LIFESTYLE- Pagina 6

Cocconato capitale del gusto

Due date sono da segnare in agenda per gli amanti dell’enogastronomia: giovedì 1 maggio e giovedì 8 maggio. Il centro storico di Cocconato ospiterà due eventi che raccontano la vocazione della riviera del Monferrato, borgo sempre più simbolo dell’accoglienza del buon bere e della grande cucina. Il 1⁰ maggio prossimo approda “Cocco…Wine Stories-messaggi in bottiglia”. Dopo 23 edizioni di successo di questa manifestazione, tradizionalmente svolto a fine estate, nasce una nuova iniziativa pensata per la stagione primaverile, “Cocco…Wines Stories – Messaggi in bottiglia”, organizzata dal concorso Cocconato Riviera del Monferrato, e dell’associazione Go Wine, di Intesa con il Comune di Cocconato. Un’intera giornata, dalle 11 alle 20, sarà dedicata ad assaggi, incontri e riflessioni sul mondo del vino, avvolti dall’atmosfera conviviale e ospitale del centro storico. 5 i temi, veri e propri messaggi in bottiglia che guideranno la scoperta – I giovani vignaioli, guardando agli under 30 che fanno viticoltura da protagonisti  con attenzione all’imprenditoria femminile – i Piwi e la viticoltura sostenibile con uno sguardo sullo stato dell’arte e della produzione in Piemonte e in Italia – No Legno, messaggio in bottiglia che non ha bisogno di precisazioni e farà concentrare gli assaggi su selezioni di vini – Il mondo degli orange, nuova tendenza che i viticoltori stanno stanno sperimentando – il Nebbiolo, fra le più alte colline del Monferrato, fra Cocconato e Albugnano, messaggio di territorio per porre un’attenzione speciale al vigneto di queste colline. Le cantine partecipanti saranno suddivise in aree tematiche, ognuna con un’enoteca dedicata. Tre punti ristoro lungo il percorso completeranno l’esperienza insieme a talk e masterclass. Dalle 21.30 si terrà la festa in piazza con djset, “avanzi di balera”, a cura del Consorzio.

Ultimo appuntamento anche per la rassegna “Banchetti enogastronomici”, l’8 maggio, frutto della collaborazione tra Consorzio Cocconato Riviera del Monferrato, l’associazione Discepoli di Escoffier e il Comune di Cocconato, che ha coinvolto fin dal mese di febbraio diversi locali di Cocconato e dintorni, quali l’osteria, l’osteria della Pompa, l’osteria il Gheub, la cantina del Ponte e il ristorante Cannon d’oro. In programma giovedì 8 maggio alle ore 20 in piazza Cavour, o in caso di maltempo nei saloni del Cannon d’oro, un evento all’insegna della condivisione. 5 cuochi dei ristoranti coinvolti nella rassegna prepareranno un piatto ciascuno, lavorando fianco a fianco per un menù che celebra le eccellenze del territorio. In carta aperitivo del Consorzio: battuta al coltello alla Monferrina, cipolla ripiena, risotto con asparagi, agnolotti tradizionali alla moda dei cuochi, i Fricandò del vincitore, scelto dai discepoli Escoffier, la torta di nocciole del Consorzio, con zabaione al Vermouth. La serata sarà anche l’occasione per l’incoronazione di nuovi discepoli Escoffier, i cuochi Enrico Macchia e Gianfranco Ceglie, nel segno della continuità e del legame con la grande cucina. Il vincitore della sfida del Fricandò dei Banchetti Enogastronomici, sarà intronizzato con una fascia bianca da giovane cuoco. Tra i protagonisti della serata Claudio Barisone, Presidente Nazionale Discepoli di Auguste Escoffier, Franco Bonda, Maestro di Cucina, Vicepresidente Piemonte Discepoli di Auguste Escoffier, Beppe Sardi, Maestro di Cucina Escoffier e Domenica Tomasi Canovo, Maestra di Cucina Escoffier.

Mara Martellotta

La giusta severità della maestra Pedrelli

/

Quando mi hanno detto che la maestra Pedrelli è andata via dal paese ho provato una grande tristezza. Ora sta nel ricovero per anziani, tra le colline. Non che la notizia sia giunta inaspettata: dopotutto, pur essendo arrivata quasi a novant’anni ancora lucida, aveva da tempo dei problemi alle gambe che le impedivano di far da sola.

Andrò a trovarla, la mia maestra. Lo farò perché ogni volta che passo davanti al vecchio edificio delle scuole elementari il pensiero corre a lei, rigorosa ed esigente, sempre vestita con abiti quasi monacali e dotata di una incrollabile fede nel fatto che ci avrebbe, volenti o nolenti, insegnato a leggere, scrivere e far di conto. Era severa, la Pedrelli, ma giusta. Una sola volta perse del tutto la pazienza, quando prese Riccardo per le orecchie , gridandogli “esci dal banco“, tirandolo energicamente. Ricordo la scena: quello resisteva, avvinghiandosi al doppio banco come un polipo. Era uno di quei banchi di una volta, a due posti, con i buchi per infilarci il calamaio. Era pesante, pesantissimo. La maestra, rossa in volto, lo tirava per le orecchie. Riccardo, a denti stretti, con le labbra bianche per il dolore e le orecchie ormai violacee, non mollava la presa. Toccò alla Pedrelli gettare la spugna e chiamare a gran voce il bidello perché accompagnasse il mio compagno di classe al giusto castigo, dietro alla nera lavagna d’ardesia. Se avesse insistito ancora un po’, le orecchie di Riccardo le sarebbero rimaste in mano. E, nonostante le avesse infilato un rospo ripugnante nella borsetta, non meritava il distacco dei padiglioni auricolari. Per quanto mi riguarda, a scuola mangiavo le matite. Rosicchiavo il rivestimento di legno  fino alla mina e a vlte rimaneva l’ombra della grafite sulle  labbra. Mi rimproverava ma quel vizio era più forte di me. Una perdizione.  C’è voluto del tempo per  farmelo passare anche se alle matite sostituii le unghie delle mani. Le povere unghie , indifese, diventarono il bersaglio contro il quale mi scagliavo quando dentro di me si agitavano paure, disagi e insoddisfazioni. Sarà pure un brutto vizio ma, credetemi, faceva meno male che mangiarsi le matite. Per raggiungere la scuola di strada non dovevo farne tanta. Dalla casa di ringhiera al centro della frazione c’era, più o meno, un chilometro. Scendevo fino al “triangolo”, un prato cintato da un muretto basso che formava quella forma geometrica, dividendo  in due la strada. A destra il lungo il viale alberato che portava al crocevia, al Circolo Operaio e alla vecchia passerella sul Selvaspessa. A sinistra si finiva dritti nel “cuore” del paese. La cartella, a quei tempi, non pesava come quelle dei ragazzini di oggi che viaggiano piegati in due sotto il peso degli zaini affardellati. Avevo avuto la fortuna di ereditarne, da uno zio, una di pelle. Era consumata ( oggi si direbbe “vissuta”)  ma faceva ancora egregiamente la sua parte ospitando la coppia di quaderni a righe e a quadretti, il sussidiario, la cannuccia e i pennini, la matita e la gomma bicolore. Fino all’avvento della cinghia d’elastico, sono andato avanti così, sfruttandone la comodità. Ovviamente avevo il mio bel grembiule blu con un gran fiocco bianco che, immancabilmente, scioglievo senza riuscire a rifarlo: tant’è che la maestra incaricava Laura – più grandicella di un anno –  a rifarmi la galla. Lei, a dire il vero, sembrava ben contenta di quest’incombenza e io la lasciavo fare,  ringraziandola a denti stretti, più per timidezza che per imbarazzo. A quell’epoca, con i capelli tagliati corti e con la riga di lato, mi pareva di mettere in evidenza un orecchio a sventola. Uno solo, il sinistro che, pur essendo appena pronunciato – a causa  della postura a cui ero stato costretto quando avevo pochi mesi di vita, causa una lunga degenza ospedaliera per una brutta gastroenterite – mi pareva un orribile difetto al punto da paragonarmi al brutto anatroccolo. Così cercavo di pareggiare i miei limiti studiando a testa bassa. Quando suonava la campanella, entrava in classe l’insegnante. Tutti in piedi, di scatto, cantilenando un “Buongiorno, signora maestra” accompagnato dall’immancabile preghiera del mattino. Mi annoiavo alle prime prove di scrittura, sotto dettato: pagine di aste e dirampini per imparare a fare il punto interrogativo, seguite a ruota dai cerchi tondi delle “o” a cui s’aggiungeva una timida gambetta in basso a destra per trasformarle in “q di quaderno“. M’annoiavo perché sapevo già leggere e scrivere grazie alla Tv, al maestro Alberto Manzi e alla sua trasmissione “Non è mai troppo tardi“. Realizzate allo scopo di insegnare a leggere e a scrivere agli italiani che avevano superato l’età scolare per contrastare l’analfabetismo, le trasmissioni del maestro Manzi ( che accompagnava le sue parole con degli  schizzi a carboncino su una lavagna a grandi fogli bianchi ) erano di una  semplicità disarmante e anch’io, a poco più di cinque anni, avevo imparato a tenere in mano la penna e ad usare le lettere dell’alfabeto per formare le parole. Sono stati anni felici quelli passati a scuola con la maestra Pedrelli. Ne conservo un buon ricordo, forse annebbiato e ammorbidito dal tempo, ma credo che siano stati davvero così. Del resto, l’età dei bambini è quella per cui si prova la maggior nostalgia e anche i doveri erano tollerati. Ricordo i giochi durante l’intervallo quando – vocianti – invadevamo come delle cavallette il giardino spelacchiato della scuola, dove allo scalpiccio delle nostre scarpe resistevano solo rari e tenaci ciuffi d’erba. Ricordo la pazienza di Giulio Stracchini, operaio del comune addetto alla caldaia che durante inverno alimentava con ciocchi di legno e pezzi di carbone. I più disperati gli nascondevano il berretto per scherzo ma lui non se la prendeva mai: faceva finta di minacciarli, agitando la mano aperta, ridendo con bonomia sotto quei suoi baffoni grigi. E i bidelli? La signora Lia e il signor Gianni: quanta pazienza anche loro. Dovevano pulire le aule, ramazzare i corridoi e sovrintendere al buon funzionamento della scuola. Oggi non ci sono più  ma sono certo che, per aver dovuto sopportare generazioni di ragazzini, si saranno certamente guadagnati un posto tranquillo nel paradiso dei bidelli, dove si può lavorare a maglia o leggere il giornale senza che nessuno dia loro il benché minimo grattacapo. I ricordi me li ravvivano alcuni dei compagni di scuola di allora con i quali, talvolta, ci si incontra per strada. E poi c’è la maestra Pedrelli. Uno di questi giorni andrò a trovarla alla casa di riposo. Sono pronto a scommettere che, dopo avermi salutato, il suo sguardo si poserà sulle mie mani e mi dirà, con tono critico: “Ma come? Ti mangi ancora le unghie, alla tua età?”.

Marco Travaglini

Immersi nei Giardini della Reggia di Venaria fino al 1° maggio

Dal 25 aprile al primo maggio un settimana di immersione nella natura nei Giardini della Reggia di Venaria, dove i temi della sostenibilità e della biodiversità sono al centro di incontri, visite tematiche, attività e laboratori rivolti a tutti, dai più piccoli ai ragazzi delle scuole, fino agli adulti.

Dal 25 aprile al primo maggio i Giardini della Reggia aprono, infatti, i loro cancelli dalle 6 del mattino e sarà un’emozione vedere la natura risvegliarsi, ammirare l’accendersi dei colori, la vista di un capriolo, di una volpe, di un germano reale e di quella fauna che popola i Giardini già dalle prime ore dell’alba.

L’evento prende il nome di “Libera la natura”. Le giornate del 28, 29 e 30 aprile saranno in particolare dedicate alle scuole di ogni ordine e grado con visite e incontri gratuiti sul tema della biodiversità  e della tutela degli insetti impollinatori.

Il 1 maggio tornano le visite per le famiglie, dal titolo “Segui il ronzio”, “ A spasso con l’erpetologo”, il laboratorio “Seminare futuro” e l’attività  per adulti e bambini “Dipingere la natura”.

Alle10.30 presso la Torre dell’Orologio avrà  inizio la visita sensoriale “Segui il ronzio” nel giardino e negli Orti con lenti di ingrandimento e visori per scoprire gli insetti utili, le api e gli altri impollinatori. Per famiglie e bambini dai 5 anni in su è gradita la prenotazione.

Alle 11.30 sempre presso la Torre dell’Orologio, passeggiando nei giardini, si scopriranno anfibi, uccelli e fauna acquatica che caratterizzano le zone umide del giardino.

Durata della visita un’ora e mezza. Gradita prenotazione rivolta a famiglie con bambini dai 5 anni in su.

Dalle 14 alle 18 presso il Potager Royal gli artisti dell’Accademia di Belle Arti di Torino dipingono en plein air e invitano il pubblico a farlo. Alle 15, presso la Torre dell’Orologio ci si troverà per un’attività  nota come “ Seminare futuro”. Gli Orti e i frutteti, gli ortaggi, le piante aromatiche, i fiori, i frutti, colori e profumi saranno i protagonisti di una visita che coinvolge i cinque sensi. In laboratorio i bambini realizzeranno delle speciali polpette di terra e di semi  che, al termine dell’attività, potranno portare via e poi mettere nel parco sotto casa o piantare in un vaso sul proprio balcone.

La durata dell’esercitazione è di un’ora e mezza. Destinatari famiglie e bambini dai 5 anni in su ( gradita prenotazione)

Mara Martellotta

La felicità si può imparare

Spopolano i corsi di psicologia positiva, qualsiasi cosa pur di essere felici.

Già da qualche tempo, soprattutto durante e dopo il periodo pandemico, si sono moltiplicati i corsi di psicologia positiva, una didattica che insegna la felicità o perlomeno propone una strada in discesa per raggiungerla utilizzando regole, suggerimenti precisi e anche la pratica. Non solo, quindi, teoria o ipotesi sul come spingersi versolo stato di grazia tanto ambito, ma una scienza vera e propria che si avvale di lezioni e compiti a casa. I numeri sono da capogiro. Un esempio? La psicologa Laurie Santos, insegnante a Yale ha 3,8 milioni di iscritti in tutto il mondo e il suo è corso più seguito in più di 300 anni di storia dell’Università; inoltre è stato creato un podcast –  “Happiness Lab”- che conta più di 65 milioni di download. Il corso “Leadership and Happiness” dell’Università di Harvard, invece, esaurisce regolarmente i 180 posti a disposizione, per coloro che non riescono a partecipare in presenza le lezioni sono garantite online.

Sembra quindi che, anche se non si è nati con il dono della letizia, sia possibile impararla, sia concepibile acquisire nozioni su come conquistarla, su come essere felici.

Ma cosa è la psicologia positiva? Di cosa si occupa?

Il benessere personale e la qualità della vita sono l’obiettivo, il centro e l’oggetto di studio della “psicologia positiva”. Secondo Martin E. P. Seligman, lo psicologo statunitense a cui è riconosciuta la paternità di questa scienza, la psicologia deve dedicarsi anche agli aspetti positivi dell’esistenza umana: emozioni gradevoli, potenzialità, virtù e capacità dell’individuo. La qualità della vita è un tema  sempre più all’attenzione della medicina, della sociologia e della psicologia in generale e gli aspetti ed avvenimenti positivi presenti nella nostra esistenza costituiscono una protezione per la salute fisica e mentale.

Sono diversi gli argomenti trattati durante questi corsi che mirano,innanzitutto, ad una inversione di tendenza, ad un deciso e consapevole cambiamento di alcune nostre abitudini e attitudini. In cima alla lista c’è la questione temporale, la nostra inclinazione a pensare troppo al futuro e fare riferimento al passato, principale produttore di sensi di colpa e rimpianti. Per perseguire la felicità e la serenità è necessario stare nel presente, collocarsi nel qui e ora, non spostare ne’ avanti ne’ indietro il nostro pensiero. Troppo spesso siamo tormentati da ciò abbiamo sbagliato, da cosa non è andato bene, dai nostri presunti fallimenti; la mente si concentra sui trascorsi, presumibilmente negativi, creando frustrazione e di certo non producendo, in tale modo, uno stato positivo. Allo stesso modo speculare sul futuro avvantaggiandosi eccessivamente sulle cose che dovremmo fare o che succederanno non ci permette di vivere pienamente la nostra vita attuale.

Un altro elemento importante  su cui si concentrano le lezioni di felicità è la gratitudine, è importante essere riconoscenti per quello che si ha, fare una lista delle cose belle della nostra vita, sentirsi fortunati contrastando un’altra inclinazione molto frequente che è quella di lamentarsi, di pensare che si potrebbe avere di più magari utilizzando uno strumento, perlopiù frustrante, come quello della comparazione. Inseguire mete impossibili, avere modelli irraggiungibili, spesso poco reali, non fa bene. E’ costruttivo cercare di migliorare la nostra vita, tuttavia, essere grati per ciò che si ha è il primo passo verso la felicità.

I pensieri negativi, invece, vanno non scacciati ma limitati. Concedere spazio alle considerazioni ostili va bene, accettarle è necessario perché reprimerle avrebbe un effetto  dannoso. Il suggerimento è quello di dedicargli un tempo fisso, anche giornaliero, per esempio 10 minuti al giorno, poi basta!

Infine ci sono gli altri, gli amici, la famiglia, le persone intorno a noi. Saper stare soli è determinante, e spesso necessario, ma la felicità va cercata anche nell’ insieme, in compagnia, socializzando, condividendo, ridendo insieme, giocando. La solitudine prolungata, l’isolamento e la non connessione con gli altri provoca tristezza e infelicità mentre l’amicizia, la vicinanza, gli altri possono procurare quella gioia che ci permette di affrontare le cose della vita con la sicurezza del supporto e, spesso, del mutuo soccorso . La cosa importante è ridurre le aspettative, non pretendere gesti o dimostrazioni, ma vivere le persone, stare semplicemente insieme a loro.

Sapere di poter essere felici, di poter migliorare il nostro stato d’animo dando spazio alla serenità è molto incoraggiante e innovativo. Scardinare quelle credenze secondo le quali si nasce con delle attitudini, con un carattere e una personalità seguendo la sola teoria dell’ineluttabilità, del non riparabile è possibile e anche doveroso, come lo è darsi la possibilità di stare bene, di superare quelle abitudini e attitudini mentali che ci fanno vivere uno stato di negatività e malcontento.

Maria La Barbera 

Filetti di nasello gratinati. La bontà è croccante

 Questo piatto si prepara facilmente con ingredienti semplici, particolarmente sfizioso grazie alla gratinatura dorata e croccante

Apprezzato per le sue proprieta’ nutritive, il nasello e’ un pesce magro, facilmente digeribile, carne bianca e delicata ideale anche per chi non ama il pesce. Questo piatto si prepara facilmente con ingredienti semplici, particolarmente sfizioso grazie alla gratinatura dorata e croccante.

***

Ingredienti:

 

4 filetti di nasello

4 fette di pan carre’

1 ciuffo di prezzemolo

1 spicchio di aglio

50gr. di parmigiano grattugiato

50gr. di pecorino grattugiato

Olio, sale, pepe q.b.

***

Tostare leggermente le fette di pan carre’. Lavare e asciugare il prezzemolo. Frullare le fette di pane con il formaggio grattugiato, l’aglio, il sale, il pepe e l’olio. Disporre i filetti di nasello in una pirofila da forno unta di olio, cospargere il composto sul pesce, condire con un filo di olio e cuocere in forno a 200 gradi per circa 20 minuti o sino a completa doratura.

 

Paperita Patty

 

Croccanti spiedini di polpettine di pesce

/

Gli spiedini che vi propongo questa settimana sono ideali come finger food per un aperitivo o come antipasto per un menu’ a base di pesce. Le polpettine, croccanti fuori e morbide dentro, si adattano ad essere preparate con diversi tipi di pesce, sono semplici e gustose, ottime servite calde o tiepide.

***

Ingredienti

300gr. di filetti di nasello

1 fetta di pancarre’

2 uova

2 cucchiai di pecorino grattugiato

Latte q.b.

Prezzemolo q.b.

Succo di 1/2 limone

Olio per friggere

Sale e pepe q.b.

Pangrattato q.b.

***

Cuocere a vapore i filetti di nasello acidulati con il succo del limone poi frullarli con la fetta di pancarre’, precedentemente bagnata nel latte, il pecorino, il sale, il pepe, il prezzemolo tritato e l’uovo intero. Con il composto ottenuto preparare delle piccole polpette che passerete prima nell’uovo sbattuto e poi nel pangrattato. Friggere in abbondante olio caldo, sgocciolare su carta assorbente ed infilzare sullo spiedino. Servire subito. Delicate e deliziose.

Paperita Patty

 

Ironia e autoironia, una risata ci salverà

/

Mi sembra di cogliere sempre più spesso, nei miei colloqui professionali di counselling e di coaching e comunque anche in genere nelle relazioni interpersonali, la relazione profonda tra difetto o mancanza di ironia e autoironia e malessere delle persone.

L’ironia è anche, e forse soprattutto, un modo di essere, uno stato mentale che riflette la nostra capacità di non prendere tutto troppo sul serio, compresi noi stessi, e che conferma la nostra attitudine ad avere un buon equilibrio emozionale.

È lo specchio di un modo positivo di intendere la vita che ci aiuta a stare meglio. E a sdrammatizzare, con la capacità di sorridere e di ridere anche di fronte a situazioni non esattamente ottimali.

Ancora una volta non si tratta di illuderci di fronte alla realtà, ma di prenderla nel modo migliore e più giusto. Riducendo gli effetti di qualsiasi negatività o danno. L’ironia in genere è morbida, gentile, non aggressiva, e comunque rispettosa di se stessi.

E delle persone o delle situazioni a cui viene diretta. Ben diversa dal sarcasmo, che invece presuppone un atteggiamento più aggressivo, irriguardoso, e con una intensa sfumatura (talvolta non soltanto una sfumatura…) di cattiveria. Concludo questa prima parte con qualche simpatica frase ironica e autoironica.

“Non ho paura, è il coraggio che mi manca”. “Io amo l’umanità. È la gente che non sopporto”. “Oggi è uno di quei giorni in cui voglio rimanere tra me e me. E già siamo in troppi”. “A volte penso di essere normale. Poi passa”. “Il problema delle menti chiuse è che hanno la bocca aperta”.

Roberto Tentoni
Coach AICP e Counsellor formatore e supervisore CNCP.
www.tentoni.it
Autore della rubrica settimanale de Il Torinese “STARE BENE CON NOI STESSI”.

(Fine della prima parte)

Potete trovare questi e altri argomenti dello stesso autore legati al benessere personale sulla Pagina Facebook Consapevolezza e Valore.

Il politicamente corretto: salviamo almeno l’arbitro cornuto!

Il “politicamente corretto” è un fenomeno che sta diffondendosi in ogni settore e sta condizionando la nostra società, ormai ossessionata da comportamenti o espressioni che possono sembrare offensive verso gli altri.

Comportamento in linea di principio più che giusto (il rispetto verso il prossimo è una delle regole fondamentali di una società civile) ma che in molti casi sta ormai diventando francamente ridicolo.

Facciamo qualche esempio .

Negro. I dizionari definiscono la parola come “individuo appartenente ad una divisione antropologica dell’umanità caratterizzata dal colore scuro della pelle dovuto ad abbondanza di pigmento”. Niente di male, è un fatto naturale, ma nel tempo il termine è diventato dispregiativo, anche perché spesso usato in abbinamento a sporco (“sporco negro”!), un volgare insulto. E così si è passati a “nero”, ma anch’esso condannato per il riferimento al colore della pelle ed ecco “allora “persona di colore”. Ottima soluzione, può andare bene per africani, asiatici, sudamericani e addirittura per i simpatici Puffi…

Spazzino. Professione essenziale nella società moderna, in cui città sempre poi grandi producono rifiuti sempre più numerosi; ma il termine è spregiativo perché riduce l’attività allo spazzare le strade con la ramazza ed allora ecco apparire netturbino, con vaghe reminiscenze latine, persona che pulisce la città. Ma non è bastato, ed allora la versione oggi più diffusa è un rispettoso “operatore ecologico”, che va sempre in giro con la ramazza, ma realizza un intento nobile ed assurge all’Olimpo dei difensori della natura incontaminata, un seguace di Greta Thunberg…

Bidello. Ve lo ricordate tutti, l’onnipresente personaggio che ci accompagnava alle elementari, alle medie, al liceo, fino all’università. Addetto prioritariamente alla pulizia dei locali, era in realtà un tuttofare sempre attento ad aiutarvi con il sorriso in caso di necessità. Termine considerato umiliante dai difensori del politicamente corretto, che sicuramente non ne conoscono la nobile origine. Bidello, infatti, deriva dal latino medievale bidellus divenuto poi il francese bedeau, messaggero (parola nobile, altro che svilente). Oggi guai a chi parla di bidelli, bisogna definirli “operatori scolastici non docenti”…

Portantino. Persona essenziale nel sistema sanitario, è incaricato di spingere barelle e lettini trasferendo i pazienti il più in fretta possibile (ma con la massima sicurezza). Non va bene, è umiliante! E allora ecco spuntare anche qui un termine nobile come “operatore sanitario addetto al trasporto dei malati ospedalizzati”; peccato che se lo chiami così per chiedere un intervento urgente per tuo nonno colpito da ictus, il caro vecchietto nel frattempo muore…

Non possiamo chiudere queste brevi osservazioni senza accennare ad uno dei termini più noti nel linguaggio comune: arbitro. E’ quell’essere ridicolo vestito di nero che corre come un pazzo in mezzo a 22 giovanotti che cercano di mettere un pallone in una rete. Professione dignitosa, ma che perde ogni dignità quando il suddetto essere concede un rigore inesistente alla squadra che sta lottando contro la nostra; fatto che fa scattare immediatamente l’insulto: arbitro cornuto! In questo caso a nessuno verrebbe in mente di attenuare il grido con un più morbido “Direttore di gara sposato con una moglie poco attenta ai doveri coniugali”…

Spiace per gli arbitri, ma loro, a differenza dei negri, degli spazzini, dei bidelli, dei portantini, continueranno a portare il peso di termini pesantemente offensivi.

C’è un limite a tutto, anche al politicamente corretto…

GIANLUIGI DE MARCHI

Il Santo Padre: chi era costui?

Il ritorno di Sua Santità Francesco alla casa del Padre ha messo in moto una serie di considerazioni, di critiche, di esaltazioni della sua figura a cui sono ormai abituato, essendo stato questo il quinto Pontefice che io ricordi, oltre a Papa Giovanni XXIII morto quando ero piccolissimo. Anche in questo caso, come in molti altri, la gente si professa espertissima di ecclesiologia, di teologia, di ogni disciplina che possa, in un modo o in un altro, riferirsi alla figura del Papa.

Parafrasando Don Abbondio, sarebbe più opportuno dire “Francesco! Chi era costui?” perché di Francesco, chiunque non sia stato giornalista accreditato presso la Santa Sede o Vaticanista o Ministro di culto cattolico può dire ben poco, salvo riportare le notizie rimaneggiate dalla stampa ”ad usum delphini”.

La curiosità, che una volta era sinonimo di intelligenza ma comincio a pensare che non sia più così, porta le persone a cercare in rete, in modo quasi compulsivo, ogni informazione ottenendo, ipso facto, notizie contrastanti, critiche (in senso negativo) non possedendo le basi minime per capire, valutare e farsi un’idea propria.

Ecco così che una piazza San Pietro che solitamente si riempie di fedeli per l’angelus o per il “nuntio vobis” mostra migliaia di turisti che al passaggio della salma di Francesco, anziché farsi il segno della Croce o raccogliersi in preghiera, scattano foto come se ci fosse un premio per chi ne pubblicherà di più.

E’ quindi, evidente, che nella maggior parte delle persone l’aspetto fideistico, religioso, di devozione abbia ceduto il passo al conformismo, alla banalità, al “quello che fanno gli altri” in un mix di paganesimo, ateismo, ineducazione o, meglio, maleducazione e mancanza di rispetto.

Sono le persone che quando occorre un incidente stradale, anziché soccorrere il malcapitato, fanno una diretta sui social per dimostrare che anch’essi, pur nella loro insulsa ed inutile esistenza, manifestano deboli segnali di attività cerebrale.

Ecco così che chi vorrebbe recarsi in San Pietro per motivi religiosi trova la piazza occupata da tifosi dei social e chi non ha alcun interesse per l’argomento si trova tempestato di notizie spesso in contrasto tra di loro.

In omaggio al Santo Padre, che ebbi l’onore di incontrare a Torino durante l’ostensione del 2015, redigerò questo articolo in forma più breve del solito. Vorrei solo sottolineare come la vera trasgressione, oggi, sia l’essere normali, sia fare ciò che ci interessa e non ciò che fanno gli altri.

E se qualcosa non ci interessa? Basta cliccare da un’altra parte.

Sergio Motta