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La scrittura di questo libro è il risultato di un lavoro di ricerca complesso
L’autrice
Laura Sugamele filosofa e dottoressa di ricerca. È docente in filosofia, storia e scienze umane. Si occupa di reificazione del corpo femminile, violenza sessuale come questione politica e relazioni tra patriarcato, nazionalismo e guerra, temi che l’autrice ha sviluppato nel libro “Corpo femminile e violenza politica. Lo stupro tra nazionalismo e conflitto etnico” (Stamen 2022 / Collana Studi).
Di cosa parla il suo libro?
Il libro è incentrato su una riflessione che tenta di mettere in connessione due questioni principali: il corpo femminile e lo stupro come violenza politica. La connessione tra corpo femminile e violenza politica viene esaminata, considerando quelle rappresentazioni patriarcali che, sin dalle fasi più remote della storia umana, hanno determinato una identificazione sociale e culturale della donna con il suo corpo, un corpo che, in una specifica “narrazione” maschile-patriarcale, è stato considerato in termini per lo più sessuali, riproduttivi e procreativi e proprio questo aspetto, nel libro, viene collegato alla questione dello stupro etnico in Bosnia.
Il suo libro è frutto di un lavoro di ricerca?
Si certamente. La scrittura di questo libro è il risultato di un lavoro di ricerca complesso e per la sua elaborazione ho deciso di adottare un metodo multidisciplinare, nel senso che l’approccio adoperato è stato diretto ad una integrazione di diverse linee teoriche, non collocabili esclusivamente nell’ambito della teoria politica femminista, a cui nel testo, comunque, viene fatto riferimento, ma che riguardano anche l’ambito filosofico piuttosto che storico-antropologico.
Nel libro, lei parla di corpo femminile collegando il tema alla connessione tra virilità sessuale, identità nazionale e guerra. Perché?
Come ho già sottolineato nella risposta precedente, il tema del corpo femminile, della reificazione sessuale e della violenza politica è piuttosto ampio, per cui ho compreso la necessità di adottare una prospettiva di riflessione più larga. Per tale ragione, la riflessione che ho affrontato nel libro, non poteva escludere ulteriori aspetti come la connessione tra virilità sessuale, identità nazionale e guerra (quest’ultima come dimensione patriarcale), i quali, in una prospettiva storica, hanno influito sul piano di una costruzione culturale e dicotomica, oltre che su una categorizzazione sessuale uomo-donna.
Negli ultimi capitoli, soprattutto nel quinto, lei collega la questione della reificazione del corpo allo stupro come “arma” politica di guerra. Cosa intende?
Nel quinto capitolo e in parte nel sesto, mi sono occupata della questione della reificazione del corpo femminile esaminando gli stupri etnici che hanno caratterizzato la guerra in Bosnia (1992-1995). Dalle ricerche che ho svolto per la scrittura del mio libro, ho potuto notare, quanto nella dimensione conflittuale e di guerra, legata alla contrapposizione tra i gruppi etnici, il corpo delle donne sia diventato, immediatamente, il centro delle azioni militari e delle violenze che, all’epoca del conflitto, erano finalizzate ad uno scopo politico ben preciso: quello della “purificazione” etnica, alla cui base vi era anche il riferimento ad una ideologia politica e nazionale che in ex-Jugoslavia, specialmente nella fase post-titina, ha prodotto un sostanziale incardinamento del ruolo femminile sulla sfera domestica e in particolare su quella sessuale.
In che senso le violenze sono politiche?
Il riferimento che io faccio nel libro, in merito agli stupri di massa contro le donne della Bosnia, mette in evidenza la profonda connessione che vi è tra stupro e ideologia politica, nel momento in cui “coloro che commettono gli stupri” affermano, in modo tangibile, l’intenzionalità dell’atto, che è politico e ciò, dal mio punto di vista, ha sempre caratterizzato la storia umana con i suoi conflitti e le sue guerre, poiché violentare la donna determina una lesione dell’onore sessuale e sociale del gruppo, della comunità o della nazione considerata nemica e a cui lei appartiene.
L’ultimo capitolo è incentrato sulle iniziative femminili nella Bosnia post-bellica. Potrebbe spiegarsi meglio?
Nell’ultima parte del libro, rispetto alla questione dello stupro, le cui conseguenze hanno impattato sulla vita delle donne non solo sul piano fisico, bensì su quello psicologico laddove, stupro ed eventuale gravidanza sono sinonimi di stigmatizzazione sociale, mi sono focalizzata sulla possibilità dell’elaborazione del trauma e ciò è avvenuto, grazie alla mobilitazione di associazioni come “Donne in Nero” di Belgrado che, all’epoca del conflitto e in fase post-conflitto, ha dato un contributo importante per aver sostenuto le donne vittime di violenza, dando loro non solo la possibilità di un reinserimento nel tessuto sociale di appartenenza, ma facendo comprendere alle stesse donne, anche la necessaria e personale rielaborazione del dolore rispetto all’esperienza e al trauma vissuto. In ambito internazionale, passi decisivi sono stati compiuti dal Tribunale delle donne di Sarajevo e, in tal senso, vanno citate anche le conferenze sui diritti umani di Vienna del 1993 e di Pechino sulle donne del 1995. Tali eventi hanno spinto infatti, in favore della protezione dei diritti, della formazione dell’empowerment femminile e della “sicurezza di genere”, tuttora, nozione cardine su cui stabilire iniziative rivolte alla sicurezza e alla tutela delle donne in situazione di confitto armato.
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