Rubriche- Pagina 80

“Educare”, la lezione che ci siamo dimenticati

Torino e la Scuola

1. Educare, la lezione che ci siamo dimenticati
4. Il metodo Montessori: la rivoluzione raccontata dalla Rai
5. Studenti torinesi: Piero Angela allAlfieri
6. Studenti torinesi: Primo Levi al DAzeglio
7. Studenti torinesi: Giovanni Giolitti giobertino
8. Studenti torinesi: Cesare Pavese al Cavour
9. UniTo: quando interrogavano Calvino
10. Anche gli artisti studiano: lequipollenza Albertina

1“Educare”, la lezione che ci siamo dimenticati. Come i greci e i latini ci hanno insegnato “la scuola”

Una delle prime raccomandazioni che Geppetto fa a Pinocchio è di comportarsi bene e di andare a scuola, ma quanto sarà arduo per il burattino portare a termine questa elementare impresa! La favola di Collodi racconta che il bambino di legno si avvia verso la meta prestabilita, con tanto di quaderno e sussidiario, ma subito incontra diverse distrazioni che lo allontanano dalla sua destinazione: si tratta ovviamente di una metafora sulla strada della vita, lungo la quale sono molti gli ostacoli che dobbiamo superare. Limpresa che Pinocchio deve affrontare è in realtà quella di crescere, egli infatti incontrerà sul suo percorso persone malvagie e individui buoni, dovrà imparare a scegliere tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, finché, una volta divenuto responsabile e saggio, capirà qual è la via giusta da percorrere e potrà infine vedere esaudito il suo desiderio più grande.
Vi è un altro episodio, allinterno della stessa narrazione, che sottolinea limportanza attribuita dallo scrittore fiorentino al tema dello studio: il capitolo riguardante il Paese dei Balocchi.

Questa volta lingenuo protagonista si ritrova in un luogo dove tutto appare meraviglioso, i bambini giocano incessantemente da mattina a sera, addirittura possono fumare, bere e rompere le cose (una scena della versione disneyana mostra anche la distruzione del celebre dipinto della Gioconda), ma non tutto è come sembra. I fanciulli a furia di divertirsi e basta si trasformano in asini, e, una volta divenuti bestie, vengono venduti per lavorare nei campi. Il messaggio è crudo e drammatico ma ancora una volta molto chiaro: la mancanza di istruzione porta alla schiavitù.
Ma quanti sono i bambini che da sempre piagnucolano per non voler andare a studiare in classe?
Non c’è niente da fare, nessuno, dallalbore dei tempi, è mai stato contento di svegliarsi presto per andare a farsi interrogare, eppure a scuola bisogna andarci.
Lultimo drammatico periodo pandemico ci ha fatto sicuramente aprire gli occhi su quanto le istituzioni scolastiche siano essenziali. Mai come negli ultimi mesi si è sentita così tanto pronunciare la parola scuola.

Ma, nonostante tutte le riflessioni fatte, se vi si chiedesse a cosa serve andare a scuola? cosa rispondereste?

Ricordo che una volta incontrai un mio professore del liceo, chiacchierando mi disse che la scuola è quella cosa che rimane invariata mentre il resto cambia e si trasforma; non capii allepoca il senso della sua affermazione, non mi trovai daccordo  con lui, poiché, come ben si addice ad una giovane studentessa, pensavo che la didattica dovesse modificarsi con il passare delle epoche, adattarsi agli studenti e scrollarsi di dosso un po di vecchiume.

Ebbene, ora che sto tentando di passare dallaltra parte della barricata, sento di aver cambiato idea, o, quantomeno, di aver compreso che la questione è assai complessa.
Forse, distratti dalla frenesia costante della vita contemporanea, ci siamo dimenticati del vero motivo per cui è necessario ed essenziale  che gli studenti si siedano dietro i soliti banchi sgangherati, allinterno di aule pregne di spifferi. Vediamo se riusciamo a ricordarcelo.

Per prima cosa credo sia importante partire dalletimologia di alcuni termini, come, appunto, scuola: pop. o poet. scòla s. f.,  lat. schŏla, dal gr. σχολή, che in origine significava (come “otium” per i Latini) libero e piacevole uso delle proprie forze, soprattutto spirituali, indipendentemente da ogni bisogno o scopo pratico, e più tardi luogo dove si attende allo studio (Enciclopedia Treccani). Già con questa definizione potremmo ritenerci sufficientemente soddisfatti: a scuola si va per ricevere uneducazione. Ma allora che cosa significa educare? Il termine ha una doppia derivazione latina, esso si riconduce sia a ex duco ossia tiro fuori, sia a educo, cioèconduco. Ed è proprio qui che sta linghippo: dalla duplice significazione del termine derivano anche due differenti modelli pedagogico-educativi.  Appurato dunque che la scuola serve ad educare, ora è quindi necessario capire come farlo: è meglio lesempio della paideia (sistema educativo) di Socrate o quello platonico tanto caro alla patristica medievale? È più giusto che il maestro ricopra il ruolo di stimolatore, come si evince dal romanzo didattico Emilio di Rousseau o è preferibile che colui che insegna sia una vera e propria guida, e che educhi il discente alla moralitàattraverso la ragione, come diceva Kant? Ha più senso un tipo di apprendimento laboratoriale o uno basato sullaccumulare nozioni?
Il file rouge che lega levoluzione della storia delle istituzioni scolastiche è proprio questo dualismo di metodologie pedagogiche, luna incentrata sulla libertà delleducando e sullimportanza dellesperienza e laltra invece a sostegno dellautorità delleducatore, unico detentore della verità.


Ma partiamo dallinizio. Chi lha inventata questa scuola così tanto mal voluta? Ancora una volta è colpa dei greci. La civiltà europea nasce dalla civiltà greca, e da questa ha innegabilmente ricevuto le forme essenziali del pensiero e dellespressione.
Nel lontanissimo 594 a.C., larconte Solone promulgò alcune leggi che disciplinavano le attività scolastiche. E chissà se già allepoca i piccoli scolari erano soliti inventarsi pestiferi stratagemmi per ingannare le madri al fine di scampare allinterrogazione di matematica?
Altre testimonianze dellesistenza di un sistema distruzione sono costituite da ritrovamenti di cocci di vasi risalenti al VI secolo a.C., rinvenuti ad Atene; tali reperti sono essenziali per comprendere che il saper scrivere era, almeno nella polis egemone, unabilità ordinaria.

Vi sono altri reperti, risalenti al V secolo, di vasi a figure rosse che ritraggono specificatamente scene di vita scolastica, con alunni che imparano a leggere e scrivere. In realtà le informazioni sul reale funzionamento del sistema scolastico sono assai poche. Sappiamo che i ragazzi (pare non ci fossero scuole femminili) erano istruiti in ginnastica da un paidotribes; in musica (cioè a eseguire pezzi cantati con accompagnamento di cetra) da un chitaristes; a leggere e a scrivere da un grammatistes. Secondo Platone (Protagora 325e), il grammatistes poneva davanti a loro sui banchi i carmi di maestri della poesia da leggere e da imparare a memoria. Si può dedurre che tali istituzioni non fossero statali, poiché i figli dei ricchi, secondo il Protagora di Platone, sono i primi a intraprendere gli studi nelle scuole, e gli ultimi a uscirne. L istruzione elementare non era obbligatoria, non di meno lo stesso Aristofane (il grande commediografo greco, V-IV sec. a.C.) afferma che perfino i cittadini più disagiati, anche se non potevano permettersi di studiare musica e poesia con un kitaristes, a leggere e a scrivere in qualche modo imparavano. Gli studenti più piccoli trascorrevano i primi cinque anni del percorso scolastico con il grammatistes, un vero e proprio maestro elementare che insegnava loro dapprima lalfabeto, poi le sillabe, poi le parole intere, con la corretta suddivisione in sillabe. I papiri ci testimoniano i mille esercizi di copiatura e di scrittura sotto dettato. I testi scelti per la copiatura erano lineari, ma ricchi di contenuto morale, favole, racconti su figure illustri della storia o del mito. La seconda fascia scolastica interessava i ragazzi fra i dodici e i quindici anni,  i quali, sotto la guida del grammatikos, imparavano ad esercitarsi nella lettura e nel comporre. La materia base di questi specifici anni scolastici era la poesia, materia assai importante, che forniva agli studenti conoscenze mitologiche, geografiche, storiche, associate alla comprensione delle regole grammaticali e stilistiche. Vi erano poi i gymnasia, dove i discenti erano seguiti da docenti di retorica e filosofi.
Lo schema educativo greco venne ripreso a Roma, anche se qui la questione sembra complicarsi ulteriormente. La scuola romana èsuddivisa in tre momenti differenti: dai sette ai dodici anni, dai dodici ai sedici anni e infine dai diciassette ai ventanni.


I primi anni di formazione sono affidati al magister ludi, il maestro di gioco, che ha il compito di insegnare a leggere e a scrivere e a fare i calcoli più semplici. Accanto a tale figura vi è il paedagogus, pedagogo, lo schiavo greco incaricato di accompagnare a scuola i bambini (e anche i ragazzi più grandi), in tal modo il giovane era costretto ad assimilare perfettamente la lingua greca. Segue poi la scuola del grammaticus, in questi anni le materie di studio aumentano e diventa centrale lapprofondimento dei testi poetici e il loro commento. Gli studenti affrontano anche le prime esercitazioni retoriche, ad esempio composizione di favole di tipo esopico, e brevi e semplici composizioni moraleggianti. Altre materie erano la musica, la geometria, la recitazione e la ginnastica.
Avanzando nel percorso scolastico,  spiccano gli insegnamenti di retorica, diritto e filosofia.
Lo sviluppo delle scuole retoriche viene tenuto in gran considerazione, soprattutto sotto i Flavi, a tal proposito è bene ricordare il noto provvedimento di Vespasiano di assegnare uno stipendio statale annuo di 100.000 sesterzi ai retori di Roma, con lo scopo di fare dei giovani usciti dalle scuole dei funzionari imperiali capaci di valorizzare la loro azione di governo con laiuto delleloquenza. I punti fondamentali dellinsegnamento retorico erano i seguenti: esercizi preliminari; insegnamento sistematico dei cinque momenti competitivi delloratoria: inventio, dispositio, elocutio, memoria, actio; declamatio, recitazione a memoria, da parte di ogni discepolo, di orazioni da lui preparate sotto la guida del docente. La scuola di diritto rappresenta la sola innovazione originale latina rispetto allinsegnamento greco. Alla sua base sta la grande tradizione e sensibilità giuridica romana, potenziata e approfondita dalle esperienze filosofiche del mondo greco.

La storia del sistema scolastico è assi lunga e complessa e nei prossimi articoli di questo ciclo che ho voluto dedicare al tema dellistruzione e della scuola ne ripercorrerò le tappe fondamentali attraverso i vari periodi storici.
Che dire ancora? Volenti o nolenti da sempre la scuola bisogna frequentarla, e da sempre dapprima non ci si vuole andare e poi la si rimpiange. Ad un certo punto poi la scuola finisce ed inizia la vita vera e propria, e alla domanda a che cosa serve la scuola ognuno risponderà a modo suo.

Alessia Cagnotto

Arsivòli, cosa significa questa parola piemontese?

Rubrica a cura del Centro Studi Piemontesi

La parola la troviamo per lo più nell’espressione “guardé j’arsivòli”, essere distratto, trastullarsi, guardare in aria. Il vocabolario del Gribaudo, lo traduce con “Archivolti”; il REP né propone una etimologia complessa. A noi piace citare la traduzione poetica che ne dà Riccardo Massano nel commentare la poesìa Arsivòli del nostro più grande poeta del Novecento Pinin Pacòt (1899-1964), Voli di sogno. Arsivòli è termine intraducibile che vale genericamente Fantasie, Fantasticherie. La parola figura in piemontese (almeno nella lingua parlata e nella tradizione scritta) solo al plurale nel sintagma guardé j’arsivòli […] e significa “guardare in aria oziando e fantasticando” (Vedi Pinin Pacòt, Poesìe e pàgine ’d pròsa, ristampa anastatica dell’edizione del 1967, prefazione di Gustavo Buratti, con l’aggiunta a postfazione di un ritratto critico di Riccardo Massano, Pinin Pacòt artista e poeta, Torino, Centro Studi Piemontesi-Ca dë Studi Piemontèis, 1985, pagg. XVI-445. Nuova ristampa nel centenario della nascita del poeta, a cura di Renzo Gandolfo e Albina Malerba (2000)

 

La nuova Caporetto della pandemia

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni/ La pandemia che sta diventando sempre più aggressiva, rivela l’inadeguatezza dell’ intera classe politica italiana.

Nel 1917 dopo Caporetto il Re cambio’ il presidente del Consiglio Boselli con Vittorio Emanuele Orlando e Cadorna con Armando Diaz.
La mancanza di interventi sanitari adeguati nel corso dell’estate, la stolta tolleranza nei confronti delle movide, il mancato potenziamento dei trasporti,  la stupidità inerte delle Regioni, la riapertura cretina delle scuole, senza nessuna autentica sicurezza, i tagli dissennati della sanità pubblica hanno dei responsabili precisi. Nomi e cognomi che devono rispondere del loro operato. La politica non c’entra. Questi responsabili vanno messi alla gogna perché giocano cinicamente sulla vita degli Italiani. Certi giornali hanno messo alla gogna persone che si sono poi rivelate innocenti come Bertolaso. Oggi vanno messi alla gogna e mandati a casa questi improvvisatori irresponsabili che oggettivamente hanno un potere senza possederne le qualità. La Magistratura non puo rimanere inerte di fronte a misfatti inauditi; altrimenti c’è il rischio di una rivoluzione. Nel 1922 andò al potere Mussolini. Con gli attuali Facta nazionali e locali andremo a sbattere. Cambiamo almeno gli incapaci! Togliamo di mezzo la gentucola che siedono al governo nazionale e in molte Regioni. La serie diarroica di Decreti inefficaci deve finire.
Ripeto che la casa brucia e ogni incertezza è colpevole , ogni ritardo e’ intollerabile. L’ Italia sta vivendo la nuova Caporetto della pandemia. Bisogna reagire subito! Certe incertezze si possono configurare come alto tradimento.

Alla conquista di Superga

TORINO VISTA DAL MARE /1

Camminare per conoscere. Un’immagine semplice ma efficace che descrive al meglio uno dei miglior modi per scoprire una nuova città

Abituarsi a nuovi paesaggi, differenti abitudini di quartiere, spesso è difficile, ma passeggiando tra le vie e le piazze più battute, per poi allontanarsi e perdersi in quelle meno trafficate permette di appropriarsene, cogliendo scenari, scorci e dettagli che spesso si perdono nella frenesia del quotidiano.

Torino – io che vengo dal mare – provo a scoprirla così, raccontandola per impadronirmene allo stesso tempo.

 

Protagoniste del profilo urbano, le colline a ridosso della città ne caratterizzano l’aspetto con i loro colori e le loro sinuosità. In posizione di netta dominanza, in cima a una di queste colline, si erge uno dei più riconoscibili simboli architettonici di Torino, la Basilica di Superga.

È uno dei luoghi a cui i cittadini sono più legati; mi chiedo come mai e soprattutto se visitarla rispetterebbe queste alte aspettative per chi non l’ha mai vista. Uno dei motivi per cui proprio la Basilica è stata tra le prime questione da affrontare in città.

La comparsa in scena? Decisamente da ottima interpretazione. Mi è apparsa nella sua monumentalità alla fine di una lunga passeggiata che da Sassi porta fin sui 670m di altezza.

La scelta di raggiungerla a piedi, sempre e solo con le scarpe giuste indosso, è un’esperienza suggestiva. Una tiepida e luminosa giornata autunnale può addirittura arricchire il tutto.

Intuibile la componente climatica. Evitare la calura estiva in una salita di 4,7 km con un dislivello di 445m è da non sottovalutare al fine di godersi appieno l’esperienza.

Ma altrettanto da non sottovalutare è come l’autunno sia la stagione ottimale. A dispetto dell’immaginario grigio del nord, a cui spesso chi viene dal mare fa riferimento, Torino in questi mesi risplende di una nuova luce. Gli alberi, le foglie si colorano di oro, arancio, rosso, calde tonalità che illuminate dai raggi del sole accendono ciò che le circonda. Passeggiare circondati da questa esplosione di colore dona piacere agli occhi e allo spirito.

Salendo verso Superga siamo accompagnati così dalla natura della collina, che man mano diventa sempre più rigogliosa e che una volta in cima si apre a mo’ di sipario svelandoci il capolavoro di Filippo Juvarra.

Documentandomi sulla storia apprendo che l’architetto siciliano, voluto personalmente da Vittorio Amedeo II di Savoia al regio servizio, ha soggiornato parecchi anni a Torino regalando così alla città, attraverso le sue opere, un sapiente mix di gusto pienamente barocco, tipico del sud, all’eleganza della capitale sabauda.

La Basilica di Superga è di sicuro il suo capolavoro. Uno dei più grandiosi santuari barocchi situati su di un’altura. È così che in 14 anni un Templio antico su d’una collina moderna, ha preso forma.

Una volta arrivati in cima, stanchi dalla passeggiata, ma felici di essere alla meta, la salita non è in realtà finita, anzi, per i più valorosi e più curiosi, altri 131 scalini di una scala a chiocciola conducono fin su alla slanciata cupola che sovrasta l’edificio,aprendo da lì la finestra panoramica per eccellenza; strano ma vero ma del mare nemmeno l’ombra, spaesata, ma affascinata, di fronte a me si distende la pianura di Torino e quella superba catena di cime alpine che la incornicia.

Le montagne e i fiumi hanno preso il posto di porti, navi e vulcani; provo così a riconoscere punti della città, e per fortuna la svettante punta della Mole Antonelliana in questo accorre subito in aiuto. Un nuovo paesaggio che, forse ancora poco familiare, assume un significato diverso.

A questo punto, dopo una salita, a mio dire perfetta, non resta che godersi il tutto anche in discesa.

Annachiara De Maio

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Valérie Perrin  “Il quaderno dell’amore perduto”   -Nord-   euro  14,90

Di questa autrice (anche sceneggiatrice e fotografa, moglie di Claude Lelouch) abbiamo amato “Cambiare l’acqua ai fiori”, e la sua indimenticabile protagonista Violette Toussaint, custode di un cimitero che è il crocevia di svariati incontri e destini. Sull’onda di questo successo, ora, l’editrice Nord rispolvera il suo primo romanzo “Il quaderno dell’amore perduto”, coinvolgente affresco sul potere della memoria, ambientato sempre nella provincia francese.

La storia è ispirata alla vita del nonno paterno della scrittrice, che si chiamava (come nel libro) Lucien Perrin, deportato a Buchenwald.

Voce narrante è quella di Justine Neige, sensibilissima aiuto infermiera 21enne nella casa di riposo Le Ortensie. Ha perso i genitori e gli zii (il padre e lo zio erano gemelli) in un misterioso incidente d’auto quando era piccola, ed è cresciuta con i nonni e il cugino orfano Jules.

Justine ama prendersi cura degli anziani, adora ascoltare le storie delle loro vite ed è particolarmente legata all’ospite della stanza 19, Hélene; soprannominata “la donna della spiaggia” perché immagina di stare sotto un ombrellone a leggere romanzi con un gabbiano che la segue  ovunque, annuncia scomparse e ritorni, le tiene compagnia.

Justine annota in un quaderno azzurro tutto quello che l’anziana signora le svela del suo passato.  Ed è una narrazione bellissima.

Hélene era stata un’avvenente ragazza, figlia di una sarta che le aveva insegnato i trucchi del  mestiere. Non aveva mai capito perché facesse tanta fatica a mettere insieme le lettere nel modo giusto (scoprirete perché), ma quando si innamora follemente di Lucien, figlio di un organista cieco, impara a leggere in braille. I due si incontrano segretamente in chiesa, aspettano di restare chiusi tra incenso e candele e lui le insegna “a toccare l’alfabeto”. La loro è una storia d’amore incredibile che dovrà fare i conti con le atrocità della guerra, l’arrivo dei tedeschi, anni di attese angoscianti, un amore che resisterà a tutto.

E mentre Justine raccoglie le fila della rocambolesca vita di Helene, in parallelo segue anche le tracce di un terribile segreto della sua famiglia che finirà per spiegare come e perché lo schianto di un auto contro un albero le ha strappato i genitori. Aspettatevi pagine che vi travolgeranno.

 

Charlotte Wood   “Il  weekend”     -NN5-  euro 18,00

E’ un piccolo gioiello questo romanzo della scrittrice australiana Charlotte Wood, che in patria è annoverata tra le 100 donne più influenti. 226 pagine dedicate all’amicizia, ai turbamenti dell’età che avanza e non fa sconti né alla mente, né al fisico, rimpianti, fallimenti e voglia di vivere nonostante le difficoltà.

L’amicizia è quella tra quattro 70enni che si erano  conosciute nel periodo aureo dei loro 30 anni, e più diverse tra loro non potrebbero essere. Sylvie è morta da poco e alle altre tre tocca il gravoso, noioso, triste compito di svuotare la sua casa al mare: uno scrigno di ricordi, suppellettili, cibi scaduti e ciarpame vario. Tutti gli strascichi di una lunga vita. Lei era il vero collante della loro amicizia e, in sua assenza, le superstiti faticano a ritrovarsi, condividere ricordi belli e brutti, e perdonarsi le reciproche pecche, superare vecchi rancori.

Nei 3 giorni che trascorrono insieme nella casa toccata dalla morte, rimettono insieme i racconti delle loro vite.

Scopriamo così  che la rigida Jude -ligia alle regole, organizzata, abituata a comandare e sempre critica verso le altre – ha una vita privata decisamente sfilacciata. Da anni è l’amante semi-segreta di un uomo sposato, Daniel, per nulla propenso a lasciare la famiglia per lei. E la casa al mare di Sylvie era stata per anni il suo rifugio con lui.

Adele è un’attrice in disarmo, in passato artista di successo sogna ancora di calcare le scene, vive al  di sopra delle sue possibilità ed ha una cura maniacale della forma fisica…al limite del ridicolo.

Poi c’è Wendy, scrittrice, vedova,  un po’ sconclusionata, maldestra e sciatta, vive ancora sugli allori delle sue  passate pubblicazioni ed è legatissima a un anziano cane malconcio, regalatole da Sylvie.

Durante il week end le 3 non mettono mano solo agli oggetti e ai ricordi dell’amica scomparsa, non buttano via solo cose ormai inutili nei sacchi neri e non riempiono solo sporte per i mercatini di beneficenza.

Quello che faranno è ben più profondo: rimettono insieme pezzi della loro amicizia, riportano a galla e poi affondano per sempre antichi sgarbi, bugie e rancori, fanno i conti con reciproci fallimenti e riannodano i fili del loro legame guardando al futuro con una marcia in più.

 

Michele Masneri  “Steve Jobs non abita più qui”   -Adelphi-   euro   19,00

L’autore, giornalista e scrittore, attento soprattutto alle cronache di costume, raccoglie  in questo libro i suoi articoli-reportage tra San Francisco e Los Angeles. Una sorta di moderno Grand Tour, in cui più che le rovine del passato, al centro, ci sono esempi di successo proiettati in un futuro sempre  più high tech.  Siamo nella dorata Silicon Valley, la terra di Google e il cono d’oro delle start up di maggior successo.

In 31 brevi capitoli viene raccontata la California: a partire dalla storia passata a quella più recente di San Francisco «…capitale gay dell’America…città giocosa ..ecosistema unico» che attira frotte di giovani.

Ci sono i reportage sugli homeless nella Contea di Santa Clara che raduna i vari comuni della Silicon Valley. E’ una delle zone in cui si concentra una gran bella fetta di ricchezza a livello mondiale ed è abitata dai nerd che per non fare i pendolari vivono in camper. Ma anche da miliardari della levatura di Zucherberg alle prese con le metrature per le case che sono minime e chi le ha non le vende. Lui ci ha messo anni a rastrellare 4 villette a Palo Alto e poi le ha unite.

Palo Alto, la cittadina famosa anche per l’alto tasso di suicidi tra i liceali, dalla quale arrivi in un attimo a «Stanford, l’università più celebre della costa ovest, che ha sfornato tutti i siliconvallici più illustri» e di cui Masneri racconta l’origine poco conosciuta, perché non tutti sanno che l’ateneo non esisterebbe senza la malasanità italiana.

Poi ci sono i racconti di tanti altri aspetti, come l’ossessione californiana per il fitness e il cibo, i sogni di grandezza degli autisti di Uber che pensano a start up foriere di successi miliardari, e le denunce di molestie di Susan Flowers, ingegnere 25enne impiegata di Uber che nel 2017 ha  anticipato il #Mee Too… e molto altro ancora…

 

Machado de Assis   “Memorie postume di Brás Cubas”  -Fazi-   euro 18,50

Questo è un autore da riscoprire e questo suo libro è il modo perfetto per farlo.

Joaquim Maria Machado de Assis è nato a Rio de Janeiro nel 1839 in una famiglia di meticci di umili origini: il padre imbianchino di origine portoghese, la madre donna delle Azzorre che muore quando lui è ancora piccolo, e la sua vita sarà segnata anche dalla morte della sorella. Queste tragedie unite a una salute precaria (soffriva di epilessia) daranno il tono alla sua visione del mondo permeata di pessimismo. Per sopravvivere si adattò a vari mestieri, ma proseguì con tenacia studi e letture.

Nel 1881 pubblica “Memorie postume di Brás Cubas” che insieme ad altri due romanzi – “Quincas Borba” e “Don Casmurro”- costituisce una sorta di trilogia. Ma ha scritto ben 31 volumi che costituiscono le sue “Obras Completas”, e fanno di lui uno dei massimi scrittori brasiliani i cui libri sono studiate nelle scuole.

In “Memorie postume di Brás Cubas” la narrazione inizia dalla morte del protagonista «…non sono propriamente un autore defunto bensì un defunto che fa l’autore, per il quale la lapide è stata una novella culla..». Prende il via con questa premessa il romanzo che attraverso le tappe più importanti di una vita intera, vissuta nei salotti dell’alta società carioca di metà 800, traccia anche un’affascinante ed arguta mappa dell’animo umano.

Brás, scapolo 64enne vissuto in ricchezza e salute, morto alle due del pomeriggio di un venerdì d’agosto 1869, viene accompagnato al cimitero da 11 amici e di qui parte il racconto che vanta uno stile personalissimo.

Essendo già morto si prende con calma tutto il tempo per raccontare la sua storia dalla quale esce il ritratto di un uomo ambizioso ma che ha fatto poco-nulla di importante, che ha guardato alla politica ma poi non si è mai impegnato, mentre ha cercato soprattutto l’amore.

C’è la passione che rischia di travolgerlo per la bella Marcela che lo ha amato «..per 15 mesi e 11 milioni…», poi l’intenso legame con Virgilia, sposata con un eminente uomo politico. E in mezzo i ricordi di altre persone amate, considerazioni sul senso della vita, l’arguta satira dell’indolenza e dello scarso impegno di un uomo come ce ne sono tanti, senza particolari imprese eclatanti che ne  nobilitino l’esistenza. Ma anche se la sua vita non è stata particolarmente degna di nota, Brás pensa che l’unica vera disgrazia sarebbe quella di non essere mai nati.

Un libro che fa meditare.

L’allergia al Nickel: ciò che dovresti sapere

MANGIARE CHIARO   Negli ultimi anni sono proliferate come funghi le diagnosi di allergia (da contatto) al nickel, con spesso una conseguente esclusione del nickel stesso dalla dieta abituale.

E qui c’è bisogno di una prima precisazione: allergia da contatto al nickel e allergia “alimentare” al nickel sono due cose ben diverse (e per dirla bene, la seconda è definita “sindrome da allergia sistemica al nickel”). Mi spiego meglio: non è detto che essere allergici al nickel si traduca nel 100% dei casi in sindrome da allergia sistemica al nickel, con necessità di una sua esclusione dalla dieta. E qui arriva una seconda precisazione: è impossibile eliminarlo completamente dalla nostra alimentazione. Perchè? Leggete qui: “Il nickel è un metallo pesante duro, bianco‐argenteo, altamente resistente all’aria e acqua. E’ un elemento onnipresente che si trova nel suolo, nell’acqua, nell’aria e nella biosfera.” , onnipresente.  Si trova anche negli organismi viventi, perché sia i vegetali che gli animali assumono il loro nutrimento dal suolo e dall’acqua. Oltretutto, il suo contenuto nel suolo e nell’acqua varia in base alle regioni del mondo, al tipo di terreno, impiego di fertilizzanti sintetici e pesticidi, contaminazione del suolo con rifiuti industriali e urbani, distanza dalle fonderie di nickel. Di conseguenza cambia anche la sua concentrazione nei tessuti vegetali e animali, e nei vegetali varia anche in relazione alla stagione. Capite ora la complessità nel definire il contenuto preciso di nickel nella dieta del singolo individuo? E ancor di più, l’impossibilità nell’eliminarlo del tutto?

Oltretutto la diagnosi risulta estremamente complessa da effettuare, e l’unica strada percorribile è il test di provocazione orale preceduto dalla dieta di eliminazione. Ben anche si avesse diagnosi di sindrome da allergia sistemica al nickel, la letteratura ci dice che l’indicazione ad una dieta terapeutica a basso contenuto di nickel è da ritenersi controversa, rara ed eccezionale. Oltretutto non ci sono protocolli univoci validati.

La conclusione? Dubbi, tanti dubbi sotto ogni fronte, dall’iter diagnostico agli aspetti clinici al valore terapeutico di una dieta a basso contenuto di nickel. Quindi, se dopo comprovata allergia da contatto al nickel qualcuno vi propone di default una dieta di eliminazione, scappate, veloci. Fuggite, sciocchi!

Vittoria Roscigno

***

Vittoria Roscigno, classe 1995, laureata con lode in Dietisticapresso l’Università degli studi di Torino e con il massimo dei voti nella Magistrale in Scienze dell’Alimentazione presso l’Università degli studi di Firenze. Ha conseguito i titoli di “Esperta in nutrizione sportiva” e “Nutrition expert” mediante due corsi annuali e sta attualmente frequentando un Master di II livello in Dietetica e Nutrizione Clinica presso l’Università degli studi di Pavia. Lavora in qualità di dietista presso le strutture HumanitasGradenigo e Humanitas Cellini, oltre a svolgere attività di libera professione a Torino.

-“Che la scienza e la buona forchetta siano sempre con te”.

Sito: vittoriaroscigno.it

Instagram: @dietistavittoriaroscigno

Facebook: Dott.ssa Vittoria Roscigno – Dietista

 

Come avete speso i nostri soldi?

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni/ Il fatto che Governo e Regioni abbiano toppato  clamorosamente nella lotta alla pandemia appare purtroppo un fatto acclarato di cui stiamo tutti pagando le terribili conseguenze.

Di fatto un anno della nostra vita turbato, anzi rovinato, per non parlare delle decine di migliaia di morti diretti e indiretti. Io ho conosciuto persone che, in preda alla depressione, si sono suicidate.
Il premier e’ comparso in televisione decine e decine di volte senza riuscire  a tranquillizzarci e forse ci sta ingannando.
Le diverse televisioni hanno creato il panico senza informare veramente. Gli scienziati, a partire da Zangrillo per passare ai terroristi, hanno fatto pena e hanno colto una jattura per esibirsi e farsi conoscere.
Forse neppure tutti gli uomini di religione sono stati in grado di dare conforto alla popolazione afflitta.
L’economia ne e’ uscita distrutta e i ristori di cui si parla si riveleranno inadeguati.
Stiamo franando, stiamo finendo nell’abisso.
L’opposizione politica che ha solo mirato in modo poco lungimirante ai suoi interessi di bottega si è rivelata inetta.
L’ Italia è rimasta sola, gli italiani si sentono abbandonati.
Ma c’è un aspetto in più che suona come una beffa. Molti di noi hanno sottoscritto anche cifre non simboliche a Protezione civile, Regioni, fondazioni varie, giornali.
Finora non c’ è stata chiarezza sul come siano stati complessivamente amministrati questi fondi. Se ci troviamo nella situazione drammatica in cui ci dibattiamo, forse sorge legittimo qualche dubbio. È indispensabile che si faccia chiarezza assoluta sui nostri soldi dati per sconfiggere il a Covid. Altrimenti ogni sospetto e ogni protesta diventano legittimi. E’ una priorità morale assoluta. Certo gli italiani vi chiederanno anche conto di come sono stati spesi i soldi delle proprie tasse, ma le offerte versate spontaneamente esigono un’urgenza assoluta. E’ indispensabile una rendicontazione fino all’ ultimo centesimo.

I biscotti di Halloween con farina di zucca della Cuoca Insolita

Rubrica a cura de La Cuoca Insolita 

Visto che quest’anno sarà difficile bussare alla porta dei vicini di casa per fare “Dolcetto o scherzetto”, almeno consoliamoci con dei dolcetti davvero unici. Questi biscotti di Halloween senza glutine con farina di zucca sono speciali per tanti motivi: sono molto leggeri, con il 70% in meno di zucchero, preparati con la farina di zucca partendo dalla zucca fresca, per ottenere una polvere quasi dorata che darà un meraviglioso colore arancio all’impasto. Fare a casa qualcosa di davvero unico per i vostri bimbi (e non solo) è tutta un’altra storia. Mettiamoci subito al lavoro!

Tempi: Preparazione (30 min); Cottura (10 min).

Attrezzatura necessaria: Stampini per biscotti di Halloween (meglio se a stantuffo – io li ho trovati su Amazon), mattarello, due sacchetti gelo grandi o un sacchetto e un tappetino di silicone, teglia da forno grande, carta da forno.

biscotti di halloween presentazioneIngredienti (per circa 500 g di biscotti di Halloween)

  • Farina di riso integrale – 120 g
  • Fecola di patate – 100 g
  • Farina di mandorle – 65 g
  • Farina di zucca fatta in casa– 25 g (2 cucchiai)
  • 2 Uova intere
  • Eritritolo– 3 cucchiai colmi (65 g)
  • Zucchero bianco – 2 cucchiai colmi (45 g)
  • Stevia essiccata in polvere– 1,5 cucchiaini (1,7 g)
  • Olio semi girasole o oliva – 4 cucchiai (40 g)
  • Scorza di 1 limone grande
  • Vanillina – quasi 1 bustina (0,4 g)
  • Lievito per dolci – 1/4 cucchiaino (1,5 g)

Perché vi consiglio questa ricetta?

  • Valori nutrizionali: Grassi saturi -80%, zuccheri -70% rispetto alla pasta frolla tradizionale fatta con fatta con burro, solo zucchero, latte intero, farina 00.
  • Questi biscotti sono senza glutinesenza latte né burro.
  • Adatti anche in caso di diabete, sono preparati con eritritolo  e stevia, due dolcificanti a zero calorie e zero zuccheri. Il nostro cervello ha bisogno di zucchero, ma il fatto di ridurlo un po’ permette di limitare il picco glicemico, che dopo qualche ora darebbe origine al classico calo di zuccheri che fa perdere la concentrazione. Sapevate che è possibile preparare a casa la stevia in polvere in modo naturale?
  • La farina di zucca fatta in casa ha un sapore e un colore che non hanno nulla a che vedere che quella che si potrebbe trovare in commercio. E in più è ricchissima di fibre

Preparazione dei biscotti di Halloween

Fase 1: LA PASTA FROLLA E LA FORMA DEI BISCOTTINI

Mescolate nella terrina tutti gli ingredienti e lavorate con le mani, fino ad ottenere un impasto che non si appiccica alle mani. Se non avete avuto tempo di preparare in casa la farina di zucca, non preoccupatevi: i biscottini verranno bellissimi e buonissimi ugualmente. Se l’impasto è troppo farinoso, aggiungete una piccola quantità di succo di mela (o latte di riso, o di mandorle). Se invece è troppo morbido, aggiungete un poco di farina di riso. Chiudete nella pellicola e lasciate riposare a temperatura ambiente mezz’ora.

Stendete la pasta frolla con il mattarello ad uno spessore di 4-5 mm circa. Per evitare che l’impasto resti attaccato al mattarello o al piano di lavoro (e per non aggiungere altra farina), io mi trovo molto bene appoggiando la pasta tra un tappetino di silicone leggermente infarinato (sotto) e un sacchetto gelo che ho completamente aperto con delle forbici  (sopra) o, ancora meglio tra due sacchetti gelo aperti (uno sotto all’impasto e uno sopra). In questo modo il lavorerete molto più velocemente. Sollevate quindi la pellicola del sacchetto gelo e infarinate (con farina di riso) solo leggermente, quindi tagliate le formine sulla pasta frolla stesa (grazie alla piccola quantità di farina non si attaccheranno agli stampini) e trasferite sulla teglia da forno, rivestita di carta da forno.

FASE 2: LA COTTURA

Cuocete in forno ventilato a 160° C per 10-15 minuti. La temperatura va tenuta bassa per evitare che i biscotti si scuriscano. Sfornate e lasciate raffreddare almeno 15 minuti. Spolverate con lo zucchero a velo (io uso l’eritritolo polverizzato come zucchero a velo, per non aggiungere calorie ai biscotti).

CONSERVAZIONE

A temperatura ambiente o (meglio) in frigorifero, in un barattolo chiuso: anche una settimana

Nel surgelatore: fino a 6 mesi

Chi è La Cuoca Insolita

La Cuoca Insolita (Elsa Panini) è nata e vive a Torino. E’ biologa, esperta in Igiene e Sicurezza Alimentare per la ristorazione, in cucina da sempre per passione. Qualche anno fa ha scoperto di avere il diabete insulino-dipendente e ha dovuto cambiare il suo modo di mangiare. Sentendo il desiderio di aiutare chi, come lei, vuole modificare qualche abitudine a tavola, ha creato un blog  e organizza corsi di cucina. Il punto fermo è sempre questo: regalare la gioia di mangiare con gusto, anche quando si cerca qualcosa di più sano, si vuole perdere peso, tenere a bada glicemia e colesterolo alto o in caso di intolleranze o allergie alimentari.

Tante ricette sono pensate anche per i bambini (perché non sono buone solo le merende succulente delle pubblicità). Restando lontano dalle mode del momento e dagli estremismi, sceglie prodotti di stagione e ingredienti poco lavorati (a volte un po’ “insoliti”) che abbiano meno controindicazioni rispetto a quelli impiegati nella cucina tradizionale. Usa solo attrezzature normalmente a disposizione in tutte le case, per essere alla portata di tutti.

 

Calendario corsi di cucina ed eventi con La Cuoca Insolita alla pagina.

Tre amare riflessioni sullo sbando italiano

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / L’appello del ministro degli interni Lamorgese che certo non ha brillato con i migranti, lascia sconcertati. Dovrebbero essere i cittadini a fermare i violenti. Devono essere loro a prendere le distanze da chi saccheggia le città. Noi credevamo che ci fossero reparti antisommossa a ciò delegati che comunque hanno fallito clamorosamente nel loro compito

.
Adesso il ministro si rivolge ai cittadini che protestano, perché isolino i violenti. Cosa essi debbano fare resta un mistero. Salvare i negozi devastati era compito delle Forze dell’Ordine e si è vista evidente l’incapacità e la non volontà a farlo. L’unica preoccupazione – per evitare sanzioni disciplinari romane  – dei vertici locali è evitare feriti e morti. Pertanto il gioco viene svolto sulla difensiva. Era già capitato a Milano qualche anno fa con il sindaco Pisapia. La proprietà privata va tutelata e non  va abbandonata ai teppisti. Questo a Torino e in altre città non è accaduto.
La solita circolare del prefetto Gabrielli con le istruzioni ai Prefetti e ai Questori andava fatta prima e non dopo, ispirata all’insegna dell’ignavia, così cara ai vertici politici. Sia chiaro non andava bene Salvini dedito alle chiacchiere demagogiche, ma non va  neppure  bene la signora Lamorgese digiuna di politica, prefetto in pensione. Occorre un politico con gli attributi capace di  affrontare i tempi terribili che viviamo. Un Scelba redivivo, ammesso che esista.
                                ….
La cosa che appare più incomprensibile tra le norme anti corona – virus , pasticciate , confuse , intempestive , e’ quella relativa alla chiusura alle 18 dei ristoranti. Se pranzare a cena è pericoloso, non si capisce perché non lo sia a mezzogiorno. Non tutti i locali hanno rispettato il distanziamenti tra i tavoli. Questa è una verità incontrovertibile, ma pochissimi sono stati controllati e sanzionati. La chiusura alle 18 appare insensata e vessatoria e colpisce anche  chi si è adeguato alle norme di sicurezza. Siamo in preda ad improvvisatori: i grillini hanno fatto presto scuola al Pd .
                              ….
Tra i devastatori dei nostri centri urbani ci sono anche immigrati di seconda e terza generazione. Così scrivono i giornali.  Sarà il caso di bloccare ogni discussione sul Ius culturae perché l’evidenza di questi giorni deve indurre a riflessioni adeguate. Integrare queste persone appare impossibile e controproducente. Una vera follia. Demagogia pura. Una forma di auto- dissoluzione dell’ Italia.
.
scrivere a quaglieni@gmail.com