LIFESTYLE- Pagina 438

Arrivano 700 profughi, Chiamparino: "Problema di portata europea"

CERUTTI

marroneProfughiMaurizio Marrone: “I nuovi 700 profughi imposti da Alfano alla nostra Regione si aggiungono ai 2.800 già presenti in questo momento nel sistema dell’accoglienza piemontese pagato con i nostri soldi, 1.128 solo a Torino!”

 

 AGGIORNAMENTO La dichiarazione del presidente della Regione, Sergio Chiamparino: “Dopo l’incontro con il Ministro Alfano ci siamo impegnati a fare fronte a una situazione che sta diventando una vera e propria emergenza umanitaria, con l’obiettivo di non lasciare le regioni rivierasche del Sud ad affrontare da sole questo fenomeno. Una risposta che è e deve essere corale e che presuppone una reale collaborazione tra Stato, Regioni ed enti locali. Per quanto riguarda il Piemonte, stiamo già collaborando con tutte le Prefetture  per dare in tempi rapidi una risposta che è prima di tutta umanitaria, ci auguriamo che anche le altre autorità dello Stato collaborino attivamente per trovare soluzioni efficaci. Dobbiamo comunque tenere presente che il problema profughi ha un’ampiezza tale da imporre un’urgente presa in carico a livello europeo, sia nella fase del contrasto al traffico di esseri umani, sia per quanto riguarda l’accoglienza e l’inserimento di queste persone.”

 

“In Piemonte sono in arrivo 700 profughi e la Regione farà la sua parte nell’accoglierli”. Così l’assessore all’Immigrazione, Monica Cerutti. “La Regione deve fare la sua parte nell’accoglienza – spiega –  ma la nostra richiesta è di una maggiore programmazione, per poter garantire una sistemazione dignitosa e ben distribuita sul territorio”. Il 40% dei profughi sarà destinato Torino, mentre il 60% nel resto del territorio regionale.

 

<<Proprio nel giorno in cui il Ministero degli Interni comunica alla Regione Piemonte l’imposizione di nuovi 400 profughi da ospitare nel nostro territorio, ho avuto dalla Giunta regionale i numeri precisi degli ultimi arrivi e dei rifugiati attualmente presenti nelle nostre città, a partire dal Capoluogo: dati che mettono i brividi, cifre insostenibili per il nostro welfare già allo stremo, insufficiente già a sostenere gli Italiani in difficoltà>> attacca Maurizio Marrone, Capogruppo di Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale in Regione e Comune di Torino.

 

Spiega: <<I nuovi 700 profughi imposti da Alfano alla nostra Regione si aggiungono ai 2.800 già presenti in questo momento nel sistema dell’accoglienza piemontese pagato con i nostri soldi, 1.128 solo a Torino! Nell’ultimo anno sono arrivati in Piemonte ben 7.110 profughi, di cui 2.563 solo a Torino.Ora basta! Il Piemonte ha già dato con un intero ghetto abusivo nato a Torino alle palazzine olimpiche dell’ex MOI, occupato da un migliaio di immigrati già scaricati dal welfare piemontese: di fronte alla macelleria sociale annunciata nel bilancio regionale 2015 è il caso di pensare prima agli Italiani, imporremo a Chiamparino lo stop a qualsiasi ulteriore accoglienza con una mozione in Consiglio Regionale!>> annuncia Marrone.

Praga e Terezìn, l’Europa di mezzo e il “secolo breve”

terezin Praga Ponte Carlopraga1Reportage di Marco Travaglini

Praga è una città magica che si specchia da più di dieci secoli nelle acque della Moldava, dominata dal Castello (Pražský hrad), la più grande fortezza medievale esistente, oltre che simbolo emblematico del grande passato storico, culturale e sociale della capitale. Terezìn  si trova ad una sessantina di chilometri a nordovest di Praga. Con l’autobus, dalla stazione praghese di Florenc, s’impiega quasi un’ora per arrivare. Fa abbastanza freddo e le nuvole grigio ferro lasciano trapelare solo qualche timido e intirizzito raggio di sole

 

 

“Loro” ad Artstetten, “lui”  a Sarajevo

Mentre l’arciduca Francesco Ferdinando e la sua consorte Sofia, uccisi nell’attentato di Sarajevo, sono sepolti nella tomba di famiglia al castello di Artstetten,  nella valle di Wachau, in bassa Austria, il corpo del ragazzo che quel 28 giugno mise fine alle loro vite dando l’avvio all’escalation che avrebbe portato alla prima guerra mondiale, giace a Ciglane, sobborgo nel centro di Sarajevo. È all’interno di una piccola cappella che non viene segnalata, nemmeno dalle guide turistiche, che sono conservate le spoglie mortali di Gavrilo Princip. Solo una scritta, in cirillico, recita: “beato colui che vive per sempre, perché non è nato invano”.

 

 

Tra una guerra e l’altra

 La regione di Theresienstadt/Terezìn, quella dei Sudeti, era da molti secoli abitata prevalentemente da popolazioni di etnia e lingua tedesca, pur trovandosi in territorio boemo. Dopo l’anschluss dell’Austria nel marzo del ’38, Hitler annesse anche la regione dei Sudeti nell’ottobre dello stesso anno, dopo aver ottenuto il consenso dei governi inglese e francese (ma non di quello Cecoslovacco) alla Conferenza di Monaco. Così, nel 1940, la Gestapo iniziò la costruzione di un enorme ghetto nella fortezza, facendone un campo di lavoro forzato.

 

 

terezin2Da Terezìn alle camere a gas di Auschwitz

Nel periodo in cui durò il ghetto – dal 24 novembre 1941 fino alla liberazione avvenuta l’8 maggio 1945 – passarono per lo stesso 140.000 prigionieri. Proprio a Terezìn perirono circa 35.000 detenuti. Degli 87.000 prigionieri deportati a Est, dopo la guerra fecero ritorno solo 3.097 persone. Fra i prigionieri del ghetto di Terezìn ci furono all’incirca 15.000 bambini, compresi i neonati. Erano in prevalenza bambini degli ebrei cechi, deportati a Terezìn insieme ai genitori, in un flusso continuo di trasporti fin dagli inizi dell’esistenza del ghetto. A maggior parte di essi morì nel corso del 1944 nelle camere a gas di Auschwitz. Dopo la guerra non ne ritornò nemmeno un centinaio e di questi nessuno aveva meno di quattordici anni. I bambini sopportarono il destino del campo di concentramento assieme agli altri prigionieri di Terezìn.

 

 

Fame, miseria e sofferenza

Dapprima i ragazzi e le ragazze che avevano meno di dodici anni abitavano nei baraccamenti assieme alle donne; i ragazzi più grandi erano con gli uomini. Tutti i bambini soffrirono assieme agli altri le misere condizioni igieniche e abitative e la fame. Soffrirono anche per il distacco dalle famiglie e per il fatto di non poter vivere e divertirsi come bambini. Per un certo periodo i prigionieri adulti riuscirono ad alleviare le condizioni di vita dei ragazzi facendo sì che venissero concentrati nelle case per i bambini. La permanenza nel collettivo infantile alleviò un tantino, specialmente sotto l’aspetto psichico, l’amara sorte dei piccoli prigionieri.

 

 

La scuola del ghetto

Nelle case operarono educatori e insegnanti prigionieri che riuscirono, nonostante le infinite difficoltà e nel quadro di limitate possibilità, a organizzare per i bambini una vita giornaliera e perfino l’insegnamento clandestino. Sotto la guida degli educatori i bambini frequentavano le lezioni e partecipavano a molte iniziative culturali preparate dai detenuti. E non furono solo ascoltatori: molti di essi divennero attivi partecipanti a questi avvenimenti, fondarono circoli di recitazione e di canto, facevano teatro per i bambini. I bambini di Terezìn scrivevano soprattutto poesie. Una parte di questa eredità letteraria si è conservata.

 

 

L’Olocausto con gli occhi dell’innocenza

L’educazione figurativa veniva organizzata nelle case dei bambini secondo un piano preciso. Le ore di disegno erano dirette dall’artista Friedl Dicker Brandejsovà. Il complesso dei disegni che si è riusciti a salvare e che fanno parte delle collezioni del Museo statale ebraico di Praga, comprende circa 4.000 disegni. I loro autori sono per la gran parte bambini dai 10 ai 14 anni. Utilizzavano i più vari tipi e formati della pessima carta di guerra, ciò che potevano trovare, spesso utilizzando i formulari già stampati di Terezìn, le carte assorbenti. Per il lavoro figurativo i sussidi a disposizione non bastavano e i bambini dovevano prestarseli a vicenda.

 

 

Dalle farfalle alle esecuzioniterezin1

I disegni si possono suddividere in due gruppi fondamentali: da una parte di disegni sul loro passato, in cui i piccoli tornavano alla loro infanzia perduta. Disegnavano giocattoli, piatti pieni di cose da mangiare, raffiguravano l’ambiente della casa perduta. Disegnavano e dipingevano prati pieni di fiori e farfalle in fiore e farfalle in volo, motivi di fiaba, giochi di bambini. La maggior parte della collezione comprende questo tipo di disegni. Il secondo gruppo invece è formato da disegni sul ghetto di Terezìn. Raffigurano la cruda realtà in cui i bambini erano costretti a vivere. Qui si vedono raffigurate le caserme di Terezìn,i blocchi e le strade, i baraccamenti con i letti a tre piani, i guardiani. Ma i bambini disegnavano anche i malati, l’ospedale, il trasporto, il funerale o un’esecuzione.

 

 

Credevano in un domani migliore

Nonostante tutto però i piccoli di Terezìn credevano in un domani migliore. Espressero questa loro speranza in alcuni disegni in cui hanno raffigurato il ritorno a casa. Sui disegni c’è di solito la firma del bambino, talvolta la data di nascita e di deportazione a Terezìn e da Terezìn. La data di deportazione da Terezìn è anche in genere l’ultima notizia del bambino. Questo è tutto quanto sappiano sugli autori dei disegni, ex prigionieri bambini del ghetto nazista di Terezìn. La stragrande maggioranza dei bambini di Terezìn morì. Ma è rimasto conservato il loro lascito letterario e figurativo che a noi parla delle sofferenze e delle speranze perdute.

 

 

terezin praga venceslaoPiazza San Venceslao

Il ritorno a  Praga necessita di una visita  alla piazza di San Venceslao. La Vaclavské , come la chiamano i praghesi,  è un luogo alquanto anomalo. Più che una piazza vera e propria è un largo viale lungo 750 metri nel cuore di Nové Město, la città nuova. Per ammirarne la maestosità si può raggiungere il Museo Nazionale, alla sua sommità, e da lì  – dove è stata collocata la statua equestre di San Venceslao –  guardare il lungo viale. In questo punto, un tempo, c’era la Porta dei Cavalli, che alla fine dell’Ottocento venne abbattuta per far spazio al monumentale museo. Insieme al santo a cavallo ci sono i quattro patroni della Repubblica Ceca (Ludmilla e Procopio davanti, Adalberto e Agnese dietro). Sullo zoccolo si possono leggere delle parole che i cechi hanno sempre invocato nei momenti di difficoltà: “Non lasciarci perire, noi e i nostri discendenti”.

 

 

Simbolo dell’indipendenza 

Piazza San Venceslao, i Piccoli Champs-Élysées,  rappresenta il simbolo dell’identità praghese e ceca da quando, nel 1848, durante i moti rivoluzionari, venne chiamata così. Nel 1918 fu da qui che partirono le rivolte antiasburgiche a favore dell’indipendenza nazionale, dichiarata il 28 ottobre di quell’anno. E fu lì che, nell’agosto del 1968 i praghesi  protestarono contro l’invasione dei carri armati sovietici venuti a stroncare la Primavera di Praga, l’esperimento di “socialismo dal volto umano” (in pratica una vera e propria liberalizzazione e democratizzazione della vita politica) portata avanti dai dirigenti comunisti di quel paese guidati da Alexander Dubček. Alla mente ritorna una delle più belle canzoni di Francesco Guccini: “Di antichi fasti la piazza vestita, grigia guardava la nuova sua vita: come ogni giorno la notte arrivava, frasi consuete sui muri di Praga. Ma poi la piazza fermò la sua vita e breve ebbe un grido la folla smarrita, quando la fiamma violenta ed atroce, spezzò gridando ogni suono di voce”. La fiamma è quella che, la sera del 16 gennaio 1969, trasformò in una torcia umana il corpo di un giovane studente di filosofia praghese, il ventenne Jan Palach. Il suo sacrificio fu un gesto di libertà, un grido contro tutte le tirannie.

 

 

terezin palachIl “testamento” di Jan Palach

Sul suo quaderno scrisse quello che può essere definito, a tutti gli effetti, il suo testamento politico. Leggiamolo: “Poiché i nostri popoli sono sull’orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l’onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana. Noi esigiamo l’abolizione della censura e la proibizione di Zparvy (il giornale delle forze d’occupazione sovietiche). Se le nostre richieste non saranno esaudite entro cinque giorni, il 21 gennaio 1969, e se il nostro popolo non darà un sostegno sufficiente a quelle richieste, con uno sciopero generale e illimitato, una nuova torcia s’infiammerà”. Il gesto di Jan Palach non rimase isolato: almeno altri sette studenti, tra cui il suo amico Jan Zajíc ( la “torcia numero due” ),seguirono il suo esempio.

 

 

“..la città intera che lo accompagnava”

 Il funerale di Jan Palach ( che venne poi sepolto nel cimitero di Olšany)  fu programmato per domenica 25 gennaio 1969. L’organizzazione fu curata dall’Unione degli studenti di Boemia e Moravia. Vi parteciparono circa seicentomila persone, arrivate da tutto il paese. In silenzio, proprio  come racconta la già citata canzone di Guccini (“dimmi chi era che il corpo portava,la città intera che lo accompagnava:la città intera che muta lanciava una speranza nel cielo di Praga”). Quel giorno, in una Praga plumbea,  scrisse  Enzo Bettiza sul Corriere della Sera .. “il suono delle sirene a mezzogiorno e il rintocco delle campane trasformano l’intera città in un «paesaggio pietrificato», dove tutti rimangono fermi e silenziosi per cinque minuti”.

 

 

A terra, la croce..

 Il monumento in sua memoria ( e di Jan Zajíc ) è poco visibile. Si trova a pochi metri dalla fontana davanti all’edificio del Museo Nazionale, dove Jan si cosparse di benzina e si dette fuoco. Nei giorni seguenti, in quello stesso luogo, si tenne lo sciopero della fame a sostegno delle rivendicazioni espresse da Palach e fu esposta la sua maschera funebre.  Il monumento, realizzato dall’artista Barbora Veselá e dagli architetti Čestmír Houska e Jiří Veselý, è stato realizzato in forma orizzontale. Dal lastricato del marciapiede emergono due bassi tumuli circolari collegati da una croce di bronzo (che simboleggia allo stesso tempo un corpo come una torcia umana). La posizione della croce indica la direzione in cui Jan Palach cadde a terra. Sul braccio sinistro della croce si leggono i nomi di Jan Palach e Jan Zajíc con le rispettive date di nascita e morte. Entrambi , e prima di loro, gli insorti di Budapest nel 1956, furono i primi caduti per la nuova Europa. Ci vollero vent’anni per riconquistare pienamente indipendenza e libertà, fino al novembre del 1989, quando s’avvio la “rivoluzione di velluto” che in breve rovesciò il regime cecoslovacco e filosovietico di  Gustáv Husák ed elesse presidente della Repubblica lo scrittore e drammaturgo Václav Havel, mentre Dubček fu acclamato, riabilitato ed eletto presidente del Parlamento.

 

Marco Travaglini

Il violino di Znaider nel celebre concerto di Cajkovskij

auditorium rai

All’Auditorium Rai di Torino trionfa la musica russa con Cajkovskij e Rimskij Korsakov, giovedì 16 aprile alle 21

 

Atteso ritorno all’Auditorium Rai di Torino del violinista danese Nikolaj Znaider,  che, giovedì 16 aprile alle 21, eseguirà una delle pagine più celebri di Petr Il ‘ic Cajkovskij, caposaldo della letteratura violinistica,   il Concerto in re maggiore opera 35 per violino e orchestra. Eseguito solo tre anni dopo la sua composizione, il 22 novembre 1881, a Vienna, lasciò subito il pubblico stupefatto per il trattamento senza precedenti riservato allo strumento solistico,  capace di passare dal lirismo più estremo  alla furia più accesa. Divenne da allora uno dei brani favoriti dei concertisti, in quanto si tratta di una delle pagine più funamboliche scritte per violino. Nel primo e nell’ultimo tempo, in particolare,  sono affidati compiti trascendentali,  per usare le parole del compositore Giacomo Manzoni. Del musicista russo sono riconoscibili l’impostazione,  lo slancio romantico già tratteggiato nel Concerto n. 1 per pianoforte e i passaggi più teneramente lirici. Il concerto, nei suoi tre movimenti,  Allegro moderato, Canzonetta e nel finale Allegro vivacissimo,  regala all’ascoltatore sensazioni spontanee di felicità.  Cajkovskij si allontana qui dagli schemi formali canonici, innovato una fantasia melodica di un marcato accento slavo, la stessa fantasia che tanto piacerà a Stravinskij. Sul podio dell’orchestra Rai a dirigere sarà il maestro giapponese Kazuki Yamaha,  direttore principale della Jan Philarmonic,  oltre che direttore ospite principale dell’Orchestra della Suisse Romane e della Filarmonica di Monte Carlo. Dirigerà anche l’esecuzione della Suite sinfonica opera 35 Sherazade di Nikolaj Rimski Korsakov,  ispirata al celebre poema delle Mille e una notte.

Mara Martellotta

 

Replica del concerto venerdì 17 aprile alle 20.30

Auditorium Rai Arturo Toscanini, piazza Rossaro

 

(Foto: il Torinese)

Torino regina del fumetto diventa Comics

comics

Tre giorni dedicati a curiosi, appassionati, collezionisti e Cosplayer (pratica di indossare costumi di serie televisive e film)

 

 

Venerdì 17, sabato 18 e domenica 19 aprile dalle ore 9.30 alle 19.30 presso Lingotto Fiere (via Nizza 280 a ‪#‎Torino‬), si svolgerà la 21° edizione della Mostra-mercato del FUMETTO “TORINO COMICS 2015”. Tre giorni dedicati a curiosi, appassionati, collezionisti e Cosplayer (pratica di indossare costumi di serie televisive e film), con proposte di editori, autoproduzioni, gadget, games, videogames, sfilate competitive e numerosi premi in palio. Biglietti: intero 13 euro, ridotto 11 euro, ridotto Cosplay 10 euro.

 

http://www.comune.torino.it/infogio/ric/2015/pub26105.htm

Quando la donna è "immaginata"

donna_immaginata

Esposizione curata dal disegnatore Dino Aloi: attraverso 180 vignette d’epoca (pubblicate sui giornali e riviste italiane e francesi dal 1850 a oggi), l’immagine della donna appare in tutte le sfaccettature classiche usate nella satira

 

Fino al 3 maggio a Ceva (Cn) presso la Biblioteca civica in Via Pallavicino 11, sarà visitabile la mostra di vignette satiriche “La donna immaginata. L’immagine della donna”, promossa dalla Consulta femminile del Consiglio regionale del Piemonte e curata dal disegnatore Dino Aloi. “La donna immaginata. L’immagine della donna”, è una mostra in cui, attraverso 180 vignette d’epoca (pubblicate sui giornali e riviste italiane e francesi dal 1850 a oggi), l’immagine della donna appare in tutte le sfaccettature classiche usate nella satira sul genere femminile: dalla bellissima seducente ma automaticamente stupida, fino alla donna poco aggraziata, robusta o incapace, rendendo evidenti luoghi comuni che accompagnano le donne da sempre. L’esposizione con ingresso gratuito, osserverà i seguenti orari: martedì e venerdì 16-19, mercoledì e sabato 9-12.30.

(clomonte – www.cr.piemonte.it)

I primi passi della riforma dell’assistenza territoriale

LETTO OSPEDALE

Solo lo 0,73% dei ricoverati over 70 intraprende successivamente un percorso di assistenza domiciliare integrata e solo lo 0,19% usufruisce poi dell’ospedalizzazione a domicilio, il 54,2% viene ricoverato nelle residenze sanitarie assistenziali e il 7,3% viene destinato alla riabilitazione 

 

 

Dopo la riforma degli ospedali tocca all’assistenza territoriale. La Giunta regionale ha infatti dato il via libera il 13 aprile ad un documento messo a punto dagli assessori alla Sanità, Antonio Saitta, e alle Politiche sociali, Augusto Ferrari, sul quale parte il confronto con gli operatori del settore per arrivare entro giugno all’approvazione definitiva.“Abbiamo lavorato con pragmatismo – ha sostenuto Saitta illustrandone i contenuti al termine della riunione dell’esecutivo – guardando a quanto è stato fatto nelle altre Regioni. Partiremo con un rilancio dei distretti, che saranno ridotti di numero ma molto rafforzati nelle competenze. Saranno questi, che oggi sono 56 ma potrebbero scendere fino a 30, i veri responsabili del governo della rete territoriale. Qui si incontreranno Asl e Comuni dell’area, ovvero sanità e servizi sociali, integrati con il vasto mondo del volontariato. Ogni distretto avrà un bacino di utenza fra gli 80mila ed i 150mila abitanti e coinciderà con l’ambito territoriale del Consorzio socio-assistenziale, con deroghe ad hoc per aree montane e scarsamente abitate”.

 

Come ha poi illustrato Saitta, “il rilancio della rete passerà dalle Aggregazioni funzionali territoriali, gestite da gruppi di 15-20 medici di base, con infermieri e assistenti sociali. Saranno questi i veri punti di riferimento dei cittadini per tutto ciò che riguarda salute e assistenza, incluso l’accesso alle prestazioni specialistiche. Un altro punto di forza saranno le Unità complesse di cure primarie. Ogni distretto ne avrà al massimo due, saranno aperte 24 ore su 24 e vi si troveranno anche gli specialisti. Il progetto prevede anche un ridisegno delle strutture complesse territoriali. Oggi in Piemonte ce ne sono 543, di cui 257 amministrative e 286 sanitarie, dopo la riforma diventeranno al massimo 318”. Il rafforzamento dell’assistenza territoriale vuole essere una risposta alle situazioni di ospedalizzazione impropria e all’eccessivo ricorso ai pronto soccorso degli ospedali. Ogni anno in Piemonte i passaggi nei pronto soccorso sono 1.768.800, di cui il 90,54% sono codici bianchi e verdi, mentre solo il 10% comporta un ricovero. I ricoveri annuali, escluso il day hospital, sono 492.400, e oltre il 40% riguarda pazienti sopra i 70 anni.

 

Ma solo lo 0,73% dei ricoverati over 70 intraprende successivamente un percorso di assistenza domiciliare integrata e solo lo 0,19% usufruisce poi dell’ospedalizzazione a domicilio, il 54,2% viene ricoverato nelle residenze sanitarie assistenziali e il 7,3% viene destinato alla riabilitazione. “Questi dati – ha evidenziato Saitta – ci dicono che circa l’80% dei pazienti over 70 dopo il ricovero torna a casa. Abbiamo qui un’altra prova della debolezza della nostra rete territoriale. Persone anziane vengono ospedalizzate impropriamente, quando un’azione mirata di rafforzamento del territorio con prevenzione e cure domiciliari potrebbe avere grande efficacia curativa, facendo registrare un beneficio anche alle casse della sanità piemontese”.“Sarà anche possibile – ha rimarcato l’assessore Ferrari – superare l’eccesso di frammentazione e sovrapposizione che spesso caratterizza le prestazioni offerte, creando così un sistema più chiaro e trasparente che consentirà alle Asl ed ai servizi sociali di lavorare insieme”.

 

redazione – www.regione.piemonte.it

Con l'illusione del "vero amore" vengono raggirate da truffatori

computer web

La storia tra il giovane ingegnere francese e la signora torinese sembra procedere a gonfie vele, fino a quando lui non comincia a tirar fuori un intervento chirurgico a cui si deve sottoporre ma che non viene coperto dalla sua assicurazione sanitaria. Da bravo e furbo truffatore non chiede esplicitamente i soldi ma fa in modo che sia Jolanda (ormai innamorata e pienamente fiduciosa) a imporgli di accettare il prestito

 

Un uomo colto e di bell’aspetto che in maniera apparentemente casuale era entrato a far parte dei suoi amici di Facebook. Francese, ingegnere, simpatico e dall’ affascinante oratoria; per Jolanda Bonino, signora torinese di mezz’età, sembrava essere arrivato finalmente “l’uomo dei sogni”. Purtroppo però, invece dell’ affascinante dolce metà con cui era pronta a coronare il suo sogno d’amore, la signora Jolanda si è trovata davanti un vero e proprio truffatore. L’uomo né francese né tanto meno ingegnere, si è rivelato essere un impostore proveniente dal centro Africa che dopo aver raggiunto l’obbiettivo di farla innamorare, è riuscito a raggirare la donna ottenendo una somma di denaro di quasi 800 euro.

 

Tutto è iniziato più di un anno fa quando tra i suoi contatti Facebook arriva la richiesta di amicizia da parte di un uomo più giovane e di bell’aspetto. Dopo poco tempo lui comincia a scriverle in chat, fornendo dettagli della propria vita che la signora Jolanda prudentemente controlla su internet e di cui trova conferma. Dopo un bel po’ di mesi iniziano sentirsi attraverso Skype in modo da potersi vedere : “Era un bell’uomo dalla carnagione bianca”- ha dichiarato la signora Jolanda – probabilmente ha usato uno di quei programmi per modificare la propria immagine durante le conversazioni video, o forse si è avvalso di un complice”. Insomma la storia tra il giovane ingegnere francese e la signora torinese sembra procedere a gonfie vele, fino a quando lui non comincia a tirar fuori un intervento chirurgico a cui si deve sottoporre ma che non viene coperto dalla sua assicurazione sanitaria. Da bravo e furbo truffatore non chiede esplicitamente i soldi ma fa in modo che sia Jolanda (ormai innamorata e pienamente fiduciosa) a imporgli di accettare il prestito. Ecco date le coordinate per la spedizione del denaro, ecco realizzata la truffa.

 

Dopo aver raccontato la sua storia e soprattutto denunciato il fatto in modo che altre donne come lei non finiscano nella rete di simili truffatori, la signora di Torino è stata contattata da centinaia di donne proveniente da tutta l’Italia. Molte non hanno ancora sporto denuncia ma hanno guardato con favore l’iniziativa di Jolanda di creare su Facebook, sulla scia di quanto avviene in Francia e Germania, il Comitato vittime cybercrime Piemonte. La polizia postale che sta indagando sul caso della signora Bonino, ha spiegato che truffe sentimentali di questo tipo sono diventate ormai un fenomeno piuttosto diffuso. Nei mesi scorsi, per esempio, la procura di Torino ha coordinato un’altra inchiesta molto simile a questa, riguardante una signora raggirata da un sedicente soldato statunitense. Non è la prima volta che sentiamo parlare di truffatori e persone disoneste, ma forse questa volta la notizia ci lascia con un po’ più di amaro in bocca perché in fin dei conti quando si parla di sentimenti ci sentiamo tutti un po’ più vulnerabili; forse in ognuno di noi rivive una piccola parte della signora Jolanda e di tutte quelle donne ingannate dalla speranzosa ricerca del “vero amore”.

 

Simona Pili Stella

Lunedì 15 aprile 1912, l’affondamento del Titanic

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Delle 2.223 persone a bordo (equipaggio compreso), ne sopravvissero 705; gli altri, in gran parte, persero la vita per assideramento, causato dalla prolungata permanenza nell’acqua a zero gradi. Dalle 02.15 il destino del Titanic prese una piega irreversibile: sommerso per metà dall’acqua, lo scafo si spezzò in due e cinque minuti più tardi s’inabissò anche la poppa

 

 La prima classe costa mille lire,la seconda cento,la terza dolore e spavento;e puzza di sudore dal boccaporto,e odore di mare morto…E gira, gira, gira l’elica,e gira, gira che piove e nevica per noi ragazzi di terza classe che per non morire si va in America”. Così nel 1982, Francesco De Gregori, nel suo ottavo album “Titanic, parlava della nota nave passeggeri britannica affondata per la collisione con un iceberg per proporre una metafora dell’umanità che, divisa in classi, si dirige verso il disastro. Tutto accadde, nella storia vera e sventurata del Titanic, nella notte tra domenica 14 e lunedì 15 aprile 1912 , con l’impatto tremendo e il conseguente drammatico affondamento avvenuto nelle prime ore del15 aprile. Una scena apocalittica: l’iceberg come uno spettro bianco nel buio della notte, il violento impatto e l’avanzata incontenibile dell’acqua. Erano le 23.40 e il supertransatlantico, salpato il 10 aprile da Southampton per il suo primo viaggio, si trovava quattrocento miglia a sudest della costa di Cape Race (isola di Terranova, “Newfoundland” in inglese, territorio del Canada). E’ lì che si scontrò con un enorme iceberg: la vedetta Frederick Fleet l’avvistò solo quando era ormai a cinquecento metri di distanza («Iceberg di prua, signore!», gridò), e il primo ufficiale William M.Murdoch ordinò: «Tutto a dritta. Indietro a tutta forza».

 

Ma era tardi e la repentina virata a sinistra si rivelò inutile. Trentasette secondi dopo l’avvistamento avvenne l’urto a prua, sulla fiancata destra della nave, più di un terzo dei sedici compartimenti stagni rimasero danneggiati, a sei metri di profondità l’acqua incominciò a filtrare nella nave che trasportava oltre duemila passeggeri. In poche ore quello che si credeva un colosso inaffondabile si spaccò in due, inabissandosi per sempre sul fondo dell’oceano. Fu un colpo terribile al mito dell’infallibilità del progresso e s’infranse il sogno della Belle Époque. La costruzione del Titanic rappresentò il guanto di sfida lanciato dalla compagnia navale britannica White Star Line ai rivali della Cunard Line, che in quegli anni dominavano le rotte oceaniche con i transatlantici Lusitania e Mauretania. La nuova nave, completata in tre anni nei cantieri Harland and Wolff di Belfast e costata 7.5 milioni di dollari (equivalenti a 167 milioni di dollari di oggi), si estendeva in lunghezza per 269 m e in larghezza per 28 m, con una stazza complessiva di 46.328 tonnellate. Dotata di un motore a vapore, alimentato da 29 caldaie, venne salutata come un “gioiello di tecnologia e di sicurezza”, al punto da ritenerla “praticamente inaffondabile”. Come viaggio inaugurale venne stabilita la rotta da Southampton a New York, via Cherbourg e Queenstown. Preceduto nel nome dalla sigla RMS (che indicava la funzione di servizio postale), il Titanic iniziò il suo viaggio mercoledì 10 aprile 1912. A bordo 1.423 passeggeri più 800 unità di equipaggio agli ordini del capitano Edward John Smith. Le cabine erano divise in tre classi ( come sintetizza bene la canzone di De Gregori). Nella prima, la più lussuosa e il cui biglietto costava 4.350 dollari (83mila dollari di oggi), si accomodarono esponenti dell’aristocrazia e dell’alta borghesia dell’epoca, come il milionario Jacob Astor IV e l’industriale Benjamin Guggenheim (fratello del titolare dell’omonima fondazione d’arte).

 

Nella seconda, al prezzo di 60 dollari, presero posto gli appartenenti alla classe media. L’ultima si riempì di emigranti che con un biglietto da 32 dollari andavano incontro a una nuova vita nel continente americano. L’evento, abbastanza clamoroso, venne seguito con interesse dalla stampa e dall’opinione pubblica. Nella fretta di partire nei tempi previsti (sempre una cattiva consigliera, la fretta..)  e per alcuni cambi negli ufficiali avvenuti all’ultimo momento, vennero dimenticati i binocoli, costringendo i marinai di vedetta a svolgere a occhio nudo la loro attività. Un elemento che si rivelò fatale nel corso degli eventi. A ciò si unì una smodata frenesia di raggiungere la destinazione nel più breve tempo possibile, che portò a mantenere i motori costantemente al massimo. La velocità non fu ridotta nemmeno dopo la segnalazione fatta pervenire al capitano Smith, nella tarda mattinata di domenica 14 aprile: il messaggio avvertiva della presenza di ghiaccio a 400 km sulla rotta del Titanic. Circa dieci ore più tardi,nel buio fitto di una notte senza luna, le vedette avvistarono  l’iceberg quando ormai era di fronte alla nave. Una distanza che, alla velocità di crociera di 20 nodi (circa 37 km/h), impediva qualsiasi tentativo di evitare l’impatto. Alle 00.27, quando si comprese che la prua del Titanic stava lentamente affondando, venne lanciato un SOS dal marconista Jack Phillips, raccolto dal piroscafo Carpathia, distante 58 miglia dal luogo dell’impatto. La fase delle operazioni di salvataggio fu drammatica! Le scialuppe a disposizione erano soltanto sedici e ognuna poteva contenere fino a 60 persone. Per inesperienza e cattivo coordinamento tra loro, gli ufficiali ne fecero salire in molti casi un numero inferiore, riducendo ulteriormente la quota di passeggeri destinati a salvarsi.

 

Delle 2.223 persone a bordo (equipaggio compreso), ne sopravvissero 705; gli altri, in gran parte, persero la vita per assideramento, causato dalla prolungata permanenza nell’acqua a zero gradi. Dalle 02.15 il destino del Titanic prese una piega irreversibile: sommerso per metà dall’acqua, lo scafo si spezzò in due e cinque minuti più tardi s’inabissò anche la poppa. Nei giorni immediatamente successivi la notizia del disastro scioccò il mondo, creando le premesse per una profonda riflessione sull’episodio che portò alla convocazione della prima conferenza sulla sicurezza delle persone in mare. Le vittime italiane accertate furono 34, in gran parte camerieri residenti in Inghilterra. Il 10 giugno 2001, una domenica, ad Isernia, in Molise, morì Antonio Martinelli. Aveva ottantanove anni ed era ritenuto l’ultimo sopravvissuto del disastro del Titanic. Nato a Boston agli inizi del 1912, ancora in fasce era stato portato in Italia, a Sesto Campano, dalla madre la quale aveva poi deciso di tornare negli Stati Uniti. Il nipote Alessandro raccontò: “Lui parlava volentieri della tragedia del Titanic, raccontava spesso di quella notte della quale aveva saputo tutto, nei minimi dettagli, grazie ai racconti della madre, scomparsa nel 1972, con la quale viaggiava e che riuscì a salvarsi con il suo piccolo Tony. Io e mia madre ci siamo salvati – ripeteva sempre – perché gli ufficiali ordinarono di far salire sulle scialuppe di salvataggio prima le madri con i bambini più piccoli”. Così, l’ultima voce si spense e a “parlare” sono rimaste le migliaia di oggetti: piatti, vasellame, documenti, vestiti ma anche pezzi del leggendario transatlantico, compresa la campana della nave. Ma il Titanic non sarà mai recuperabile. Si consumerà, a poco a poco, nel silenzio dell’oceano.

 

Marco Travaglini

"Ciao amore mio", su Fb l'addio alla fidanzata morta cadendo da cavallo

CAVALLO EQUITAZIONE

Intanto i carabinieri hanno effettuato un nuovo sopralluogo nel centro ippico in cui è accaduto il tragico fatto

 

“Ciao amore mio, questa volta tu e Furfante, come ti piaceva chiamarlo, me l’avete fatta grossa”. L’agenzia Ansa riporta parte del saluto lungo e commovente  che Alessandro posta su Facebook per l’ultimo saluto alla fidanzata, Sabrina Manganaro, la giovane di 25 anni morta ieri nel torinese schiacciata dal peso del suo cavallo che l’ha travolta nel corso di una gara di equitazione nel canavese. Intanto i carabinieri hanno effettuato un nuovo sopralluogo nel centro ippico in cui è accaduto il tragico fatto.

VertebrArt, una mostra per collegare chi si occupa di sanità

vertebrart

L’allestimento, realizzato con il patrocinio del Consiglio regionale e visitabile fino al 20 aprile, è frutto della collaborazione tra chirurghi della Vertebral Equipe di Torino e artisti che hanno elaborato strumenti medici con stoffe colorate messe a disposizione dalla sartoria Orlando Furioso

 

Creare un ideale collegamento con le istituzioni che si occupano di Sanità in Piemonte. È lo scopo della mostra VertebrArt, presentata a Palazzo Lascaris dall’Associazione VertebrArt di Torino.L’allestimento, realizzato con il patrocinio del Consiglio regionale e visitabile fino al 20 aprile, è frutto della collaborazione tra chirurghi della Vertebral Equipe di Torino e artisti che hanno elaborato strumenti medici con stoffe colorate messe a disposizione dalla sartoria Orlando Furioso, da anni impegnata in un percorso riabilitativo per donne con difficoltà psichiche.

 

“La mostra – ha dichiaro Mauro Laus, presidente del Consiglio regionale – rappresenta un passo verso un approccio biopsicosociale, che coniuga, nei pazienti affetti da dolore cronico, lo studio della patologia insieme agli aspetti psicologici e sociali. Un metodo innovativo che permette ai malati di interagire con medici in grado di supportarli nella gestione personale del dolore stesso. È importante sottolineare – ha concluso Laus – la sensibilità e l’attenzione che la nostra Istituzione da sempre dedica a questi temi così delicati”.

 

“L’installazione che oggi possiamo ammirare nell’ingresso di Palazzo Lascaris – ha affermato Davide Caldo, presidente di VertebrArt – sarà itinerante in numerose sedi di associazioni cittadine, proprio per testimoniare il coinvolgimento, sempre maggiore, delle forze culturali attive sul territorio piemontese”.Le opere si ispirano allo Yarn bombing, una tecnica di street art e mirano a testimoniare il ruolo determinante dei fattori biologici, psichici e sociali nei pazienti con dolore cronico sottoposti a chirurgia. I pezzi che compongono la collezione sono stati ospitati separatamente, nei mesi scorsi, in diverse location torinesi aperte al pubblico e vengono ora riunite in un’installazione che richiama le vicende della pittrice Frida Kahlo, che a seguito di un incidente subì diverse lesioni e fratture vertebrali. Plauso all’iniziativa, che coniuga cultura e medicina, è stato inoltre espresso da Nino Boeti, vicepresidente del Consiglio regionale e Daniele Valle (Pd), presenti all’inaugurazione.

 

(Daniela Roselli – www.cr.piemonte.it)