IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni / L’appello del presidente dell’Accademia dei Lincei e di un centinaio di uomini di scienza che invitano il Governo ad assumere provvedimenti immediati e più stringenti per evitare il dilagare del contagio assume un valore molto particolare in un momento di sbando e di incertezza
Chi scrive è stato bene attento negli scorsi mesi alla difesa dei diritti e delle garanzie costituzionali dei cittadini durante la clausura imposta dal Governo, ma la gravissima situazione in cui ci dibattiamo rende prioritaria la tutela del diritto alla salute sancito dall’articolo 32 della Costituzione.
C’è chi in modo improvvido ha ironizzato sui cento “vecchietti” che dovrebbero essere rinchiusi in una RSA, sottovalutando il valore di una denuncia tanto grave e del tutto inedita . Benedetto Croce diceva che l’onestà degli uomini di scienza è una risorsa paragonabile alla pudicizia delle donne. Comprendo che oggi parlare di pudicizia faccia sorridere perché siamo in una società desertificata priva di ogni riferimento morale, ma l’appello di cento scienziati non può cadere nel vuoto. Non si tratta di persone che vogliono approfittare della pandemia per apparire in Tv a pontificare. Si tratta di persone serie che possono essere considerate, come diceva Luigi Firpo, dei monaci del sapere. Occorrono provvedimenti drastici subito, per salvare la vita degli italiani. Gli appetiti delle corporazioni economiche passano in secondo piano. Anche la riapertura delle scuole che ha portato alla decuplicazione dei contagi va rivista e ripensata in modo rapido perché essa segna il netto fallimento del Governo sul piano della sicurezza. Il gravissimo problema dei trasporti non affrontato nei mesi scorsi è un altro elemento che provoca l’innalzamento dei contagi. Quei cento scienziati che si rivolgono al Presidente della Repubblica non devono essere una voce nel deserto di una politica che non sa o non vuole decidere. Quando la casa brucia, le mezze misure non servono e sono necessari interventi adeguati al caso. I tempi degli assessori che vanno in viaggio di nozze durante la pandemia sono davvero finiti. Occorre severità, coraggio e decisione, abbandonando le incertezze di questi giorni che hanno già provocato troppi contagi e troppe morti. L’Accademia dei lincei, che è il più alto consesso scientifico italiano, va ascoltata e va ascoltata subito e non derisa. Scrivere che essa è la “terza età della scienza“ appare un’affermazione tanto offensiva quanto infondata. Se io penso al livello di alcuni miei amici accademici come il microbiologo di fama internazionale Giorgio Cavallo o il giurista sommo Giovanni Conso che fu presidente dell’Accademia, mi sorge spontaneo un moto di indignazione per i livelli bassissimi a cui siamo giunti.
Protagoniste di Valore, rubrica a Cura di ScattoTorino
Torinese amante della propria città, Monica Cerutti ha speso parte della propria vita nell’impegno politico e si è dedicata con passione alle tematiche femminili. Nel 1997 è stata Consigliera della Circoscrizione 10 dove ha avviato il progetto Spazio Donna 10, nel 2001 è stata eletta Consigliera Comunale di Torino e nel 2010 Consigliera Regionale. Nella sua carriera ha sempre operato con etica e sensibilità, occupandosi – tra gli altri – della tutela dei diritti degli animali e adoperandosi contro il loro maltrattamento nei circhi. Attenta alle politiche femminili è stata Presidente di Emily Torino, l’associazione che sostiene la presenza delle donne nella vita pubblica come valore portante della democrazia. La sua carriera l’ha vista ricoprire, dal 2014 al 2019, il ruolo di Assessora Regionale in Piemonte con delega alle Pari Opportunità, Diritti Civili, Diritto allo Studio, Politiche giovanili, Immigrazione, Cooperazione decentrata e Diritti dei Consumatori. Al termine del suo mandato Monica Cerutti, laureata in Scienze dell’Informazione e con un master in Informatica e Telecomunicazioni conseguito al Politecnico di Torino, è tornata a svolgere il lavoro di analista nel settore delle telecomunicazioni in Telecom Italia. Tuttavia non ha abbandonato il suo impegno nel sociale e ha attivato una collaborazione con il Dipartimento di Informatica dell’Università di Torino per l’attività di ricerca Progettare l’inclusione sociale con FirstLife, un social network “civico” pensato per le città il cui fine è incentivare la progettazione partecipata a scala locale, stimolare iniziative di auto-organizzazione, sviluppare pratiche collaborative tra gli attori territoriali pubblici e privati.
Un suo giudizio sulla parità di genere nel nostro paese?
“Purtroppo le problematiche che erano presenti e si volevano affrontare 20 o 30 anni fa continuano ad essere le stesse anche oggi e questo è un aspetto su cui forse non si riflette a sufficienza. In Italia sono stati fatti dei passi avanti rispetto alla segregazione orizzontale e verticale e abbiamo figure femminili di eccellenza ai vertici aziendali e in ambito politico, ma la loro percentuale non è così elevata. Inoltre il tasso di occupazione femminile in questo preciso periodo storico sta retrocedendo, per cui è chiaro che la crisi economica che stiamo vivendo purtroppo ha impatti importanti sulle situazioni più fragili e in questo senso le donne giocano un ruolo significativo. Sarebbe utile che ci fosse una consapevolezza diffusa capace di colmare il divario di genere con un aspetto di equità e di sviluppo per l’intera comunità. Oggi c’è ancora scarsa consapevolezza, forse anche da parte delle stesse donne. Una società più equa offrirebbe una leva di sviluppo per tutti e le donne potrebbero portare una visione diversa in ambito sociale e professionale”.
Parliamo di inclusione?
“Dovrebbe essere una delle priorità in una comunità che voglia valorizzare i suoi componenti. Ho lavorato e continuo a tenere presente il fatto che in una società le diversità tra uomo e donna, le differenze di età, di provenienza o quelle legate a fragilità temporanee o permanenti, come la disabilità dovrebbero venir considerate elementi che la comunità stessa deve valorizzare per essere coesa e guardare al futuro con ottimismo. Dobbiamo prendere in considerazione sia gli aspetti pratici sia ciò che è intangibile per lavorare sull’inclusione e provare a costruire relazioni, così da creare tutti insieme una comunità unita. La pandemia ha fatto emergere alcuni aspetti negativi nelle persone e il termine stesso di distanziamento sociale determina paure e timori. L’Organizzazione Mondiale della Sanità sostiene infatti che vada superato il concetto di distanziamento sociale a favore del distanziamento fisico”.
L’Information and Communications Technology, oggi, prende in considerazione le differenze e l’inclusione?
“Mai come in questo momento nell’ICT e nell’intelligenza artificiale c’è l’esigenza di tenere presente questi aspetti perché, data la scarsa presenza delle donne nelle discipline STEM, il rischio è che non partecipino ai progetti di intelligenza artificiale per cui il mondo proposto non include le sensibilità e le conoscenze al femminile. Un mondo, tra l’altro, che taglia fuori coloro che provengono da quei paesi che non stanno lavorando su questo argomento. Ad esempio, gli algoritmi attuali di riconoscimento facciale tendono a non riconoscere le donne di colore. A causa della pandemia abbiamo una digitalizzazione molto spinta, ma non possiamo tralasciare una parte di umanità nel costruire i nuovi algoritmi. Unendo gli obiettivi di parità di genere e di un mondo più inclusivo, c’è bisogno di una partecipazione più ampia e di una maggiore attenzione alle differenze diversamente declinate anche nell’ambito dell’Information and Communications Technology e dell’intelligenza artificiale perché questi aspetti riguarderanno tutti e tutte”.
Che cos’è FirstLife?
“Si tratta di un social network civico e gratuito che vuole costruire relazioni all’interno di una comunità perché, a differenza di altri social, non valorizza il singolo ma la collettività. Ideato dal Dipartimento di Informatica dell’Università degli Studi di Torino, si basa su una mappa interattiva i cui contenuti riguardano le attività e i progetti associati ai luoghi. Su FirstLife si può interagire con gli altri utenti partecipando a discussioni, gruppi tematici ed eventi; inoltre si possono aggiungere luoghi, racconti e notizie sulle aree di proprio interesse. La piattaforma è stata utilizzata nelle scuole per accompagnare i ragazzi a conoscere meglio il proprio territorio, ha partecipato a progetti come Adotta un monumento ed ha avuto applicazioni in ambito culturale, ad esempio per Piemonte dal vivo e Torino a cielo aperto. Dato il suo valore, ci stiamo adoperando per farla utilizzare in diverse amministrazioni locali”.
Donna per lei significa?
“Vuol dire prendersi cura delle persone e dell’altro a 360 gradi”.
IL FOCUS DI PROGESIA
I Valori del progetto FirstLife, il social network civico sono:
- Sviluppo sostenibile – sostenibilità ambientale, sociale e di governance.
Costruire relazioni all’interno della comunità
La piattaforma FirstLife mette a disposizione dei cittadini e delle cittadine un nuovo modo per far crescere la partecipazione e la collaborazione attiva, attraverso sette principali attività che possono essere fatte su questo social network civico: la ricerca di informazioni su scala locale, la condivisione di notizie ed esperienze tra utenti, la valorizzazione delle risorse locali attraverso la mappatura di luoghi, attività, progetti e storie, la scoperta di novità del proprio quartiere e della propria città, il poter documentare le proprie attività, la possibilità di organizzare gruppi di lavoro sul territorio e la gestione e promozione di progetti ed eventi.
A differenza dei social più conosciuti, FirstLife vuole essere un centro virtuale in cui far emergere contenuti di valore per tutti, un luogo in cui valorizzare le attività e le azioni dell’intera comunità e non della singola persona, come invece siamo abituati a vedere in altri social network. Si tratta quindi di “un social network orientato ai bisogni della comunità” come afferma Monica Cerutti, che ha l’obiettivo di avvicinare le istituzioni ai cittadini e alle cittadine, coinvolgendoli attivamente”.
A differenza degli altri social, FirstLife è un luogo virtuale in cui non ci sono fakenews, che lascia il posto all’informazione e dove vige la regola della comunicazione educata, gentile e appropriata.
FirstLife, le prossime azioni
La piattaforma a disposizione di cittadini e cittadine è sempre in evoluzione e segue le innovazioni tecnologiche. Monica Cerutti, infatti, conferma che “sono previste novità dal punto di vista delle funzionalità con lo scopo primario di costruire un servizio sempre più vicino ai cittadini, in linea con i loro bisogni e le loro esigenze”. Un altro obiettivo dell’introduzione di nuove funzioni è quello di raggiungere un numero sempre maggiore di utenti, perché in questo modo sarà possibile favorire una più ampia partecipazione e coinvolgimento di persone nei progetti e nelle attività del territorio.
Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto
Focus: Antonella Moira Zabarino
Fé l’erlo, un’espressione piemontese inconsueta
Rubrica a cura del Centro Studi Piemontesi
Una amica mi ha chiesto se sapevo cosa vuol dire fé l’erlo? Era da tanto tempo che non sentivo usare questa espressione che mi fa piacere condividere con i nostri lettori: possiamo tradurlo con “fare il bullo”, “fare il furbo”, “fare lo smargiasso”. Ma Èrlo è lo “smergo maggiore/Mergus merganser merganser”, maschio dell’oca.
Per saperne di più vedi al solito il REP (Repertorio Etimologico Piemontese, Centro Studi Piemontesi-Ca dë Studi Piemontèis, 2015).
“Bella ciao” e inno nazionale
IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
La ministra dell’Istruzione Azzolina è favorevole ad introdurre l’insegnamento a scuola di “Bella ciao”, considerata canzone m-simbolo dell Resistenza, secondo una proposta di legge di alcuni deputati del Pd tra cui Piero Fassino, figlio di un noto capo partigiano.
Appare quasi incredibile che la ministra abbia tempo da dedicare a queste vere e proprie quisquilie in tempi di ferro e fuoco per la scuola italiana, aggredita dal virus, ben oltre il previsto.
Vale però la pena di fare alcune riflessioni storiche in merito perché si rischia la confusione anche su temi che dovrebbero essere chiari a tutti. “Bella ciao” non fu la più cantata canzone partigiana perché lo fu “Fischia il vento“. Certamente essa è la meno impegnata politicamente perché si limita a parlare di lotta all’ “invasor“ e non di “rossa bandiera“ come l’altra.
Stando alla testimonianza di Giorgio Bocca, giornalista e partigiano, essa non fu cantata durante la Resistenza, ma nacque nel primo dopoguerra e venne lanciata a livello internazionale nel 1947 al festival della gioventù democratica egemonizzato dai comunisti. Ancora Bocca fa un parallelo tra “Bella ciao“ e “Giovinezza”, ricordando che ambedue non furono canti dei partigiani e dei fascisti. “Giovinezza” fu infatti una canzone gioliardica del 1909, di cui si appropriarono i fascisti, imponendola come inno insieme alla “Marcia Reale“ in tutte le cerimonie pubbliche. Anche “Giovinezza” venne imposta nelle scuole italiane.
La proposta dei parlamentari del Pd, di per se’ anche pregevole negli intenti commemorativi del 25 aprile, non tiene però conto che nella scuola italiana non si studia canto da tempi immemorabili.
Quando io frequentavo le elementari mi insegnarono “Fratelli d’ Italia“, l’inno provvisorio della Repubblica italiana, rimasto tale fino a poco tempo fa. Nessuno ci insegnò le canzoni del Risorgimento e neppure la “Canzone del Piave” che era quella dei nostri nonni e dei nostri zii che fecero la Grande Guerra. Un maestro di musica di pregio, don Bernardo Lomagno, che era anche un matematico, ci insegnò solo “Fratelli d’ Italia” e fece bene. Durante il regime fascista la “Marcia Reale“ venne abbinata ad un inno di parte come “Giovinezza” a dimostrazione di una dittatura imperante. Dopo il 25 luglio 1943 “Giovinezza“ venne eliminata e in tempi successivi la “Canzone del Piave“ sostituì la stessa “Marcia reale” ancora durante il periodo monarchico .
Il fatto incontestabile e’ che l’ Inno nazionale non viene insegnato nelle scuole italiane se non per iniziativa di qualche singolo docente. In una sola scuola torinese, il liceo “Segre’,” quando era preside un uomo di sinistra come Primo Merlisenna che promosse anche un convegno sul Tricolore, venne fatto giornalmente l’alza – bandiera, una cerimonia subito malvista da certa intellighenzia di sinistra presente anche in quel liceo.
I temi patriottici non sono da tempo all’ordine del giorno in Italia, malgrado i tentativi del presidente Ciampi e la comparsa dei tricolori durante la pandemia.
Chiedere che venga insegnata “Bella ciao” e non l’inno di Mameli appare discutibile perché il senso della Nazione e della sua storia andrebbe recuperato nella sua interezza. In ogni caso appare, salvo che per il 25 aprile , del tutto fuori luogo abbinare all’ Inno nazionale qualunque altra canzone, anche “Bella ciao“. L’ inno da solo rappresenta lo spirito nazionale come lo rappresento‘ in passato la “Marcia Reale”. L’ Inno come la bandiera deve rappresentare tutti gli Italiani, senza distinzioni di sorta perché esprime l’ Unità’ nazionale nella sua totale interezza.
Music tales / La rubrica musicale
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Mi chiamano signorina Pitiful maggior everyplace vado.
Ma nessuno sembra capire ora,
Come può una donna cantare una canzone così triste
Quando ha perso tutto quello che aveva.”
“Mr. Pitiful” è stato registrato nel dicembre 1964 presso gli studi della Stax Records . La canzone è stata scritta dal chitarrista Steve Cropper e dal cantante Otis Redding , la sua prima collaborazione con Cropper, in risposta a una dichiarazione fatta dal disc jockey radiofonico Moohah Williams, quando ha soprannominato Redding come “Mr. Pitiful”, a causa del suono pietoso quando cantava. ballate. Cropper lo ha sentito e ha avuto l’idea di scrivere una canzone con quel nome mentre faceva la doccia. Cropper ha poi chiesto a Redding in macchina come si sentiva riguardo a questa idea, e subito dopo hanno registrato la canzone in circa 10 minuti. Alla fine è stato tagliato due o tre volte e poi pubblicato con il lato B ” That’s How Strong My Love Is ” come singolo.
Ma c’è una versione della quale mi sono innamorata, che vi propongo, di Kaz Hawkins. La cantante è nata e cresciuta a Belfast. Le piaceva cantare in chiesa ed era influenzata dal fatto che sua nonna cantava a casa. Nella sua giovinezza, ha fatto un’audizione per lo show televisivo Opportunity Knocks in cui il direttore musicale ha detto a sua nonna di farle ascoltare Etta James . Ha subito abusi da parte di un parente da bambina, che ha tenuto segreto al resto della sua famiglia fino a quando non ne ha rivelato la portata in seguito a un tentato suicidio decenni dopo. Per far fronte all’angoscia, è diventata autolesionista .
Dopo la guarigione ha coperto i tagli con i tatuaggi.
Si è trasferita in Spagna e ha iniziato a fare il DJ e a cantare nei club, ma è diventata dipendente dalla
cocaina e ha subito violenza domestica a causa di una relazione violenta, che è terminata dopo che la polizia è stata chiamata quando è tornata a casa. La canzone di Kaz “Lipstick & Cocaine” è un
ringraziamento all’ufficiale e medico del servizio di polizia dell’Irlanda del Nord (PSNI) che le ha salvato la vita dopo un brutale attacco da parte del suo ex partner.
Dopo due anni di pulizia dalla cocaina iniziò a comporre canzoni dalle poesie che aveva scritto nei suoi diari. Ha preso in mano una chitarra acustica nel 2011 e ora usa nei suoi spettacoli per aiutare la
consapevolezza della salute mentale.
Vi lancio la versione di questa donna che è, a dir poco, strepitosa e che desideravo conosceste.
Chiara Da Carlo
https://www.youtube.com/watch?v=vf0QioKr7W4&ab_channel=KazHawkins
Chiara vi segnala i prossimi eventi …mancare sarebbe un sacrilegio!
Scuole antifasciste, provocatori e Costituzione
IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni/ Il liceo “d’Azeglio“ è il più’ famoso della città ed ha avuto sempre una tradizione di sinistra. In quell’edificio resta vivo il culto del venerato maestro Augusto Monti, totalmente dimenticato altrove, in
primis dal suo editore Einaudi che ha ceduto i diritti ad un piccolo editore di Cuneo
I cretini che attaccano volantini a fianco alle pietre d’inciampo sono casi patologici come quelli che scrivevano offese sui muri a Venturi, ad Allara, ad Elisabetta Chicco ed a me. Fascitelli neri ed anche rossi che vogliono provocare ad ogni costo, spesso ricorrendo alla volgarità.
Io, quando ho avuto un allievo di idee contrarie alle mie, anche fasciste, l’ho rispettato e l’ho trattato come gli altri. Avevo in mente una frase di Bobbio detta a Tobagi in cui il filosofo così caro all’antifascismo, diceva di non trovare nulla di plausibile per trattare un fascista in modo diverso da qualsiasi altra persona.
Antifascismo deve essere libertà per tutti, come stabilisce l’art. 21 della Costituzione che non parla di cittadini di serie b, se fascisti, privati della libertà di manifestare il loro pensiero. Una democrazia matura deve contemplare scuole “aperte” in cui c’ è spazio anche per Coppellotti. Un quid di dissenzienti è un fatto fisiologico
alla democrazia. Guai se tutti fossero costretti a dire le stesse cose. Altrimenti, più o meno inconsciamente, cadremmo in un regime che è l’esatto opposto della democrazia repubblicana delineata nella nostra Costituzione. Le lettere di genitori scandalizzati ai giornali appartengono ad un vecchio rituale che pensavamo superato. Il Cogidas dei genitori“ democratici e antifascisti “ era un’associazione nata nel clima della contestazione sessantottina morta e sepolta perché superata dai tempi come buona parte degli organismi previsti dai Decreti Delegati.
Nella scuola e fuori di essa il nemico da combattere, seguendo prudentemente le regole del distanziamento, è uno solo: la pandemia.
scrivere a quaglieni@gmail.com
Il Covid e i sindaci
IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni/ Ancora una volta il Covid sconvolge tutto. Nell’ ultimo Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri veniva delegata ai Sindaci la possibilità di chiudere quartieri e zone della loro città per combattere la pandemia
Si trattava della scelta più democratica ed anche più opportuna possibile.
Ma i Sindaci, Appendino in testa, si sono ribellati a questa ipotesi, ritenendola uno scaricabarile del governo su di loro. Forse per i Sindaci ha giocato anche l’indice di popolarità che avrebbero dovuto rischiare chiudendo.
A me è apparso un rifiuto che evidenzia la mancata assunzione di responsabilità da parte dei Sindaci che hanno rifiutato quanto previsto dal governo,una gravissima mancanza di responsabilità, specie se consideriamo il momento drammatico che dovrebbe farci sentire tutti solidali ed uniti.
La conclusione della vicenda appare paradossale perché ,pur senza nominarli, saranno i prefetti a surrogare i Sindaci. Luigi Einaudi scrisse un celebre articolo dal titolo “ Via i prefetti “ in cui si contestava il potere centralista dei prefetti come organo del governo. In uno stato liberale non ci dovevano essere poteri prefettizi di tipo napoleonico, secondo Einaudi.
Per decine di anni si sono erosi i poteri dei prefetti, a partire dall’azzeramento delle Giunte provinciali amministrative che controllavano le spese dei comuni. Il potere dei prefetti veniva visto di malocchio da tanti,in particolare dalla sinistra.
Oggi, di fronte alla pandemia, sindaci irresponsabili e pavidi ripristinano di fatto il potere dei prefetti. Verrebbe voglia di dire “Via i sindaci.”
scrivere a quaglieni@gmail.com
Rubrica a cura di ScattoTorino
La qualità va oltre il tempo e le mode e diventa essa stessa un trend. Lo testimonia Oscalito, il marchio fondato nel 1936 da Osvaldo e Lino Casalini, specializzato nella produzione di linee di intimo e maglieria per uomo, donna e bambino. Superato il periodo bellico i due fratelli hanno incrementato la produzione dei capi in cotone e lana per lui e per lei e verso la fine degli Anni ’60 è entrato in azienda Andrea, figlio di Lino che dopo aver studiato presso il College of Textile Art and Technology di Leicester, ha iniziato a sperimentare disegni su macchine tessili wild pattern che hanno conquistano gli States. Nel tempo il brand ha raggiunto quella fama internazionale che lo caratterizza ancora oggi e che, per 8 anni consecutivi, dal 2013 ad oggi gli è valso il titolo di Best seller maglieria in Italia e in Francia nella linea intima. Oscalito produce nel rispetto dell’ambiente e delle persone, utilizza solo fibre naturali o di origine naturale, seleziona fornitori geograficamente vicini e investe importanti risorse per abbassare l’impatto ambientale delle proprie lavorazioni. Inoltre acquista direttamente il filato e lo trasforma fino ad arrivare al prodotto finito. Un prodotto totalmente Made in Italy, certificato da Italcheck e di qualità superiore che viene realizzato con lentezza per esaltare le caratteristiche del tessuto e regalargli il giusto equilibrio di morbidezza ed elasticità.
ScattoTorino ha incontrato Dario Casalini, Amministratore delegato di Maglificio Po s.r.l. – Oscalito, che ha abbandonato la cattedra di Diritto pubblico e amministrativo che aveva presso la Facoltà torinese di Economia per dirigere l’azienda di famiglia. Una missione, ma anche una passione, che lo hanno portato ad essere Presidente del Consorzio Italian Lingerie Export, l’ente che rappresenta e promuove il settore dell’intimo italiano nel mondo.
Oscalito non è un brand. È una filosofia
“Sin dal 1936 impieghiamo solo fibre naturali, perfette per regolare la temperatura corporea e garantire uno stato di benessere in ogni stagione. Ai tempi in cui mio nonno fondò l’azienda era necessario l’uso di queste fibre perché producevamo intimo, ma anche oggi che realizziamo sottogiacca puntiamo sul confort e sulla qualità. Ad esempio, usiamo il cotone egiziano che è il 3% della produzione mondiale, la lana merinos extrafine australiana che è l’1 per mille e la seta cinese leggera che è resistente, a parità di peso, più dell’acciaio. La lavorazione si svolge a Torino per cui la filiera è molto corta e ci permette di controllare tutto: dal filo al capo finito. Abbiamo una produzione verticale di eccellenza e i filati sono italiani in quanto vogliamo premiare il territorio, impiegando il know-how locale. Inoltre ci avvaliamo della tecnologia RFID che, applicata all’etichetta, permette la tracciabilità completa di tutta la filiera per ogni singolo capo così da assicurare un controllo capillare in ogni fase e garantire spedizioni puntuali e precise”.
Che cosa ispira le vostre creazioni?
“Abbiamo due anime: Oscalito e Natyoural. La prima, essendo legata all’underwear, ha uno stile raffinato e punta sui pizzi, sui grafismi, sulle ispirazioni floreali e sugli ideogrammi. Uno stile che ha consentito ai miei genitori, già negli Anni ’90, di passare dall’intimo all’outwear. Qualche anno fa, dalla collaborazione con lo stilista Giorgio Spina è nato Natyoural, un marchio di maglieria legato ai concetti di pulizia e rigore, che ha un’identità di stile e si ispira all’arte contemporanea: usiamo pennellate di colore, intarsi e jacquard grafici. Voglio sottolineare però che entrambi i brand condividono la stessa filosofia, ovvero l’armonia con la natura”.
Sostenibilità ambientale per voi significa?
“La sostenibilità è un concetto che nasce nelle tradizioni precolombiane. È un tema ancestrale che caratterizza molte culture e che a noi piace perché è in linea con la nostra filosofia. Oscalito infatti nasce con l’impegno di creare i presupposti per una crescita sostenibile rispetto all’ecosistema, una crescita integrata e rispettosa dell’ambiente sociale e territoriale. Per questo abbiamo declinato 7 punti della sostenibilità tra i quali la salubrità di ciò che si indossa, la filiera che rispetta l’ambiente e il lavoratore, la durabilità del capo. Le aziende che collaborano con noi garantiscono inoltre performances dei materiali come la facilità di riciclo o di rigenerazione e la biodegradabilità, in modo da assicurare la massima sostenibilità ambientale dei prodotti nel loro intero ciclo di vita e il minor impatto sull’ambiente. A conferma di quanto detto, durante la pandemia abbiamo prodotto mascherine di cotone e dispositivi medici certificati con un filtro removibile (www.opmask.it). Un prodotto in cotone e dunque salubre, durevole perché in tessuto, in cui si cambiano solo i filtri, che sono in poliestere e quindi riciclabili”.
La vostra è una produzione slow. Una controtendenza che premia?
“Noi abbiamo delle macchine circolari di tessitura datate in quanto, utilizzando filati fini, abbiamo bisogno che i macchinari girino con una certa lentezza in modo che non stressino o rompano la fibra. Oggi la tecnologia nel tessile punta sulla velocità, sulla quantità e su filati facili da trattare, quindi sintetici. La fibra naturale, invece, va lavorata con lentezza, rispetto e delicatezza”.
Un altro vostro brand è Natyoural
“Il marchio nasce nel 2016 come collezione di maglieria caratterizzata da una propria identità stilistica. La sua filosofia è però la stessa di Oscalito, come rivela il nome Natyoural che invita ad essere naturali e in armonia con l’ambiente che ci ospita: usiamo fibre naturali e, solo ove necessario, il sintetico riciclato o biodegradabile. Selezioniamo fornitori italiani e certifichiamo le diverse fasi produttive, con filiera verticalmente integrata dal filato al capo finito. Le macchine che usiamo sono di ultima generazione, ma rispettiamo sempre la qualità in modo da garantire un prodotto di eccellenza. A dicembre apriremo un negozio monomarca Natyoural all’interno di GREEN PEA, il nuovo progetto di Oscar Farinetti interamente dedicato a prodotti sostenibili, il cui slogan “from duty to beauty” mira proprio a rendere bello e ”di moda” il consumo che rispetta l’ambiente. Si tratta per noi di un importante riconoscimento di quella che è da sempre la nostra visione di impresa sostenibile”.
Torino per lei è?
“Mi affascina per il suo understatement. Qui abbiamo creato il cinema, l’automobile e altre grandi eccellenze eppure non ci vantiamo. Torino fa ed è, però lo comunica poco. A me piace la sua sostanza, il fatto che voglia essere scoperta più che mettersi in mostra. Non è superba, ma punta sulla concretezza”.
Un ricordo legato alla città?
“Le nonne che da piccolo mi raccontavano fatti avvenuti nei luoghi in cui eravamo. Mi affascina immaginare che i posti in cui viviamo quotidianamente siano così ricchi di storia. La dimensione temporale è sempre presente in loro”.
Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto
La foto di Vincenzo Solano
Magnifica Torino / progetto #respiratorino: il campus universitario Einaudi
L’isola del libro
Rubrica settimanale a cura di Laura Goria
Kiran Millwood Hargrave “Vardø dopo la tempesta” – Neri Pozza – euro 18,oo
L’autrice è una giovane (nata nel 1990) poetessa, romanziera e drammaturga britannica, che ha vinto numerosi premi con i suoi libri dedicati all’infanzia, ed ora si lancia nel romanzo storico con questo testo che non è solo bello…. di più.
Ambientato nella Norvegia tra 1617 e 1620, inizia con una spaventosa tempesta nel Mare di Barents che in un battibaleno affonda le vite dei 40 pescatori di uno sperduto villaggio costiero. Le loro donne assistono impotenti alla tragedia e giorni dopo si ritrovano a recuperare i corpi straziati che il mare restituisce. Li conservano in una rimessa per barche, in attesa che la terra si sgeli per poter scavare le fosse, dare pace ai morti e riprendere a vivere dovendosela cavare da sole.
Poi la dura lotta per la sopravvivenza riparte dalla loro immensa forza d’animo. Rimettono in mare le barche, vanno a pesca, coltivano, cacciano e conciano gli animali. Sono vedove di tutte le età e sono diventate autosufficienti.
La loro vita è difficile, ma mai come dopo l’arrivo del sovrintendente Absalom Cornet e la sua giovane moglie norvegese Ursula; inesperta figlia di un armatore, fidanzata e sposata in soli 3 giorni a un uomo che non aveva mai visto prima e che cercava una consorte qualsiasi. Inutile dire che la sua esistenza è tristissima e riesce a trovare un po’ di consolazione soprattutto in una donna del villaggio che diventa aiutante, amica… Si chiama Maren, la burrasca le ha portato via il padre e il fratello, ed è un personaggio da tenere d’occhio per la sua incredibile umanità ed energia di fronte alle tragedie.
Absalom è duro, spietato, invasato con l’idea di dare la caccia alle streghe e verrà fuori che ne ha già strangolata e bruciata una. A Vardø la sua brama si scatena e con essa la caccia alle “presunte” streghe del villaggio.
Di più non vi racconto, però posso dirvi che questo romanzo, basato su una storia vera, vi condurrà nelle tenebre dell’animo umano. Tra superstizione, invidie, brama di potere, torture e roghi di innocenti, che il più delle volte sono ritenuti posseduti dal Maligno solo perché appartengono ai Sámi, (popolazione indigena nomade che ha suoi riti e credenze, pertanto visti come “diversi”).
Ma non saranno solo uomini Sami ad ardere vivi, a Vardø la caccia alle streghe vede condannate due donne innocenti…..
Margaret Storm Jameson “Amore a prima vista” -Fazi Editore- euro 18,50
Dopo “Company Parade”, ecco il secondo capitolo della trilogia “Lo specchio nel buio” considerata manifesto del femminismo e dell’emancipazione delle donne, scritto dalla giornalista e scrittrice inglese Margaret Storm Jameson. Nata nel 1891 e morta nel 1986 è stata la prima donna a laurearsi in inglese all’Università di Leeds, a ricevere una borsa di studio post laurea ed è diventata presidente del British Section of International Pen.
C’è molto di lei nella sua eroina Hervey Russel che, 6 anni dopo la fine della Grande Guerra, continua a lottare per ottenere successo nella società letteraria londinese, lavorando nel frattempo per la volubile Evelyn Lamb e la sua rivista, mantenendo se stessa e il figlio piccolo.
E’ ambiziosa, forte e irrequieta, ha conquistato a fatica l’indipendenza e sta per divorziare dal marito, l’inconcludente Penn.
Soprattutto sta scrivendo il primo corposo volume di una trilogia in cui racconta la vita di sua nonna, la temibile Mary, sperando di diventare l’autrice di fama che sogna di essere.
La strada verso il successo però non sarà né dritta né facile e Hervey dovrà barcamenarsi tra il difficile milieu letterario londinese dell’epoca, le incomprensioni con gli editori, l’inseguimento di successo e guadagni.
E sullo sfondo di questa seconda puntata c’è pure l’amore per il cugino Nicholas Roxby: uomo complicato e pieno di sentimenti contrastanti, tiranneggiato dalla moglie. La superficiale, capricciosa, narcisista e bellissima Penny che l’ha lasciato per un altro uomo…salvo poi pentirsene.
Non sarà facile per Hervey e Nicholas smussare gli angoli dei loro caratteri e delle storie che hanno alle spalle….l’idea è che entrambi divorzino dai coniugi fedifraghi; ma siamo nell’Inghilterra del 1924 e la strada per questo genere di decisioni è tutta in salita.
Mary Beth Keane “Un amore qualunque e necessario” -Mondadori – euro 19,50
E’ un libro che parla di ferite profonde, fragilità, amori potenti, forza del perdono e possibile riscatto. Tutto inizia nel 1973 quando due reclute della polizia del Bronx si trovano ad abitare vicine: sono Francis Gleason e Brian Stanhope con le rispettive famiglie. Due matrimoni che saranno messi a dura prova: da un lato c’è la solitudine della moglie di Francis, Lena, e dall’altro, l’instabilità emotiva della moglie di Brian, Anne.
Tutto deflagra quando Anne, che non approva il sentimento che lega Peter (il suo unico figlio adolescente) a Kate, una delle figlie dei Gleason, in un impeto di follia compie un gesto estremo che travolgerà i loro destini.
Passano gli anni, Kate e Peter si ritrovano, anche se le loro famiglie sono ormai inconciliabili a causa di quello che ha fatto la mamma di Peter.
L’amore che lega i due giovani è un sentimento portentoso e in parte capace di suturare alcune ferite…ma non tutte.
Il romanzo racconta la loro vita insieme. Si sposano, mettono al mondo due figli e le loro esistenze scorrono tra normalità e fragilità di Peter, fino a quando il riapparire di Anne non costringerà
tutti a superare il difficile passato.
Una storia familiare che fa i conti con la tragedia e scava a fondo nell’anima dei vari personaggi.
Una prova di grande bravura di Mary Beth Keane, scrittrice americana di origini irlandesi -nel 2011 annoverata tra le 5 migliori scrittrici statunitensi under 35- che oggi vive vicino a New York con il marito e due figli.
Elvira Seminara “I segreti del giovedì sera” -Einaudi- euro 16,50
Siamo a Catania dove un gruppo di amici prossimi ai 60 anni si ritrovano i giovedì sera per raccontarsi e misurare le loro vite.
Dialoghi serrati, riflessioni intelligenti, una spietata radiografia dei guasti –non solo fisici- che procura il tempo che passa, tutto condito da piacevoli dosi di autoironia.
Voce narrante è quella di Elvira che racconta vizi, virtù, piccole e grandi tragedie sue e dei suoi coetanei.
Un tuffo piacevole e dolce-amaro negli anni che incombono e su cosa comporti avere 60 anni oggi. Un pool di personaggi che non si arrendono e, tra segreti e nuove scoperte, fragilità e doppie vite, conseguenze fisiche e psicologiche, litigi ed incertezze annaspano, tenaci, nella vita. Con un po’ di malinconia cercano di lasciare andare il tempo che passa, e si preparano a una nuova stagione tutta da scoprire e vivere.