POLITICA- Pagina 78

Ruffino (Az) “Con 1º nucleo elicotteri Carabinieri a Volpiano, maggiore sicurezza”

“Ho avuto modo di apprendere dalla Segreteria Regionale dell’USIC del Piemonte e Valle d’Aosta che il 1° Nucleo Elicotteri Carabinieri di Volpiano è tornato operativo a tutti gli effetti. Il 13 agosto 2024 è giunto a Volpiano un elicottero AB412, pronto per garantire il supporto aereo di cui le Regioni Piemonte e Valle d’Aosta hanno bisogno, al servizio dei cittadini e dell’Arma territoriale. Un presidio logistico necessario, al quale avevo dedicato, proprio a motivo della sua importanza, una interrogazione al ministro della Difesa.
Ringrazio il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri che con la decisione di inviare un nuovo elicottero al N.E.C. di Volpiano ha reso il Piemonte e la Valle d’Aosta molto più sicure nell’interesse della collettività e dei militari dell’Arma a cui va il mio ringraziamento per l’eccellente lavoro che compiono ogni giorno per garantire la sicurezza di tutti i cittadini piemontesi”.
Lo dichiara in una nota la deputata di Azione Daniela Ruffino.

Carcere, solidarietà dei Radicali agli agenti

“Il carcere di Torino, come gran parte degli istituti penitenziari italiani, è una polveriera.

Lo ripetiamo da anni e lo abbiamo riscontrato in tutte le nostre visite di agosto. Pochi giorni fa siamo stati al carcere “Lorusso e Cutugno” di Torino: la situazione è drammatica. Le celle sono in condizioni precarie, le strutture fatiscenti e piene di infiltrazioni, l’emergenza psichiatrica evidente. Il tentativo di linciaggio avvenuto ieri nei confronti dei componenti del consiglio di disciplina è, purtroppo, il risultato dell’incapacità del Governo di comprendere la gravità della situazione e a gire per arginare una situazione fuori controllo.

Condanniamo fermamente ogni forma di violenza. Durante la nostra visita al carcere di Torino, abbiamo chiesto ai detenuti di mantenere la calma e di portare avanti le proteste in modo pacifico.

Esprimiamo tutta la nostra solidarietà alla direttrice e agli agenti costretti ogni giorno a lavorare in un clima inaccettabile. Di fronte a questo dramma quotidiano, il Governo chiude gli occhi e prende tempo. Nulla su provvedimenti immediati, come amnistia e indulto, nulla di concreto sul medio e lungo periodo. Solo inutili e dannosi spot”.

Lo dichiara in una nota Filippo Blengino-Tesoriere Radicali Italiani

Nuova legislatura regionale, le priorità da affrontare. Intervista a Sergio Bartoli

 

Sergio Bartoli, neo consigliere regionale della Lista Cirio, è stato eletto presidente della V Commissione Ambiente dell’Assemblea regionale Piemontese. Lo abbiamo incontrato per fare il punto sulle iniziative della legislatura appena iniziata.

La nuova legislatura presenta importanti sfide per il Piemonte. Quali sono i temi principali da affrontare?

Molte sono le opportunità di sviluppo ma tante sono anche le criticità da affrontare che riguardano il territorio di una regione come la nostra alle prese con il costante invecchiamento della popolazione e con problemi che spaziano dall’occupazione al rilancio dell’economia. Sicuramente il lavoro, in particolare per i giovani dovrà essere al centro dell’attività del Consiglio e della Giunta. La sanità, che assorbe gran parte del bilancio regionale, sulla quale già la precedente giunta Cirio ha lavorato nell’ottica di ridurre le liste d’attesa e migliorare i servizi sui territori. I trasporti, visto che ci sono molte strade pericolose e nuove opere viarie da realizzare. E l’ambiente, di cui ci occuperemo in V Commissione, oggi prioritario anche perché collegato al tema del cambiamento climatico e di conseguenza alla nostra vita e al futuro del pianeta.

Lei è stato per anni sindaco di Ozegna. La Regione si impegnerà per i numerosissimi Comuni del Piemonte?
Per la mia esperienza posso dire che mi dedicherò personalmente in Consiglio regionale a valorizzare il ruolo dei Comuni nella società e nel tessuto economico piemontese. Per anni sono stato sindaco, e un sindaco – in particolare in un piccolo comune – è il primo cittadino nel vero senso della parola: deve essere primo nell’affrontare e possibilmente risolvere i problemi, primo nel prendere di petto le emergenze, primo nel capire la propria gente.

In sintesi il sindaco deve essere un uomo del fare?

Certo, infatti la comunità locale necessita di interventi che vanno al di là delle competenze ufficiali attribuite a un primo cittadino. Così il sindaco si trasforma spesso in una figura a metà tra il volontario e lo psicologo: anche la capacità di dialogo e di ascolto con le persone, saper dire una buona parola a chi è in difficoltà sono aspetti fondamentali di “valore umano aggiunto” nel rapporto tra sindaco e cittadini.

Che sensazione ha in questo suo nuovo ruolo regionale?
Mi avvicino con emozione al Consiglio regionale, istituzione prestigiosa, il Parlamento del Piemonte. Ma sono convinto che a questo prestigio istituzionale si debba accompagnare la capacità e la volontà del Consiglio e dei consiglieri (perché alla fine sono sempre le persone che fanno la differenza ) di agire nel concreto a favore della comunità piemontese.

In chiusura di intervista abbiamo chiesto a Bartoli cosa si aspettano sindaci e Comuni dalla Regione e dalle istituzioni in generale. Ecco alcuni temi da affrontare che ci ha elencato il presidente della V Commissione:

– lo spopolamento dei piccoli comuni che è un problema nazionale: sono il 70% dei comuni italiani, coprono il 56% della superficie italiana, ci abitano 10,5 milioni di persone. Il Piemonte è la seconda regione italiana per numero di Comuni: 1180. Dobbiamo attivarci anche nella nostra regione per combattere il disagio demografico ed economico, la desertificazione commerciale dei centri minori.

– Per garantire un futuro ai piccoli Comuni (in particolare quelle di aree marginali come la montagna) dobbiamo essere capaci di sfruttare pienamente le opportunità finanziarie del Pnrr. Perchè ciò avvenga non sono solo necessarie visione strategica e capacità organizzativa, ma bisogna disporre di figure essenziali come quella dei segretari comunali, dei quali oggi c’è carenza: e anche di questo tema la Regione si dovrà occupare in sinergia con il Governo.

– Dobbiamo poi puntare sulle opportunità residenziali, turistiche e agricole (patrimonio storico, paesaggio e prodotti agroalimentari), che se valorizzate, potrebbero dare nuovo futuro ai territori, recuperare le case vuote, gli edifici storici e le aree agricole.

– Inoltre vi sono problemi legati all’ assetto idrogeologico e alla messa in sicurezza del territorio sempre più fragile e a rischio. Preoccupa il cambiamento climatico che rappresenta una delle sfide più urgenti per i Comuni con le ricadute su cicli di acqua e rifiuti, risparmio energetico, rinnovabili, prevenzione del dissesto, agricoltura.

– Non dimentichiamo, infine, che i territori devono essere connessi tra loro anche dal punto di vista delle comunicazioni: bisogna quindi attivarsi per la piena copertura dei segnali TV e per la telefonia mobile.

La Regione deve quindi aiutare i Sindaci – anche grazie ad adeguate risorse finanziarie – a rendere i Comuni più forti, migliorando i servizi come la sanità e le scuole, per affrontare efficacemente la crisi ambientale e la crisi demografica, promuovere il diritto al lavoro, rendere concrete nuove prospettive di sviluppo.

De Gasperi, Togliatti e l’Italietta di oggi

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

L’Italia dovrebbe ricordare in questi giorni i 70 anni dalla morte  di De Gasperi e i 60 anni da quella  di Togliatti. Questi anniversari, insieme a tanti altri fatti, dovrebbero anche far meditare sulla crisi politica in cui siamo precipitati. Se pensiamo che la figura di De Gasperi è  oggi affidata al ricordo di Angelino Alfano, presidente della Fondazione a lui intitolata, abbiamo il senso del disfacimento dell’Italia politica odierna e la totale mancanza di una cultura politica con una qualche dignità. Il grande statista di Trento che ha guidato 8 Governi, senza ricorrere all’artificio delle  mitizzazioni antistoriche, si rivela un gigante rispetto ai pigmei  comprendendo ovviamente tra questi ultimi anche i politici  dell’opposizione. De Gasperi ebbe un’idea alta della politica intesa a riscattare il Paese dalle conseguenze di una guerra perduta. La sua fu una  visione strategica di grandi vedute che indirizzò il futuro dell’Italia democratica. Rispetto anche ai democristiani del suo tempo e di quello successivo, malgrado una opposizione molto agguerrita, seppe fare della Dc l’architrave della democrazia, sapendo individuare come il male più insidioso sarebbe derivato dalla ingovernabilità  a cui nel 1953 cercò di porre rimedio con il premio di maggioranza, che non era una legge-truffa come diceva Pajetta.
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De Gasperi aveva colto cosa dovesse essere uno Stato liberal – democratico al di la’ dei tentativi di leggere la Costituzione in chiave progressiva da parte del fronte socialcomunista.  Questi aspetti non vengono neppure percepiti da Alfano che al Governo non è andato oltre, come tanti, dall’intento  di conservare la poltrona ministeriale. Anche l’anniversario di Togliatti, che seppe guidare il PCI su una via legalitaria, malgrado gli arsenali conservati dopo la Resistenza. Togliatti era un uomo smaliziato e anche molto fazioso come tutti i comunisti, ma era anche un uomo colto che conosceva la storia. Ci sono episodi della sua vita non giustificabili ma, ad esempio, la svolta di Salerno che impedì alle mosche cocchiere del Partito d’ Azione di sabotare il Regno del Sud impegnato seriamente  nella Guerra di Liberazione, fu un grande gesto di responsabilità nazionale che non fu una mera esecuzione degli ordini di Stalin.
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All’indomani del referendum istituzionale l’amnistia di Togliatti  fu un contributo destinato  a placare gli animi esacerbati e incattiviti da una terribile guerra civile. Togliatti, con la sua autorevolezza, trattenne gli estremisti del suo partito che avrebbero voluto fare una rivoluzione dagli esiti fallimentari per gli stessi comunisti. Per un uomo vissuto a Mosca rischiando la vita sotto il terrore sanguinario di Stalin, non era cosa da poco. Nessuno dei suoi eredi nel PCI puo’ essere confrontato con lui, a partire dal successore Luigi Longo.
Togliatti ebbe grande attenzione verso i cattolici e votò l’art . 7 della Costituzione inserendo i Patti Lateranensi nel testo della Carta. Ma egli non imbrogliò il discorso politico, dicendo esplicitamente: “Vano sarà aver scritto nella nostra Carta il diritto di tutti i cittadini al lavoro , al riposo e così via se poi la vita economica continuerà ad essere retta secondo i principi del liberalismo sulla base dei quali nessuno di questi diritti mai potrà essere garantito”.  E‘ un discorso chiaro senza ambiguità. L’eurocomunismo di Berlinguer barava al giuoco, creando confusione su scelte fondamentali di libertà e democrazia a cui dette credito solo Massimo Salvadori che vide l’approdo della storia contemporanea nell’eurocomunismo pieno zeppo di ambiguità.
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Oggi il discorso di Togliatti suscita imbarazzo e studiati silenzi nei suoi lontani eredi del Pd, se si eccettuano i  personaggi come Fratoianni che ancora ripetono le litanie musicate dal Migliore. E in effetti fu davvero il  migliore rispetto ad un esagitato come Pajetta, un violento come Secchia, un dottrinario dogmatico  come Ingrao e un ex  borghese molto snob come Amendola che architettò la strage di Via Rasella, un grossolano incolto come Longo.

Senza cattolici popolari non esiste il Centro. Lo deve sapere anche Marattin

LO SCENARIO POLITICO  di Giorgio Merlo

Luigi Marattin è uno dei quei tanti parlamentari italiani che sono stati “nominati” dal capo partito.
Nel caso specifico, dal capo di un partito personale, quello di Renzi. Ora, come a volte capita –
seppur raramente – il “nominato” ad un certo punto rinnega il capo e, di norma, viene
indirettamente, ma gentilmente invitato ad andarsene dal partito. Anche perchè, appunto, nei
partiti personali la base deve semplicemente applaudire il verbo del capo mentre chi dissente,
come si suol dire, deve andare “a cantare in un altro cortile”.
Ma, per tornare a Marattin, da tempo ci spiega che, giustamente, si deve superare la
radicalizzazione della lotta politica nel nostro paese e questo perchè l’attuale bipolarismo non è
nè utile e neanche più funzionale per dare stabilità e rappresentatività al sistema politico italiano.
Da qui, dice il Nostro, si deve lavorare per “rifare un partito liberal democratico”. E quindi dar vita
ad un partito di centro che esprima quei valori e quella progettualità che non collimano affatto con
chi concepisce la politica come un’eterna e strutturale contrapposizione tra gli opposti
schieramenti che hanno come unico ed esclusivo obiettivo quello di annientare e distruggere
definitivamente il nemico politico giurato.
Ora, senza approfondire ulteriormente il progetto di questo Marattin, almeno su due questioni è
bene richiamare l’attenzione.
Innanzitutto Marattin adesso ricorda che i “partiti personali vanno definitivamente superati”
perchè i partiti devono essere, appunto, democratici e collegiali. E sin qui tutto bene. Peccato che
Marattin scopra con un pizzico di ritardo questa profonda degenerazione della democrazia
italiana. E questo perchè il punto più squallido e meno nobile, per la qualità della democrazia, dei
partiti personali è quando vengono compilate le liste elettorali. Cioè quando il capo del partito
personale “nomina” i suoi adepti. In quelle occasioni Marattin, purtroppo, non s’è accorto di nulla
e tutto filava liscio. “Tutto va bene, madama la marchesa”.
In secondo luogo, e qui non centra più il metodo ma il merito politico, Marattin dimentica – forse
con un deficit eccessivo di memoria storica o per una disinvolta capriola politica – che il Centro, o
un luogo politico centrista o liberal democratico, non è politicamente credibile nè realisticamente
percorribile senza la presenza attiva e feconda del pensiero, della cultura e della traslazione del
cattolicesimo popolare sociale. E questo non solo per ragioni politiche e culturali storiche ma per
motivazioni che rispecchiano l’identità stessa del nostro paese e il cammino concreto della
democrazia italiana. Senza la presenza di questa cultura politica, un potenziale centro nel nostro
paese si riduce ad essere di matrice puramente tecnocratica, alto borghese ed aristocratica,
oppure è destinato a replicare piccoli – seppur significativi – esperimenti politici ed elettorali. E
cioè, per essere ancora più chiari, la riproposizione in miniatura di un piccolo partito liberale, o
repubblicano o tardo azionista.
Ecco perchè, anche per chi si accorge oggi che esistono i partiti personali e per chi pensa di voler
mettere in piedi una iniziativa politica vagamente centrista, forse è il momento decisivo per non
dimenticare tutto il passato. Sia quello più recente dell’esistenza dei partiti personali e sia quello
più antico, ma sempre moderno ed attuale, del ruolo e della presenza della cultura e della
tradizione del cattolicesimo popolare e sociale per la costruzione di un progetto politico centrista,
di governo, moderato e profondamente democratico.

I Radicali Italiani hanno visitato il carcere di Torino

“Abbiamo riscontrato una situazione drammatica” – ha dichiarato Filippo Blengino, tesoriere dei Radicali Italiani – “in particolar modo nella sezione maschile, dove sono scoppiate rivolte. Le celle sono in condizioni precarie, con strutture fatiscenti e infiltrazioni. Si avverte una situazione di grande tensione; abbiamo chiesto ai detenuti di mantenere la calma. Condividiamo la protesta, ma riteniamo sia opportuno portarla avanti in modo pacifico. Anche in questo carcere si riscontra una palese violazione dei diritti umani. Per questi motivi, denunceremo nuovamente il Ministro Nordio per tortura.”

“Abbiamo visitato anche la sezione femminile, dove le detenute ci hanno chiesto di rendere pubblica una lettera in cui si dissociano dalle proteste violente degli ultimi giorni nella sezione maschile, in quanto tali atti compromettono una corretta comunicazione delle problematiche che loro stesse stanno portando avanti in modo nonviolento. A settembre probabilmente faranno una sciopero della fame per protestare contro la condizione carceraria”

Lo dichiara in una nota Filippo Blengino, Tesoriere dei Radicali Italiani.

Autonomia differenziata: un progetto che viene da lontano

Proviamo a fare chiarezza sulla bollente questione delle autonomie regionali.

E partiamo, come doveroso se vi vuole capire l’essenza del problema, da dati storici.

Realizzata l’unità d’Italia, lo Stato emanò la prima legge che regolamentava gli enti locali con L.20/3/1865 (“Legge Ricasoli”), ripartendo il territorio in provincie, circondari, mandamenti e comuni. Le provincie, in particolare, si configurarono come “sede di decentramento dell’amministrazione centrale” con a capo il prefetto, un funzionario nominato dal governo per verificare la rispondenza degli atti degli enti locali alle leggi statali.

I poteri degli enti locali furono fissati con un decentramento amministrativo con le leggi del 21 maggio 1908 n. 269 e la legge 4 febbraio 1915, n. 148 (i Testi unici delle leggi comunali e provinciali).

Nel Regno d’Italia, pertanto, le regioni non esistevano come enti territoriali.

La nascita delle regioni può essere fissata nel 1870, quando un certo Pietro Maestri raggruppò a fini statistici e didattici le provincie in “circoscrizioni territoriali”, rimpiazzando i precedenti compartimenti che ricalcavano gli stati preunitari.

Il termine “regione” apparve come sostituto del termine “compartimento” per la prima volta nell’Annuario statistico italiano del 1912. Fino a quel momento le regioni erano una pura espressione geografica, del tutto priva di contenuti in termini di compiti istituzionali e poteri amministrativi.

La nascita ufficiale delle regioni come enti territoriali risale al 1948, quando l’art.114 della Costituzione stabilì che “La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni”, precisando che “Le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati nella Costituzione.” (art. 115)

Si fissarono anche in 19 le Regioni: Piemonte; Valle d’Aosta; Lombardia; Trentino-Alto Adige; Veneto; Friuli-Venezia Giulia; Liguria; Emilia-Romagna; Toscana; Umbria; Marche; Lazio; Abruzzo e Molise; Campania; Puglia; Basilicata; Calabria; Sicilia; Sardegna. (art. 131)

A Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino-Alto Adige/Südtirol (costituito dalle Provincie autonome di Trento e di Bolzano) e Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste furono concesse forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale.

Peraltro l’innovazione rimase lettera morta per decenni, in assenza delle leggi ordinarie che precisassero con chiarezza, compiti, funzioni e poteri della nuova entità.

La svolta avvenne solo negli anni ’70, con un primo parziale trasferimento di poteri dallo Stato alle Regioni e con le prime elezioni che sancirono l’avvio dell’amministrazione decentrata e la realizzazione della prima autonomia (o, volendo usare una terminologia oggi ossessivamente usata negli slogan, si approvò un decreto “spacca Italia”).

L’impianto decentrato fu ulteriormente potenziato nel 2001 con legge costituzionale n. 3/2001 che riscrisse l’intero Titolo V della Costituzione, sovvertendo i tradizionali rapporti tra Stato centrale ed enti periferici.

Infatti l’art.114 venne riscritto come segue: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Provincie, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Provincie, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione.”

La modifica sembra di poco conto, con la nascita delle città metropolitane e con l’inversione dell’ordine degli enti territoriali rispetto al testo originario fissato dai padri costituenti, ma in realtà fu l’inizio di una rivoluzione che creò enormi problemi nella ”coabitazione” fra potere centrale e potere locale, anche per la mancata chiarezza delle sfere d’influenza, con l’avvio di centinaia di contenziosi e cause presso il TAR.

Un primo, importante cambiamento riguarda la struttura dello Stato, non più identificato con la Repubblica ma come parte di quest’ultima, sullo stesso piano delle altre entità territoriali che la compongono. Un palese declassamento per valorizzare e potenziare l’autonomia locale. In quell’anno finì la posizione di primazia dello Stato, che fu spezzettato fra venti Regioni, un centinaio di Provincie, una decina di migliaia di Comuni.

Un secondo sostanziale cambiamento fu l’introduzione di nuove materie in cui le Regioni potevano ottenere autonomia, prevista dall’art.116 della Costituzione; e non in maniera e con procedura uniforme, ma ognuna per conto suo, su espressa richiesta da approvare con accordo con il governo da ratificare in Parlamento.

Le materie in questione sono:

  • quelle oggetto di “potestà legislativa concorrente”, (previste all’art.117 della Costituzione). Le materie in questione sono rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni, commercio con l’estero, tutela e sicurezza del lavoro, istruzione professionale, ricerca scientifica e tecnologica, tutela della salute, alimentazione, protezione civile, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, previdenza complementare e integrativa, valorizzazione dei beni culturali e ambientali, casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
  • alcune tra quelle indicate al secondo comma dell’art. 117, ovvero organizzazione della giustizia di pace, norme generali sull’istruzione, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Fu in quel momento, e non oggi, che nacque il cosiddetto “regionalismo differenziato”.

Insomma, la Costituzione è stata stravolta, ma ben pochi hanno protestato, anche perché la Costituzione stessa prevede, saggiamente, che il testo possa essere modificato, rispettando precise procedure!

Procedure rispettate anche con il disegno di legge presentato dal Ministro Calderoli ed approvato in via definitiva dal Parlamento nel giugno 2024, scatenando un movimento di pesante opposizione con raccolta di firme per indire un referendum abrogativo.

Ogni opinione è lecita, ma i fatti sono indiscutibili: la riforma è legittima, l’autonomia differenziata è prevista dalla Costituzione, è stata approvata vent’anni fa da governi diversi da quello attuale formati dai partiti che oggi vogliono bloccare il completamento della riforma del Titolo V della Costituzione da loro modificato…

Gianluigi De Marchi 

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