Rubriche- Pagina 4

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

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Sommario: Il manifesto di Ventotene ripescato – Corso Sommeiller – Sull’uso dell’asterisco a scuola – Lettere

Il manifesto di Ventotene ripescato
Ad aver sbagliato a tirare fuori dai polverosi archivi senza leggerlo o rileggerlo, il Manifesto di Ventotene è il giornale “Repubblica” e il vecchio Corrado Augias autore di una introduzione che rivela un certo annebbiamento politico. Se l’Europeismo si rifà a quello stantio documento, siamo alla frutta. Esso è il prodotto di un esaltato come Spinelli, un uomo generoso e idealista, ma privo di senso pratico, impregnato di idee comuniste, malgrado la cacciata dal PCI. Ernesto Rossi l’altro firmatario, liberista di scuola einaudiana, poté incidere poco sul fanatismo  ideologico di Spinelli anche se poi, appena poté , prese le distanze anche dagli azionisti e andò a scrivere per il “Mondo “ del liberale Pannunzio. Anche Rossi era un po’ fanatico e visionario soprattutto per un anticlericalismo viscerale e intollerante.  Poi le cose finirono con il mito di uno Spinelli che, tornato nel PCI, divenne il padre nobile dell’Europa.
Pochi lessero il Manifesto di Ventotene o ne dimenticarono il contenuto. Fui forse tra i pochi che lo lesse a fondo e abbandonò il Movimento Federalista che continuava a sbandierare il Manifesto. Il vero europeismo è quello di Einaudi, Soleri, Pannunzio, Brosio, Martino, Badini Confalonieri, De Gasperi, Schumann, Adenauer che non considerarono mai Spinelli un pensatore e neppure un uomo di azione di cui fidarsi. Anche Bobbio non aveva grande stima di Spinelli, che era cognato di Franco Venturi, anche lui abbastanza critico sul Manifesto. E’ strano che “Repubblica”  sia caduta in questo incidente di percorso. Mi rifiuto di credere che Scalfari (nella foto) avrebbe sbandierato il superatissimo e dogmatico Manifesto, scritto in un momento di sconforto in cui è facile perdere la lucidità politica. La reazione isterica di certi deputati che hanno colto l’occasione per esibire la loro incolta faziosità non merita commenti. Non uno sfogo momentaneo, ma la manifestazione di un incurabile e bilioso vetero  comunismo.
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Corso Sommeiller
L’ingorgo di Corso Sommeiller va fermato subito e non fra tre mesi. Certe sciocchezze si vedono ad occhio, stando un’ora in loco. L’assessora che fa collezione di disastri nella viabilità torinese, va sostituita e al massimo posta allo Stato civile dove ha potestà di governare l’altra Torino, quella dei cimiteri dove gli abitanti non possono più lamentarsi.
Ma anche li’ ci sono i parenti che costrinsero alle dimissioni chi permise l’oltraggio delle salme indecomposte  del cimitero generale. In quel caso pago’ l’assessore, ma avrebbero dovuto pagare altri con sanzioni penali che non ci furono.
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Sull’uso dell’asterisco a scuola
In questa rubrica parlammo della peregrina idea del preside del liceo classico Cavour di Torino di introdurre l’uso dell’asterisco e dello  schwa nelle comunicazioni scolastiche. Ora il Ministero dell’Istruzione e del merito si esprime negativamente sull’uso dell’asterisco nella scuola, adducendo a riprova quanto ripetutamente affermato, in termini ufficiali, dall’Accademia della Crusca che ha dichiarato che va escluso l’asterisco al posto delle desinenze (maschili e femminili), le uniche che appartengono alla lingua italiana. Cosa farà il “ Cavour “?
Temo che anche altre scuole si siano lasciate travolgere della demagogia linguistica oggi moda. Il rettore Geuna aveva esteso l’asterisco anche all’Università, poi è tornato alla normalità comunicativa. Quando a suo tempo scrivemmo del glorioso “Cavour” di  Vigliani, di Griffa, Polledro (i grandi presidi che preservarono il liceo dall’ ondata demagogica sessantottarda) fummo gli unici a protestare contro la decisione del preside, presa in armonia  con l’associazione ex allievi che, presieduta a vita  dall’avvocato Marzano, invita a parlare solo  ospiti a senso unico, usando  esclusivamente  un asterisco politico inequivocabile, quello   declinato  solo sempre verso l’estrema sinistra: un vero e proprio razzismo politico.
Lettere scrivere a quaglieni@gmail.com
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Eurocomunisti
Da quando i comunisti si sono aperti all’Europa? Se non ricordo male nel 1979. Prima erano anti europeisti, vedendo il loro riferimento nell’Europa orientale del patto di Varsavia. Queste cose vanno ricordate. I comunisti non hanno nulla a che fare con il Manifesto di Ventotene, salvo alcune farneticazioni di Spinelli che in tempi successivi rinnegò. Spinelli non fu un uomo politico serio e lo riconobbe  nella sua autobiografia.  Quando vedo la sceneggiata  isterica di Fornaro alla Camera mi viene da ridere. Peppino Pasquali
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A me viene  invece da piangere. Fornaro è pietoso e non merita attenzione. Io posso portare la mia modesta esperienza di giovane  vice presidente del Consiglio italiano del Movimento Europeo dal 1970 al 1975. I comunisti non erano nel Movimento Europeo, anzi erano fortemente  contrari all’Europa federalista .Le polemiche contro il Movimento Europeo erano all’ordine del giorno. Io ricordo le aspre ironie di Pajetta contro di noi. Essi erano con Mosca. Mi spiace, ma la verità è questa. Gli europeisti erano i liberali alla Einaudi e alla Pannunzio, i repubblicani alla Pacciardi  e alla La Malfa, i radicali alla Pannella, I socialisti democratici alla Saragat e Silone. Anche tra i socialisti c’erano molti filo comunisti anti europeisti. Integralmente europeisti erano i democristiani che tennero la barra dritta sempre, malgrado Malfatti che si dimise dalla presidenza della Commissione europea per tornare a far politica in Italia. La destra monarchica e missina non era europeista e neppure atlantica. Solo successivamente cambiò timidamente le sue  posizioni per scelta anticomunista, pur mantenendo il suo originario nazionalismo.
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Ronzulli, il Senato e il linguaggio istituzionale
Che la Ronzulli sia diventata vicepresidente del Senato mi stupì molto, ma che essa usi il turpiloquio quando presiede il Senato, mi appare ingiustificabile. Queste persone non possono rappresentarci.   Luigi A. Ferro
La volgarità ormai è talmente diffusa a tutti i livelli che  non mi stupisce che la Ronzulli dica “cazzo”  in Senato anche quando è seduta sulla poltrona di presidente. Mi stupirei del contrario. E qui mi fermo.

Nidi di patate con provola

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Sfiziosi cestini di patate preparati con del semplice pure’ e farciti con provola. Pochi ingredienti per una coreografica preparazione da servire come contorno o antipasto, un’idea originale che si prepara velocemente, da realizzare anche in anticipo. Bella ed elegante, ideale per i vostri ospiti.

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Ingredienti

500gr. di patate

1 uovo

30 gr. di burro

30 gr. di parmigiano

Provola q.b.

Noce moscata, sale q.b.

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Lessare le patate, pelarle e preparare il pure’ con il burro, il parmigiano, l’uovo, il sale e la noce moscata. Mettere l’impasto in una sac a poche e su una teglia rivestita di carta forno, formare delle ciambelle che riempirete con dei dadini di provola. Cuocere in forno a 200 gradi per circa 15 minuti fino a doratura. Servire caldo.

Paperita Patty

Le vostre foto. Un viaggio tra gli sfarzi di Palazzo Reale

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Dallo scalone monumentale che accoglie i visitatori con imponenza, si accede agli ambienti sontuosi, come la sala da pranzo, perfetta testimonianza della magnificenza regale.


L’Armeria Reale è una delle collezioni di armi e armature più ricche e antiche al mondo.

La Cappella della Sindone, capolavoro del Guarini, affascina per la sua straordinaria architettura barocca.


Un percorso che intreccia arte, storia e bellezza.

(Le foto sono della nostra lettrice Alessandra Macario)

Croccante focaccia simil-Recco

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Croccante al punto giusto, ha un gusto delicato. Che dirvi di piu’…. vi chiederanno il bis!

Certo, la focaccia di Recco e’ tutta un’altra storia… sono d’accordo con voi, questa e’ senza pretese ma vi piacera’, e’ croccante al punto giusto, ha un gusto delicato…che dirvi di piu’…. vi chiederanno il bis!

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Dose per 2 teglie rettangolari:

500gr.di farina 00

2 cucchiaini di zucchero

1 cucchiaino di sale

1 bustina di lievito secco

5 cucchiai di olio evo

275ml di acqua tiepida

500gr. di stracchino/crescenza

sale q.b

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Mettere la farina, lo zucchero, il sale nel mixer e miscelare, aggiungere poi la bustina di lievito e sempre miscelando l’olio. Aggiungere poco alla volta l’acqua e lasciar impastare per qualche minuto. Versare l’impasto sul piano del tavolo infarinato e iniziare ad impastare con energia sbattendo la pasta sul tavolo ripetutamente. Mettere l’impasto in una capiente ciotola, coprire con un tovagliolo e lasciar lievitare in luogo tiepido per 4 ore.

L’impasto raddoppiera’ di volume. A questo punto, stendere la pasta con il mattarello e sistemarla nella teglia rivestita di carta forno. Ungere leggermente l’impasto con olio miscelato a qualche goccia di acqua e coprire con pezzi di stracchino, salare, condire con un filo di olio e infornare a 250* per 15 minuti o fino a quando il formaggio inizia a dorare .

Servire subito aggiungendo, a piacere, rucola fresca. Se non avete tempo, o voglia, acquistare la pasta per pizza dal fornaio.

Buon appetito.

 

Paperita Patty

L’isola del libro

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RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

Antonio Monda “Incontri ravvicinati” -La nave di Teseo- euro 26,00

C’è da innamorarsi di questa sorta di antologia di ampio respiro che tratteggia un vastissimo mosaico del mondo culturale internazionale.

Lo sapevate che Robert De Niro è attento agli sprechi e di una generosità che non sbandiera mai? E’ lui che ai tempi de “Il cacciatore” pagò le cure al collega John Cazale, compagno di Meryl Streep, condannato da un tumore ai polmoni.

Oppure che Ingrid Bergman era estremamente affabile. Parola di Antonio Monda che le vendette un paio di scarpe quando, giovanissimo maturando, ebbe in premio un viaggio negli Stati Uniti; per mantenersi lavorò come umile garzone in un negozio di calzature sulla Madison Avenue a New York. Lì un bel giorno entrò la diva, splendida 65enne, che lo promosse suo commesso personale e con lui parlò dell’amata Italia.

Benedetta quella vacanza negli States che cambiò la vita di Antonio Monda; si innamorò di New York, dove si trasferì definitivamente nel 1994. Oggi la sua casa nel cuore di Manhattan è il salotto culturale di altissimo livello in cui riceve il gotha del mondo letterario e dello spettacolo degli ultimi decenni.

Dagli incontri nel corso dei suoi 31 anni americani nasce questo meraviglioso libro da conservare religiosamente. Potremmo definirlo una sorta di antologia che tratteggia un mosaico del mondo culturale internazionale.

Lo stesso Antonio Monda è un fuori classe dai molteplici talenti: scrittore, saggista, direttore artistico, curatore, professore (docente di cinema alla New York University), giornalista, conduttore televisivo. Ha incontrato ed è diventato amico di personaggi da sogno; i maggiori scrittori, attori, registi, intellettuali americani e mondiali. La sua vita è invidiabile perché gli offre accesso ai nomi dell’Olimpo intellettuale. In questo mastodontico volume ha raccolto gli scritti, le impressioni, le interviste e gli aneddoti sulle celebrità in svariati campi.

Incontri ravvicinati” racchiude 150 ritratti di personaggi di massimo calibro in letteratura, cinema, arte e musica. Ad ognuno dedica un capitolo in cui li racconta con pennellate acute e personalissime; è un attimo andare all’indice dei nomi (elencati nella bellezza di 28 pagine alla fine del libro) e scegliere chi più interessa.

Ci sono quasi tutti; da Philip Roth e Richard Ford a Jonathan Safran Foer e Saul Bellow, da Joyce Carol Oates a Oriana Fallaci ed Erica Jong, passando per infiniti altri. Stelle hollywoodiane come Meryl Streep, Cate Blanchett, Richard Gere, Tom Hanks, Ralph Fiennes, e Jude Law. E ancora, i più grandi registi e produttori.

Il libro ci avvicina ad ogni personaggio, ritratto dal punto di osservazione assolutamente privilegiato dell’autore che narra con sensibilità, delicatezza e rispetto, le personalità e l’anima dei tanti big. Pennella ritratti intimi e profondi; dimostrando una sovrana abilità camaleontica nel veleggiare da un ambiente socio-culturale all’altro, sempre con competenza e curiosità umana e culturale.

 

Esther Cross “La donna che scrisse Frankestein” -La Nuova Frontiera- euro 16,90

Il libro è a metà tra saggio e romanzo; del primo ha la precisione e la ricostruzione dei dettagli, del secondo la meravigliosa immaginazione. Una narrazione incantevole della vita e dell’opera dell’autrice di uno dei romanzi più inquietanti e famosi della letteratura mondiale.

A partire dal primo capitolo, in cui si racconta che le spoglie mortali di Mary Shelley (nata nel 1797, morta nel 1851), riposano nella città costiera inglese di Bournemouth insieme al cuore del famoso marito Percy Shelley, ai genitori e ad altre reliquie.

Sullo sfondo della Londra vittoriana viene ricostruito, anche attraverso le lettere e i diari, il mondo in cui Mary crebbe. Denso di intellettuali di preziosa caratura, cimiteri, predatori di tombe, medici che pagavano per avere cadaveri da dissezionare e procedere nella scoperta di come funziona il corpo umano.

Figlia di due menti eccelse – Mary Wollstonecraft, filosofa, fondatrice del femminismo, e William Godwin, scrittore, politico libertario e teorico dell’anarchismo filosofico- Mary crebbe in un ambiente intellettualmente stimolante, pervaso dal senso della morte. Il suo genio la portò a concepire, a soli 18 anni, l’idea di Frankestein, mostro assemblato con pezzi di cadaveri.

Il libro diventa sempre più appassionante man mano che ci si addentra nell’universo della sua solitaria infanzia – abituata a rifugiarsi nei cimiteri per leggere e scrivere sulla tomba della madre- poi il suo peregrinare per l’Europa alle prese con passioni dirompenti, dolori e perdite.

Il suo nome è strettamente legato a quello del famoso lirico romantico Percy Shelley (1792, 1822), entrato nel mito anche per la sua tragica fine; annegato lungo la costa di Viareggio, dapprima sepolto nella sabbia, poi cremato davanti al mare che lo aveva travolto e ucciso.

 

 

Eleanor Catton “Birnam Wood” -Einaudi- euro 22,00

C’è molta natura in questo romanzo della scrittrice e sceneggiatrice neozelandese, inclusa tra i 20 Best of Young British Writers di “Granta”. Al centro della narrazione c’è Birnam Wood, collettivo di orticoltori militanti in Nuova Zelanda. Attraverso atti di “guerrilla gardening” vorrebbero sviluppare un radicale e durevole cambiamento sociale e fare capire quanta terra viene sacrificata e sprecata quotidianamente.

Il collettivo è stato fondato dalla 29enne Mira Bunting che si muove in base alla convinzione che la terra appartenga a chi la lavora. I membri di Birnam Wood si appropriano di ampi spazi abbandonati, creando abusivamente orti biologici sostenibili. Poi applicano principi di solidarietà e mutuo soccorso; sfruttano il terreno e si dividono il raccolto, una parte è destinata ai bisognosi, mentre il resto lo vendono per recuperare un po’ dei soldi spesi.

In sostanza è un progetto illegale di violazione della proprietà privata. Il romanzo inizia con una frana al passo di Korowai, tra l’omonimo parco e la tenuta Darvish. Di lì in poi scendono in campo vari personaggi, ed ognuno persegue i propri interessi. La trama si infittisce e sfocia in una sorta di thriller ambientato dall’altra parte del mondo, animato da intrighi, complotti, corruzione, abuso di potere.

Un raffinato mix di potente satira sociale che sviscera temi come il cambiamento climatico, il capitalismo sullo sfondo di affascinanti descrizioni del meraviglioso territorio della Nuova Zelanda.

 

 

Arwin J. Seaman “Un giorno di calma apparente” -Piemme- euro 18,90

L’isola di Liten, a metà strada tra Svezia e Danimarca, sembra proprio un luogo tranquillo; e invece no. E’ l’epicentro del secondo romanzo, pubblicato sotto pseudonimo da uno scrittore italiano -che vuole restare anonimo- ed ambienta una serie di gialli scandinavi originalissimi.

Ci sono un omicidio e le indagini della polizia; ma il vero fulcro è l’isola di Liten. Poco più che un scoglio boscoso e ripido -con al centro un lago vulcanico- abitato da circa duemila persone. La loro vita tranquilla, scandita da un sonnacchioso tran tran quotidiano senza scossoni, ora si frantuma e attira un’ampia attenzione mediatica su quanto sta avvenendo di inquietante.

I piani di lettura sono molteplici; oltre alla trama noir, viene affrontato l’attuale e scottante tema dell’influenza dei social; la loro deriva nel momento in cui manipolano i soggetti più deboli, o incitano all’odio e alla persecuzione. Il problema deflagra quando quattro adolescenti si suicidano, uno dopo l’altro, in rapida successione. Ad essere additata come istigatrice è la 16enne Malin.

Se il male di vivere degli adolescenti può essere molto profondo e devastante, quello di Malin è esacerbato dall’aver perso la madre troppo presto. Figlia del commissario di polizia locale, esprime tonnellate di rabbia tingendosi i capelli di verde; soprattutto, farebbe qualsiasi cosa per aumentare la sua popolarità sul web.

Per esempio posta filmati in cui simula di lasciarsi cadere in mare da un’altura; peccato che il suo coetaneo Ake faccia un video parodia per deriderla e finisca per precipitare davvero e sfracellarsi. Il resto è un susseguirsi di colpi di scena mozzafiato….

 

 

 

Gli occhiali per leggere

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Albertino era venuto al mondo quando ormai Maddalena e Giovanni non ci speravano più. E così, passando gli anni in un rincorrersi di stagioni che rendevano sempre più duro e faticoso il lavoro nei campi, venne il giorno del ventunesimo compleanno per l’erede di casa Carabelli-Astuti.

E con la maggiore età  arrivò, puntuale come le tasse, anche la chiamata obbligatoria alla leva militare. Albertino salutò gli anziani genitori con un lungo abbraccio e partì, arruolato negli alpini. Un mese dopo, alla porta della casa colonica di Giovanni Carabelli, alle porte di San Maurizio d’Opaglio, dove la vista si apriva sul lago, bussò il postino. Non una e nemmeno due volte ma a lungo poiché Giovanni era fuori nel campo e Maddalena, un po’ sorda, teneva la radio accesa con il volume piuttosto alto. La lettera, annunciò il portalettere, era stata spedita dal loro figliolo. Non sapendo leggere e scrivere, come pure il marito, Maddalena si recò in sacrestia dal parroco. Don Ovidio Fedeli era abituato all’incombenza, dato che tra i suoi parrocchiani erano in molti a non aver mai varcato il portone della scuola e nemmeno preso in mano un libro. Chiesti alla perpetua gli occhiali, lesse il contenuto alla trepidante madre. E così, più o meno ogni mese, dalla primavera all’autunno, la scena si ripetette. Maddalena arrivata concitata con la lettera in mano, sventagliandola. E il prete, ben sapendo di che si trattasse, diceva calmo: “ E’ del suo figliolo? Dai, che leggiamo. Margherita, per favore, gli occhiali..”. E leggeva.  Poi, arrivò l’inverno con la neve e il freddo che gelava la terra e metteva i brividi in corpo. Il giorno di dicembre che il postino Rotella gli porse la lettera del figlio, decise che non si poteva andar avanti così. E rivolgendosi al marito con ben impressa nella mente la scena che ogni volta precedeva la lettura da parte del parroco, disse al povero uomo, puntando i pugni sui fianchi: “ Senti un po’, Gìuanin. Non è giunta l’ora di comprarti anche te un paio d’occhiali così le leggi tu le lettere e  mi eviti di far tutta la strada da casa alla parrocchia che fa un freddo del boia? “.

Marco Travaglini

 

 

La tirlindana

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Sono ormai in pochi, sui laghi, a praticare la pesca a traino dalla barca con la tirlindana. Eppure questo semplice attrezzo ha un suo fascino e una storia. Immaginatevi una lenza in filo di rame o, in versione più moderna, in monofilo di nàilon, lunga da un minimo di 30 a oltre 60 – 70 metri, recante un finale di nàilon a cui è assicurata l’esca, il tutto avvolto su uno speciale telaietto girevole dalla sagoma molto nota detto aspo

Ci siete? Bene. L’aspo, un tempo, veniva costruito dallo stesso pescatore, artigianalmente. Oggi come oggi quest’attrezzo si trova già pronto in commercio, spesso in alluminio leggero e lucente: non vi resta che applicare il terminale con l’esca ritenuta più idonea e, sul piano teorico, siete a posto. Perché solo in teoria? Perché la chiave del successo nella pesca a tirlindana dipende dalla mano di chi la manovra. A prima vista parrebbe tutto semplice e facile come bere un bicchier d’acqua  ma non bisogna farsi ingannare dalle apparenze: occorre un certo tirocinio per impadronirsi al meglio di questa tecnica, in grado di riservare delle gran belle soddisfazioni. Intanto, occorre una buona conoscenza del fondale da battere e saper valutare con esattezza la profondità di pescaggio dell’attrezzo. Mai lasciare le cose al caso, quando si pesca con la tirlindana: sarebbe un errore imperdonabile. Ho conosciuto un “lupo di lago”, il vecchio Giuanin, in grado di valutare fondali e correnti, neanche avesse una carta nautica ficcata dentro la sua testa pelata. Per non parlare poi dei movimenti: sia lui che il suo “socio” Faustino erano dei maghi nell’accompagnare la lenza , imprimendole i movimenti giusti, manovrando la barca con misura e mestiere. Di norma i “professionisti” della pesca su lago fanno tutto da soli, usando piccole barche leggere, dei veri gusci di noce che manovrano con un solo remo, essendo l’altro braccio impegnato con la lenza.

 

Taluni ricorrono al motore di potenza fra 2 e 3,5 HP, ma è ovvio che, per quanto condotto al minimo, quest’ultimo provoca un fastidioso rumore specialmente nei fondali bassi. Un’alternativa ci sarebbe, a dire il vero: un motore elettrico, silenzioso, facile da gestire e con una velocità giusta. La tradizione però conta; e la tradizione suggerisce  che l’ideale consiste nell’ agire in due, uno in gamba nel manovrare i remi, l’altro con il tocco giusto per far andare la tirlindana. La lenza tradizionale è in rame, quella moderna – come si è detto – in nàilon. Il tipo classico, in rame cotto,  e si trova in due diametri: lo 0,30 per la pesca leggera a mezz’acqua, lo 0,50 per andare più a fondo, puntando al luccio. Un materiale flessibile ed elastico, preferibile a quello attorcigliato a treccia che risulta meno malleabile. Il nàilon, occorre ammetterlo, offre maggiori vantaggi, con un però: richiede una piombatura distribuita o raggruppata, per consentirne il corretto e rapido affondamento. Cosa che, con il filo di rame, avviene spontaneamente grazie al suo peso specifico. Il nailon non richiede una particolare manutenzione, ha un carico di rottura e di resistenza decisamente elevato, le lenze sono vendute già zavorrate e, cosa non secondaria,  costano meno. “La zavorra è il cuore di tutto!”, dice Giuanin, quando all’osteria, tra un mezzino e l’altro, molla il freno e sale in cattedra. “ Una volta si lavorava con il rame piombato alla fine, facendoci i muscoli nell’accompagnare il peso in acqua. Adesso, cari miei, si va avanti a filo di nailon  e allora non resta che applicare delle olivette di piombo lunghe di un paio di centimetri e di peso attorno  ai a due o tre grammi, distribuendole in modo regolare fino a raggiungere un peso di quasi mezzo chilo. Così, se zavorri bene, la lenza va giù che è un piacere e non corri il rischio che ti resti troppo in superficie,trascinandotela a pelo d’acqua, o di farla affondare fino a raschiare i sassi del fondo”.

 

Il “prof” Giuanin accompagna le parole con gesti decisi, caparbi quel tanto da sconsigliare il contraddittorio. La sua esperienza non ammette repliche. “ E’ molto importante anche la velocità con cui avanza la barca. Se si è in due la cosa migliore è procedere a remi, come abbiamo sempre fatto io e Faustino”, confida il vecchio pescatore.  “ Uno tiene in mano la tirlindana e l’altro rema facendo ogni tanto delle piccole pause. Occhio, però:  chi tiene la tirlindana non deve star lì come un cucù ma imprimere al filo dei piccoli, leggeri strappi per simulare una veloce fuga del pesciolino finto”. Questo genere di movimento, visto dalle parte dei predatori, equivale allo squillo di tromba della carica, scatenandone l’istinto di predatori.“Qui viene il bello. Avvertita la mangiata non perder tempo: uno strappo per ferrare il pesce e avvia lentamente il recupero. La barca non deve arrestare il suo movimento, capito? Se lo fai, se ti fermi, la preda ti frega, soprattutto se è di una certa dimensione. I pesci non sono fessi, e non ti saltano a bordo di spontanea volontà. La preda, se riesce ad avvicinarsi troppo, tenterà come ultima fuga di inabissarsi sotto la barca. Quando accade, sono cavoli amari: il rischio di perderla è alto perché, puoi esserne certo,  il filo andrà sicuramente ad impigliarsi in qualche sporgenza con tutte le conseguenze del caso”. Mai dimenticarsi il guadino: se non lo si trova a portata di mano, al momento giusto, tirare in secco la preda è un problema. Questa è la lezione di Giuanin. Applicandola per filo e per segno porterà alla tirlindana un tributo certo di prede, dai persici ai lucci, dai cavedani alle trote.

Marco Travaglini

 

(Foto: molagnacavedanera.it)

 

Trancio di salmone con puré di broccoli e ceci

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Un tris di sapori per una ricetta d’effetto, un piatto completo, nutriente e sano. La delicatezza e morbidezza del salmone abbinate ad un colorato pure’ vellutato sorprendera’ i vostri ospiti.

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Ingredienti

2 Tranci di salmone fresco

250gr. di ceci lessati

2 piccole teste di broccolo

½ spicchio di aglio

1 piccolo peperoncino

Olio evo, sale, 1/2 limone, prezzemolo q.b.

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Cuocere i tranci di salmone a vapore irrorati con il succo del limone. Cuocere, sempre a vapore, i broccoli precedentemente lavati, quindi frullarli con l’aglio, il peperoncino, i ceci scolati e risciacquati. Allungare il pure’ con un mestolino di acqua di cottura dei broccoli per renderlo piu’ cremoso, aggiustare di sale, aggiungere l’olio evo ed il prezzemolo tritato. Servire tiepido.

 

Paperita Patty