell’acqua potabile sono state rilevate tracce e in due casi la concentrazione era superiore ai limiti di legge. Eppure, scrive il mensile Il Salvagente “nessuna Regione italiana analizza la presenza di glifosato e del suo metabolita Ampa nelle acque potabili, nonostante le raccomandazioni comunitarie”. Nella decisione europea hanno prevalso ancora una volta gli interessi dell’industria agrochimica, senza nessun rispetto del principio di precauzione e senza preoccuparsi di ulteriori approfondimenti.

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Se questa prima notizia ci lascia perplessi e preoccupati, c’è però un’interessante conferma che ci giunge da uno studio promosso da Federbio. “Bastano due settimane di una dieta a zero pesticidi per abbattere e in alcuni casi azzerare il contenuto di inquinanti nelle urine di una famiglia italiana. Madre, padre, due bambini di 7 e 9 anni: per tutti loro, per quasi tutte le sostanze chimiche analizzate, si passa da livelli di contaminazione alti a quantità molto basse e spesso sotto i limiti di rilevabilità. La “decontaminazione” ha funzionato per alcuni degli insetticidi più utilizzati dall’agricoltura convenzionale (clorpirifos e piretroidi) e per il glifosato, l’erbicida contro cui si è mobilitata l’opinione pubblica e una parte della ricerca a livello europeo e non solo”. “Un’indicazione importante continua ancora Federbio – del fatto che la chimica contenuta negli alimenti da agricoltura convenzionale anche in presenza di cibi che rispettano le soglie stabilite di fitofarmaci, come capita nella maggior parte dei prodotti consumati in Italia rimane e si accumula nel nostro corpo, con conseguenze che ancora non sono state totalmente studiate e comprese”. Abbiamo, dunque, la facoltà di scegliere e mangiare bio fa bene alla nostra salute e a quella dell’ambiente!

Ignazio Garau

Presidente Italiabio

 

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