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Terroristi estradati già a casa. Una vergogna

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

La notizia appare una vera presa in giro: i magistrati francesi hanno consentito il giorno dopo dell’arresto per l’estradizione in Italia, il ritorno alla loro casa parigina ai sette terroristi rossi che godono di protezione da parte del governo francese da circa una quarantina d’anni.

In ogni caso ci vorranno due o tre anni per estradare in Italia i terroristi rossi- condannati in Italia con sentenza definitiva- che sulla carta non godono più degli effetti dell’indegna dottrina Mitterrand che aiuto’in modo vergognoso circa 200 terroristi italiani ,garantendo loro impunità in Francia, ben oltre la morte del celebrato presidente socialista, con altri presidenti come Chirac e Sarkozy. La famosa Carla’ fu la paladina abominevole e snob dei terroristi, come l’alta borghesia milanese che brindo’ al ferimento di Montanelli. Protesse finché pote’ anche Cesare Battisti.

Con il governo Draghi almeno per 7 terroristi forse le cose dovranno cambiare, sia pure con una lentezza non accettabile. Uno di loro è tra gli assassini del commissario Calabresi. Il cui figlio giornalista, ancora una volta, è come se avesse rinnegato suo padre, preoccupandosi della salute del suo assassino e proclamandosi contrario alla sua detenzione in cella. Il fatto che suo padre Luigi non sia arrivato all’età dell’assassino Bompressi, per Calabresi pare un fatto del tutto marginale. Anche sua moglie Caterina Levi, militante politica, sarà forse della stessa idea del marito perché sua madre Natalia firmo’ il manifesto infame contro il commissario Calabresi, una macchia indelebile per tanti intellettuali che armarono la mano con le loro parole agli assassini del Commissario e del loro mandante Adriano Sofri, oggi considerato un venerato maestro che pontifica sui giornali.

Questa notizia – soprattutto quella dell’immediato ritorno in libertà in Francia dei 7 brigatisti – fa rimescolare di rabbia e suscita ricordi incandescenti in noi che abbiamo lottato contro il terrorismo, rischiando di persona. Troppi anni di impunità sostenuti e vezzeggiati dalla gauche porteranno ad un nulla di fatto perché le pastoie della giustizia ingiusta completeranno l’opera di Mitterand e dei suoi successori. La Francia non ha difeso il diritto di asilo a dei perseguitati politici, ma a delinquenti che si macchiarono di gravissimi reati di sangue.

La promessa di estradizione e’ apparsa sui giornali italiani come un’ottima cosa che chiuderebbe gli anni di piombo; invece essa nasconde le decine di anni di connivenza con i terroristi rossi e neri, anche se il numero altissimo dei rossi non è confrontabile con quello dei fascisti. Io sono stato attaccato da veri imbecilli in malafede che sostengono il perdono come unica scelta possibile, anche se non sono credenti.  Siamo all’assurdo che ai fascisti come tali, a prescindere dal loro operato, deve valere una damnatio memoriae senza fine. Ai comunisti delle Br e di Lotta continua vanno invece usati i guanti bianchi, dimenticandosi dei crimini commessi. Finora non ho ancora letto di qualche anima pia che offre il perdono cristiano, ma arriverà sicuramente anche chi perdona per conto terzi con la coscienza degli altri.  Il perdono non va confuso con il perdonismo a buon mercato per mostrare una generosità che non si possiede.

In nome di Carlo Casalegno e di Francesco  Coco, tanto per citare due nomi a noi molto cari, noi non ci riteniamo soddisfatti, ma siamo, al contrario, indignati come lo fummo, quando vennero ammazzate le loro vittime  Le operazioni di facciata che servono a fare propaganda, sono orribili e mostrano solo cinismo. Quello è un passato che non passa. Solo la nuova ministra della Giustizia italiana merita il nostro grazie, ma la sua opera rischia di naufragare già il giorno dopo. Tutti i suoi predecessori si rivelarono dei debosciati , salvo chi riporto‘ in tempi brevi l’infame Cesare Battisti dopo anni di protezione del dittatore Lula che forse confondeva Battisti con l’eroe della Grande Guerra.

Qui c’è gente condannata all’ergastolo che ha mai scontato un giorno di galera. I sostenitori di questi assassini sono gli stessi che applicano il garantismo a corrente alternata e diventano truci giacobini pronti a mozzare le teste solo degli avversari, anzi dei nemici politici. Questi 7 terroristi cercarono di minare alle radici la democrazia in Italia ed ebbero la protezione di un Presidente socialista che aveva militato nella Repubblica filonazista di Vichi.  L’umanitarismo socialista e’ un’altra cosa e non c’entra nulla con la complicità a favore di gente che non ha mai fatto cenno per pentirsi e per risarcire le famiglie delle proprie vittime. Queste sono le due condizioni per richiedere il perdono, i signorotti del crimine protetti dalla Francia sono persino orgogliosi del proprio passato criminale.

Appare indecente e persino ridicolo il solito manifesto di quattro intellettualoidi francesi che definiscono i sette latitanti come degli “esuli” e chiedono a Macron di mantenere i privilegi loro accordati da Mitterand. Ed appare ancora più incredibile che la cultura italiana, sempre disposta a firmare qualcosa, taccia su quanto sta accadendo.Di cultura vera e’ rimasto molto poco ed è quasi naturale che il culturame stile Murgia, taccia. Magari invece sta già preparando un corposo appello con Erri De Luca sull’ esempio francese a sostegno degli “esuli”. Craxi venne considerato un latitante e non un esule, ma per Bompressi e compagni che hanno ucciso,  tutto diventa lecito e possibile.

Maurizio Corgnati, il Pigmalione di Milva

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

I mille articoli che hanno esaltato Milva Biolcati in occasione della sua scomparsa, collegandola alla sua militanza nell’estrema sinistra e alla canzone “ bella ciao” hanno relegato nel dimenticatoio il registra Maurizio Corgnati che ha costruito dal nulla la ragazzotta di Goro, molto ruspante e per nulla intellettuale.

Se Milva è diventata una cantante nota,  ciò è dovuto alla sua voce e a Corgnati che viveva a Maglione in Provincia di Torino dopo essere stato apprezzato regista in Rai. Era un uomo colto e popolare ad un tempo, amico di Mario Soldati, Francesco Tabusso, Fruttero, Nespolo, Testa; con Soldati condivideva la passione per lo Scopone. Amava il vecchio Piemonte, amava Cavour e il Risorgimento e Manzoni. Io stesso mi intrattenni a volte a parlare con lui del Gran Conte a cui aveva dedicato un bel libro non privo di interesse. Ci vedavamo anche a cena del mitico “Da Giuseppe” in via Mazzini a Torino. Era anche un abile cuoco insieme a Gualtiero Marchesi e si presto’ persino a pubblicizzare in una televisione privata la carne di una macelleria di Leini’. Creo’ all’aria aperta il museo d’arte contemporanea di Maglione dove invito’i suoi amici a dipingere sulle case. Un museo con murales di pregio che ancora oggi rappresenta un’attrattiva non solo turistica. Milva crebbe alla sua scuola che la trasformo’ radicalmente. Poi la pantera di Goro abbandono’ il marito e si appoggio’ alla corte di Strehler. Da allora divenne un idolo della sinistra, rossa come i suoi capelli.  Corgnati si risenti molto e soffri’ per questo volta faccia.  Ma sicuramente aveva sbagliato anche lui ad innamorarsi di una donna tanto più giovane di lui. Credo che sia comunque doveroso non dimenticare in questi giorni anche lui che la stessa figlia Martina, avuta da Milva, ricorda con parole positive. E davvero era un uomo fuori ordinanza.

Prosegue la campagna vaccinale in Piemonte. L’impegno dell’esercito

Il punto di vista / Le interviste di Maria La Barbera
Il Tenente Colonnello Antonio Liguori, responsabile territoriale per l’Esercito Italiano, ci racconta l’evoluzione del piano di immunizzazione.

Il Piemonte è una tra le regioni che sta vaccinando più efficientemente, la prima  nel rapporto tra residenti e quantità di cittadini  che ha ricevuto il vaccino nelle due dosi. Il Generale Francesco Paolo  Figliuolo, molto legato alla città di Torino, durante la sua visita il 14 e 15 aprile scorso ha dichiarato che la nostra regione è attrezzata e capace abbastanza da poter arrivare a fine aprile a vaccinare 40.000 persone al giorno.
Il Tenente Colonnello Antonio Liguori, responsabile territoriale per l’Esercito Italiano, ci spiega come la Forza Armata sta partecipando, in diverse modalità, alla lotta alla pandemia mettendo a disposizione uomini e strutture in supporto della società civile.

3 domande al  Tenente Colonnello Antonio Liguori

Come ha contribuito fino ad ora l’Esercito alla lotta alla pandemia, il Covid-19? 

Fin dall’inizio di questa emergenza sanitaria L’Esercito, così come le altre Forze Armate ed Istituzioni,  è sceso in campo prontamente per fronteggiare il virus. Nella prima fase ha garantito, con i propri mezzi, il trasporto dei materiali sanitari necessari in tutta Italia, ha sanificato i luoghi, come le RSA,  dove questo patogeno ha colpito maggiormente e con l’operazione “Strade Sicure” ha garantito, e continua a farlo, il rispetto delle norme anti-covid.
A partire dal mese di ottobre, in supporto al Servizio Sanitario Nazionale, per volere del Ministro della Difesa On. Lorenzo Guerini, sono stati allestiti con l’operazione IGEA, i Drive Through Difesa (DTD) per svolgere la fondamentale attività di screening attraverso l’effettuazione dei tamponi. A dicembre è iniziata invece l’operazione EOS per lo stoccaggio e la distribuzione dei vaccini.
Oggi l’operazione EOS continua la sua attività con l’attivazione di Presidi Vaccinali Difesa (PVD), ottenuti dalla conversione dei Drive Through, e con la costituzione del Presidio Vaccinale della Difesa presso l’Allianz Stadium di Venaria.
Il ruolo guida di pianificazione e condotta delle Operazioni IGEA ed EOS è affidato al Comando Operativo di Vertice Interforze in coordinamento con le Istituzioni,  con le Autorità Sanitarie Locali e con la Protezione Civile così come di tutte le attività connesse all’emergenza sanitaria al fine di vaccinare il più alto numero di cittadini italiani.

Come è strutturato il piano delle vaccinazioni in Piemonte? 
L’attività organizzativa e di pianificazione è una prerogativa delle Istituzioni locali, in questo caso della Regione Piemonte. Per quanto riguarda la Difesa, ed in particolare l’Esercito, a seguito della richiesta della struttura commissariale della Regione Piemonte di convertire il DTD dell’Allianz Stadium di Venaria in punto di somministrazione di vaccini, grazie alla professionalità dei nostri reparti acquisita in anni di esperienze operative in patria e all’estero, in sole 48 ore e in collaborazione con l’Arpa Piemonte, Protezione Civile e Croce Rossa, abbiamo trasformato l’hot spot tamponi in un Presidio Vaccinale dove operano 3 Ufficiali Medici e 4 Sottufficiali Infermieri.
Inoltre dal 14 aprile, per dare ulteriore impulso alla campagna vaccinale, l’Esercito è presente  con il proprio personale sanitario, 5 Ufficiali Medici e 8 Sottufficiali Infermieri, presso l’hub vaccinale del Lingotto Fiere allestito dalla Regione Piemonte.

Cosa vuole dire, come medico e come esponente dell’Esercito Italiano, alle persone che stanno vivendo oramai da un anno questa situazione e come si sente di rassicurarle per vivere le difficoltà in maniera più razionale senza lasciarsi prendere dall’emotività? 

Mi sento di dire però di guardare con estrema fiducia all’unico strumento attualmente in nostro possesso per tutelare noi stessi e i nostri cari: il vaccino.
E’ importante  attenersi e rispettare le misure sanitarie messe in campo dal Governo per continuare a proteggersi ed a proteggere gli altri.

 

I due Carando, ma Ettore è dimenticato

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

I  fratelli Carando furono due partigiani che vennero trucidati nel 1945 a Villafranca Sabauda, ora Piemonte.

Ennio Carando era un professore liceale di filosofia di convinzioni comuniste molto radicate  che si buttò con passione  nella Resistenz , diventando ispettore delle divisioni Garibaldi del Cuneese.

E’ stato  anche  ricordato a Savona dove insegnò e dove l’egemonia dell’Anpi è soffocante e totalizzante. Il prof. Ennio Carando venne insignito di Medaglia d’oro al Valor Militare. Subì la stessa terribile  sorte il fratello Ettore, capitano di Artiglieria in Spe , che venne invece  decorato solo di Medaglia d’Argento al Valor Militare. L’eroismo dei due fratelli fu identico. Subirono atroci torture e non parlarono , affrontando  la morte con dignità, onore  e coraggio.

Io conobbi la vedova di Ettore che mi fece leggere l’ultima, affettuosa  lettera del marito a lei dedicata  in cui si faceva esplicito riferimento al suo giuramento di fedeltà  alla Patria e al Re  che l’aveva mosso a diventare un resistente. Anche Vittorio Prunas Tola mi disse dei due fratelli Carando. Prunas con i suoi figli era stato anche lui un  eroico patriota nella zona di Villafranca e negli anni Sessanta sottolineava il differente trattamento avuto dai due fratelli. Anche Valdo Fusi era indignato per la differenza di trattamento che penalizzò anche il suo amico Silvio Geuna che si offrì  al plotone di esecuzione del Martinetto al posto del Generale Giuseppe Perotti.  L’ufficiale  Carando venne presto dimenticato, mentre il professore di filosofia fu esaltato persino da Ludovico Geymonat  che vide in lui un esempio socratico. La sua opera di saggista ,mera divulgazione, appare anche oggi molto modesta, propria di un professore liceale troppo  distratto dalla politica e dal fanatismo ideologico. Un episodio che la dice lunga su certa cultura ideologizzata. Conobbi la vedova di Ettore che era una professoressa ancor giovane e avvenente , ma con sorriso triste: non aveva voluto risposarsi ed    era umiliata e indignata per il modo in cui era stato trattato il marito Già allora anche le Medaglie erano distribuite con criteri politici .L’Anpi era decisiva .  E la cosa è andata avanti così negli anni. Il capitano del R .Esercito Ettore Carando attende ancora giustizia, senza nulla togliere al fratello comunista. E il comune di Villafranca forse dovrebbe onorare Ettore. Solo Torino ha dedicato una via periferica ai due eroici fratelli  in  base ad un mio personale e discreto interessamento, volto a ricordare anche  il nome di Ettore. L’idea iniziale era quella di ricordare il solo Ennio.

 

Difendo Piero Fassino

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni  C’è chi nel Pd, pur di  caldeggiare e giustificare l’assurda alleanza con i grillini, critica il quinquennio della sindacatura di Fassino che io non votai nel 2011 esclusivamente per le persone da cui era circondato

Fassino lo avrei  votato per stima personale  (ci conosciamo dal 1984) ma era troppo attorniato da gente che invece  disprezzavo. Io mi astenni dal voto, come avevo già fatto altre volte  alle amministrative, quando mi proposero Chiamparino, Buttiglione, Costa, Rosso e l’ultima volta persino  il ragioniere on. Napoli e la ragazza giuliva grillina che al ballottaggio vinse con il voto delle destre impazzite e rancorose.  Nel 2016 votai  invece senza alcun dubbio per Fassino  al ballottaggio purtroppo inutilmente.
Lo incontrai alla vigilia del voto all’associazione degli esuli Giuliano – Dalmati, era più triste del solito ed aveva capito che il giorno dopo avrebbe perso. In effetti il “Sistema Torino“ aveva stancato, ma pochi capirono che l’Appendino lo avrebbe mantenuto in vita. In ogni caso quel sistema si identificò in Chiamparino e non in Fassino. Ma torniamo al dunque. Piero Fassino, consigliere comunale di lungo corso, deputato, due volte Ministro, era il meglio che la città potesse avere. La prima volta non  lo votai a causa dei  Moderati voltagabbana che si portava dietro e altri politicanti destinati a ricomparire a Palazzo Civico come eminenze grigie. Fassino sarebbe stato votabile anche nel 2011 perché aveva  comunque saputo  pensionare  i vari Alfieri e le varie Tessore passata  dalla corte di Alessio alla corte di Sergio , il Sindaco per eccellenza, eletto nel 2001 perché era morto all’improvviso  il bravissimo e onesto Carpanini, naturaliter successore del grande Castellani. Adesso per la sinistra del Pd, a cui va bene l’alleanza con i grillini e anche con il Sindaco uscente (che rappresenta una vergogna nella storia di Torino), Fassino ha amministrato in modo non adeguato  la città’ . Questi signori  che non sono in buona fede rimpiangono il vecchio Chiamparino e dimenticano, vogliono dimenticare il perché Piero Fassino nel suo quinquennio poté fare non tutto ciò che si era proposto: il buco di bilancio abissale lasciato da Chiamparino a cui nessuno ha chiesto conto di questo, tutti ubriacati dalle Olimpiadi invernali che durarono lo spazio di un mattino e servirono a lanciare il nuovo astro della Christillin, intima degli  Agnelli, che fino da un po’ di tempo fa aspirava anche lei  a palazzo civico, stando a  quanto scrivevano  certi gazzettieri  un po’ troppo cortigiani. Fassino si impegnò a tappare le falle create dal suo  predecessore che venne premiato con la Presidenza della Fondazione San Paolo e poi della Regione dove continuò a rivelare  i suoi limiti. Fassino avrà pure un brutto carattere, secondo alcuni suoi detrattori e’  persino irascibile,  ma è un politico serio, un uomo colto,   un amministratore a 24 carati, a cui gli attuali che ambiscono al posto di Sindaco, non assomigliano  Forse l’unico che ha rivelato qualche dote in proposito e’  l’ ex assessore di Fassino e professore universitario  Stefano  Lo Russo che ha guidato in modo forse un po’ troppo blando l’opposizione ad Appendino , ma ha almeno una esperienza alle spalle degna di attenzione.
scrivere a quaglieni@gmail.com

“Il fiume senza luna”

LIBRI Un nuovo caso per il commissario Carlo Rossi, nell’ultimo romanzo giallo di Franca Rizzi Martini

Dopo il giallo storico “Recitando Shakespeare” (2015), Franca Rizzi Martini ci regala, sempre per i tipi di “Neos Edizioni”, un altro intrigante giallo dal titolo “Il fiume senza luna”, carambolato con accattivante curiosità (sua e del lettore) in 246 pagine di un intenso racconto, dove all’indagine attuale si avvicenda una misteriosa storia che porta indietro il tempo di oltre quattro secoli, in una Moncalieri del Seicento – barocca e fluviale – che si trova a fare i conti con una Torino dei giorni nostri, con le sue anime multietniche, affogate in un bagno di solitudine, di desiderio di emergere e di spietato cinismo.

Due storie accattivanti che s’intrecciano fra loro, accomunate dal lento scorrere del fiume, “sulle cui acque non sempre si riflette la luna e la notte è più nera quando prevalgono le sfortune, i dolori e le passioni come l’avidità, la violenza e il desiderio di potere”. Oggi come quattro secoli addietro. In un calcolato, inevitabile dipanarsi di presente e passato in cui sempre è la “felicità” l’agognata preda umana. A scavare nelle pieghe degli eventi e a reggere e a indagare trame sottili abilmente rintracciate e raccontate da Franca Rizzi Martini (milanese di nascita, oggi residente a Moncalieri, vincitrice del Fiorino d’Argento al “Premio Firenze 2010” e secondo posto al “Premio Mario Pannunzio 2011”), è ancora una volta il suo commissario, dal più banale italico cognome, Carlo Rossi. E torna anche Patrizia, gentile curiosissima signora torinese, votata a sostenere con le sue osservazioni il lavoro di indagine. “Ogni caso ha i suoi interrogativi – scrive la Rizzi– e ogni omicidio ha le sue motivazioni; le morti non sono tutte uguali e anche se possono essere catalogate secondo diversi parametri, ogni omicidio nasconde cose dette e non dette”. Da una parte lo strano suicidio/omicidio di un lontano zio del commissario, mentre dall’altra ci imbattiamo nella storia di Jeremy Ross, giovane attore inglese depredato dell’amata Adelaide Grondana dalla mano assassina di un alchimista impazzito. Da un lato, l’elegante quartiere della Crocetta e i locali della Torino by night, fra barman russi e cameriere e ballerine rumene. Dall’altro, la corte sabauda di Vittorio Amedeo II, la “volpe savoiarda”, e della sua preferita, la contessa Scaglia di Verrua. Storie lontane nel tempo, le cui voci, i cui suoni, le cui presenze paiono tuttavia rincorrersi negli anni, in un miscelarsi, improbabile e misterioso, di fatti prove e verità sulle quali spetterà al povero commissario Rossi trovare il bandolo finale dell’intricata matassa. Scrive Franca Rizzi Martini: “La notte di Torino era buia, senza luna. Nell’aria spirava una leggera brezza fresca, che mitigò il suo senso di vertigine.Carlo Rossi camminava, un passo dopo l’altro sotto i lampioni che mandavano luci bianche nelle vie deserte; tutte le domande stavano riaffiorando nella sua mente. Delle persone coinvolte nel caso chi si salvava? Nessuno”.
Info: “Neos Edizioni”, via Beaulard 31, Torino; tel. 011/7413179 o www.neosedizioni.it

g. m.

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Jonathan Coe “Io e Mr Wilder” -Feltrinelli- euro 16,50

Questo romanzo è un omaggio che lo scrittore inglese -alla soglia dei 60 anni – dedica a uno dei miti
suoi e del cinema mondiale, il regista Billy Wilder.
Mostro sacro che a Hollywood ha girato film strepitosi come “A qualcuno piace caldo” con
Marilyn Monroe e Jack Lemmon, “Sabrina” con Audrey Hepburn, “Irma la dolce” e
“L’appartamento” con Shirley MacLaine e di nuovo Lemmon; per citare almeno alcune delle sue
pellicole che ebbero la nomination agli Oscar e ne vinsero parecchi.
Coe imbastisce un romanzo sul regista ormai “Sul viale del tramonto”, come nella sua omonima
pellicola del 1950 con Gloria Swanson, William Holden ed Erich von Stroheim.
Pretesto narrativo sono i ricordi di una 57enne greca, che era stata arruolata dal regista come
interprete. E’ Calista Frangopoulou alle prese con due giovani figlie gemelle, di cui una incinta.
Calista ha l’abitudine di associare fatti e persone ai film, e lo fa a ragion veduta poiché nel suo
passato ha vissuto un’esperienza esaltante nel mondo del cinema.
Giovanissima, per pur caso, aveva conosciuto il grande regista Billy Wilder in procinto di girare il
film “Fedora”, (in parte sull’isola greca di Corfù) che l’aveva assunta dapprima come interprete, poi
come assistente del suo amico e storico sceneggiatore I.A.L. Diamond.
Un’esperienza decisamente unica che l’aveva catapultata dietro la macchina da presa, alla scoperta
di un grande regista di immenso talento, che però Hollywood non finanziava più dopo alcune
pellicole non proprio fortunate sul fronte degli incassi.
Ma Wilder a 70 anni crede ancora fermamente in quello che fa e si butta a capofitto nel suo
penultimo film “Fedora”: lo gira in Europa, dopo che i produttori hollywoodiani gli avevano
sbattuto le porte in faccia.
Scopriamo così il lato umano del genio, con le sue fissazioni: come la pretesa che gli attori dicano
esattamente e al millimetro le battute del copione, e capace di girare ad infinitum la stessa scena.
Ed emerge un ritratto indimenticabile di uno dei registi più interessanti e prolifici di tutti i tempi.

André Aciman “L’ultima estate” -Guanda- euro 16,00

E’ difficile parlarvi di questo romanzo senza anticiparvi troppo la sorpresa che racchiude. C’è chi ha
parlato di realismo magico, inaspettato da questo autore che ha raggiunto un successo planetario
con “Chiamami col tuo nome” nel 2008, diventato film da Oscar, diretto da Guadagnino e
sceneggiato da James Ivory.
“L’ultima estate” è ambientato sulla Costiera Amalfitana dove un gruppo di ragazzi americani viene
avvicinato da un peruviano 60enne, Raoul: affascinante, misterioso, e soprattutto dotato di poteri
straordinari.
Sembra sapere molto di ognuno di loro; nomi, passato, segreti. Li sorprende e spiazza svelando cose
di loro stessi e della loro vita che in alcuni casi ignoravano; come l’essere stato gemello di un feto
scomparso al momento del parto. O anticipa il disastro finanziario di un loro amico che neanche è
presente, e chiede di avvisarlo prima che faccia un investimento sbagliato.
Svela ai ragazzi che sapeva di possedere un dono anche prima di aver compiuto 2 anni; crescendo
ha scoperto di riuscire ad allontanare il dolore semplicemente appoggiando la mano sulla parte
dolente di un corpo, e lo dimostra alleviando il male alla spalla che tormenta uno di loro, Mark.
Ma ad attrarlo più di tutti nel gruppo è la giovane Margot, che lui chiama Maria dicendo che è il suo
vero nome e che si erano già incontrati prima.
Dapprima lei è la più scettica ed indifferente; ma pian piano, tra baie meravigliose in cui nuotare in
libertà, passeggiate e confidenze, finisce per lasciarsi guidare da Raoul in un incredibile viaggio a
ritroso nel tempo.
Tra appuntamenti mancati con la felicità, piani temporali che s’intrecciano e la nostalgia di un
grande amore che lambisce il regno dei morti, si prospetta la possibilità del susseguirsi di più vite –
diverse e magari lontane nel tempo – prima e dopo il presente.
Perché spiega: «Il punto è che noi tutti passiamo più tempo di quanto crediamo a cercare di tornare
indietro. Chiamatelo come volete, fantasticare o sognare ….pochissimi di noi conoscono la strada,
la maggior parte non trova neanche la porta d’accesso e tanto meno la chiave per aprirla. Fingiamo
di essere normali terrestri…in realtà nessuno di noi torna indietro».
Se poi volete approfondire la conoscenza di questo autore, oltre al più famoso “Chiamami col tuo
nome” uno dei suoi libri è “Harvard Square” -Guanda- euro 13,00.
E’ ambientato all’università di Harvard e inizia con un padre che accompagna il figlio, prossimo a
diventare futura matricola. E’ l’occasione per ricordare la lontana estate del 1977 in cui, in una
Cambridge quasi deserta, lui si era impegnato nel preparare degli esami per diventare professore,
attanagliato dalla paura di non venire accettato in quell’ambiente tanto elitario. Fu un periodo
particolare in cui strinse amicizia con un tassista tunisino dalla parlantina facile, i due saranno
inseparabili per alcuni mesi. Scorre il racconto di un’estate indimenticabile che sfuma quando
ricomincia il semestre invernale e i due tornano alle loro vite tanto diverse l’una dall’altra.

Barack Obama “Una terra promessa” -Garzanti- euro 28,00

Forse la parte più interessante di questo portentoso memoir del 44° presidente degli Stati Uniti, è
quella in cui a cuore aperto narra affetti e episodi di vita strettamente privata, aneddoti curiosi,
incontri interessanti che danno la misura dell’uomo, oltre alla sua figura pubblica.
Eletto nel 2008, primo presidente di colore degli Stati Uniti, ha ricoperto due mandati come capo
del mondo libero e primo leader mondiale per potere ed importanza.
In 794 pagine scopriamo il suo spessore: giovane tenace, che supera lo scoglio dell’assenza del
padre, studioso ed ambizioso, che scala tutti i gradini fino alla vetta della presidenza.
I suoi successi, il suo charme politico, i motivi che l’hanno spinto all’impegno, il suo modo di
intendere la presidenza del paese più importante dello scacchiere mondiale, la sua importanza come
statista.
Poi ci sono gli incontri con gli altri leader, che lui ripercorre dando la sua versione personalissima di
Angela Merkel, Sarkozy, Putin e tantissimi altri capi di stato e governo. Dalla Cina al Giappone,
passando per l’Europa e per ayatollah e leader da prendere con cautela per il loro estremismo
fanatico. Una vita unica in cui ha conosciuto tutti ed è entrato nella storia a pieno titolo come uno
dei presidenti più amati.
A rendere il libro ancora più interessante è però il suo essere un marito attento e premuroso,
innamoratissimo della moglie che l’ha sempre sostenuto, e che lui a sua volta ha appoggiato in tutte
le sue iniziative. Come l’orto alla Casa Bianca, la lotta contro l’obesità e ….cosa che non sapevamo,
è stato anche il primo presidente mastro birraio della storia grazie al miele prodotto alla White
House.
Padre amorevole e presente per le sue figlie, con aneddoti tenerissimi. Come quando Malia, a 4
anni, dopo una visita allo zoo di Honolulu s’innamora perdutamente delle tigri, (la zia le regala il
peluche Tiger che l’accompagnerà ovunque negli anni successivi), chiede al padre cosa conta di fare
per i suoi felini preferiti e lui si muove di conseguenza.
O l’amore per Bo, il cane d’acqua portoghese regalatogli da Ted Kennedy e ironicamente citato
come «l’unico amico affidabile che un politico possa avere a Washington».
Così come sarà enorme il suo impegno sul fronte del pericoloso cambiamento climatico e la sua
battaglia per l’assistenza sanitaria a tutti i cittadini.
Tra le pagine più interessanti, quelle finali in cui ci racconta la caccia al mefistofelico Osama bin
Laden, il coraggio dei Navy seals e l’uccisione del responsabile della tragedia delle Torri Gemelle.

Maggio, un mese di preghiera

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Papa Francesco ha indetto in 30 santuari sparsi per il mondo un mese di preghiere per invocare l’aiuto di Dio per uscire dalla pandemia. Il vecchio e dimenticato mese Mariano del mese di maggio ritorna, finalizzato ad uno scopo molto importante 

Impetrare l’aiuto della Madonna in tutte le circostanze della vita e’ una cosa importante. Io nei momenti difficili della mia esistenza , sono stato a pregare alla Consolata di Torino, confortato dalle parole di mons – Franco Peradotto, un grande amico della mia vita . Sono sempre stato devoto di Maria Ausiliatrice e ricordo che da allievo salesiano e anche da ex allievo in compagnia di Giovanni Ramella andavo alla processione il 24 maggio, partendo da Valdocco, un altro dei luoghi- cardine della mia vita. Per anni sono andato durante la scuola elementare e media alla celebrazione del Mese Mariano e ricordo ancora il senso delle prediche di un frate cappuccino che veniva dal Monte. Poi per deprecabile trascuratezza avevo smarrito per decine d’anni la pratica religiosa, anche se nel mio intimo mi sono sempre sentito cristiano. Credente e laico, come uno dei miei maestri più cari, Alessandro Passerin d’Entreves. Ho sempre vissuto con fastidio l’ateismo ostentato di certi “capanei“ alla Luigi Firpo, mentre ho sempre rispettato l’agnosticismo perché la fede è un dono di Dio che nessuno può avere la presunzione di possedere perché la fede è anche accompagnata da dubbi e da momenti di sconforto. Anche Gesù in croce si sentì abbandonato dal Padre. Pur nella mia modestissima e insignificante posizione di chi, pur peccatore, ha ritrovato l’aiuto della fede e la pratica della preghiera quotidiana, ritengo che non si sia pregato abbastanza in questo anno terribile. Una società scristianizzata, non laica, ma volgarmente profana ha avuto la prevalenza e ci ha allontanato anche dal timor di Dio, una grande virtù. Ieri in teleconferenza su zoom con Roma, dove ricordavamo Vittorio Badini Confalonieri, siamo stati interrotti da intrusi che hanno proferito una serie bestemmie. Un altro segno dell’empietà dei tempi che viviamo. Si doveva pregare di più anche a prescindere dal fatto di chiedere un intervento divino. La preghiera che precede ogni sera il mio sonno è un conforto dell’anima e mi riporta a quando ero bambino e la mia mamma pregava con me. E prego per tutti i miei morti quasi con un’ intensità pascoliana. Ho sentito che Vito Mancuso, questo strano teologo “eretico”, ha bacchettato il Papa, ritenendo “imbarazzante “ la preghiera voluta dal Pontefice e frutto di una spiritualità superata. Avevo ascoltato ad Andora Mancuso che non è professore, anche se alcuni lo chiamano maestro e rimasi interdetto per le sue frasi ad effetto del tutto vuote di significato religioso e persino umano perché frutto di una supponenza egocentrica esasperata. Non a caso la gente lo applaudi’ molto calorosamente perché invece di esprimere un pensiero religioso manifestava la mentalità plebea della miscredenza in nome di una laicità che Mancuso non sa neppure cosa sia. La laicità presuppone una moralità severa e non contempla il relativismo etico oggi di moda che copre l’assenza di ogni moralità,laica o non laica che sia,avrebbe detto Croce. Al contrario, io credo che un’Ave Maria sia, come diceva don Bosco, un preludio al sonno che potrebbe anche coincidere con la nostra morte improvvisa durante la notte. Invitare a pregare come ci hanno insegnato i grandi Santi, è un dovere etico elementare e un motivo di speranza per non affogare nella pandemia. Non e’ bigottismo.Solo gli ignorantoni che non hanno mai letto una pagina del Manzoni, possono essere indifferenti alla religione in questi momenti terribili. Anche Napoleone alla fine della sua vita si piegò, or sono duecento anni, “al disonor del Golgota”, alla croce di Cristo. Altro che Vito Mancuso.

Torino tra architettura e pittura. Mario Merz

Torino tra architettura e pittura

1 Guarino Guarini (1624-1683)
2 Filippo Juvarra (1678-1736)
3 Alessandro Antonelli (1798-1888)
4 Pietro Fenoglio (1865-1927)
5 Giacomo Balla (1871-1958)
6 Felice Casorati (1883-1963)
7 I Sei di Torino
8 Alighiero Boetti (1940-1994)
9 Giuseppe Penone (1947-)
10 Mario Merz (1925-2003)
8) Mario Merz (1925-2003)

Con questo  articolo si conclude il ciclo “Torino tra architettura e pittura”. In questi pezzi ho provato a sottolineare ancora una volta quanto sia meravigliosa e peculiare la nostra città, quante cose ci siano da vedere, quante architetture da visitare e quante sculture da visionare girandoci tutt’attorno.

Voci dicono che l’attuale situazione pandemica stia lentamente migliorando e forse potremo aggirarci nuovamente per le strade, pur con le debite e giuste accortezze, alla ricerca –perché no?- dei luoghi di cui vi ho raccontato: le mirabolanti cupole del Guarini, l’appuntita Mole Antonelliana, la sinuosa Casa Fenoglio o ancora gli “inaspettati” alberi di Penone. Lasciate dunque che vi dia un ultimo suggerimento, utile magari per occupare i prossimi momenti di “quasi libertà”. Tra gli artisti che hanno segnato la storia e l’aspetto urbanistico di Torino vi è Mario Merz. Nato a Milano da una famiglia di origine svizzera, Merz cresce nel capoluogo piemontese, dove si forma e dove frequenta per due anni la Facoltà di Medicina. Sempre a Torino si spegne nel 2003.

Segnano pesantemente la vita dell’artista le esperienze da lui vissute durante gli anni del secondo conflitto mondiale, da una parte l’impegno politico che lo porta ad entrare nel gruppo antifascista “Giustizia e libertà”, dall’altra la terribile vicissitudine della prigionia, egli viene infatti arrestato nel 1945 mentre faceva volantinaggio.
Terminata la guerra, Merz, incoraggiato dal critico Luciano Pistoi, inizia a dedicarsi completamente agli studi artistici, sperimentando prima la pittura astratta e poi quella informale. I dipinti che realizza negli anni Cinquanta sono densi e materici e hanno per soggetti elementi naturali come foglie e animali. Nel 1954 espone per la prima volta a Torino, presso la Galleria “La Bussola”; a partire dalla metà degli anni Sessanta inizia a sperimentare altre tecniche oltre la pittura e pone l’attenzione su tipologie di materiali come tubi al neon, ferro, cera, pietra o terra; tale scelta lo conduce ad abbandonare la pittura tradizionale a favore di un approccio creativo decisamente materico. Con i tubi al neon perfora la superficie delle tele per simboleggiare gli influssi di energia, nel contempo con ferro, pietra e cera crea le “pitture volumetriche”, ossia assemblaggi tridimensionali. Il suo nome è indissolubilmente legato al movimento dell’Arte povera – a cui aderisce anche la moglie Marisa- e di questo movimento diventa uno de massimi esponenti, insieme a Michelangelo Pistoletto, Jannis Kounellis e altri artisti torinesi che ruotano attorno al critico Germano Celant. Merz espone con il gruppo dell’Arte povera fin dal principio, le sue opere compaiono già nella collettiva organizzata proprio da Celant nel 1967, presso la Galleria “La Bertesca” di Genova, esposizione che vede coinvolti anche Michelangelo Pistoletto, Giuseppe Penone e Luciano Fabro.
I primi lavori poveristici che realizza sono una serie di sculture create con oggetti comuni che si compenetrano ed esprimono il suo interesse per l’accumulazione, la crescita organica, il dinamismo e la vitalità. Vi sono due immagini che ricorrono simbolicamente nella produzione di Merz: la spirale e la chiocciola, come bene esplica “Lumaca” (1976), dipinto realizzato in creta e tempera su tela grezza, al centro del quale si distingue un vero guscio di chiocciola.

Nel 1967 l’artista realizza il suo primo “Igloo”, una struttura emisferica a cupola che rappresenta un’ideale architettura temporanea e nomadica, un’abitazione contemporaneamente antica e odierna, tuttavia l’ “igloo” di Merz è anche una struttura che rimanda alla volta celeste e che simboleggia la convivialità. Tali strutture archetipiche realizzate con materiali disparati rappresentano il definitivo superamento della bidimensionalità e diventano l’emblema della sua produzione artistica e del suo “modus operandi”.
Il Sessantotto è un anno particolarmente movimentato, sia per l’attività artistica di Merz, sia per quanto riguarda il contesto storico-sociale italiano: l’artista si schiera politicamente e riproduce con i suoi neon gli “slogan” di protesta del movimento studentesco; nel frattempo continua a lavorare ai suoi “igloo”, che diventano costruzioni transitorie, cangianti e “concettuali”, realizzati con materiali sempre più disparati quali ferro, fango, sacchi di sabbia, rami, cera, pietre e altro ancora.
Sono ad oggi visionabili presso la collezione permanente del Castello di Rivoli i tre “igloo”, datati tra il 1968 e il 1981; le opere si presentano tra loro diverse ma messe in relazione, l’igloo più piccolo è del 1968-69 ed è intitolato “Igloo con albero”, il secondo è l’ “Igloo (Tenda di Gheddafi)”, risalente al 1968-1981 e l’ultimo è “Architettura fondata dal tempo – Architettura sfondata dal tempo” del 1981.
“Igloo con albero” è il più piccolo fra i tre ed è anche quello realizzato prima, si presenta costruito con un tubolare di ferro, vetri e stucco, dalla sommità dell’opera fuoriesce un albero che suggerisce la compenetrazione tra architettura e mondo naturale. “Igloo (Tenda di Gheddafi)” invece è ricoperto da una tela di iuta dipinta con il motivo delle lance. “Architettura fondata dal tempo – Architettura sfondata dal tempo” è un’enorme installazione che coniuga l’igloo in tubolare di ferro, pietre e vetri con una struttura circolare in ferro e fascine che si estende a partire dallo stesso tubolare. L’opera è “sfondata” da una grande tela dipinta raffigurante un immaginario animale preistorico, il gioco di parole e significati si basa sul fatto che l’igloo è opera “fondata” dal tempo della civiltà che a sua volta è continuamente “sfondata” e rimessa in questione dal tempo e dalla natura.

A partire dagli anni Settanta l’artista introduce la successione di Fibonacci come simbolo dell’energia insita nella materia e della crescita organica; i numeri vengono così riproposti con dei neon colorati e collocati sia sulla superficie delle opere stesse, sia negli ambienti espositivi, come dimostrano gli allestimenti del 1971 lungo la spirale del Guggenheim Museum di New York, oppure sulla Mole Antonelliana di Torino nel 1984, o ancora sulla Manica Lunga del Castello di Rivoli nel 1990, o, nel 1994, sulla ciminiera della compagnia elettrica Turku Energia a Turku, in Finlandia, e infine l’installazione sul soffitto della stazione metropolitana Vanvitelli (metropolitana di Napoli) con forma a spirale.
Per chi non se lo ricordasse nella serie di Fibonacci ogni numero è la somma dei due precedenti (1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21 ecc.). Secondo l’artista i numeri sono “«un’invenzione fantastica», qualcosa di razionale che rende possibile l’avvicinarsi all’irrazionalità della vita”.
Lo studio dei numeri serve a Merz per sperimentare il concetto di “crescita esponenziale” e “proliferazione naturale”. A testimonianza dell’interesse dell’artista per tali tematiche si può ricordare l’opera “Senza titolo (Una somma reale è una somma di gente)”, del 1972, costituita da una serie di fotografie di un crescente numero di persone sedute a mangiare in un ristorante torinese e da una serie di numeri di Fibonacci al neon, a celebrazione della convivialità e della socializzazione.

La “Manica lunga da 1 a 987”, (1990), prima accennata, è un’opera che affronta la stessa problematica: in questo lavoro sedici numeri della serie di Fibonacci vengono situati sui mattoni esterni della Manica Lunga del Castello di Rivoli, in prossimità delle sedici grandi finestre che scandiscono l’estendersi dell’edificio. In questo modo l’architettura seicentesca viene “riattualizzata” attraverso il binomio “passato-contemporaneo”, inoltre il corpo finestra – componente strutturale già di per sé peculiare che segna il passaggio esterno/interno- assume un valore di relazione e compenetrazione. Negli anni Settanta introduce l’elemento “tavolo”, che diventerà anch’esso “tipico” e “archetipo” del lavoro di Merz.

Le sue installazioni sono opere complesse, nascono dalla combinazione di igloo, neon e tavoli, a cui si aggiungono eventuali altre superfici; è opportuno ricordare che talvolta sui piani esterni vengono disposti dei frutti veri, poi lasciati al loro decorso naturale, questi fattori hanno lo scopo di introdurre nel lavoro la dimensione del tempo reale. In definitiva i materiali utilizzati dall’artista sono eterogenei e quotidiani -vetro, cibo, giornali, parole, numeri- e riflettono la sua capacità di sperimentazione, che spazia dalle installazioni fino alla pittura, talvolta viene adoperato anche il video. È utile ricordare che proprio Merz è stato uno dei primi artisti a realizzare delle video-installazioni già negli anni Sessanta.
Sono di questi anni anche le grandi immagini di animali arcaici, quali coccodrilli, rinoceronti e iguane, che egli esegue su enormi tele non incorniciate, dimostrando in questo modo di non aver dimenticato il suo primo approccio pittorico, con cui, tempo addietro, si era affacciato sulla scena artistica del dopoguerra. Tra i dipinti da lui realizzati intorno agli anni Ottanta vi è “Animale terribile” (1981), un monumentale animale che ricorda un rinoceronte, attuato attraverso l’unione della pittura con degli oggetti, un tubolare in ferro nello specifico, che sta a sottolineare la forza originale dell’animale inconsueto.
È del 1992 “L’uovo filosofico”, un’opera composta da spirali rosse realizzate con tubi al neon e animali sospesi recanti i numeri della successione di Fibonacci, posizionata nell’atrio della stazione centrale di Zurigo. L’intento dell’installazione è sempre quello di esaltare la scoperta dello studioso che, attraverso la sua serie numerica, ha comprovato quanto la natura sia governata da regole matematiche.
Cari lettori, spero che le informazioni che vi ho proposto siano sufficienti per destare in voi un po’ di curiosità e spero altresì di essere riuscita a farvi comprendere il significato recondito che si cela dietro queste “strambe” opere d’arte.
La strada per arrivare al Castello di Rivoli certo è tutta in salita e forse non vi verrà subito la voglia di affrontare una passeggiata tortuosa per sgranchirvi le gambe, ma vi assicuro che, una volta arrivati in cima, la vista è davvero splendida. Non vi ho convinto, allora vi dico che c’è un altro igloo di Merz più facilmente visionabile, situato all’incrocio tra Corso Mediterraneo e Corso Lione. Si tratta di una struttura ricoperta da lastre di pietra e luci al neon, indicanti i punti cardinali, posta al centro di una vasca con delle canne che gettano acqua.
Sarebbe per me motivo di grande soddisfazione sapere che vi sono stata utile nel farvi intendere almeno alcune delle stranezze che a volte spuntano d’improvviso tra le strade della nostra regale ed eclettica Torino.

Alessia Cagnotto

Se anche il Pd sulle foibe sposa il giustificazionismo

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Che anche il Pd di Torino si faccia promotore di una presentazione del libretto sulle foibe dell’improvvissato ricercatore di successo e guida turistica in Jugoslavia, diventa un fatto preoccupante

Che tra i presentatori ci sia la presidente dell’ anpi Stestero, vecchia comunista di Rifondazione, appare naturale.  Ma che ci sia il segretario metropolitano del Pd Mimmo Caretta non è una cosa scontata. Mi era capitato di ascoltarlo e l’avevo apprezzato, ospite di Laura Pompeo.  Quel libercolo è una smentita del lavoro storico di Gianni Oliva ed è una sconfessione palese delle scelte politiche coraggiose di Luciano Violante e di Piero Fassino che si impegnarono per l’istituzione del Giorno del Ricordo del 10 febbraio. Tra i presentatori c’è anche Luca Cassiani,  avvocato e politico stimabile. Spero che almeno lui stecchi nel coro. L’incontro fatto per il 25 aprile significa dar ragione all’autore del libretto che vede nel 10 febbraio l’antitesi del 25 aprile, un’assurdità storica che solo la guida – turistica diventato storico ha avuto la faccia tosta di affermare. Che un grande partito come il pd si lasci allettare da un estremista nostalgico di Tito e della Jugoslavia e’ inquietante. Queste sono cose da grillini.

La storia ha delle regole precise e il fatto che nessuno dei quattro  sia uno storico e’ indicativo. Dovevano almeno invitare Giovanni De Luna che sarebbe corso a sostenere il suo allievo. Ma forse avrebbero dovuto anche invitare l’ ANVGD, l’associazione degli esuli e qualche storico che non condivide la vulgata del libretto in questione. In democrazia si discute tra persone di idee diverse. E’ strano un dibattito che sembra una messa cantata. Povero Pd!