‘TORINO CRIME FESTIVAL’, IL 14 APRILE OSPITE L’AVVOCATO CATERINA BIAFORA DI UNC PIEMONTE

AL CIRCOLO DEI LETTORI

Il noto legale interviene sul tema ‘Ti amo da morire: uxoricidio, violenza domestica, stalking

Tra i relatori più attesi e autorevoli del Torino Crime Festival, prestigiosa kermesse promossa dall’omonima Associazione Culturale sotto la direzione di Fabrizio Vespa e Valentina Ciappina, con il coordinamento scientifico di Biagio Fabrizio Carillo, Fabrizio Russo e Claudio Bertolotti, quest’anno anche Caterina Biafora, noto e stimato Legale Penalista, ruolo che riveste con successo anche all’interno del pool di valenti avvocati del Comitato Regionale del Piemonte dell’Unione Nazionale Consumatori (presieduto dall’Avvocato Patrizia Polliotto), dal 1955 la prima e più antica associazione consumeristica italiana. Caterina Biafora, che da anni tutela efficacemente le parti deboli, attualmente Consigliere del Comitato Pari Opportunità del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino, è da sempre figura attenta e autorevole in materia di studio anche in ambito penalistico. Sabato 14 aprile, alle ore 16, al Circolo dei Lettori, terrà un intervento specifico sul tema ”Ti amo da morire: uxoricidio, violenza domestica, stalking. Quando l’amore è una trappola’. Al tavolo dei relatori, insieme all’Avvocato Biafora, è attesa anche la Dottoressa Viviana Lamarra e la Dottoressa Alessandra Bramante, affermate psicologhe e psicoterapeute esperte dell’argomento oggetto di conferenza. Modera l’incontro la Dottoressa Maria Borello, Docente di Filosofia del Diritto all’Università di Torino. Un appuntamento di rilievo all’interno del programma del festival.

TRA SOGNO E REALTA’

Immagini tra sogno e realtà. Il titolo della mostra inquadra perfettamente il carattere dell’arte della pittrice Tiziana Inversi, protagonista di una personale che si inaugura sabato 14 aprile alle 18 a Pianezza presso la sede prestigiosa di Villa Casalegno, in via al Borgo 2. L’esposizione sarà introdotta dal critico Giuseppe Nasillo ed arricchita dalle letture del poeta Ivan Fassio. Tiziana Inversi, nella vita oltre che artista anche stimato medico anestesista presso la Città della Salute di Torino, da anni si è imposta all’attenzione della critica riscuotendo consensi che l’hanno portata ad ottenere riconoscimenti significativi, quali il primo premio nell’edizione del 2016 al concorso artistico Il centenario e, nell’edizione 2017, il primo premio del Degas. Dal 2015 è socia della Società torinese Promotrice di Belle Arti e dal 2017 del Circolo degli Artisti di Torino. La pittrice, che ha all’attivo anche mostre a Barcellona, indaga con una sensibilità rara l’umanità ed i suoi rapporti; se la medicina si può in effetti considerare un’arte e l’arte una preziosa medicina dell’anima, Tiziana Inversi incarna perfettamente la sintesi tra queste due discipline, apparentemente lontane tra loro. Non a caso diverse sue opere si interrogano sulla natura dell’uomo, del mistero del parto e di quello dell’umanità stessa. Appassionata di pittura sin dall’età più giovane, l’artista ha avuto la possibilità di coltivare l’arte anche durante gli impegnativi studi di medicina e di beneficiare dei preziosi insegnamenti del maestro Marco Seveso a Torino. Nel 2015, anno in cui è diventata socia della Promotrice delle Belle Arti, ha partecipato alla 13esima Esposizione alla Promotrice con l’opera dal titolo ” Liberi al galoppo”, che ha ricevuto anche diverse menzioni, tra cui quella su Piemonte Arte.

 

Mara Martellotta

Anche le statue muoiono (?)

Anche le statue muoiono, senza punto interrogativo, è una delle mostre che la stagione culturale primaverile offre ai torinesi, divisa in tre parti, al Museo Egizio (fino al 9 settembre), ai Musei Reali (fino al 3 giugno) e alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (fino al 29 maggio).

Il segno di interpunzione lo aggiunge la mostra stessa, che interroga il visitatore sui temi del passato, della memoria e della conservazione. La sezione dell’iniziativa ospitata al Museo Egizio, nelle sale del terzo piano dedicate a Khaled Al Assad, il direttore del museo di Palmira ucciso dai militanti dell’Isis due anni fa, non è una esposizione di oggetti antichi, bensì di installazioni d’arte contemporanea nelle quali gli oggetti antichi sono spesso decontestualizzati, presentati sotto una luce fredda, in un alternarsi di stanze bianche e nere.

Non è una mostra in cui la bellezza faccia da padrone, tutt’altro: gli oggetti non si fanno ammirare, ma cercano di parlare con il loro fardello di storia, di secoli che si accumulano, di scorie del tempo di cui si fanno ricettacolo e vittima, come le fotografie di statue palmirene in stile greco romano che ci accolgono, una Medusa urlante di dolore e una divinità con uno strano sfregio che pare una lacrima.Però, attenzione, non si tratta di una mostra che voglia esprimere solo e soltanto un monito e una lamentazione su quell’antico concetto, all’improvviso e prepotentemente tornato a fior di labbra, l’iconoclastia: le statue, dice la mostra, non muoiono soltanto per colpa di fanatismi e ignoranza. Se, infatti, le città di quel Vicino Oriente fratello in Mare Nostrum della nostra Europa cadono sotto i colpi di mazze, bombe e dinamite guadagnandosi le prime pagine dei giornali e la nostra costernazione, tante altre opere d’arte sono andate perdute nei secoli per una quantità di altri motivi: per furto, per rivolte, perché simbolo di un potere odiato – sorte che accomuna gli antichi funzionari egizi alle statue gotiche delle cattedrali francesi sfregiate durante la Rivoluzione, fino alle statue dei dittatori che, ogni tanto, cadono negli schermi delle nostre televisioni tra le ali di folla festante – altre volte per incuria, per dimenticanza.

***

O ancora, perché all’elenco delle colpe non manchi quello che si crede il civile Occidente, c’è lo sfregio operato dal viaggiatore che incide il proprio nome, entrando prepotentemente nella storia di un’opera, quello del mercante d’arte che modifica una poco appetibile statua -di per sé già antica – per darle un altro volto, onde renderla più appetibile al mercato, quella del piccolo commercio di contrabbando che smembra i corredi o le grandi campagne coloniali che fanno diventare l’archeologia una corsa all’oro tra nazioni concorrenti, senza esclusioni di colpi. E a volte, anche laddove l’etica è strettamente praticata, dove l’amore per gli oggetti indubbio e le cure le più meticolose, i fenomeni chimici o climatici sfuggono alla perizia del più scrupoloso dei curatori, e i reperti possono improvvisamente mutare, come succede ad alcuni oggetti che, imballati a Parigi, si mostrano in un modo e all’apertura delle casse negli Emirati Arabi hanno cambiato per sempre il loro volto, offrendo ad uno degli artisti autori delle installazioni l’estro di tentare una ricostruzione impossibile e straniante sovrapponendo tra loro fotografie di oggetti diversi. E poi, c’è la beffa più grande, quella del tempo che passa, che ci ricorda che ogni restauro può solamente prolungare la vita e conservare nello stato su cui si è agito un’opera d’arte, non impedire il degrado, né tanto meno portare all’indietro, all’ideale integrità, lucentezza, originalità, un oggetto: in questo senso sì, cento volte sì, anche le statue muoiono. Muoiono al punto che, in una delle installazioni filmate più inquietanti, Ali Cherri pone una domanda ancor più paradossale: ” quello che l’uomo da sempre fa è interrare e seppellire”, questo è il destino di ogni oggetto o corpo, ” che senso ha prendersi cura di una rovina, mettendola in museo in cui più rovina non sarà?”.

***

E mentre queste parole, scandite in un mesto arabo sottotitolato, scorrono, appaiono immagini di tombe nelle quali le mani degli archeologi scavano, turbano sonni eterni, dissotterrano sepolture per destinarle alle teche dei musei, dove il defunto, l’uomo, fastidioso memento della nostra natura effimera, passa in secondo piano e tutti gli occhi si concentrano sul tesoro che lo accompagna. La domanda su che senso abbia fare archeologia, che senso abbia strappare alla terra che accoglie tante testimonianze di secoli e vite ormai perdute, che forse vorrebbero soltanto l’oblio. La risposta arriva nelle sale successive, di fronte alle foto dei bassorilievi di Nimrud scomparsi per sempre e immortalati com’erano nel 2001, negli oggetti in materiale povero, ricostruiti a forma di vaso greco ed etichettati come il loro modello, e nella ricostruzione in stampa 3d di alcune delle statue distrutte dall’Isis nelle ultime sale: nessuna di queste opere può sostituire l’originale, può solo suggerirci la forma, l’aspetto, alimentare la nostalgia e il senso di vuoto per quel testimone andato perduto. Ed è nostro dovere indagare la Storia, non lasciare allora che le sabbie coprano la nostra memoria, perché un’umanità smemorata non va lontano o si ripiega nei propri errori: l’importante è ricordare che anche le statue sono fragili, più longeve certo, ma pari a noi, e che non basta esporle, occorre farle parlare.

***

Perchè, se c’è una cosa che forse resiste più delle statue e dei monumenti, questa è proprio la parola, scritta e detta, che attraversa i tempi facendosi, come si gloriava Orazio, aere perennius, più durevole del bronzo; e, se anche la lingua, una volta dimenticata, può darsi che taccia a lungo, c’è sempre la speranza che nasca un abile Champollion a rifarci udire voci perdute.

Quando una statua, in un’opera letteraria, parlava, i Greci dicevano che si realizzava la figura retorica della prosopopea e non è un caso che il direttore del Museo Egizio, Christian Greco, abbia più volte ribadito di voler fare del proprio museo (e della mostra che ospita, anche da lui curata) una narrazione continua, una prosopopea: solo in questo modo i poveri resti umani possono stare in esposizione senza morbosità o mancanza di rispetto, solo in questo modo le opere d’arte possono davvero raccontarci una storia.

Altrimenti tutto quello che ci resta è una vuota bellezza, come la statua del dignitario Upuautemḥat, completa e maestosa, alla fine della visita: completa e maestosa, sì, ma dagli occhi strappati, com’era la prassi dei tombaroli antichi, in questo modo privata della vita che le antiche magie egizie avevano voluto insufflarle.

 

Andrea Rubiola

 

 

La prima tappa del Giro Rosa

Due testimonial d’eccezione alla conferenza stampa di presentazione, martedì 10 aprile, della prima tappa del 29° GIRO ROSA 2018, che si svolgerà a Verbania, il prossimo 6 luglio; si inizia infatti con una cronometro a squadre, su un circuito di 15 chilometri e mezzo. L’incontro si è tenuto a Verbania, al Centro Eventi Il Maggiore. Chi poteva presenziare ad una simile presentazione se non Filippo Ganna, verbanese ventunenne due volte campione del mondo d’inseguimento su pista (Ganna corre e vince anche su strada) ed Elisa Longo Borghini (di Ornavasso), già medaglia di bronzo mondiale e olimpica, nonché quattro volte campionessa nazionale. Una differenza sostanziale tra i due campioni del VCO è questa: Mentre Elisa potrà partecipare alla corsa, Filippo non sarà autorizzato a farlo: ovvio, no? Era presente anche Giuseppe Rivolta, storico patron  del Giro D’Italia Femminile. “Da luglio saremo una vetrina per il ciclismo” ha dello il Sindaco Silvia Marchini in apertura, “sarà una di quelle manifestazioni con cui vogliamo proporre più turismo a Verbania e provincia. Ringraziamo anche Ganna perché partecipa oggi e perché ci fa onore nel mondo”. Sono state poi presentate le caratteristiche e le tappe del Giro Rosa. Al giornalista Gianluca Trentini, che le chiedeva un parere, Elisa Longo Borghini ha poi risposto: “Sono contenta che ci sia una manifestazione proprio qui nel mio territorio: sicuramente avrò anche più tifo!”

 

Elio Motella

Nella foto grande: Filippo Ganna, la  Sindaco, Giuseppe Rivolta, Elisa Longo Borghini, Luca Molino (Presidente Sommelier VCO).

 

“La valigia rossa edizioni” si presenta

Venerdì 13 aprile alle 21 avrà luogo a Torino in Viale Virgilio 53,  si terrà la presentazione della casa editrice “La valigia rossa edizioni“, con la partecipazione di Tamara Brazzi e Corinna Ivaldi

 

L’evento sarà presentato da Roberta NardiAlessandro Cunsolo.
Ecco il programma della serata:

 

Ore 21 ingresso e accoglienza.

Ore 21,30 sfilata con le modelle: Nina De Caprio, Valentina Murano e Dyana Casmiro.

 

Le modelle indosseranno gli abiti di Sofia Quinones by Puravida e le collane della casa editrice “La valigia rossa edizioni”. La presentatrice della serata, la giornalista Roberta Nardi, indosserà una creazione esclusiva della stilista torinese Francesca Surace.

 

Ore 22,00 presentazione della casa editrice

 

Ore 22,30 taglio della torta spumante e musica a volontà

***

Pagina FB ufficiale: https://www.facebook.com/Tamara-Brazzi-1764914567162678/
Sito ufficiale: http://rossa.lavaligiarossaedizioni.com/

E-mail lavaligiarossaedizioni@gmail.com

C’era una volta un pacchetto

C’era una volta un pacchetto rosso Grande Grande che piaceva tanto ad un bimbo di nome Niccolò. Era il periodo di Natale e la mamma aveva insegnato a Niccolò a disegnare tanto pacchetti da mettere sotto l’albero di Natale nella camera dei giochi.  C’erano pacchetti di tutte le dimensioni e colori: grandi grandi, piccoli piccoli, azzurri con il fiocco rosa, gialli con il fiocco verde ma soprattutto c’ erano pacchetti rossi con il fiocco rosso. Tutti i pacchetti erano vuoti all’inizio, perché Niccolò non aveva ancora deciso cosa metterci dentro né cosa farsi regalare per Natale. La sua gioia era disegnarli ma doveva farsi aiutare perché era ancora piccolo per farlo da solo. Il suo preferito era il pacchetto rosso con all’ interno tre caramelle, una rosa, una blu, una verde. Tutti i pacchetti erano belli, ma quello con le caramelle era speciale. “ il pacchetto rosso rosso con dentro le mie caramelle è il mio preferito” diceva Niccolò a tutti coloro che gli chiedevano perché se lo portasse sempre con sè, ma nessuno ne aveva capito il motivo, è lui non lo diceva a nessuno, neanche alla sua mamma. Non appena i pacchetti per i suoi amici erano pronti, Niccolò chiedeva al postino di spedirli direttamente a Babbo Natale. Alla fine in casa rimasero solo tre pacchetti: uno per Niccolò, uno per la mamma ed uno per il papà…rispettivamente verde,rosa e blu.  Il Natale passò, la mamma ed il papà aprirono i loro pacchetti mentre Niccolò volle tenere il suo chiuso per continuare a portarlo con sè, anche di notte accanto al suo cuscino…Passarono i mesi, il pacchetto rosso grande grande era ancora nella camera da gioco di Niccolò; un giorno tornato dalla scuola materna Niccolò chiamò mamma e papà dicendo loro che aveva fatto una magia da vero mago ed il pacchetto era sparito, l’ aveva trasformato in una bellissima farfalla rossa che era volata via. Come farai senza il tuo pacchetto adesso?, chiese la mamma. “Il pacchetto serviva per contenere le mie caramelle preferite, ma ho capito che siete tu e papà le mie caramelle, e voi sarete sempre con me ovunque andrò!

Angela Barresi

Il Brunitoio dalla A alla Z

Sabato 7 aprile 2018, alle 17.30, presso la Sala Esposizioni Panizza di Ghiffa ( Vb), l’Officina di Incisione e Stampa in Ghiffa “il Brunitoio”  inaugura la mostra “Il brunitoio dalla A alla Z, 15 anni. Tracce di una proposta grafica” a cura di Ubaldo Rodari. La mostra sarà visitabile  sino al 29 aprile 2018 presso la Sala Esposizioni inCorso Belvedere,114 a Ghiffa. Orari: da giovedì a domenica, 16.00 – 19.00.

Non dimentichiamoci di Pavese

/

Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini, certo non modelli di ortodossia morale di sinistra: il primo imputò a Pavese -da che pulpito- la “vanità” e un irrimediabile decadentismo; il secondo -addirittura- la mediocrità della scrittura

 

di

Enzo Biffi Gentili

.

In questo 2018 ricorre il cento decimo anniversario della nascita di Cesare Pavese. Si presume, trattandosi di uno dei più importanti scrittori piemontesi del Novecento -e molto probabilmente di quello più noto al grande pubblico- che Torino, la Regione e altre istituzioni culturali stiano all’erta. Per ora, a livello locale il clima culturale non pare febbrile: sulla home page del Centro interuniversitario per gli studi di letteratura italiana in Piemonte “Guido Gozzano – Cesare Pavese” ancora campeggia l’annuncio del primo centenario della morte di Guido Gozzano, che ricorreva due anni fa; mentre la Fondazione Cesare Pavese ha organizzato il febbraio scorso un tour sui luoghi dello scrittore nell’occasione della festa di San Valentino, non a caso denominato “InnamoraTI di Cesare Pavese”, a prezzo scontato. A livello nazionale si nota maggiore preoccupazione, soprattutto da parte di siti dedicati agli studenti, perché un tema sul nostro potrebbe uscire alla prima prova dell’Esame di Stato, della Maturità. Intendiamoci: non si pretende certo che a ogni decennio si programmi una grande celebrazione, considerando che va tenuta presente anche la data di morte, il 1950, e quindi nel 2020 sarebbero settant’anni tondi… Ma la situazione d’oggi, politica e culturale, rappresenta un contesto particolarmente interessante per un confronto storico-critico spregiudicato sul corpus pavesiano.

***

Difatti, in tempi nei quali la tradizionale dicotomia destra-sinistra appare in gravissima crisi, teorica e pratica, e la riflessione sul tema di Norberto Bobbio molto dépassée, l’ambiguità pavesiana si può rivelare, non solo letterariamente, una virtù. E sono stati proprio alcuni studiosi piemontesi nonostante la narrazione dazeglina e antifascista dominante a sottolineare aspetti quasi imbarazzanti del pensiero e dell’opera di Pavese, quali l’irrazionalismo e l’influsso di letture e figure allora poco frequentabili, da Karoly Kerenyi a Mircea Eliade, che fu sostenitore in Romania della parafascista Guardia di Ferro di Codreanu, sino persino a Julius Evola, ed eravamo, occorre ricordarlo negli anni Quaranta, e nella sede dell’Einaudi. Va quindi reso omaggio ai fondamentali interventi, nel secolo scorso, di Furio Jesi (Cesare Pavese, il mito e la scienza del mito, in “Sigma”, n. 3-4, 1964) e di Lorenzo Mondo, che su “La Stampa” dell’8 agosto 1990 rivelò parti censurate del Taccuino segreto di Pavese. Ma anche recentemente un altro piemontese illustre, Franco Ferrarotti, amico personale di Pavese, ha dichiarato l’impossibilità di considerarlo storicista, crociano o marxista (http://www.calabriaonweb.it/2013/10/15/il-mio-amico-cesare-pavese-e-quelli-che-non-lhanno-mai-capito-mi-telefono-prima-di-suicidarsi-ma-io-ero-al-mare-3/). E quindi possono essere oggi ancor meglio compresi e più severamente giudicati i correlativi e ingiustificabili attacchi di colleghi letterati romani, come quelli di Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini, certo non modelli di ortodossia morale di sinistra: il primo imputò a Pavese -da che pulpito- la “vanità” e un irrimediabile decadentismo; il secondo -addirittura- la mediocrità della scrittura.

.

 

Nelle foto, dall’alto:

Manuele Fior. Cesare Pavese da L’ora dei miraggi Oblomov 

Ben Heine DeviantArt Mircea Eliade

Camila Martins Saraiva. Norberto Bobbio

 

L’arte si fa design e celebra l’acqua

/

Operart – Via della Rocca 12, Torino

Dal 5 aprile al 10 maggio lo showroom torinese Operart organizzaAquae”, mostra multidisciplinare che abbatte le frontiere fra moda, arte e design autoprodotto. Performances e incontri arricchiscono l’evento, che è una novità per la cultura torinese. Installazioni modulate come onde del mare, oggetti di design che richiamano la fluidità dell’acqua, performances che della liquidità fanno il loro tratto fondamentale. Operart, showroom torinese di interior design, si trasformerà dal 5 aprile al 10 maggio in spazio espositivo multi-disciplinare per rendere omaggio, attraverso arte, design e moda, al terzo prezioso elemento della natura: l’Acqua, che, come diceva il poeta cileno Raul Zurita, è l’intermediario tra noi e le stelle, ogni sua goccia è un respiro dell’universo. “Aquae”, questo il titolo della mostra, vuole sensibilizzare il pubblico con fattori evocativi estetici e simbolici sull’importanza dell’acqua, patrimonio dell’umanità e metafora dell’energia vitale presente in ogni individuo. L’ esposizione guarda ai nuovi linguaggi espressivi, quelli che abbattono le frontiere tra arte e design autoprodotto, fenomeno in crescita e in grado di ispirare produzioni seriali numerate, disegnate da artisti per i grandi brands dell’interior design. Percorsi creativi e linguaggi uniti nel segno della modernità diffusa e partecipata. Una novità per il panorama artistico torinese, in linea con una tendenza che promuove il design concettuale e trova autorevoli consensi e pubblico in gallerie, musei e fiere di tutto il mondo. Un nuovo linguaggio espressivo che, interagendo con l’arte contemporanea, ne diviene parte. Raoul Gilioli, artista installativo, Walter & Hamlet, artisti eclettici e designer di moda con atelier a Torino, e Operart hanno ideato un ambiente espositivo ‘fluido’, dove le opere create dialogheranno con lo spazio appositamente riconfigurato e con i ricercati elementi di design tematici, allestiti in esclusiva per la mostra-evento.

 

Carlo Bocca, fondatore di Operart, ha creato un allestimento specifico sui due piani dello spazio espositivo in cui le opere degli artisti tra video-arte, design autoprodotto, installazioni e performances, dialogheranno con alcuni elementi di arredo dedicati. L’allestimento è stato ‘disegnato’ seguendo linee fluide, come onde e suggestioni materiche, giocando con le geometrie dello spazio ed il richiamo ancestrale dei materiali. Raoul Gilioli, artista installativo ideatore di Aquae, presenta in anteprima due collezioni tematiche realizzate in cristallo digitalizzato, legno grezzo e plexiglass. Le linee sono morbide e scolpite digitalmente o manualmente sulle superfici come tracce fossili di onde marine. Per l’occasione sarà presentato il monolite Terra di Minotti Cucine, un blocco di pietra rara disegnato da Claudio Silvestrin, autore e progettista per Fondazione Sandretto. La texture riproduce trame fossili d’acqua in sintonia con il tema del lavoro di Gilioli e le installazioni di Walter & Hamlet. Il duo ha un solido e riconosciuto percorso nell’ambito dell’haute couture, ispirato da una visione artistica contemporanea che si esprime in Aquae con 4 installazioni specifiche presentate in anteprima. Mariano Dallago, fotografo professionista tra sperimentazione e design, presenta una trasposizione delle immagini mediante matrici e calchi su gesso, trasformando le immagini fotografiche in opere luminose. Lo spazio espositivo sarà nel mese della mostra anche teatro di incontri con ospiti di rilievo, che dialogheranno con il pubblico. Il vernissage del 5 aprile si aprirà con la performance Aquae di Raoul Gilioli con Giulia Ceccarelli e una video-installazione in collaborazione con Fripsel.

 ***

Sono previsti altri 2 appuntamenti il 12 aprile ed il 3 maggio, che si chiuderanno con lo spettacolare finissage del 10 maggio, curato dal duo Walter & Hamlet, con il Balletto di Torino intitolato ‘il Canto dell’Acqua’.