LIFESTYLE- Pagina 18

L’amaro gusto dell’acqua

Era sempre la stessa storia. Ogni volta che un gerarca veniva sul lago, in visita alle isole Borromee,  a Stresa o in un’altra località nelle vicinanze, Gino e Lucio finivano ammanettati nella rimessa delle barche, proprio  sotto la passeggiata del  lungolago di Baveno.

Le disposizioni, del resto, erano chiare: tutti coloro sui quali si nutriva anche solo il sospetto d’essere dei  sovversivi andavano controllati e, se necessario, messi a tacere. I due, pur avendo schivato il confino non potevano evitare quella restrizione della loro libertà. E quindi, giù sotto, in riva al lago, al riparo da sguardi indiscreti. Incatenati ai grandi anelli di ferro dove venivano assicurate le cime da ormeggio delle imbarcazioni, non erano in condizione di nuocere. “Anche se si lamentassero, là sotto, nessuno potrà udirli”, sentenziò il maresciallo Rustici. Fascista antemarcia, il graduato dei carabinieri evadeva così la spinosa “pratica” di “quelle due teste calde”. “Oh, Carmelo – disse, rivolgendosi al carabiniere scelto Esposito -; ma ti pare che dovevano proprio capitare tra i piedi a noi questi rompiballe?”. Carmelo, buono come un pezzo di pane, annuì per far piacere al suo superiore ma in cuor suo non li avrebbe costretti a star lì, quasi a mollo nel lago, in quell’antro umido e inospitale. Già l’ultima volta, per un  soffio, non c’era scappato il morto. I due –  ai quali era stato aggregato anche Olimpo Bronzelli – erano finiti ammanettati agli anelli d’ormeggio perché era stata annunciata la visita di un pezzo grosso all’hotel Beau Rivage. L’Hotel era proprio lì, dall’altra parte della strada che attraversava il paese. Olimpo, scalpellino nella cava di granito rosa, era finito ai ferri perché reo di aver canticchiato in un’osteria un motivetto che il Podestà aveva giudicato offensivo nei confronti del regime e del Regno. In realtà, il povero tagliapietre – un po’ brillo – aveva improvvisato un’innocua e vecchia tiritera che più o meno suonava così: “Viva il Re, viva la regina e viva la capra della Bettina”, animale reso famoso dall’eccellente e copiosa produzione di latte. Uno scioglilingua che però era stato mal interpretato e così, ai soliti due reprobi si aggiunse pure il terzo. Il problema derivò dal maltempo. Una forte perturbazione stava imperversando tra il lago e le alture del Mottarone e, in poco tempo, le onde s’ingrossarono trasformandosi in schiumosi cavalloni che s’infrangevano sulla massicciata ricavata dalla passeggiata del lungolago. Immaginarsi che inferno anche là sotto, per i tre prigionieri. A tratti le onde li sommergevano per poi ritirarsi, lasciandoli infreddoliti e in balia di altri, gelidi, schiaffi d’acqua. Tutti e tre furono costretti, loro malgrado, a bere quell’acqua dal cattivo sapore. Soprattutto Lucio che, una volta liberato, giurò di non toccar più una goccia di quel liquido tremendo, limitandosi – pur nelle restrizioni dell’epoca – a sorseggiare soltanto vino, compreso quello aspro e ruvido, che legava in bocca, spillato dalla botte dell’osteria della Miniera, su in  Tranquilla.

Marco Travaglini

Utilizziamo al meglio il nostro tempo

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Parte 3

Per raggiungere sul serio l’obiettivo di utilizzare al meglio il nostro tempo occorre avere la voglia e il coraggio di organizzarlo in modo un po’ più razionale, utilizzando una parola che, soprattutto nel vocabolario dell’italiano medio, risulta solitamente ostica e antipatica: Programmazione.

Senza per questo ridurre la nostra vita a una rigida e ridicola serie di impegni. Partendo da due componenti fondamentali, ciò che dobbiamo fare e ciò che vogliamo fare. Possiamo anche suddividere queste componenti in più tipologie (ad esempio lavoro, impegni vari, attività personali, ecc.).

E riportiamo quindi gli impegni su una agenda, cartacea o (sarebbe meglio perché più agevole nelle modificazioni) elettronica (va benissimo anche quella già inserita nei cellulari). Utilizzare bene l’agenda ci permette, oltre a organizzare molto meglio il tempo, di liberare la mente, senza dover fare affidamento solo sulla memoria.

Non ci dimenticheremo impegni e appuntamenti, ma avremo sempre un quadro chiaro del tempo a disposizione per fare qualsiasi altra cosa non abbiamo già previsto di fare, semplicemente visualizzando l’agenda. Parlo per esperienza personale, in quanto da molti anni utilizzo con risultati eccellenti questo metodo.

Se smetteremo di farci spaventare dalla parola “pianificazione” e ne metteremo in pratica il metodo, grazie ad essa potremo facilmente programmare tutti i nostri impegni, rispettando senza ansia e stress le scadenze, e riusciremo così a gestire in maniera efficiente il nostro tempo, senza trascurare le cose, le attività e le persone che amiamo.

Cerchiamo infine di eliminare le azioni non necessarie, quelle cioè che sono frutto di abitudini spesso inutili, e che ci fanno perdere tempo. Ognuno di noi ne ripete qualcuna. Finiamo con lo spendere molti minuti delle nostre giornate in attività ripetitive e di routine senza mai domandarci se quelle azioni hanno ancora un senso e una effettiva funzione.

Roberto Tentoni
Coach AICP e Counsellor formatore e supervisore CNCP.
www.tentoni.it
Autore della rubrica settimanale de Il Torinese “STARE BENE CON NOI STESSI”.

(Fine della terza e ultima parte)

Potete trovare questi e altri argomenti dello stesso autore legati al benessere personale sulla Pagina Facebook Consapevolezza e Valore.

Il vecchietto dove lo metto?

Tra i molti cambiamenti intervenuti nella nostra società negli ultimi decenni vi è anche l’aumento della vita media; non è infatti difficile ormai trovare persone che hanno compiuto 90 anni ed oltre, specie nei Comuni di montagna.

All’aumento dell’età, però, non sempre corrisponde una qualità della vita accettabile: patologie degenerative sempre più frequenti, solitudine, problemi deambulatori costringono gli anziani al ricovero presso le strutture dedicate, le “Residenze Sanitarie Assistenziali”.

Se da un lato questi ricoveri mostrano che la società si è organizzata per sistemare gli anziani non autosufficienti, dall’altro denota il forte mutamento nelle abitudini sociali cominciato una ventina di anni fa almeno e tutt’ora in forte espansione.

Pensate soltanto a quanti anziani conosciamo, degenti presso queste strutture perché i figli sono entrambi occupati con il lavoro o impossibilitati ad occuparsi di loro per altre ragioni.

Un primo dubbio da sollevare è il rapporto tra stipendio percepito e costo della degenza in RSA: a fronte di uno stipendio (buono) di 2000 euro al mese, va considerato che un mese in RSA ha un costo che si aggira tra i 2500 ed i 3000 euro + IVA al mese.

Vale dunque la pena lavorare e, per questo motivo, dover spendere circa 1000 euro al mese in più di quanti ne guadagniamo, nella migliore delle ipotesi? Certo, qualcuno sosterrà che in tal modo si crea occupazione perché in una RSA trovano impiego OSS, infermieri, medici, cuochi e cucinieri, tecnici, giardinieri, ecc, ma pensando unicamente all’aspetto occupazionale arriveremo a perdere di vista ogni valore umano, a catalogare le persone in base a quanto contribuiscano all’aumento del PIL e non in base agli affetti o alla relazione di parentela.

Se tornassimo ad occuparci dei nostri ascendenti, come loro si sono occupati di noi quando le parti erano invertite? In una società i più grandi hanno il compito di allevare ed educare i più giovani fin quando questi siano in grado di badare a se stessi; dopo, però, non vanno buttati via perché inutili ma, anzi, aiutati perché non più in grado di essere autonomi, in una sorta di patto sinallagmatico tra le generazioni.

Spesso sembra che le persone vengano paragonate agli oggetti di uso quotidiano: fino a qualche anno fa portavamo a riparare la TV, la radio o l’elettrodomestico guasti, chiamavamo il tecnico per frigo, lavatrice o forno quando si guastavano e il falegname quando i mobili mostravano segni di usura nello scorrimento dei cassetti, le maniglie non chiudevano più correttamente e così via.

Ora, complice la tecnologia che rende obsoleti oggetti di 3 anni, appena qualcosa si guasta valutiamo se sia di una classe energetica superiore, se la garanzia aggiuntiva sia scaduta e 90 volte su 100 decidiamo di buttare via l’oggetto per acquistarne uno nuovo; con quello che abbiamo speso, il risparmio energetico derivante alla nuova classe energetica si manifesterà dopo almeno 4 anni, quando probabilmente cambieremo nuovamente l’elettrodomestico.

Con gli anziani rischiamo di fare la stessa cosa: quando non ci servono più e diventano impegnativi meglio destinarli ad una struttura che li accudisca per noi, anche se non è la scelta economica migliore, pur di non modificare le nostre abitudini, non rinunciare alla nostra libertà, non sacrificarci in nome dell’amore parentale.

Ma è una ruota che gira: quando toccherà a noi preferiremmo avere uno dei nostri congiunti, anche solo qualche ora, a casa ad alternarsi ad una badante o essere scaricati in una struttura dove saremo poco più che numeri e vedere i nostri cari quando si liberano?

Se la ricerca scientifica puntasse davvero sul migliorare la qualità della vita anziché prolungarla soltanto? Se coinvolgessimo gli anziani in tutti i livelli della nostra società, anziché esautorarli quando non sono più attivi, quando diventano un peso? Non dimentichiamo che gli anziani rappresentano la nostra memoria storica e la loro esperienza può aiutarci ad evitare il ripetersi di errori.

Pensiamoci, potrebbe toccare a noi.

Sergio Motta

Davvero squisite le frittelle di zucchine

Velocissime da preparare le frittelle sono amate da grandi e piccini, servite calde appena fatte poi, sono nella loro semplicita’, irresistibili. Le frittelle di zucchine sono una proposta adatta a tutte le occasioni, un  gustoso secondo vegetariano, uno sfizioso antipasto o un croccante contorno.

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Ingredienti

 

3 zucchine con il fiore

2 uova intere

4 foglie di basilico

50gr. di parmigiano grattugiato

40gr. di farina

Sale, pepe, olio di oliva q.b.

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Tagliare a rondelle sottilissime le zucchine e i fiori precedentemente lavati. In una ciotola sbattere le uova, unire la farina setacciata, il parmigiano, le foglie di basilico tritate, il sale ed il pepe. Aggiungere le zucchine e i fiori, mescolare bene. In una padella portare a temperatura l’olio e versare a cucchiaiate l’impasto di zucchine formando delle frittelle. Lasciar cuocere girandole piu’ volte sino a doratura completa. Scolare su carta assorbente e servire belle calde.

Paperita Patty

Luigino, il cacciatore di serpenti

Luigino “mazzabis” era un serparo. Conosceva i segreti per catturare e maneggiare le vipere. S’intrufolava nelle zone più scomode e rocciose, passando in rassegna gli  anfratti vari, alla ricerca dei rettili. Soprattutto a mezza costa, nelle parti  più assolate dei pendii del Mottarone, tra i sassi nascosti dal brugo, nei pressi delle cave di granito o sui versanti  scoscesi del torrente Selvaspessa. “Caro mio, non si va per serpi in pianura. Bisogna scarpinare e non aver fretta. Ti apposti e, quando la biscia si stende a prendere il sole, l’acchiappi al volo. Bisogna esser lesti, veloci. Altrimenti ti morde e son dolori“.

Luigino “mazzabis”, all’anagrafe Luigi Poldo, aveva studiato medicina a Pavia dando tutti gli esami senza però laurearsi. Tornato sul lago Maggiore, a Baveno, dopo aver fatto diversi lavori,  da un tempo lavorava come assistente di un dentista e s’era impallinato con la storia del serparo.  Dai serpenti che catturava, cavava il veleno per poi cederlo ad un’ importante ditta farmaceutica del milanese tramite il dottor Klever , il farmacista del posto. Le cercava un po’ ovunque: dall’alpe Vidabbia al Monte Zughero, dai valloni sotto i Corni di Nibbio fino in Valgrande. Soprattutto quest’ultima zona, oggi parco nazionale, godeva di una certa fama. La chiamavano, infatti, la “valle delle vipere”, alimentando il mito del  leggendario Bazalèsch (il basilisco) e del Galètt , una vipera nera con la cresta che emanava un profumo talmente insistente da far cadere addormentate le persone. In realtà l’essere così poco teneri con queste serpi è ingiusto. La vipera e’ un animale piuttosto timido e pauroso, che attacca solo per difendersi. Può rappresentare un pericolo per le capre o le mucche ma  i casi di donne e uomini morsi dalle vipere  sono piuttosto rari. “ Quando si incontrano sul percorso, basta semplicemente fermarsi e aspettare che si allontanino”, ci diceva Luigino. “ Questo nel caso riusciamo a vederle per primi, altrimenti se arriviamo troppo vicini e la spaventiamo, la vipera può reagire, prima di attaccare, con quel suo caratteristico “soffio”, che e’ abbastanza impressionante”.

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Le vipere, per loro sfortuna e per nostra fortuna, sono gli unici serpenti velenosi esistenti in Italia (la sola regione dove non esistono vipere è la Sardegna). A seconda della specie, possono vivere indifferentemente in pianura, in collina o in montagna, così come  nei boschi, nelle pietraie, nei prati o lungo le siepi, manifestando una certa predilezione per i luoghi soleggiati. La vipera dispone di un apparato velenifero perfetto ed efficace, una vera e propria “arma letale”: il veleno , prodotto da una ghiandola posta sopra il palato, viene inoculato nella ferita al momento del morso attraverso appositi canalini che porta dentro le due piccole zanne. Altamente tossico, talvolta mortale, è in grado di agire in meno di un quarto d’ora. Ovviamente prediligono le zone dove ci si può  nasconder bene, abbastanza isolate. “ Le serpi le trovi lontano dai posti abitati”, aggiungeva Luigino. “Se incontri un aspide o un marasso,lo riconosci dalla testa triangolare e dagli occhi: le vipere hanno le pupille verticali, simili a quelle dei gatti. Si distinguono così dalle bisce innocue che hanno la pupilla tonda. Anche se, a dire il vero, un sacco di gente non perde tempo a guardarle negli occhi e scappa via a gambe levate”. Noi , curiosi, gli chiedevamo se c’era una  tecnica per catturarle.  Guardate, la serpe percepisce le vibrazioni del terreno, e fugge. Se però ti avvicini lentamente, con passo felpato,  e più o meno conosci la zona, non è difficile scovarla e catturarla anche se si è mimetizzata tra sassi  ed arbusti. Dovete sapere che la serpe è abilissima a mimetizzarsi e la sua colorazione si adatta all’ambiente  dove vive. E’ una grandissima artista nel camuffarsi. A volte si riesce a catturarle anche non in ferma. Sì, perché quando si muovono è più facile riconoscerle. Ma, ricordate: più che la tecnica, conta l’esperienza, l’intuito. Io ne catturo parecchie di vipere  ma capita spesso che per prenderne una ci devo tornare anche tre o quattro volte. Non è né una cosa semplice, né una cosa impossibile. Molto dipende dal luogo dove vive. Per la tecnica di cattura ci vuol mano ferma e occhio vigile:le  afferro per la coda a mani nude e le sollevo in aria. Così neutralizzo la vipera perché non riesce più a risollevarsi e mordere, e la ficco nel sacco. A volte  uso anche   il bastoncino biforcuto ma non mi piace tanto”. Ma c’era anche un periodo “buono” per la caccia? Luigino, sorridendo, rispondeva con un detto ( “ a S. Giuseppe la prima serpe” ) che indicava tra fine marzo e l’inizio dell’estate il periodo migliore. Raccontava che nei  boschi e fra i sassi di Pian di Boit, in Valgrande, c’erano quelli che – catturate le vipere – le chiudevano in apposite cassette di legno con uno spioncino e le spedivano all’istituto sieroterapico di Milano.

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Per quei montanari era  un modesto integrativo finanziario al magro reddito d’alpeggio. “ Sapete,ragazzi: si guadagna qualcosa, ma non si diventava ricchi. Quelle catturate in aprile valgono di più, perché contengono una maggiore quantità di veleno. In una stagione, un bravo viperaio riesce a catturarne 70-80. Io, una decina d’anni fa, ho raggiunto il mio record: centoventitrè. Ma è stato davvero un anno di grazia. A proposito, vi ho mai raccontato di quella volta che ho dovuto soccorrere il Martin Cappella? Lo conoscete, no?”.  Lo conoscevamo sì: era uno dei “fungiatt”, dei cercatori di funghi più esperti della zona del Mottarone. Nonostante questo – stando al racconto di Luigino –  un pomeriggio  si dimenticò della necessaria prudenza. Eppure sapeva bene cos’era bene evitare di fare. Ad esempio,   mai frugare con le mani  tra le felci, vicino ai sassi, senza prima essersi accertati che non vi fosse pericolo. Gli era parso di vedere un fungo e, allungata la mano, la ritirò di scatto, dolorante. La vipera l’aveva “tassato”.. “ L’ho sentito gridare e sono volato lì come un falchetto. La pelle nel punto della morsicatura era già rigonfia, arrossata, con chiazze bluastre. Non mi sono fatto pregare. L’ho fatto distendere e con il mio coltello ho inciso la ferita, succhiando e sputando via il veleno. Con la cintura dei pantaloni gli ho stretto il braccio una ventina di centimetri sopra il segno del morso e l’ho caricato in spalla. Per fortuna non eravamo distanti dalla cava. Con il  fuoristrada di uno degli addetti a far brillare le mine necessarie a staccare le lastre di granito, siamo andati al pronto soccorso a Pallanza dove l’hanno curato. E v’assicuro che da quella volta gira sempre con il bastone e prima di metter giù le mani , fruga dappertutto con quello. Cosa volete, il morso della vipera gli ha messo una fifa addosso che non vi dico”. E concludeva i suoi racconti ricordando a chi l’ascoltava che lui, raramente, aveva ammazzato una biscia perché – in fondo – quegli esseri – un po’ come tutti gli animali – “non erano certo peggio degli uomini”.

Marco Travaglini

Nichelino, arriva il carnevale!

“CARRI, CORIANDOLI, CHIACCHIERE – IX Edizione”

16 febbraio 2025

Con il 2025 il Carnevale nichelinese cresce ancora ed entra a far parte del circuito del “Carnevale delle due Province” insieme alla Fondazione Amleto Bertoni, alle Pro Loco di Rivoli e di Barge e alle Città di Saluzzo, Rivoli e Barge.

A dare il via al calendario del “Carnevale delle due Province” sarà proprio la sfilata di Nichelino domenica 16 febbraio. A seguire toccherà a Rivoli il 23 febbraio, a Barge il 1° marzo per concludere con la sfilata e la premiazione finale dei migliori carri del “Carnevale delle due Province” del 2 marzo a Saluzzo.

Ma vediamo, nel dettaglio, il programma del Carnevale nichelinese.

Sabato 8 febbraio il Centro sociale “Nicola Grosa” ospiterà la cerimonia di investitura delle maschere di Nichelino e Stupinigi Madama Farina Monsù Panaté, alle quali verranno consegnate le chiavi della Città. L’evento è riservato ai gruppi carnevaleschi dei Comuni ospiti.

Sabato 15 febbraio in Piazza G. Di Vittorio, a partire dalle 15.00, ci sarà il “Carnevale dei Bambini” con balli di gruppo e animazione a cura delle associazioni del territorio, distribuzione di tè caldo e dolci grazie ai volontari dell’Associazione AVIS di Nichelino. Inoltre, sempre in piazza, si potrà ammirare il nuovo carro cittadino “Riprendiamoci il futuro”, realizzato dall’associazione Patela Vache.

L’evento sarà presentato come sempre da Mauro Forcina con la partecipazione di Trinitube Tv, Radio Alfa e Radio Juke Box.

Domenica 16 febbraio, dalle 14.00, grande sfilata dei carri allegorici “Carri, coriandoli e chiacchiere – IX Edizione” su via Torino con partenza da piazza Camandona e arrivo in via M. D’Azeglio. La sfilata sarà aperta da una insolita Banda musicale civica “G. Puccini” e dal carro di rappresentanza di Nichelino e Stupinigi, con a bordo gli ormai popolarissimi Madama Farina e Monsù Panaté.

Sfileranno i carri di Carmagnola, Centallo – Fossano, Luserna, Mondovì, Piobesi, Racconigi, Roletto, Scalenghe, Villafalletto. A chiudere le danze sarà, come da tradizione, il carro di Nichelino che quest’anno ha come tema “Riprendiamoci il futuro”.

Presentazione dal balcone del Palazzo Comunale a cura di Elia Tarantino e Mauro Forcina. La manifestazione sarà trasmessa in differita su PrimAntenna Tv.

In caso di maltempo la sfilata dei carri allegorici sarà rinviata a domenica 23 marzo.

“Come Amministrazione continuiamo ad impegnarci per far crescere una manifestazione che, in otto anni, è partita da zero per arrivare a essere uno dei riferimenti del Carnevale piemontese – raccontano il Sindaco di Nichelino Giampiero Tolardo e l’Assessora agli Eventi e Tradizioni locali Giorgia Ruggiero -. Riuscire ad ampliare e arricchire il programma della manifestazione, entrando a far parte di un circuito che permette di lavorare in sinergia con altre importanti realtà del territorio, è un grande riconoscimento. L’organizzazione congiunta delle rispettive sfilate dei carri allegorici e un concorso finale unico per la premiazione dei migliori carri e delle migliori performance artistiche è un grande stimolo anche per i “carristi”, per la creazione di opere sempre più originali con un seguito di centinaia e centinaia di figuranti impegnati in coreografie di alto livello. Il tutto con evidenti effetti di promozione del territorio e di sviluppo turistico”.

L’hair stylist torinese campione del mondo

SCOPRI – TO ALLA SCOPERTA DI TORINO
Quando ha aperto il suo primo salone ha rischiato di doverlo chiudere perché era definito troppo moderno, ma lui non ha mai mollato e nel 2019 vince il premio come miglior hair stylist italiano e poi nel 2022 si aggiudica il primo posto nella più importante categoria mondiale per parrucchieri. Lui è Lorenzo Marchelle, direttore del noto salone torinese “Attilio Artistic Team” che insieme alla storica barberia “Attilio barber shop” fondata dal padre, è oggi tra le eccellenze piemontesi nel settore. Lorenzo racconta a noi del Torinese come è arrivato al successo attuale.
L’INTERVISTA
D: Ciao Lorenzo, a che età hai iniziato a lavorare e come è nata questa passione?
R: Ho iniziato all’età di quindici anni da mio papà, ma volevo cambiare fare cose diverse, il mio obiettivo era differenziarmi e puntai fin da subito sul diventare un hair stylist per le donne, così nel 2012, avevo 23 anni, aprii il mio negozio, pian piano ne trasformai il nome in “Attilio Artistic Team” e qualche anno dopo proposi i miei corsi di formazione e divenni la prima accademia di parrucchieri dal vivo.
D: Da lì hai anche partecipato a numerose Fashion Week: New York, Londra, Milano, Parigi, com’è lavorare a contatto con quel tipo di realtà? Ti è mai capitato di esserti adeguato a ciò che voleva la moda attuale e non ciò che tu avresti voluto fare?
R: Partecipare alle Fashion Week e poi al Festival di Venezia sono state delle esperienze uniche, può capitare che qualcuno ti dica cosa fare, ma io non l’ho mai ascoltato, ho sempre preferito fare di testa mia, sempre chiaramente con l’umiltà di apprendere da persone ancora più esperte ma senza mai adeguarmi a cose che non erano nel mio stile. Un parrucchiere è un artista, deve poter creare come desidera per essere unico e sperimentare tutto il suo estro, se ci incaselliamo in degli standard diventiamo tutti uguali e la popolazione non può neanche più scegliere cosa gli piace davvero perché non hai più alternative, io sono per la libertà e per la scelta personale di ognuno sempre e in qualunque campo.
D: A proposito di essere artista, se una tua cliente ti chiede di acconciarla in un modo che a te non piace non glielo fai? Spesso si dice che, quando si richiede una spuntatina ai capelli, il parrucchiere poi ti crea un caschetto!
R: Mah no, non lo farei mai! (risata) quando si è alle sfilate o agli eventi dimostro me stesso al cento per cento, ma in salone per me il cliente è al centro, se la persona desidera un colore o un taglio di un certo tipo anche se, secondo me, sarebbe meglio fare diversamente posso consigliarla, ma poi eseguo precisamente quello che mi ha chiesto. È fondamentale comprendere chi abbiamo davanti, è un lavoro fatto anche di grande empatia e io ho il massimo rispetto per i miei clienti, ci tengo che escano sempre con il sorriso e abbiano voglia di tornare perché sanno di potersi fidare.
D: Tornando ai tuoi numerosissimi premi nel 2023 vieni selezionato per “l’Alternative Hair Show” di Londra, che è, per semplificare, il premio più ambito al mondo per il settore hair e vinci la categoria più importante.
R: Sì è uno show molto particolare coinvolge più di tremila spettatori dal vivo e i proventi dei biglietti vanno a favore dei bambini malati di Leucemia. In questo evento ci sono numerose sfide in cui i parrucchieri che arrivano da tutto il mondo devono superare e io sono riuscito ad aggiudicarmi il primo premio.
D: Hai mai avuto dei momenti di profonda crisi?
R: Sì spesso vado all’estero per apprendere le novità e un anno mentre ero a New York mi sono sentito perso, a Torino lavoravo sette giorni su sette, a New York avevo più tempo per me e in quel tempo ho avuto un grande momento di sconforto, ho pensato di mollare tutto, poi grazie all’aiuto di Simona la mia migliore amica e al mio fantastico team di collaboratori ho capito che avevo dato il massimo per tanti anni e che non potevo buttare tutto all’aria. Questo è successo prima di vincere il famoso premio mondiale, se mi fossi arreso non l’avrei mai vinto.
D: La tua esperienza può essere d’esempio a tante persone di qualunque età che hanno magari idee diverse dagli altri si sentono giudicate e quindi non osano, bisognerebbe invece non aver paura della propria unicità perché in un mondo che ci vuole tutti uguali è proprio quello che ci fa distinguere ed emergere dal rumore di fondo.
R: Esattamente ed è fondamentale credere in se stessi, la nostra vita è fragile, purtroppo io ho perso mio fratello Simone anni fa e ho capito quanto valga la gioia di vivere ogni giorno dando il massimo perché solo così possiamo dire di aver vissuto davvero!
Grazie Lorenzo, i tuoi spunti sono sicuramente molto interessanti e preziosi per chi ne vuole far tesoro.
Grazie a voi, è stato un piacere.
NOEMI GARIANO

La fonduta di caciocavallo è perfetta sui paccheri

I Paccheri sono un formato di pasta molto versatile e i modi per gustarli sono infiniti. Ve li propongo accompagnati da una setosa e avvolgente fonduta di Caciocavallo. Un primo piatto sostanzioso, gustosissimo e particolare. 
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Ingredienti 

350gr. di pasta “Paccheri” 
100gr.di formaggio Caciocavallo 
100ml. di panna liquida 
4 cucchiai di granella di pistacchi 
2 pomodorini secchi 
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Grattugiare il Caciocavallo con una grattugia a fori grandi. Scaldare la panna, sciogliere mescolando il formaggio sino ad ottenere una crema liscia. Nel frattempo cuocere la pasta in acqua salata. Quando cotta versare in una terrina, condire con la fonduta e cospargere con la granella di pistacchi ed un trito di pomodorini secchi. Servire subito. 

 

Paperita Patty 

La Via del Tè inaugura una nuova boutique nella suggestiva galleria Subalpina

Il 18 gennaio scorso la Via del Tè ha celebrato l’apertura della sua nuova boutique nella suggestiva galleria Subalpina. Costruita nel 1873, dall’architetto Pietro Carrera e inaugurata l’anno successivo, la galleria è un esempio raffinato di architettura ottocentesca, ispirata ai passaggi parigini. Con una lunghezza di 50 metri, una copertura in vetro e ferro battuto e un’altezza che raggiunge i 18 metri, la galleria unisce eleganza storica e modernità, creando un ambiente perfetto per una boutique. Il nuovo punto vendita sostituisce la boutique di via Carlo Alberto, inaugurata nell’ottobre del 2016, con uno spazio più ampio e una maggiore offerta di prodotti. Il negozio è un piccolo gioiello, caldo e accogliente, grazie agli elementi iconici dei negozi La Via del Tè con un delicato arredamento in verde Caledon e la carta da parati della Camellia Sinensis, la pianta del tè, oltre a raffinati mobili in stile Liberty.

Il vero protagonista, tuttavia, è il prodotto. Le varie linee di tè, presentate in eleganti confezioni che si trasformano in veri e propri oggetti d’arredo, arricchiscono l’ambiente con il loro calore e la loro personalità. Nella boutique sarà possibile acquistare una vasta gamma di tè in lattina, filtri e sacchettini, oltre a confezioni regalo, accessori per la preparazione e tè sfuso in foglia intera.

Il concept del negozio è fortemente rappresentato da un fil rouge, fare cultura sul mondo del tè e trasmettere la passione per quella che è più di una semplice bevanda, un rituale, un’esperienza sensoriale sociale e intima, un alleato prezioso per il nostro benessere quotidiano.

Un elemento distintivo è la visione laterale, arricchita da un elegante rosone in vetro realizzato da un artigiano toscano, che riproduce la pianta del tè, l’aromatica, un angolo dedicato ai profumi, con flaconi in vetro contenenti essenze di tè. Un samovar è sempre pronto a offrire un tè di benvenuto a tutti i visitatori, mentre il servizio Take away consente di sorseggiare bevande, tè e tisane passeggiando.

La Via del Tè ha creato una miscela per omaggiare la galleria che la ospita, la miscela Liberty, ispirata al dolce tradizionale piemontese, il bunet al cioccolato . Un mix ricco di tè neri provenienti da India, KKenya e Sri Lanka, arricchiti di bucce di cacao, zucchero cristallizzato, mandorle e fiordaliso bianco, che rievoca il profumo avvolgente del dessert. La miscela sarà disponibile soltanto nello store di Torino sia per l’acquisto sia per l’assaggio.

La Via del Tè è nata a Firenze nel 1961 dall’intraprendenza di Alfredo Carrai che, affascinato dal mondo del tè, ha accettato di introdurre e divulgare il consumo e la cultura di questa antica bevanda, la più bevuta al mondo dopo l’acqua.

 

Mara Martellotta

 

Alla scoperta del Friulano

Attraverso le espressioni dei Colli Orientali del Friuli

Lunedì 20 gennaio 2025 presso la sede del AIS Piemonte in via Modena 23 a Torino c’è stato un appuntamento dedicato al Friulano.
Un viaggio vero e proprio alla scoperta della profondità e bellezza del Friulano (ex Tocai) in 6 espressioni diverse dei Colli Orientali del Friuli, con il supporto dei dati e di un sistema di mappature di oltre 5000 vigne, costruito dal Consorzio Friuli Colli Orientali e Ramandolo ( circa 200 soci con 16 referenze a testa ) .
Una degustazione immersiva capace di far capire come questo grande vitigno sia il più fedele traduttore del terroir.
Un percorso intenso che ci ha fatto comprendere la storia e le espressioni enologiche specifiche dei Colli Orientali del Friuli condotto con competenza e simpatia dal brand ambassador sommelier AIS Matteo Bellotto.
In abbinamento alla degustazione sono stati serviti prosciutto San Daniele e formaggio Montasio.
Alcune note tecniche :
Oggi in tutto il Friuli ci sono circa 30.000 ettari piantati di 66 varietà vitivinicole.
Nel 1820 erano 305 . L’Età media degli impianti è per il 68% superiore ai 50 anni .
Il Friulano è il Vino dell’intimità tra amici.
Vino bandiera della regione, è un vitigno autoctono del Friuli di origini antichissime, con documenti scritti che risalgono a oltre due secoli fa. (Vino completamente diverso dal Tokay ungherese, ottenuto dall’assemblaggio di uve Furmint, Hàrzevelu e Muscat lunelu , il cui nome sta ad indicare una precisa area geografica.)
A causa di una sentenza della Corte Europea, il nome Tocai Friulano è stato perso ed è stato sostituito con il sinonimo “Friulano”.
Colore: paglierino dall’intensità variabile, presenta sfumature verdognole.
Profumo: delicato, gradevole che ricorda i fiori di campo e di mela verde.
Gusto: al gusto asciutto, intenso, vellutato, generalmente con acidità moderata. Caratteristico finale di mandorla amara.
Abbinamenti: eccellente come aperitivo, ottimo con antipasti magri come il prosciutto crudo, minestre in brodo, sul pesce e sulle carni bianche.
Temperatura di servizio: 10-12 °C. (Per Matteo Bellotto una regola da applicare per la giusta temperatura di servizio sarebbe
Per il Bianco Grado Alcolico -3
Per il Rosso Grado Alcolico +3
Colli Orientali hanno più di 2000 ettari vitati con 23 varietà e 6 sottozone.
I territorio della DOC “Friuli Colli Orientali” è costituito da tre macrotipologie di terreno con diversa origine:
  • Depositi alluvionali: trattasi di terreni autoctoni derivati da alterazione chimica (ferrettizzazione) della parte superficiale dei terreni  prevalentemente ghiaiosi, trasportati e deposti dalle correnti fluvio-glaciali durante l’ultima glaciazione wurmiana. Il substrato litologico che ha dato origine alle terre ferrettizzate è costituito per lo più da materiali calcarei e calcareo-dolomitici provenienti dagli alti bacini dei fiumi che operarono il trasporto, il deposito e il rimaneggiamento del materiale clastico.
  • Depositi detritici (eluvio-colluviali): derivano essenzialmente dai processi di disgregazione ed alterazione della facies marnoso-arenacea del flysch (variamente limoso-argillosi e sabbiosi). La composizione fisica e chimica varia in funzione delle percentuali degli elementi marnosi e arenacei costituenti la roccia d’origine. Il contenuto in calcare è compreso tra il 5 % ed il 15 % della terra fina; il calcare attivo è pressochè assente, come pure è da considerarsi nullo il potere clorosante.
  • Flysh marnoso-arenaceo: questa tipologia di terreno di origine eocenica contraddistingue tutti i profili collinari della denominazione ed è costituita da un alternanza di marne (argille) ed arenarie (sabbie). Localmente questo terreno viene chiamato “Ponca”.
In degustazione
 
La Sclusa 12 viti di Zorzettig Gino e Figli s.s.a.
Spessa di Cividale ( UD) 2023
Vigna del 2010 , 12 biotipi con dna di vigne di 100 anni . 6 mesi sui lieviti. Solo acciaio.
Al naso: fiori bianchi
In bocca: elegante, fresco sentore di sambuco sottile, finale sapido.
Zorzenone Leorino Cividale del Friuli (UD) 2022
Vigne di 85 anni, 4 ettari, situati in una conca fredda , 15% della raccolta appassita in cassette ( una sfida eroica per la buccia fine del Friulano ), Tocai giallo di collina .
Al naso: sentore di muffa, caldo
In bocca: fresco acidità laterale, mentolato elegante e sappi nel finale
Antico Broilo di Duri’ Giovanni Battista Prepotto (UD) 2023
Vigne di 70 anni , fermentazione spontanea,
1 settimana macerazione sulle bucce poi fermentazione In tini troncoconici , pressatura soft , tutto biologico .
Al naso: sentori di viola e rosa, erbe Mentolate, liquirizia
In bocca: bocca piena, data da pH basso, mentolato molto largo con un bellissimo finale
Castello Santanna di Cumini Loreta Spessa di Cividale ( UD) 2021
Vigna di oltre 100 anni , 32 giorni di macerazione in anfora, tre anni in anfora, fermentazione spontanea, zero filtrazione .
E’una zona molto fresca e ventilata.
Al naso: macerato, balsamico complesso, sentori di erbe alpine, sentori di tisana di acacia, miele, fiori gialli .
In bocca: bocca complessa, piena, alcol e sentori di mentolato nel finale .
È quello che si abbina meglio col prosciutto San Daniele.
Visintini di Visintini Oliviero Como di Rosazzo ( UD )Italia 2020
Vigne di 80 anni ,Vino biologico, zona calda, macerazione sulle bucce in anfora . Tocai giallo.
Tappo Diam 30 molto chiuso, quindi necessita di pazienza per poterlo degustare bene .
Al naso: elegante e sottile
In bocca: sentori di sambuco, alcol pronunciato, ma un fantastico equilibrio nel finale.
Stroppolatini Ante Bellum Riserva 2018 Gagliano Cividale del Friuli (UD)
Presenti dal 1868 , 2 ettari Vigna del 1899 , terrazzamenti lavorati a mano, Tocai giallo
Zona calda , ottima maturazione ha consentito di fare la Riserva
6gg macerazione sulle bucce poi solo acciaio
Alla vista : dorato quasi passito
Al naso : fiori bianchi ( acacia e tiglio ) , spezie dolci, sentori di tostato e nocciola, erbe alpine
In bocca: bella freschezza, mentolato complesso, sentori di sambuco
MONVIERT Vermouth
Vermuth da uva Verduzzo, dalla buccia durissima, vendemmia tardiva vicino al Ramandolo, terreno molto calcare.
Al naso: fantastico arancio, Assenzio dolce sentori di cacao e spezie dolci
In bocca: lineare, preciso, sentori dolci dati dall’Assenzio e nel finale amaricante. Tannico perché deriva da vino poco filtrato e mantenuto grezzo per dare un’incidenza maggiore.
Alla prossima !
LUCA GANDIN