LIFESTYLE- Pagina 435

Quando Cupido colpisce al banco surgelati

In 72 supermercati sparsi fra Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna, in tanti si sono presentati, nella fascia oraria indicata, con un fiocco rosso annodato nella parte anteriore del carrello, per guardarsi intorno e ricercare altri fiocchi rossi desiderosi di fare nuove amicizie

 

cuoreLei che spinge il carrello arraffando confezioni monoporzione di qua e di là, lui intento a scegliere il vino. Uno sguardo, un sorriso, un timido tentativo di conversazione e poi boom, di colpo l’amore. Quante volte abbiamo visto questa scena in una classica commedia romantica o magari abbiamo immaginato l’intera situazione mentre aspettavamo un po’ annoiati in coda alla cassa del supermercato. Se nei film e nella nostra fantasia il tutto risulta molto romantico e soprattutto facile da realizzare, nella realtà in molti si domandano come fare e in pochissimi (anzi forse nessuno) riescono.Per questo motivo l’esperto organizzatore di eventi, Roberto Dellanotte (noto ai più esperti per “La cena degli Sconosciuti” già nel 2002), ha pensato ad un esperimento sociale per mettere in contatto persone interessate a fare nuove conoscenze. Il 23 aprile, in 72 supermercati sparsi fra Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna, in tanti si sono presentati, nella fascia oraria indicata, con un fiocco rosso annodato nella parte anteriore del carrello, per guardarsi intorno e ricercare altri fiocchi rossi desiderosi di fare nuove amicizie. Un modo semplice ed originale per conoscersi che non richiede alcun tipo di iscrizione o obbligo e che può evitare l’imbarazzo di approcciare con persone non interessate o addirittura già impegnate. Fiocco rosso equivale alla dichiarazione di essere liberi da legami sentimentali e di aver voglia di conoscere nuove persone anche solo per allargare la propria compagnia di amici e se si è fortunati, anche la possibilità di trovare la “propria anima gemella”.In Piemonte l’iniziativa è stata attiva a Torino, Alessandria, Asti, Biella, Novara, Verbania e Vercelli, mentre per conoscere i punti vendita aderenti all’iniziativa (con annessi i rispettivi orari) e tutti i dettagli dell’evento, è stato predisposto sito www.laspesadeisingle.it. “L’amore non si compra, ma lo trovi al supermercato” è lo slogan dell’iniziativa che comparso all’interno degli iperstore coinvolti, per avvisare sia la solita clientela, sia nuovi clienti recatisi apposta per prenderne parte. E chi lo sa, magari da oggi, grazie a Dellanotte e al suo evento, due fiocchi rossi potrebbero trasformarsi in futuro in un fiocco rosa o azzurro.

 

Simona Pili Stella

La magia del violoncello di Sol Gabetta

Sol-Gabetta

All’Auditorium Rai di Torino, nell’esecuzione delle musiche di Camille Saint-Saens

 

 

La celebre violoncellista argentina Sol Gabetta,  che negli ultimi anni ha conquistato i palcoscenici di tutto il mondo, proporrà stasera e domani sera,  23 e 24 aprile, alle 21,  all’Auditorium Rai di Torino, il Concerto n. 1 in la minore op. 33 per violoncello e orchestra di Camille Saint-Sains. Sul podio il direttore d’orchestra ucraino Kirill Karabits,  Direttore principale della Bournemouth Symphony Orchestra, che, in apertura di concerto, dirigerà la Sinfonietta in la maggiore op. 5/ 48 di Sergej Prokof’ev.  La chiusura del concerto è affidata alla Sinfonia n. 3 in re maggiore op.  29 di Petr Il ‘ic Cajkovskij,  il cui sottotitolo, Polacca, è dovuto al ritmo caratteristico di danza nel finale. Prokof’ev compose la Sinfonietta a soli diciotto anni, quando stava completando la sua formazione al Conservatorio di Mosca. La Sinfonietta op. 5, collocata al momento iniziale di un’attività compositiva che si sarebbe di lì a poco amplificata, incidendo profondamente sui mutamenti della musica del Novecento, non avrebbe dovuto superare, secondo l’opinione dei più, i limiti di una sbagliata ambizione. Invece non fu così.  Il primo movimento,  un Allegro Giocoso, è siglato da una maliziosa proposizione di un clarinetto solo. Prokof’ev usa in modo programmatico uno stile privo di trucchi tecnicistici,  che vuole essere un omaggio alle tradizioni ormai consolidate della Scuola russa. D’altronde assistiamo al tempo stesso a una semplificazione,  che verrà impropriamente definita “musica della realtà”, che poi ritornerà a essere presente nell’ultimo Prokof’ev, e che, per la Sinfonietta n. 5, è stata definita ” programmatica semplificazione della linea melodica, sobria e lineare,  sorretta da una limpida e essenziale chiarificazione della base armonica, associata a una razionale e lucidissima esplicazione dell’idea tematica”. Il secondo movimento è un Andante, il terzo un Intermezzo  (Vivace), il quarto uno Scherzo fondato su un Allegro risoluto, cui segue il quinto movimento finale dell’Allegro giocoso.

 

Mara Martellotta

 

 

Il concerto viene replicato venerdì 24 aprile  alle 20.30 all’ Auditorium Rai in piazza Rossaro.

Il Tartufo al Carignano, con Moliere si riflette su ipocrisia e stupidità

teatri

Una regia innovativa di Marco Sciaccaluga per  il grande capolavoro provocatorio nella Francia del re Sole. Tullio Solenghi e Eros Pagni danno il volto nel Tartufo alla sempre attuale dialettica tra ipocrisia e stupidità

 

Due interpreti di eccezione per la messinscena al teatro Carignano di Torino del capolavoro di Moliere,  il Tartufo: Eros Pagni e Tullio Solenghi, che danno vita alla sempre attuale dialettica fra  ipocrisia e stupidità.  Quando Moliere mise in scena  per la prima volta il Tartufo, nel 1664, dovette fronteggiare la famigerata “cabala dei devoti” che, a quel tempo, infestava la corte del re Sole e che riuscì a far bandire per diversi anni la commedia. Non ci si deve stupire del fatto, perché il drammaturgo francese proponeva la storia di un sepolcro imbiancato,  un falso devoto, un baciapile bugiardo che, dietro false pie sembianze, nascondeva, invece, una natura ben diversa, che lo portava a circuire il ricco e fin troppo ingenuo Orgon, per spogliarlo dei beni e approfittarne della moglie. Il regista Marco Sciaccaluga, portando in scena un testo sempre attuale, nella nuova traduzione di Valerio Magrelli, attenua però i toni cupi e le ostentazione devote del protagonista,  prediligendo il registro farsesco, che risulta perfetto per mettere alla berlina le umane debolezze. “Il Tartufo – spiega Sciaccaluga –  è la tipica commedia strutturata a suspense, in cui il pubblico, come quasi tutti i personaggi, ha la consapevolezza chiara di chi sia l’assassino;  ma, attraverso il registro comico, è costretto a vivere nell’angoscia, perché proprio colui che detiene il potere in quella casa non riesce a accorgersene,  conducendo cosi la famiglia alla rovina”.approfittarne

 Mara Martellotta

Teatro Carignano,  dal 21 aprile al 3 maggio

Torino, il Jazz Festival guarda a Expo

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La rassegna festeggia  con un’Anteprima – il Jazz della Liberazione –  la  ricorrenza del 25 aprile per il Settantesimo

 

Presso i Murazzi Student Zone è stata presentata la quarta edizione del Torino Jazz Festival che si svolgerà dal 28 maggio al 2 giugno in concomitanza con l’Expo 2015, e festeggia – con un’Anteprima – il Jazz della Liberazione, la fondamentale ricorrenza del 25 aprile per il Settantesimo. Il TJF – che oltre a essere un festival musicale è un grande racconto sul jazz dove si incontrano musica, arte, danza, libri e tanto altro ancora – si inaugurerà il 28 maggio con il Sonic Genome del maestro Anthony Braxton che in prima europea guiderà al Museo Egizio una grandiosa performance di otto ore con 70 musicisti. In questa edizione gli appuntamenti principali del main festival si svolgeranno in piazza San Carlo e quelli del Fringe ai Murazzi lungo il Po e nei locali vicini.

 

Molti gli appuntamenti all’interno dell’anteprima Jazz Festival. Oltre al Jazz della Liberazione e ai concerti in programma per la Giornata Internazionale Unesco del Jazz ricordiamo: il 4 maggio la Biblioteca Civica Musicale Andrea Della Corte (Villa Tesoriera) ospiterà il pluripremiato pianista Guido Manusardi che interpreterà Standard ed Evergreen della Tradizione Afro-Americana. Il 12 maggio al Circolo dei Lettori, (via Bogino 9) sarà presentata l’autobiografia di un protagonista assoluto del jazz italiano, Gaetano Liguori. Il pianista e compositore sarà intervistato da Franco Bergoglio. Il 23 maggio al Centro Giovani Factory di Nichelino si terrà Le Maleteste Sbanda, produzione originale in occasione del centenario della grande guerra e al Palazzo Santa Chiara di Chivasso il concerto di Elisabetta Antonini. Saranno in programma anche tre spettacoli musicali all’Expo 2015 di Milano: l’8 maggio Furio di Castri & Fringe All Stars e il 14 Maggio Emanuele Cisi NY3 al The Waterstone by Intesa Sanpaolo; il 12 maggio Enrico Rava Meets “Soupstar” all’Auditorium.

 

(Fonte: www.spaziotorino.it – Foto: Piazza-Vittorio, by Luigi Ceccon)

23 aprile, il giorno del Bardo

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In quella data, nel1564, nacque William Shakespeare e, nel medesimo giorno, cinquantadue anni dopo, morì ( correva l’anno 1616) quello che per tutti è uno dei più illustridrammaturghi e poeti d’ogni tempo

 

Il 23 aprile si potrebbe, volendo, definire come il “giorno del Bardo”. Infatti, in quella data, nel1564, nacque William Shakespeare e, nel medesimo giorno, cinquantadue anni dopo, morì ( correva l’anno 1616) quello che per tutti è uno dei più illustridrammaturghi e poeti d’ogni tempo. Tutto accadde, l’inizio e la fine della vita del più grande “bardo” della Gran Bretagna,  nello stesso paese a nord-ovest di Londra, Stratford-upon-Avon. Ad essere sinceri sui suoi dati biografici c’è parecchia incertezza. Addirittura, il periodo successivo al matrimonio con Anne Hathaway (da cui ebbe tre figli: Susannah e due gemelli, Hamnet e Judith) viene definito dagli studiosi con il termine  “lost years”, gli “anni perduti”, per l’assenza di documenti certi sulla sua vita. Resta il fatto che il suo nome cominciò ad essere popolare in ambito teatrale verso la fine del Cinquecento, periodo a cui risalgono anche i primi poemi come  “Venere e Adone” e “Il ratto di Lucrezia”, e l’inizio dei Sonetti. La fama che lo ha fatto conoscere in ogni angolo del mondo è legata all’ampia produzione teatrale, che conta circa 11 tragedie, 16 commedie e 10 drammi storici, pubblicate tutte nell’arco di un ventennio. Capolavori immortali, tradotti in tutte le lingue, assolutamente straordinari e ricchi di fascino al punto da rappresentare una parte fondamentale del repertorio classico universale: dal dramma storico Enrico VI (1588) alla commedia Sogno di una notte di mezza estate (1595), passando per le famose tragedie di Romeo e Giulietta (1594-1596), Amleto (1600-1602) e Otello (1604). Per non parlare poi  del Giulio Cesare o di Macbeth e la Tempesta. Shakespeare  contribuì, con le sue espressioni linguistiche entrate nell’inglese quotidiano, ad innovare la lingua del paese su cui sventola l’” Union Jack”.

 

Marco Travaglini

Ecco gli idonei a direttore generale Asr

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La commissione selezionatrice ha agito nella massima indipendenza dalla politica

 

Il direttore generale dell’Assessorato alla Sanità, Fulvio Moirano, ha pubblicato il 21 aprile la determina che recepisce i 50 candidati idonei all’incarico di direttore generale delle aziende sanitarie piemontesi, che saranno deliberati dalla Giunta nella riunione del 27 aprile. Il presidente Sergio Chiamparino l’ha definita “una lista di buona qualità, ed è significativo che molti nomi siano da fuori Piemonte. La commissione selezionatrice ha agito nella massima indipendenza dalla politica. Adesso dovremo valutare i candidati. Non c’è sapore di procedura preconfezionata, questo è il motivo per cui molte domande sono esterne al Piemonte. A questo punto – ha concluso – aspettiamo le proposte di Fulvio Moirano. saremo attenti al merito, non abbiamo avuto alcuna pressione, né io né l’assessore Saitta siamo in alcun modo disponibili alle pressioni”. Leggi l’elenco

 

(www.regione.piemonte.it)

l'Aida di Friedkin apre la stagione al Regio

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A inaugurare la ricca stagione 2015-16  sarà l’Aida per la regia di Friedkin, regista anche dell’Esorcista. Il Regio si apre ai giovani proponendo il celebre musical Cats

 

“Apri gli occhi e sogna”. Non si tratta in realtà dello slogan di una pubblicità,  ma dell’invito agli appassionati  amanti della musica e melomani a seguire la prossima stagione lirica 2015-2016 del Teatro Regio di Torino.  Alla presenza del nuovo direttore artistico Gaston Fournier-Facio, del sovrintendente  Walter Vergnano, del direttore musicale Gianandrea Noseda e del sindaco torinese Fassino, sono stati annunciati i 14 titoli che comporranno la prossima stagione lirica, articolati in nove opere, due balletti, una cantata lirica, un musical e il Gala di danze, articolati poi in diversi progetti culturali.

 

L’inaugurazione sarà affidata mercoledì 14 ottobre prossimo alla celebre opera verdiana Aida, in una riproposizione del teatro Regio di Torino,  per la regia di William Friedkin, regista premio Oscar e autore di film come l’Esorcista. Si tratta di un titolo omaggio al museo Egizio, nell’anno della sua rinnovata riapertura. Si proseguirà con Didone e Enea di Henry Purcell, nell’ambito del progetto Opera Barocca. Anna Karenina e Evgenij Oneghin saranno i titoli dei due balletti, il primo su musiche di Cajkovskij e basato sull’omonimo romanzo di Lev Tolstoj, il secondo un balletto in due atti, basato sul romanzo in versi di Aleksandr Puskin, entrambi eseguiti dall’Eifam Ballet di San Pietroburgo.  Quindi seguiranno i Carmina Burana di Carl Orff,  presentati in forma teatrale, mentre dal 28 dicembre il Regio ospiterà quattro appuntamenti con le Etoile Roberto Bolle. Una grande novità della stagione operistica sarà rappresentata dal musical “Cats” di Andrew Lloyd Webber, in scena dal 25 al 28 febbraio, operistica che vuole rappresentare un invito rivolto ai giovani a frequentare sempre più il teatro Regio.

 

A gennaio prenderà avvio il progetto Janacek-Carsen, per proporre i capolavori del compositore moravo,  uno dei capisaldi e padri del linguaggio musicale contemporaneo. Nei giorni 9-12 febbraio 2016 andrà in scena la Tosca con allestimenti provenienti dal Giappone, dal 15 al 24 marzo Cenerentola, e dal 14 al 24 marzo La donna serpente.  Non mancherà un omaggio a Donizetti con la messinscena del suo più celebre capolavoro,  la Lucia di Lammermoor,  dall’11 al 22 maggio in prima nazionale.  Approderà per la prima volta a Torino Pollicino (28-31/5), omaggio al composito Hans Werner Henderson.  A chiudere la stagione operistica sarà grandiosa Carmen,  il capolavoro di Bizet (22 giugno-3 luglio).

 

Mara Martellotta

I "Puritani" composti a Parigi e tanto amati dalla Regina Vittoria

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Nel nuovo allestimento del Maggio Musicale Fiorentino la più romantica delle opere di Vincenzo Bellini

 

In scena da martedì 14 aprile, alle 20, al taetro Regio di Torino una delle opere più romantiche, ma meno rappresentate, di Vincenzo Bellini, I Puritani, nel nuovo allestimento in coproduzione con il Maggio Musicale Fiorentino, per la regia di Fabio Ceresa. Protagonisti Desireé Rancatore nei panni del soprano, Olga Peretyatko in quelli di Elvira, figlia di lord Valdon, e  Dmitry Korchak in quelli del cavaliere, Lord Arturo Talbo. Fu l’ultima opera del compositore catanese, che sarebbe stato stroncato per un’infezione a soli 35 anni. Fu composta a Parigi per un pubblico essenzialmente francese.

 

Felice Romani, il proprio librettista favorito,  non fu più ingaggiato. Bellini, invece, incontrò, nei salotti di Cristina Trivulzio di Belgioioso, fuggita in Francia in seguito ai suoi contatti con la carboneria,  il conte Carlo Pepoli. E Proprio lui sarebbe stato il librettista dei Puritani. Pepoli si trovava anch’egli in esilio e si riteneva un poeta. Ricavò dal dramma storico Tetes rondes e Chavaliers di Jacques Francois Ancelot e Joseph Xavier Boniface uno dei libretti più  scombinati della storia del melodramma. Tuttavia Bellini a Parigi ebbe la fortuna di disporre di voci davvero eccezionali. Dopo una prima versione, ne scrisse una seconda per il San Carlo di Napoli, adattando i registri (in particolarer quello della protagonista, da soprano a mezxza soprano).

 

L’opera fu rappresentata per la prima volta a Milano, al teatro La Scala, il 26 dicembre 1835, tre mesi dopo la morte di Bellini, avvenuta il 23 settembre. Presenta una scrittura orchestrale di grande importanza. A differenza di altre composizioni liriche di Bellini si tratta di un’opera densa di presagi che la avvicinano molto al movimento romantico francese, e non solo di supporto al belcanto. Il libretto narra di amori, intrighi, tradimenti e pazzia, che si intrecciano ai tempi delle guerre di Cromwell con gli Stuart, con  un colpo di scena finale a lieto fine. Un celebre allestimento fu firmato da De Chirico.  Interpreti molto applaudite dell’opera sono state Joan Sutherland e Maria Callas, molto apprezzate nell’aria “O rendetemi la speme”. La regina Vittoria era molto legata a quest’opera che definiva affettuosamente “I nostri cari Puritani”.

 

(Foto: il Torinese)

Mara Martellotta

Arrivano 700 profughi, Chiamparino: "Problema di portata europea"

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marroneProfughiMaurizio Marrone: “I nuovi 700 profughi imposti da Alfano alla nostra Regione si aggiungono ai 2.800 già presenti in questo momento nel sistema dell’accoglienza piemontese pagato con i nostri soldi, 1.128 solo a Torino!”

 

 AGGIORNAMENTO La dichiarazione del presidente della Regione, Sergio Chiamparino: “Dopo l’incontro con il Ministro Alfano ci siamo impegnati a fare fronte a una situazione che sta diventando una vera e propria emergenza umanitaria, con l’obiettivo di non lasciare le regioni rivierasche del Sud ad affrontare da sole questo fenomeno. Una risposta che è e deve essere corale e che presuppone una reale collaborazione tra Stato, Regioni ed enti locali. Per quanto riguarda il Piemonte, stiamo già collaborando con tutte le Prefetture  per dare in tempi rapidi una risposta che è prima di tutta umanitaria, ci auguriamo che anche le altre autorità dello Stato collaborino attivamente per trovare soluzioni efficaci. Dobbiamo comunque tenere presente che il problema profughi ha un’ampiezza tale da imporre un’urgente presa in carico a livello europeo, sia nella fase del contrasto al traffico di esseri umani, sia per quanto riguarda l’accoglienza e l’inserimento di queste persone.”

 

“In Piemonte sono in arrivo 700 profughi e la Regione farà la sua parte nell’accoglierli”. Così l’assessore all’Immigrazione, Monica Cerutti. “La Regione deve fare la sua parte nell’accoglienza – spiega –  ma la nostra richiesta è di una maggiore programmazione, per poter garantire una sistemazione dignitosa e ben distribuita sul territorio”. Il 40% dei profughi sarà destinato Torino, mentre il 60% nel resto del territorio regionale.

 

<<Proprio nel giorno in cui il Ministero degli Interni comunica alla Regione Piemonte l’imposizione di nuovi 400 profughi da ospitare nel nostro territorio, ho avuto dalla Giunta regionale i numeri precisi degli ultimi arrivi e dei rifugiati attualmente presenti nelle nostre città, a partire dal Capoluogo: dati che mettono i brividi, cifre insostenibili per il nostro welfare già allo stremo, insufficiente già a sostenere gli Italiani in difficoltà>> attacca Maurizio Marrone, Capogruppo di Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale in Regione e Comune di Torino.

 

Spiega: <<I nuovi 700 profughi imposti da Alfano alla nostra Regione si aggiungono ai 2.800 già presenti in questo momento nel sistema dell’accoglienza piemontese pagato con i nostri soldi, 1.128 solo a Torino! Nell’ultimo anno sono arrivati in Piemonte ben 7.110 profughi, di cui 2.563 solo a Torino.Ora basta! Il Piemonte ha già dato con un intero ghetto abusivo nato a Torino alle palazzine olimpiche dell’ex MOI, occupato da un migliaio di immigrati già scaricati dal welfare piemontese: di fronte alla macelleria sociale annunciata nel bilancio regionale 2015 è il caso di pensare prima agli Italiani, imporremo a Chiamparino lo stop a qualsiasi ulteriore accoglienza con una mozione in Consiglio Regionale!>> annuncia Marrone.

Praga e Terezìn, l’Europa di mezzo e il “secolo breve”

terezin Praga Ponte Carlopraga1Reportage di Marco Travaglini

Praga è una città magica che si specchia da più di dieci secoli nelle acque della Moldava, dominata dal Castello (Pražský hrad), la più grande fortezza medievale esistente, oltre che simbolo emblematico del grande passato storico, culturale e sociale della capitale. Terezìn  si trova ad una sessantina di chilometri a nordovest di Praga. Con l’autobus, dalla stazione praghese di Florenc, s’impiega quasi un’ora per arrivare. Fa abbastanza freddo e le nuvole grigio ferro lasciano trapelare solo qualche timido e intirizzito raggio di sole

 

 

“Loro” ad Artstetten, “lui”  a Sarajevo

Mentre l’arciduca Francesco Ferdinando e la sua consorte Sofia, uccisi nell’attentato di Sarajevo, sono sepolti nella tomba di famiglia al castello di Artstetten,  nella valle di Wachau, in bassa Austria, il corpo del ragazzo che quel 28 giugno mise fine alle loro vite dando l’avvio all’escalation che avrebbe portato alla prima guerra mondiale, giace a Ciglane, sobborgo nel centro di Sarajevo. È all’interno di una piccola cappella che non viene segnalata, nemmeno dalle guide turistiche, che sono conservate le spoglie mortali di Gavrilo Princip. Solo una scritta, in cirillico, recita: “beato colui che vive per sempre, perché non è nato invano”.

 

 

Tra una guerra e l’altra

 La regione di Theresienstadt/Terezìn, quella dei Sudeti, era da molti secoli abitata prevalentemente da popolazioni di etnia e lingua tedesca, pur trovandosi in territorio boemo. Dopo l’anschluss dell’Austria nel marzo del ’38, Hitler annesse anche la regione dei Sudeti nell’ottobre dello stesso anno, dopo aver ottenuto il consenso dei governi inglese e francese (ma non di quello Cecoslovacco) alla Conferenza di Monaco. Così, nel 1940, la Gestapo iniziò la costruzione di un enorme ghetto nella fortezza, facendone un campo di lavoro forzato.

 

 

terezin2Da Terezìn alle camere a gas di Auschwitz

Nel periodo in cui durò il ghetto – dal 24 novembre 1941 fino alla liberazione avvenuta l’8 maggio 1945 – passarono per lo stesso 140.000 prigionieri. Proprio a Terezìn perirono circa 35.000 detenuti. Degli 87.000 prigionieri deportati a Est, dopo la guerra fecero ritorno solo 3.097 persone. Fra i prigionieri del ghetto di Terezìn ci furono all’incirca 15.000 bambini, compresi i neonati. Erano in prevalenza bambini degli ebrei cechi, deportati a Terezìn insieme ai genitori, in un flusso continuo di trasporti fin dagli inizi dell’esistenza del ghetto. A maggior parte di essi morì nel corso del 1944 nelle camere a gas di Auschwitz. Dopo la guerra non ne ritornò nemmeno un centinaio e di questi nessuno aveva meno di quattordici anni. I bambini sopportarono il destino del campo di concentramento assieme agli altri prigionieri di Terezìn.

 

 

Fame, miseria e sofferenza

Dapprima i ragazzi e le ragazze che avevano meno di dodici anni abitavano nei baraccamenti assieme alle donne; i ragazzi più grandi erano con gli uomini. Tutti i bambini soffrirono assieme agli altri le misere condizioni igieniche e abitative e la fame. Soffrirono anche per il distacco dalle famiglie e per il fatto di non poter vivere e divertirsi come bambini. Per un certo periodo i prigionieri adulti riuscirono ad alleviare le condizioni di vita dei ragazzi facendo sì che venissero concentrati nelle case per i bambini. La permanenza nel collettivo infantile alleviò un tantino, specialmente sotto l’aspetto psichico, l’amara sorte dei piccoli prigionieri.

 

 

La scuola del ghetto

Nelle case operarono educatori e insegnanti prigionieri che riuscirono, nonostante le infinite difficoltà e nel quadro di limitate possibilità, a organizzare per i bambini una vita giornaliera e perfino l’insegnamento clandestino. Sotto la guida degli educatori i bambini frequentavano le lezioni e partecipavano a molte iniziative culturali preparate dai detenuti. E non furono solo ascoltatori: molti di essi divennero attivi partecipanti a questi avvenimenti, fondarono circoli di recitazione e di canto, facevano teatro per i bambini. I bambini di Terezìn scrivevano soprattutto poesie. Una parte di questa eredità letteraria si è conservata.

 

 

L’Olocausto con gli occhi dell’innocenza

L’educazione figurativa veniva organizzata nelle case dei bambini secondo un piano preciso. Le ore di disegno erano dirette dall’artista Friedl Dicker Brandejsovà. Il complesso dei disegni che si è riusciti a salvare e che fanno parte delle collezioni del Museo statale ebraico di Praga, comprende circa 4.000 disegni. I loro autori sono per la gran parte bambini dai 10 ai 14 anni. Utilizzavano i più vari tipi e formati della pessima carta di guerra, ciò che potevano trovare, spesso utilizzando i formulari già stampati di Terezìn, le carte assorbenti. Per il lavoro figurativo i sussidi a disposizione non bastavano e i bambini dovevano prestarseli a vicenda.

 

 

Dalle farfalle alle esecuzioniterezin1

I disegni si possono suddividere in due gruppi fondamentali: da una parte di disegni sul loro passato, in cui i piccoli tornavano alla loro infanzia perduta. Disegnavano giocattoli, piatti pieni di cose da mangiare, raffiguravano l’ambiente della casa perduta. Disegnavano e dipingevano prati pieni di fiori e farfalle in fiore e farfalle in volo, motivi di fiaba, giochi di bambini. La maggior parte della collezione comprende questo tipo di disegni. Il secondo gruppo invece è formato da disegni sul ghetto di Terezìn. Raffigurano la cruda realtà in cui i bambini erano costretti a vivere. Qui si vedono raffigurate le caserme di Terezìn,i blocchi e le strade, i baraccamenti con i letti a tre piani, i guardiani. Ma i bambini disegnavano anche i malati, l’ospedale, il trasporto, il funerale o un’esecuzione.

 

 

Credevano in un domani migliore

Nonostante tutto però i piccoli di Terezìn credevano in un domani migliore. Espressero questa loro speranza in alcuni disegni in cui hanno raffigurato il ritorno a casa. Sui disegni c’è di solito la firma del bambino, talvolta la data di nascita e di deportazione a Terezìn e da Terezìn. La data di deportazione da Terezìn è anche in genere l’ultima notizia del bambino. Questo è tutto quanto sappiano sugli autori dei disegni, ex prigionieri bambini del ghetto nazista di Terezìn. La stragrande maggioranza dei bambini di Terezìn morì. Ma è rimasto conservato il loro lascito letterario e figurativo che a noi parla delle sofferenze e delle speranze perdute.

 

 

terezin praga venceslaoPiazza San Venceslao

Il ritorno a  Praga necessita di una visita  alla piazza di San Venceslao. La Vaclavské , come la chiamano i praghesi,  è un luogo alquanto anomalo. Più che una piazza vera e propria è un largo viale lungo 750 metri nel cuore di Nové Město, la città nuova. Per ammirarne la maestosità si può raggiungere il Museo Nazionale, alla sua sommità, e da lì  – dove è stata collocata la statua equestre di San Venceslao –  guardare il lungo viale. In questo punto, un tempo, c’era la Porta dei Cavalli, che alla fine dell’Ottocento venne abbattuta per far spazio al monumentale museo. Insieme al santo a cavallo ci sono i quattro patroni della Repubblica Ceca (Ludmilla e Procopio davanti, Adalberto e Agnese dietro). Sullo zoccolo si possono leggere delle parole che i cechi hanno sempre invocato nei momenti di difficoltà: “Non lasciarci perire, noi e i nostri discendenti”.

 

 

Simbolo dell’indipendenza 

Piazza San Venceslao, i Piccoli Champs-Élysées,  rappresenta il simbolo dell’identità praghese e ceca da quando, nel 1848, durante i moti rivoluzionari, venne chiamata così. Nel 1918 fu da qui che partirono le rivolte antiasburgiche a favore dell’indipendenza nazionale, dichiarata il 28 ottobre di quell’anno. E fu lì che, nell’agosto del 1968 i praghesi  protestarono contro l’invasione dei carri armati sovietici venuti a stroncare la Primavera di Praga, l’esperimento di “socialismo dal volto umano” (in pratica una vera e propria liberalizzazione e democratizzazione della vita politica) portata avanti dai dirigenti comunisti di quel paese guidati da Alexander Dubček. Alla mente ritorna una delle più belle canzoni di Francesco Guccini: “Di antichi fasti la piazza vestita, grigia guardava la nuova sua vita: come ogni giorno la notte arrivava, frasi consuete sui muri di Praga. Ma poi la piazza fermò la sua vita e breve ebbe un grido la folla smarrita, quando la fiamma violenta ed atroce, spezzò gridando ogni suono di voce”. La fiamma è quella che, la sera del 16 gennaio 1969, trasformò in una torcia umana il corpo di un giovane studente di filosofia praghese, il ventenne Jan Palach. Il suo sacrificio fu un gesto di libertà, un grido contro tutte le tirannie.

 

 

terezin palachIl “testamento” di Jan Palach

Sul suo quaderno scrisse quello che può essere definito, a tutti gli effetti, il suo testamento politico. Leggiamolo: “Poiché i nostri popoli sono sull’orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l’onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana. Noi esigiamo l’abolizione della censura e la proibizione di Zparvy (il giornale delle forze d’occupazione sovietiche). Se le nostre richieste non saranno esaudite entro cinque giorni, il 21 gennaio 1969, e se il nostro popolo non darà un sostegno sufficiente a quelle richieste, con uno sciopero generale e illimitato, una nuova torcia s’infiammerà”. Il gesto di Jan Palach non rimase isolato: almeno altri sette studenti, tra cui il suo amico Jan Zajíc ( la “torcia numero due” ),seguirono il suo esempio.

 

 

“..la città intera che lo accompagnava”

 Il funerale di Jan Palach ( che venne poi sepolto nel cimitero di Olšany)  fu programmato per domenica 25 gennaio 1969. L’organizzazione fu curata dall’Unione degli studenti di Boemia e Moravia. Vi parteciparono circa seicentomila persone, arrivate da tutto il paese. In silenzio, proprio  come racconta la già citata canzone di Guccini (“dimmi chi era che il corpo portava,la città intera che lo accompagnava:la città intera che muta lanciava una speranza nel cielo di Praga”). Quel giorno, in una Praga plumbea,  scrisse  Enzo Bettiza sul Corriere della Sera .. “il suono delle sirene a mezzogiorno e il rintocco delle campane trasformano l’intera città in un «paesaggio pietrificato», dove tutti rimangono fermi e silenziosi per cinque minuti”.

 

 

A terra, la croce..

 Il monumento in sua memoria ( e di Jan Zajíc ) è poco visibile. Si trova a pochi metri dalla fontana davanti all’edificio del Museo Nazionale, dove Jan si cosparse di benzina e si dette fuoco. Nei giorni seguenti, in quello stesso luogo, si tenne lo sciopero della fame a sostegno delle rivendicazioni espresse da Palach e fu esposta la sua maschera funebre.  Il monumento, realizzato dall’artista Barbora Veselá e dagli architetti Čestmír Houska e Jiří Veselý, è stato realizzato in forma orizzontale. Dal lastricato del marciapiede emergono due bassi tumuli circolari collegati da una croce di bronzo (che simboleggia allo stesso tempo un corpo come una torcia umana). La posizione della croce indica la direzione in cui Jan Palach cadde a terra. Sul braccio sinistro della croce si leggono i nomi di Jan Palach e Jan Zajíc con le rispettive date di nascita e morte. Entrambi , e prima di loro, gli insorti di Budapest nel 1956, furono i primi caduti per la nuova Europa. Ci vollero vent’anni per riconquistare pienamente indipendenza e libertà, fino al novembre del 1989, quando s’avvio la “rivoluzione di velluto” che in breve rovesciò il regime cecoslovacco e filosovietico di  Gustáv Husák ed elesse presidente della Repubblica lo scrittore e drammaturgo Václav Havel, mentre Dubček fu acclamato, riabilitato ed eletto presidente del Parlamento.

 

Marco Travaglini