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La parrocchia del Duomo è in festa

Festa della comunità parrocchiale con pranzo, salita alla Torre campanaria e  caccia al Tesoro nel Museo Diocesano

Domenica 26 maggio sarà una giornata particolare di festa per la comunità parrocchiale del Duomo guidata da don Carlo Franco, un’occasione per assaporare un’atmosfera di festa anticipatrice dellecelebrazioni patronali di San Giovanni del 24 giugno prossimo, ma soprattutto unoccasione di vita comunitaria. “ Si tratta del primo appuntamento che abbiamo organizzato – spiega don Carlo Franco da quando guido la parrocchia del Duomo, vale a dire da cinque anni, una parrocchia cui è stata accorpata quella di San Tommaso. Ormai la comunità parrocchiale del Duomo di Torino, che conta circa seimila abitanti, è abbastanza matura per voler vivere dei momenti di condivisione comunitaria, accanto a quelli propriamente di culto nei giorni di precetto o feriali. Nella parrocchia del Duomo, e su questo aspetto si concentra la problematicità del suo territorio, sono presenti circa quindici chiese di culto non parrocchiali. Diventa, così, difficile mantenere la coesione in una comunità di credenti frammentata in tante chiese diverse“. “La festa del 26 maggio sarà un’occasione – spiega don Carlo Franco– per vivere in modo totale una giornata insieme all’interno della comunità parrocchiale, prima delle celebrazioni padronali di San Giovanni, in cui sarà coinvolta tutta la città di Torino. La giornata prenderà avvio alle 10.30 con la Messa nella chiesa di San Tommaso e la celebrazione degli anniversari di matrimonio (lustri celebrati nel 2018). Dalle ore 12 seguirà il pranzo presso il Seminario Metropolitano in via XX Settembre 83, che sarà anche l’occasione per gustare il dolce di San Giovanni. Seguiranno poi giochi ed attività, tra cui la caccia al Tesoro, a partire dalle 14.30,per bambini e ragazzi presso il Museo Diocesano, e la salita alla Torre campanaria dalle 15, mentre dalle 15.30 si potrà ascoltare il concerto corale di musica sacra in Duomo.Le offerte sono libere. Per informazioni e prenotazioni telefonare allo  0114361540 o rivolgersi alla chiesa di San Tommaso.

 
Mara Martellotta 

Il pasto monastico del Baru-gongyang

Durante la Korea Week di Torino la monaca buddista, Jeong Kwan, star di Netflix, ha realizzato Il pasto monastico del Baru-gongyang, uno dei modi più ecologici e sostenibili di mangiare in cui non si  produce alcun tipo di rifiuto.

Vestiti d’Artista

Da sabato 25 maggio ci sono le opere di Giovanni Tamburelli nello spazio espositivo di Arte e Moda a Casale Monferrato
 
VESTITI D’ARTISTA torna a stupire con gli outfit della fashion designer casalese Cinzia Sassone ispirati alle opere di vari artisti che, nella passata stagione, sono stati protagonisti di questo progetto di successo nella contaminazione tra moda ed arte, nato dalla collaborazione tra Cinzia Sassone e il critico d’arte ed artista Piergiorgio Panelli. Il brand della Sassone, è in continua evoluzione e questa volta, si impreziosisce delle opere di Giovanni Tamburelli, a conclusione di questo primo ciclo di collaborazioni, ma che, a breve, si arricchirà di nuovi artisti. Giovanni Tamburelli è un artista sensibile ed al contempo giocoso e le sue opere metalliche, raccontano paesaggi magici e creature fantastiche, in un immaginario dai colori vibranti e dalle atmosfere fiabesche. Questo artista straordinario torinese, ma che da anni vive nel nostro territorio, a Saluggia in Provincia di Vercelli, ha al suo attivo esposizioni internazionali, partecipazioni alla Biennale di Venezia e collaborazioni con scrittori di prestigio. La stilista Cinzia Sassone racconta degli outfit ispirati alle sue opere: ” L’ironia di rane e pesci che giocano in applicazione su superfici mosse e cangianti, creando volumi sinuosi ed in metamorfosi.”
SECRET GARDEN, è il titolo della mostra-evento che sarà inaugurata sabato 25 maggio alle ore 17 nello lo spazio espositivo di ARTEeMODA CONCEPT a Casale Monferrato, in viale Morozzo di San Michele 5
Uun giardino segreto, fantastico  abitato da creature immaginarie, che dialogano con gli abiti in una favola che prende vita.
Per informazioni e contatti : tel 0142590395
Facebook: arteemoda Casale Monferrato
mail arteemoda.casalemonferrato@gmail.com

Korea week, un viaggio lungo sei giorni

Dal 19 al 24 maggio si svolge per la prima volta a Torino, la ‘Korea Week’, un viaggio lungo 6 giorni nell’affascinante Repubblica di Corea. Una settimana di spettacoli ed eventi gratuiti -dalle lezioni di cucina agli appuntamenti di musica e danza tradizionale, dal taekwondo al cinema – che condurrà torinesi e non alla scoperta di uno dei più affascinanti paesi dell’Estremo Oriente

 

Siamo ormai giunti alla settima edizione della Korea Week, che ha visto in tutta Italia la partecipazione di oltre 12mila persone – commenta Choong Suk Ohdirettore dell’Istituto Culturale Coreano -, un successo e uno stimolo allo stesso tempo per presentare il nostro Paese. Con la manifestazione, oltre a far conoscere la cultura coreana, vogliamo creare un luogo di condivisione e di armonia con quella italiana”.

La kermesse, che si inaugurerà domenica 19 maggio alle ore 15 con il K-Pop Party (un genere di musica popolare originario della Corea del Sud) al Teatro Piccolo Valdocco, è promossa dall’Ambasciata della Repubblica di Corea, dall’Istituto Culturale Coreano, dal Consolato Generale della Repubblica di Corea a Milano, dal Comune di Torino e dalla Fondazione per la Cultura Torino.

Il K-Pop – continua Choong Suk Oh, – è un vero e proprio fenomeno a livello globaletanto che uno dei gruppi più importanti, i BTS, è stato scelto da Time Magazine come Next Generation Leaders 2018”.

Al Piccolo Valdocco gli appassionati della musica K-Pop potranno assistere alle esibizioni di 10 gruppi di K-Pop Cover Dance (preselezionati in tutta Italia) che  ricreeranno le coreografie dei K-Pop Idol più in voga del momento. Dalle ore 13, prima dello spettacolo, il pubblico potrà provare gli abiti tradizionali coreani Hanbok, conoscere il mondo della cosmetica coreana e avere la possibilità di acquistare prodotti.

Lunedì 20 maggio, dalle ore 12.00 alle ore 18.00, nella  Sala Conferenze del MAO Museo d’Arte Orientale, si svolgeranno workshop per insegnare a realizzare fiori di loto in carta (uno dei simboli iconici del Buddismo) e stampe di incisioni di simboli buddisti.

Per celebrare i 100 anni del cinema coreano lunedì 20 e mercoledì 22 maggio, nelle sale del Massimo (via Verdi) saranno proiettati due importanti film: ‘Burning’ (20 maggio ore 20.30) ‘Train to Busan’ (22 maggio ore 20.30). Tratto da un racconto di Haruki Murakami, ‘Burning’ è una pellicola che affascina, scuote ed emoziona per lo stile con cui è stata girata. . È un profondo racconto morale che parte da tre personaggi per estendere e ampliare la riflessione alla Corea del Sud, alle relazioni umane e alle differenziazioni sociali. ‘Train to Busan’ invece si articola su più livelli spaziando dall’intrattenimento all’horror e alla riflessione sociologica sulla Corea.

Mercoledì 22 maggio alle ore 18.00 piazza San Carlo ospiterà una spettacolare e imperdibile performance acrobatica basata sui fondamentali del taekwondo a cura della World Taekwondo (WT)l’unica federazione sportiva internazionale riconosciuta dal CIO.

Martedì 21 maggio, dalle 12 alle 14, al Mao – Museo di Arte Orientale, si terrà uno degli appuntamenti più attesi della settimana: la lezione-dimostrazione della cerimonia del Baru-gongyang, rituale sacro con cui si mangia nei templi buddisti. La famosa chef e monaca coreana Jeong Kwan, una delle più importanti esponenti della tradizione guiderà i partecipanti (posti esauriti) nell’esperienza di questa filosofia dalla quale è nata una cucina vegetariana “zen”.

Al Teatro Piccolo Valdocco, giovedì 23 maggio alle ore 20.30, andrà in scena ‘The Original Drawing Show’. Giovani attori coreani si esibiranno in performance non verbali che lasceranno tutti a bocca aperta, gli spettatori verranno letteralmente ‘inghiottiti’ in straordinarie sessioni di disegno dal vivo.

K-Calligraphy, speciali lezioni e dimostrazioni di calligrafia coreana, si terranno nei giorni 23 e 24 maggio al Mao (prenotazioni a info@culturacorea.it). Durante le due giornate sarà inoltre possibileindossare l’Hanbok, abito tradizionale coreano.

La Korea Week terminerà venerdì 24 maggio. Alle ore 20.30 il Teatro Piccolo Regio Puccini ospiterà uno spettacolo di musica e danza tradizionale coreana: la K-Traditional Performance. Il Centro Nazionale di Musica Tradizionale di Namwon adatterà le più famose canzoni coreane ai gusti attuali. Anche in questa occasione, prima dello spettacolo (dalle ore 18.30) si potrà provare l’Hanbok,abito tradizionale coreano.

La rassegna è organizzata dall’Ambasciata della Repubblica di Corea, dall’Istituto Culturale Coreano, dal Consolato Generale della Repubblica di Corea a Milano, dal Comune di Torino e dalla Fondazione per la Cultura Torino; con il contributo di Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino e in collaborazione con Fondazione Torino Musei; Museo Nazionale del Cinema; Teatro Regio Torino; Teatro Piccolo Valdocco; World  Taekwondo; Federazione Italiana Taekwondo; Associazione ITALIA-KOREA; Cultural Corps of Korean Buddhism.

Luoghi degli spettacoli: Piazza S. Carlo, Museo d’Arte Orientale, Cinema Massimo, Teatro Piccolo Regio e Teatro Piccolo Valdocco

 degli altri paesi ed applicandoli a suo modo.

Chi ha paura del mostro del lago?

Quello d’Orta è il lago più occidentale delle Alpi. Chiuso a sud dalla dolce curvatura delle colline e serrato a nord da una ripida e stretta vallata alpina. Una lunga fenditura provocata nella notte dei tempi dalla potenza erosiva di antichi ghiacciai. Un lago speciale, dal quale emerge a poca distanza dal centro della costa orientale l’ovale dell’isola di San Giulio: un bastione di roccia dura che sale dal fondo buio per incontrare la luce del sole

 
Un lago che va, per così dire, controcorrente. Mentre tutti i bacini delle Alpi scaricano le loro acque verso sud, qui accade l’opposto: l’unico emissario, quella Nigoglia che in tempi normali attraversa pigramente il centro di Omegna, scorre “da mezzogiorno a tramontana“, verso nord. Come tutti i laghi subalpini, anche l’Orta ha sempre avuto la sua esposizione ai venti. Non solo quelli che spirano tutti i giorni durante il bel tempo, come la brezza di monte (tramontana) e la brezza di valle (inverna) che percorrono tutte le vallate alpine con soffio leggero, ma anche quelli più bruschi, di carattere forte e irregolare cadenza. I più noti sono il “Quarnon” (o Maestro) che scende da Quarna e si fa sentire verso Orta, dove il lago è più ampio; il “blemm”, vento di levante, impetuoso quanto breve che quando incontra altri venti cambia il suo nome in “traverson” e diventa un’ira di Dio; oppure il “marescon”, formidabile inverna che spazza il bel tempo portandosi appresso nubi cariche di pioggia. I vecchi pescatori del Cusio li conoscono per nome, li amano o li temono, rispettandoli sempre. Quando soffia la “Magonera” (o Mergozzolo), scendendo d’estate dalla valle del Pescone in direzione nord-est/sud-ovest, sono in arrivo furiosi temporali che rinfrescano l’aria mentre, in autunno, accompagnato da cielo nuvoloso e aria satura d’umidità, da nord-nord-ovest arriva di tanto in tanto il “Cus” che solitamente dura non più di tre giorni tanto che la gente, sulle sponde del lago, ne ha fatto anche un vecchio detto: “Acqua e cus, tre dì a l’us” (acqua e vento, tre giorni all’uscio). Un lago dove sono nate tante leggende come quella del tesoro dell’isola e delle testarde ricerche che impegnarono gentiluomini e banditi alla sua scoperta. Si narrava anche che, attraverso un misterioso canale tra il lago Maggiore e le acque dell’Orta, San Giulio – nel IV secolo – giunse in barca dal Verbano al Cusio. Del canale non c’è traccia ma la via d’acqua immaginaria ha riempito sogni e storie. D’altronde il confine tra la realtà e la fantasia è quanto mai labile e incerto. Per secoli, nonostante le vicissitudini delle varie epoche e le dispute per il possesso e il controllo dei territori che si estendevano da Buccione a Omegna, la vita trascorse abbastanza tranquilla ma mai monotona. Fino ai giorni nostri, quando…
 

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C’era chi era pronto a giurare di averlo visto al largo di Imolo, appena dopo Orta, come il vecchio Luison. Pescatore ormai in pensione, durante i suoi giri in barca, era stato testimone di un gran ribollire di schiuma e poi, come d’incanto, si era trovato davanti un enorme serpente che l’aveva guardato fisso negli occhi prima di sparire sott’acqua. Chi invece, come Giansiro, ci scommetteva la cosa a lui più cara, la sua vecchia “Lampreda”, splendida lancia da lago, pur di far credere di aver visto quel mostro vicino all’attracco di Oira. E così anche il Canaja di Omegna, Cazzul di Borca o il buon Severino Piana di Valstrona: tutti, chi in un modo e chi in un altro, avevano avvistato il misterioso abitante del Cusio. Il caso più clamoroso era però senz’ombra di dubbio quello capitato a Carletto di Brolo, detto “spugna”. L’essersi guadagnato quel nomignolo per la naturale disponibilità del suo organismo a ingerire notevoli quantità di liquidi di vario genere purché avessero una purché minima gradazione alcolica, non l’aveva certamente aiutato. Almeno sul piano della credibilità. Infatti, Carletto di mostri ne aveva visti addirittura due, a braccetto come innamorati, mentre si lasciavano cullare dalle onde davanti al porticciolo di piazza Salera. “Ma va là che sei ubriaco!” gli diceva la gente, scansandolo a malo modo. E come si poteva dar loro torto, visto che Carletto era quello che un giorno aveva visto la Citroën due cavalli di Giusto Lombrichini rombare in cielo sopra il campanile della parrocchiale di Omegna e, in un’altra occasione, la vecchia lambretta di Pinuccio Reali viaggiare a tutto gas di buon mattino per le vie cittadine con aggrappata al manubrio una capra? Sarà stato un caso ma entrambe le volte la sua presenza era stata segnalata, fino a pochi istanti prima, davanti al banco da mescita dell’osteria del Cusio dove abitualmente, e con una puntualità da far invidia agli svizzeri, passava gran parte delle sue giornate. No, quella di Carletto non era proprio una testimonianza a cui poter assegnare un qualche fondamento. Eppure anche altri affermavano di aver notato qualcosa di strano agitarsi sotto il pelo dell’acqua, in prossimità delle rive. Niente di certo, per carità, ma il seme del dubbio oramai era sparso e ogni ipotesi, anche la più balzana, era oggetto di attenzioni, congetture, chiacchiere e accese discussioni. Strane scie sul lago, un ribollire tra le onde apparentemente senza ragione, una lunga sagoma scura che solcava le acque del Cusio tra Pella e Gozzano in una notte di luna piena e tante altre apparizioni avevano ormai monopolizzato l’attenzione cittadina. Nelle osterie non si discuteva d’altro, dimenticandosi persino del tresette e del ramino; davanti ai quarti e ai mezzi di rosso novello che servivano a bagnare la gola di chi parlava e quelle di quanti   stavano assorti ad ascoltare, le storie del mostro del lago si moltiplicavano, arricchendosi di particolari sempre nuovi. Ma di questo si discuteva anche altrove. Il contagio era quasi totale.
 

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Al bar Fiera, a tener banco, erano il maestro Camogli, uomo di lettere e di grande umanità, piccolo e buffo con quel ciuffo di capelli color sale e pepe che gli spuntava ribelle sulla testa pelata e l’avvocato Rubizzi, già principe del Foro di Novara, originario di Vinchio d’Asti, che aveva scelto Omegna per trascorrervi gli anni della pensione. Sulla passeggiata davanti al municipio, a far capannello, ci pensavano invece il vecchio Baroni, farmacista e medicone delle ossa, e la signorina Lina Duranti, un’arzilla donnetta di quasi ottant’anni che aveva innato il dono della parola e, per questa ragione, non stava mai zitta. Tutta gente a posto, magari solo un po’ perbenista e con le sue idee fisse, ma senza grilli per la testa. E soprattutto astemia. Monsignor Telati, senza spargere troppo la voce, aveva persino officiato una messa in canonica, raggruppando un paio di dozzine di pie donne che, sgranando i rosari e propiziando novene, avevano a lungo invocato l’intervento di San Vito per esorcizzare il mostro. Anche qui, per esser chiari una volta di più: nessuno poteva dirsi certo di un qualsivoglia pericolo o mistero ma, nel dubbio, l’anziano prelato aveva preferito giocar d’anticipo mettendo in campo le forze della fede per prevenire brutte sorprese. ” Il maligno” , diceva spesso in quei giorni il prete a Giuditta, la sua perpetua, “è davvero diabolico nell’assumere le più diverse forme. Ah, qui c’e di mezzo lo zampino del Diavolo, lo sento.. può allignare in qualunque cosa o essere, pronto a ghermire il prossimo, a rubargli l’anima. E qui, nella mia parrocchia, di anime devote ce n’e più di una e sono certo che ai suoi occhi rappresentano un invitante richiamo”. E mentre dalla canonica usciva il ritmato lamento delle preghiere, a qualche centinaio di metri, nel cuore del centro storico e per essere più precisi nella sala del Carrobbio, da diverse sere gli ambientalisti cusiani discutevano della vicenda da par loro. Il dibattito si era sviluppato animatamente e in breve si era tramutato in scontro aperto. Le idee erano molte e molto diverse tanto che, nell’attizzarsi della polemica che vedeva gli uni contro gli altri, si divisero. Solo dopo numerose sedute ed altrettante baruffe, ormai esausti, si accordarono (più per stanchezza che per convinzione) su di un punto: promuovere una raccolta di firme in calce a una petizione che chiedeva a tutte le autorità di preservare “la sospetta, anomala, presenza nelle acque del Lago d’Orta” che, a loro parere, rappresentava “un bene ambientale e naturalistico di assoluto rilievo”. Le uniche mosche bianche in tutto questo prender parte a favore o contro il mostro erano gli avventori del Cusio che non si sbracciavano più di tanto. Tirati fuori dei fiaschi di vino giovane fatto con l’uva americana, un paio di filoni di pane fatto in casa da accompagnare con salame e formaggio, ci avevano imbastito su una bella merenda. “Alla faccia del mostro e di tutti quei somari che ci credono“, aveva sentenziato Eligio, portandosi il bicchiere colmo alle labbra. E tutti gli altri avevano manifestato il loro consenso, ingozzandosi. E il mostro? Dov’era il mostro, ammesso che poi davvero ci fosse questo tanto chiacchierato mostro del lago? Per esserci c’era. Eccome se c’era. Dal centro dello specchio lacustre, ruotando il lungo collo, poteva scorrere con lo sguardo l’intero perimetro delle acque. Lo faceva di notte ed era uno spettacolo sempre nuovo, emozionante. I puntini luminosi delle lampadine accese sui lampioni delle strade che fasciavano la costa, segnavano il confine della terraferma; i fari delle auto erano sciabolate di luce che si rincorrevano, rapide e scattanti, pronte a duellare per qualche secondo quando si incrociavano provenienti da opposte direzioni; erano scie luminose che richiamavano il movimento mentre   l’assoluta, rilassata tranquillità veniva offerta dalle luci gialle dei riflettori che avvolgevano in un caldo e soffuso abbraccio l’isola di San Giulio, la torre di Buccione, una parte del Sacromonte dei francescani. Lui, il “mostro” si guardava attorno, stupito. Osservava quelle luci che parevano stelle cadute dal cielo e guardava in alto, scrutando la volta celeste per scoprire quante ne mancassero.

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Quelle emozioni erano un tuffo al cuore . Altro che “mostro”, animale dal sangue freddo, privo di sentimenti ed emozioni! Fin dal giorno in cui, con una nuotata lenta e ritmata aveva lasciato lo scuro fondale del lago per raggiungere la superficie, si era reso conto di amare quel lago, quelle luci, il cielo sovrastava tutto. Eppure nel lago ci viveva da tantissimo tempo che non riusciva nemmeno a immaginarsi quanto con esattezza. Ma solo da poco aveva preso la decisione di risalire all’aria, staccandosi da quel fondale buio che l’aveva avvolto e cullato sin da piccolo. Era stata una decisione sofferta, maturata dopo lunghi ripensamenti, poiché già una volta, molti anni prima, aveva abbandonato la caverna nascosta ai piedi della grande roccia su cui sorgeva l’isola, rimediando un gran spavento. Che cosa terribile! Appena la sua testa giunse a far capolino al largo della punta di Crabbia, dopo aver nuotato per un po’ a non più di una decina di metri di profondità, un essere enorme gli era quasi finito addosso e se era ancora tutto intero lo doveva alla sua prontezza di riflessi che gli consentì di inabissarsi immediatamente. Lui, discendente dei grandi serpenti marini che percorrevano gli oceani, finito per caso o per uno scherzo del destino in quel catino d’acqua dolce che, col passar degli anni, era diventata anche un poco acida, non aveva mai visto cose del genere e, raggiunta di nuovo la caverna, non volle più uscirne per paura. Che cosa vide esattamente è difficile stabilirlo con esattezza ma si può avanzare un’ipotesi più che probabile. Occorre sapere che, prima dell’entrata in funzione della ferrovia Novara-Domodossola e della posa delle prime, scintillanti rotaie lungo la costa orientale del lago, le acque erano solcate da due piccoli piroscafi, adibiti al servizio di trasporto passeggeri: il “Cusio” e il “Margozzolo”. Successivamente, il 26 luglio 1879, venne calato nelle acque dell’Orta un terzo, e più grosso, piroscafo, l’Umberto I. La navigazione per tutta l’estensione del lago continuò ancora per qualche anno fin quando, completata la ferrovia, iniziarono a sferragliare i primi convogli. Il servizio dei battelli a vapore venne ridotto un po’ per volta, fin quando – nel 1892 – cessò definitivamente, lasciando sul lago solo le imbarcazioni leggere dei pescatori che, talvolta, prendevano a bordo anche i villeggianti o gli abitanti dei paesi del lago per condurli da una riva all’altra. Fu uno di questi piroscafi l’essere enorme che per un niente il mostro riuscì a scansare, rimediandosi solo un gran bel spavento? Forse sì, è probabile ma questa e’ comunque un’altra storia che, magari un giorno, se vorrà farlo, la racconterà qualcun altro. Beh, tornando a noi: dimenticata quella brutta avventura, il nostro serpente marino, con il cuore palpitante sotto le squame, risalì verso la luce. Là sopra si trovò di fronte a uno strano pesce rosso e grigio, tagliato a metà e con all’interno un’animale strano, con quattro zampe e coperto di peli sulla testa che, appena lo vide gridò qualcosa che non era in grado di capire. Nel dubbio ma senz’essere spaventato questa volta, ritornò sott’acqua. Di pesci ne aveva già visti tanti ma un pesce a metà pesce e a metà chissà cosa, non se lo ricordava.
 

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A chiarirgli le idee sul “mondo di sopra” fu una sua amica, Geltrude. Lei, una vecchia tinca sopravvissuta per miracolo grazie alla sua pelle dura come un tamburo e corazzata da squame trattate con varie sostanze prodotte dall’eccessivo e perdurante inquinamento del lago, aveva un’esperienza che con grande piacere mise a disposizione del suo amico “biscione“. Quello che hai visto lassù non e un pesce ma una barca – spiegò la tinca, con pazienza – e sulla barca c’era senz’altro un pescatore che, appena ti ha visto, gli avrà preso un bel colpo. Chissà come avrà remato per raggiungere la riva“, sogghignò Geltrude, immaginandosi la scena. “Anzi, secondo me, dal colore della barca e dai capelli lunghi, doveva essere proprio il vecchio Luison”, aggiunse Geltrude. “E’ un pescatore ormai in pensione che mi ha dato la caccia per trent’anni, senza potersi togliere la soddisfazione di prendermi all’amo. Ma non pensar male di lui: dopotutto è una brava persona e a noi pesci ha fatto meno danni di quegli sporcaccioni che ci avvelenano, noi e il lago, con la chimica e le altre porcherie”. Geltrude fu generosa di particolari e, dopo diverse lezioni, anche il nostro biscione ne sapeva un po’ di più di quanto accadeva sopra il pelo dell’acqua del lago. Per questo preferiva, adesso che si pescava poco o niente e raramente gli uomini uscivano in barca dopo il calar del sole, riemergere di notte e farsi qualche nuotata in superficie. Omegna era in gran fermento. I turisti, da alcuni giorni, arrivavano a frotte, richiamati dall’evento che ormai girava sulla bocca di tutti. Aveva cominciato un giornale locale, pubblicando in prima pagina la notizia di un misterioso essere che si aggirava nel lago e, come un fulmine, era rimbalzata sulle cronache di quasi tutti i quotidiani. La maggior parte dei curiosi erano italiani, per lo più piemontesi, lombardi e liguri. Ma con una certa facilità si potevano anche individuare gli stranieri:francesi, inglesi, tedeschi e spagnoli. Per i giapponesi non c’era problema: si notavano subito. Non tanto per il colore della pelle e gli occhi a mandorla ma perché erano pronti a immortalare qualunque cosa fosse a portata degli obiettivi delle loro macchine fotografiche. Nelle vie cittadine, a parte quelle già a senso unico, il Sindaco aveva dovuto intervenire con un ordinanza per disciplinare il traffico ormai vicino al collasso. E se a Omegna era un via vai di gente, a Pettenasco, Orta, S.Maurizio d’Opaglio, Gozzano e gli altri centri rivieraschi il caos era totale. Negli alberghi non c’era più posto. I campeggi erano esauriti. Nel capoluogo del lago intere comitive dormivano, a turno, nel salone del cinema Sociale e dell’Oratorio che, da due settimane, si erano trasformati in ostelli di fortuna. La presenza del mostro del lago era una calamita formidabile. Le più importanti reti televisive del mondo avevano inviato le loro troupe nel Cusio nella speranza di poter filmare l’evento. Tra queste c’era anche quella di Marco Giudici, operatore televisivo della TV Svizzera, si era portato con sé il figlio di dieci anni, Alex. “Una vacanza gli farà bene – disse alla moglie – e se non ricordo male il lago d’Orta è proprio un posto tranquillo, bello da vedere”. Alex non stava più nella pelle dalla felicità. Andare in un posto che non aveva mai visto alla scoperta di un mostro, e per di più con il papà che vedeva solo di rado perché sempre in viaggio per lavoro.
 

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Era un sogno, un avventura fantastica. Arrivati a Omegna, dopo aver depositato i bagagli nella stanza dell’albergo che li ospitava, fecero subito un giro in barca a vela. La brezza dell’inverna faceva scivolare l’imbarcazione sulle piccole onde. Alex guardava in tutte le direzioni, affascinato da quel lago dall’acqua smeraldina dove si riflettevano i profili del Mottarone e delle colline. Non era pericoloso, secondo Egisto Maestroni, proprietario della “Bella di Borca” che li ospitava a bordo. Non era pericoloso perché, di giorno, il mostro non l’aveva mai visto nessuno sul lago. “Probabilmente se ne sta sul fondo“, disse Egisto . Erano già da un’ora in acqua quando, giunti davanti all’isola di San Giulio, videro i sommozzatori dei Vigili del Fuoco risalire sulla loro chiatta dopo un altro giro a vuoto. “Lì sotto non si vede niente, nemmeno con le torce elettriche“, affermò sconsolato il comandante. “E’ da quindici giorni che scandagliamo il fondale ma di questo mostro non abbiamo visto nemmeno l’ombra. Secondo me è una storia che raccontano quelli di Omegna per far cassetta con i gonzi!”. Doppiata l’isola, ritornarono verso il porticciolo della Canottieri di Omegna. Il papà di Alex aveva fatto qualche ripresa dei posti, una breve intervista a due sommozzatori, alcune immagini delle belle ville che costeggiavano il lago verso Orta. Un materiale anche interessante ma il pubblico- nel suo caso i ticinesi della Svizzera italiana – voleva vedere il mostro. Era diventata quasi un’ossessione. In passato, stando ai racconti di Geltrude che si basavano su testimonianze dirette e su quanto si diceva nel lago dove esisteva un fitto dialogo tra i pesci che, quando gli và, parlano e non sono affatto muti come comunemente si pensa, quel grosso catino d’acqua dolce era una festa per la natura e i suoi abitanti. Bastava far capolino dall’acqua, standosene ben attenti a non farsi scorgere dagli uccelli predatori come i gabbianelli, per veder passare una miriade di uccelli. La valle del lago d’Orta era un’importantissima via di passaggio per le anatre e le varie specie di trampolieri anche se, per la ristrettezza del bacino, poche anatre vi si soffermavano e i trampolieri, in assenza di spiagge e insenature acquitrinose a causa delle rive tagliate a picco, preferivano altri lidi per soggiornare. Germani reali, fischioni, varie specie di “garganèl” , le morette con il ciuffo e i “cazzulott” erano senz’altro i palmipedi più assidui, così come i cigni e le oche. Della grande famiglia dei trampolieri era invece più frequente la presenza della fòlaga che di solito, da novembre a marzo, a coppie o in piccoli stormi, si fermava sul lago. Moltissimi – un vero esercito – erano i martin pescatori e i merli acquaioli mentre ardee, chiurli, beccaccie, beccaccini e gallinelle, pur presenti, erano piuttosto rari da vedere. Se nel mondo “di sopra” c’erano tutti questi volatili (di cui era un grande esperto e estimatore l’anziano Giuanin, un luccio ormai sdentato che in gioventù aveva fatto razzie di uccelli quando questi avevano la sventatezza di posarsi sull’acqua proprio nei pressi dove lui amava girovagare), nel loro mondo la comunità dei pesci del lago era quanto mai nutrita.
 
 

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Oltre alle tinche come Geltrude c’erano trote,alborelle, cavedani, agoni, lucci, anguille,pesci persici, scàrdole, bottatrici, lamprede, barbi, vaironi e scazzoni . Insomma, una gran bella e allegra compagnia, con la quale c’era da divertirsi. Tutti affiatati, nella buona e nella mala sorte quando si dovevano fare i conti con i pescatori che – con lenza, rete o tirlindana – erano più testardi dei muli nel dar loro la caccia. Più volte le anguille, quando c’era aria di tempesta e il lago prendeva colori cupi, si rifugiavano verso Omegna per cercare ricovero nella Nigoglia: puntualmente si infilavano in gran numero nei cassoni disposti lungo le rive che si trasformavano in trappole mortali. Allora, per qualche giorno, il lago era triste e i pesci si radunavano tutti verso l’isola di San Giulio. “Purtroppo, negli ultimi decenni – diceva spesso Geltrude – le cose non sono andate per il meglio.Le acque, sempre chiare e limpide, si sono intorbidite. Molti amici sono morti e noi reduci, ostinati a resistere, ci siamo ritrovati sempre in meno anche se ora, almeno in apparenza, pare che vada meglio”. Il serpente marino ringraziò Geltrude. Ora poteva dire di conoscere meglio la storia di quel lago dove aveva vissuto per tanto tempo acquattato sul fondo, senza mai guardarsi attorno se non quando avvertiva più forti i crampi della fame e, da vegetariano qual’era, usciva dalla grotta per far provviste di alghe, sempre più rare e sempre meno buone. Ma le cose che più lo avevano colpito erano state le storie sugli uomini. Chi erano, com’erano fatti e persino come, in quei tempi, parlassero di lui. La vecchia Tinca, con uno sforzo di sincerità, non gli aveva nascosto nulla. E lui, nell’apprendere tutto il trambusto che si stava creando attorno alle rive, ci era rimasto un po’ male. Si sentiva offeso per quelle scritte con la vernice spray nera che si potevano leggere sui muri della strada tra Imolo e Buccione: “Chi ha paura del mostro del lago?”. “Un mostro, io ? Ma se neanche mi conoscono! Questa è bella!, pensava. “Io non sono un mostro. Sono capitato qui per caso. Non so nemmeno come, ma non sarà una colpa, adesso.. E poi non ho fatto niente di male. Ma, diciamola tutta, si sono mai visti quelli? Uno diverso dall’altro. Un po’ alti e un po’ bassi. Grassi, magri, con la pancia gonfia o con appena un velo di pelle a coprirgli le ossa. Con orecchie a sventola o grandi nasi che, nel caso gli prendesse unraffreddore, rischiano davvero grosso. E poi quella buffa peluria in testa e sul viso. Se sono un mostro io, quelli lì come dovrebbero chiamarli?”, diceva arrabbiato, sibilando la lingua sottile tra i denti. Non era mai andato a riva per importunarli; non si sognava nemmeno di farlo. La lunga solitudine gli aveva fatto capire che non era quello il suo mondo e che, dopotutto, era meglio farsi gli affari propri piuttosto che mettere il naso in quelli degli altri. Ma, nonostante tutto, quegli esseri a due gambe facevano un tal fracasso attorno alla sua presenza che persino sui fondali del lago non si parlava d’altro. Aveva un bel dire la sua amica Geltrude di non prendersela, di starsene buono che, prima o poi, tutto si sarebbe calmato. Era già successo in un altro lago, molto più lontano, dove probabilmente viveva una sua parente, una tal Nessie Si erano sfogati, avevano scandagliato i fondali, avevano raccontato storie, attirato curiosi e poi, un po’ per volta, la situazione era tornata normale. Eh, cara Geltrude! Cosa avrebbe fatto senza di lei? “Speriamo che abbia ragione” pensò, nuotando verso la sua dimora.
 
 

***

 
Intanto, sulla terraferma, le avevamo provate proprio tutte. “Niente. Là sotto abbiamo trovato vecchi rottami, pesci, alghe, una vita che si sta riorganizzando a fatica dopo l’inquinamento degli ultimi anni. Ma di questo mostro non c’e traccia”. Il comandante Iacques Deville, comandante del battiscafo “Lassalle”, gioiello della marina francese, era sconsolato. Ore e ore di immersione; uno scandaglio accurato dei fondali dove era stato avvistato lo strano essere in base alle testimonianze raccolte; l’uso di speciali telecamere subacquee, munite di fotocellule ad alto potenziale per rischiarare gli angoli più bui: tutto inutile. I tecnici dell’Istituto di Idrobiologia di Pallanza, i sommozzatori, gli ufficiali della marina di almeno quattro nazioni uniti a tutti gli altri che presenziavano all’operazione “Mostro del Lago“, non nascondevano la loro delusione. Erano passate almeno tre settimane da quanto le ricerche erano state avviate e il lago, passato al setaccio in lungo e in largo, non aveva svelato il suo mistero. A patto che questo mistero fosse poi reale e non un’invenzione di fine estate come qualche scettico sosteneva da tempo. Molte comitive di turisti, un po’ delusi nonostante la bella vacanza trascorsa sulle rive del Cusio, avevano lasciato Omegna e le altre località. Con loro se n’erano andate anche gran parte delle troupe televisive, restate a mani vuote senza poter immortalare sulle pellicole la straordinaria immagine di un essere mostruoso, probabilmente sopravvissuto ai mutamenti delle ere e riconsegnato intatto all’opinione pubblica agli albori del terzo millennio. Anche tra gli operatori turistici serpeggiava uno stato d’animo impastato da tristezza e rassegnazione. Avevano immaginato al possibile sviluppo degli affari che si sarebbero realizzati grazie alla storia del mostro del lago. Un business che, nel volgere di qualche giorno, dopo aver solleticato la fantasia di tutti, rischiava di sfumare nel nulla. Certo, molta gente era rimasta contenta. Avevano scoperto un angolo dell’Italia interessante, tranquillo. Ma senza il Mostro, sarebbero davvero tornati così in tanti? Il dubbio era più che giustificato. Anche per Marco Giudici e suo figlio Alex era ormai giunto il momento di preparare le valigie per far ritorno in Svizzera, a Bellinzona. Solo le insistenze del bambino e la promessa di un giro serale a bordo della “Bella di Borca” dell’amico Maestroni, avevano trattenuto l’operatore televisivo sul lago d’Orta, rinviando al giorno dopo la partenza. Era ormai quasi il tramonto quando il sei metri, sciolti gli ormeggi, prese il largo dal porticciolo di Orta. Il sole, con un ultimo sussulto di luce settembrina, stava calando dolcemente alle spalle dei monti verso la Valsesia. L’acqua del lago, insolitamente trasparente, rimandava dei bagliori ramati. La calma era spezzata solo da un soffio leggero del vento sufficiente a mantenere la vela. Sul lago non c’era l’ombra di un’imbarcazione. Data l’ora di cena, il traffico lungo le rive era minimo. Maestroni, alla barra del timone, guidava lo scafo con mano sicura verso l’isola di San Giulio con l’intento di doppiarla per poi raggiungere la punta di Crabbia e da lì, dopo una veloce puntata al golfo di Omegna, risalire la costa occidentale fino a S.Maurizio d’Opaglio. Fu l’improvvisa caduta della brezza di monte a costringerli, obbligati dalla bonaccia, a far scalo all’isola. Scesi a terra il Maestroni e suo padre, Alex rimase solo sulla barca a guardare il lago. Le ombre della sera disegnavano strani giochi sull’acqua, quando l’attenzione del bambino venne attratta da un lento ribollire a meno di cento metri dall’imbarcazione,verso nord. Le bollicine d’aria increspavano il lago, formando un cerchio di un paio di metri quando, all’improvviso comparve la testa del serpente marino. Verde, squamosa, a forma triangolare con in mezzo due occhi scintillanti, vivi. Il lungo collo, grondando goccioline d’acqua, era emerso per oltre un buon metro. Rimaneva lì, fermo a guardare verso la barca. Alex era stupito ma non aveva paura. Non riusciva a credere che il “mostro del lago” era a poche decine di metri da lui, l’unico – forse – ad essersi trovato davvero faccia a faccia con lui. Dalla luce che gli brillava negli occhi non sembrava per nulla pericoloso. E neppure cattivo. Lentamente il serpente marino si mosse nella sua direzione; la coda, sottile come una sàgola, emergeva dall’acqua qualche metro dietro alla testa. Alex appoggiò entrambe le mani sulla fiancata, tenendo lo sguardo fisso su quello strano essere. Quando quest’ultimo fu a meno di dieci metri il giovane , schiarendosi la voce, pronunciò un timido “Ciao!“. Il mostro si fermò, immobile. I grandi occhi si chiusero, dolcemente, per riaprirsi subito dopo. Non aveva capito cosa gli avesse detto quel ragazzino, ma nel timbro della voce non aveva trovato paura, ostilità. Nemmeno lui avvertiva un pericolo. E lo stesso pensava Alex. Quel movimento degli occhi gli era sembrata una risposta al suo saluto. Quell’essere aveva uno sguardo velato dalla tristezza. Era come se chiedesse di lasciarlo in pace. Lo vide avvicinarsi ancora, fino a ridosso della barca. E, quando gli fu talmente vicino da toccarlo, allungando una mano, il serpente – mostrando una lingua fine e lunga – gli sfiorò la mano, fissandolo ancora negli occhi. Alex non fece in tempo a dire e a fare niente. Un attimo dopo il mostro del lago era sparito in uno spruzzo d’acqua. Il bambino guardò ancora nel puntò dove si era immerso, ma l’acqua del lago era tornata calma. Stava ancora scrutando la superficie lacustre quando, alle sue spalle, udì le voci del padre e del signor Maestroni che tornavano verso l’imbarcazione.
 
 

***

 
Era ormai quasi buio. La “Bella di Borca” prese il largo e dopo un breve giro nel piccolo golfo di Omegna, virò verso sud, dirigendo la chiglia sulla rotta di Orta. Alex aveva deciso di non dire niente, di tacere dell’incontro anche con suo padre. Quel segreto dove rimanere tra loro due, lui e quella creatura. L’indomani Alex e il padre tornarono a casa con il materiale per un documentario del lago d’Orta. In breve le rive si spopolarono dei curiosi e la vita tornò alla normalità di sempre. Sul lago erano rimasti in pochi. Tra questi c’erano Giansiro e Luison, con le loro barche, a gettar reti nella speranza – mai abbandonata – di ritirarle a secco con qualcosa dentro e, chissà, magari il mostro del lago. Solo a dicembre ci fu un po’ di trambusto quando, dalle parti di Gozzano, in una spiaggia, dopo una tempesta, ritrovarono un vecchio tubo di gomma coperta da una tela cerata color verde cupo. Era un manicotto, lungo circa cinque metri, che serviva alle cisterne dell’acqua e, chissà come, era finito nel lago. Subito ci furono quelli che collegarono il ritrovamento alla storia del mostro, sostenendo che erano la medesima cosa, con l’intenzione nemmeno troppo nascosta di ridicolizzare tutti quanti avevano prestato fede alla storia che qualche tempo prima era sulla bocca di tutti. La scoperta creò qualche mugugno di delusione. Non mancarono quelli che schernirono “ i creduloni”, chi ritrattò le più ardite teorie semi-scientifiche circa la misteriosa presenza nelle acque dell’Orta e chi rimase dell’opinione, un po’ più venata di scetticismo ma sempre irriducibile, che quella del mostro non fosse una leggenda. Ma ben presto tutti si scordarono anche del tubo, avvolti nei loro pensieri e impegnati nelle faccende di tutti i giorni. E il serpente marino? E il mostro, come ormai lo chiamavano, scherzosamente, anche Geltrude e gli altri pesci? Viveva tranquillo della sua tana. Di tanto in tanto, dopo aver mandato qualcuno dei suoi amici in avanscoperta, faceva una puntatina a galla. Ma solo di notte. E preferibilmente nelle notti buie, senza luna. Non stava poi male, a casa sua. Certo, se tutti fossero stati come quel ragazzino, avrebbe volentieri fatto altre conoscenze ma, nel dubbio, era rimasto lì, alimentando il misterioso segreto celato tra le acque di quel lago tra verdi e boscose colline e le prime, aguzze vette delle Alpi.
 

Torino città magica

Il centro di Torino si trasforma per un weekend in un’arena a cielo aperto per ospitare i migliori maghi di strada del mondo: dieci perfomer, selezionati dall’ICC (International Consulting Committee di Masters of Magic), si sfideranno infatti nelle strade e nelle piazze per conquistare il titolo del Campionato del Mondo di Street Magic.

SABATO 18 E DOMENICA 19 MAGGIO

 
Gli spettacoli saranno gratuiti e aperti a tutti e si svolgeranno nel pomeriggio di sabato 18 e domenica 19 maggio. I luoghi in cui i maghi si esibiranno, sempre al coperto dei portici del centro città, saranno: piazza San Carlo, piazza Carlo Alberto, via Roma e via Buozzi (sotto i portici).
 
Ogni concorrente si esibirà due volte nella stessa giornata per dare la possibilità a tutti gli spettatori di assistere alla sua performance. La classifica sarà definita non solo dal voto della giuria tecnica, ma anche dal giudizio del pubblico che potrà votare il proprio artista preferito sul sito www.mastersofmagic.tv.
 
I primi quattro classificati, al termine delle selezioni, si sfideranno nella finalissima in piazza San Carlo – domenica 19 maggio dalle ore 18.30 – per aggiudicarsi il titolo di “Campione del Mondo di Street Magic 2019”.
Il programma, con tutti i concorrenti e le loro esibizioni, sarà distribuito in tutta la città per dare la possibilità ad appassionati, curiosi e visitatori di creare il proprio percorso ideale di spettacoli, fino alla sfida finale.
 
PROGRAMMA
Sabato 18 maggio
VIA BUOZZI:
14.30 – 15.00 Spettacolo 1
15.30 – 16.00 Spettacolo 2
 
PIAZZA SAN CARLO (sotto i portici):
15.15 – 15.45 Spettacolo 3
16.15 – 16.45 Spettacolo 4
17.30 – 18.00 Spettacolo 5
 
VIA ROMA (sotto i portici):
15.00 – 15.30 Spettacolo 6
16.00 – 16.30 Spettacolo 7
17.00 – 17.30 Spettacolo 8
 
 
PIAZZA CARLO ALBERTO (sotto i portici):
14.30 -15.00 Spettacolo 9
17.00 – 17.30 Spettacolo 10
 
Domenica 19 maggio
VIA BUOZZI:
14.30 – 15.00 Spettacolo 1
15.30 – 16.00 Spettacolo 2
 
PIAZZA SAN CARLO (sotto i portici):
15.15 – 15.45 Spettacolo 3
16.15 – 16.45 Spettacolo 4
17.30 – 18.00 Spettacolo 5
18.45 – 19.45 FINALISSIMA
 
VIA ROMA (sotto i portici):
15.00 – 15.30 Spettacolo 6
16.00 – 16.30 Spettacolo 7
17.00 – 17.30 Spettacolo 8
 
PIAZZA CARLO ALBERTO (sotto i portici):
14.30 -15.00 Spettacolo 9
16.45 – 17.15 Spettacolo 10

Fascination of Plants Days 2019

E ci sarà pure una “Biciclettata” alla scoperta della Pinerolo che merita
Sabato 18 e domenica 19 maggio.  San Secondo di Pinerolo 

Giunta, quest’anno, alla sua quinta edizione la “Fascination of Plants Days” (“Giornata del Fascino delle Piante”), promossa a livello internazionale da EPSO – European Plant Science Organization (in collaborazione con l’Ateneo torinese, CNR , Società Italiana di Biologia Vegetale e Società Botanica Italiana onlus), torna a celebrarsi con una miriade di iniziative il prossimo sabato 18 maggio e con l’obiettivo di sempre: quello di “avvicinare quante più persone possibile all’affascinante mondo delle piante e di far conoscere quanto sia importante la ricerca in questo settore”. Fra i più convinti sostenitori dell’iniziativa, per quanto riguarda l’area torinese, vi è indubbiamente la Fondazione Cosso, che aderisce alla Giornata proponendo, il prossimo week end, nella propria sede al settecentesco Castello di Miradolo (in via Cardonata 2, a San Secondo di Pinerolo), alcune attività legate alla promozione della conoscenza delle piante e dei grandi alberi, con un occhio particolarmente attento alla natura del Parco e coinvolgendo riconosciuti esperti del settore. Si inizia sabato 18 maggio, alle ore 15,30, con una conversazione tenuta da Daniele Pecollo, Dottore Ambientale-Forestale, sul tema “La salute e la cura corretta dei grandi alberi”. L’incontro, sottolineano Maria Luisa Cosso e Paola Eynard, presidente e vicepresidente della Fondazione, “verterà principalmente sulla conoscenza dei giganti verdi, sulla comprensione dei loro segnali e sulle modalità con cui la Natura parla a chi si prende cura di lei, raccontando come si sente, cosa la rende vitale, di cosa ha bisogno per sopravvivere”. Un momento teorico, cui seguirà domenica 19 maggio, sempre alle 15,30, la “Passeggiata emozionale”, ovvero il percorso nel grande Parco, inserito nel 2000 (con i suoi sei ettari di estensione e gli oltre 1700 alberi di diversa dimensione per un totale di circa 70 varietà botaniche) nell’elenco dei “Giardini Storici” del Piemonte. La Passeggiata, fattibile per tutti, sarà una “camminata sensoriale ed emozionale, con l’accompagnamento di una guida botanica, per scoprire il giardino all’inglese e avvicinarsi più in generale alla natura che alla perfezione sa raccontarsi a chi ha occhi, cuore e orecchie per percepirla nella giusta maniera”. In occasione del “Fascination of Plants Days”, entrambe le attività sono comprese nel biglietto d’ingresso al Parco. Prenotazione obbligatoria allo 0121/502761 o prenotazioni@fondazionecosso.it Biciclettata: “Pinerolo tra natura, cultura e ciclismo”
L’appuntamento, a firma ancora della Fondazione Cosso, in collaborazione con il team San Lazzaro-Ciabot, è sempre per domenica 19 maggio. Rivolto ai molti appassionati delle due ruote, l’evento propone una visita in sella alla bicicletta e con l’accompagnamento di una guida, alla scoperta delle bellezze e dei punti di maggiore interesse culturale e panoramico di una fra le storicamente più importanti cittadine della provincia torinese. La “biciclettata” è proposta in occasione del passaggio del Giro d’Italia (venerdì 24 maggio, tappa numero 13) a Pinerolo e rientra nel progetto più ampio “Visita Pinerolo” ideato dal Comune. La partenza è programmata per le 14,30 in piazza San Donato e il percorso si snoderà per circa 10 chilometri attraverso il territorio cittadino. A partire dalle vie del centro storico, ci si muoverà in direzione della collina di San Maurizio per poi arrivare a San Secondo di Pinerolo, con visita al Castello di MiradoloCosto: 15 Euro a partecipante, 10 Euro ridotto fino a14 anni. Prenotazione obbligatoria allo 0121/502761 o prenotazioni@fondazionecosso.it

g.m.

 

Nelle foto
– Castello di Miradolo
– Maria Luisa Cosso e Paola Eynard
– Piazza San Donato a Pinerolo

Risotto (di stagione) fave e pomodorini 

Un primo di stagione semplice, delicato e gustoso. Con il loro caratteristico sapore, le fave portano in tavola bonta’ e genuinità, un alto contenuto proteico, poche calorie e tante vitamine e minerali. 

***
Ingredienti 
250gr di riso per risotti 
250gr. di fave fresche sgranate 
150gr. di pomodorini Pachino 
1 scalogno 
Brodo vegetale q.b. 
50gr di pecorino grattugiato 
Poche foglie di menta 
Burro, sale e pepe q.b. 
***
Cuocere le fave in acqua bollente salata per circa cinque minuti, scolare, lasciar raffreddare e togliere la pellicina.  In una larga padella soffriggere nel burro lo scalogno affettato. Versare il riso, lasciar tostare per alcuni minuti mescolando poi, bagnare con il vino e lasciar evaporare. Cuocere per circa 10 minuti versando il brodo vegetale caldo, unire metà delle fave, mescolare, insaporire con sale e pepe e proseguire la cottura per cinque minuti. Lavare i pomodorini, tagliarli a metà, unirli al risotto mescolando bene. A cottura ultimata unire le fave rimanenti ridotte a purè, mantecare con una noce di burro, il pecorino e le foglie di menta tritata. 
Servire subito. 
Paperita Patty 

Quattro giorni di magia (e non solo)

La Masters of magic World Convention non sarà un ‘classico’ congresso di magia, ma una fucina di idee dove i più famosi artisti del mondo si ritroveranno per condividere, inventare e creare le migliori performance che stupiranno gli spettatori nei prossimi anni

L’evento, realizzato grazie al contributo di Regione Piemonte, Città di Torino e della Camera di commercio di Torino, con il patrocinio del Comune di Venaria Reale, in collaborazione con VisitPiemonte e Fondazione Piemonte dal Vivo e con il supporto di Turismo Torino e Provincia Convention Bureau, sarà ospitato nella splendida cornice della Reggia di Venaria grazie al Consorzio delle Residenze Reali SabaudeQuattro giorni in cui il pubblico assisterà a 100 ore ininterrotte di spettacoliconferenze e workshop durante i quali potranno trovare spunti e imparare nuove tecniche. Gli incontri saranno tenuti da grandi artisti che, condividendo le proprie idee, daranno la possibilità di inventare e realizzare nuovi prestigi. La Convention sarà anche una palestra per i giovani talenti che potranno dimostrare le loro abilità concorrendo al premio internazionale ‘Trofeo Victor Balli’, uno dei più importanti al mondo. I partecipanti, che si sfideranno a colpi di bacchetta magica, verranno giudicati in base a caratteristiche quali l’abilità tecnica, la showmanship, la presenza sul palcoscenico, il carisma e il dettaglio dei materiali di scena dalla giuria ufficiale del Campionato del Mondo. Masters of magic World Convention ospiterà anche un altro importante concorso: il ‘Campionato Italiano di magia’. I concorrenti – selezionati durante l’anno in tutte le città della Penisola – si sfideranno nel gran finale la sera di mercoledì 15 maggio. L’importante riconoscimento in passato è stato vinto da artisti come Andrew Basso (che ora ha uno spettacolo fisso a Brodway) e Vanni De Luca (uno dei mentalisti più bravi al mondo). Alla Reggia di Venaria Reale saranno consegnate anche le ‘Grolle d’Oro’, gli Oscar della Magia. Quest’anno riceveranno il prestigioso premio – che nelle scorse edizioni, è stato assegnato anche a David Blaine, Lu Chen, David Copperfield e Dynamo – tre star internazionali dell’illusionismo: lo spagnolo Luis Piedrahita, la stella di Broadway Derek DelGaudio e Marco Tempest, cyber illusionista che combina magia e tecnologia. Il Congresso sarà anche un luogo dove allenarsi a pensare. Nel pomeriggio di venerdì 17 maggio, per esempio, ai dipendenti di una Società saranno spiegate le tecniche per portare “l’impossibile in azienda”. Sabato 18 maggio, al mattino, invece, si terrà un workshop dedicato alla formazione organizzato con Regione Piemonte e Confindustria per insegnare ai manager delle aziende che parteciperanno, nuove tecniche di pensiero. I relatori saranno: Walter Rolfo – ingegnere, coach ed esperto in processi percettivi, unisce creatività e innovazione, legate alle sue radici nel pensiero filosofico illusionistico, di cui è appassionato. Autore, conduttore e produttore televisivo per Rai, Mediaset e Sky, con più di 1.000 programmi all’attivo, è fondatore e presidente di Masters of Magic, una società di consulenza nel campo del management e della comunicazione. Consulente di grandi aziende quali Coca-Cola, Ferrero, Juventus, Lavazza, Philip Morris, FCA, Bayer, CNH Industrial, GoodYear, Maw, Pomellato, HP, Elior, Robe di Kappa, BNL, Wind. Pasquale Acampora – CEO, Partner e Trainer di Blackship, dal 2004 si occupa di business ed executive coaching per amministratori, dirigenti e top manager di numerose aziende e multinazionali.  Nel 2007 viene nominato Trainer in Programmazione Neuro Linguistica direttamente dal Dr. Richard Bandler ed è uno dei pochissimi italiani a far parte del suo team di assistenti a Londra. Con più di 1.500 ore di training e coaching ogni anno, affianca da anni le aziende nei mercati più disparati aiutandole a raggiungere i loro obiettivi. Masters of magic World Convention dedica inoltre uno spazio alle case magiche di tutto il mondo dove sarà possibile acquistare ogni tipologia di prestigio. Il Congresso è anche molto altro. È l’occasione per tutti gli illusionisti, provenienti da ovunque, di ritrovarsi insieme e trascorrere le notti tra sfide divertenti come la ‘Close-up Marathon’ (gara di chi riuscirà a fare più giochi ai tavoli in una notte), i party a tema e gli spettacoli con i migliori artisti internazionali di tutte le categorie magiche. Un’incredibile esperienza che si concluderà con il Gran Gala di Magia aperto al pubblico alla Reggia di VenariaPer soddisfare la grande richiesta alle 4 repliche inizialmente previste se ne sono aggiunte altre 2.
 
cs

Scrigno di sfoglie con sorpresa

Un insolito e sfizioso antipastino da offrire agli amici: è di sicuro successo

nespoleVi propongo questo insolito e sfizioso antipastino da offrire agli amici, e’ scenografico e di sicuro successo.

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Dosi per circa 6/8 persone.

1 Confezione pasta sfoglia rettangolare

8 Fette di speck

8 Cubettini di formaggio gustoso (tipo Berna svizzera)

1 uovo per spennellare.

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Esecuzione:

Stendere la sfoglia e assottigliarla con il mattarello. Ricavare con una rotella 6/8 quadrati (dipende dalle dimensioni delle nespole). Pelare le nespole, inciderle ed estrarre il nocciolo e la pellicina, inserire in ogni nespola un cubetto di formaggio, chiudere la nespola, avvolgerla con la fetta di speck e posizionarla al centro del nostro quadrato di sfoglia. Prendere i 4 lembi di sfoglia e pizzicarli insieme chiudendo cosi’ la nespola nel suo scrigno. Spennellare con l’uovo e infornare nel forno caldo (200*) per 25/20′. Buon appetito da PaperitaPatty.

PaperitaPatty