ECONOMIA E SOCIETA'- Pagina 702

Dalla Regola di San Benedetto alle Bio Abbazie

monaci abbaziaGARAU2IL MONDO DEL BIO / di Ignazio Garau *

 

il Monastero di Plankstetten (D), seguendo la Regola benedettina e scegliendo di “Ritornare alle origini”, ha deciso di convertirsi ai metodi dell’agricoltura biologica, tanto da essere oggi conosciuto come la “Bio Abbazia”

 

La “custodia del creato” e la tutela della “casa comune” che Papa Francesco con l’enciclica ” Laudato si’ “ ha posto in grande evidenza nei mesi appena trascorsi, stante anche la gravità della situazione a cui siamo giunti, sono stati oggetto di riflessione e di impegno da parte dei credenti nel corso della storia della Chiesa. L’emergenza clima e gli allarmi smog, che risuonano da Torino a Pechino anche in questi giorni prenatalizi, ci ricordano come sia urgente l’impegno di ciascuno di noi anche nei piccoli gesti quotidiani, con l’adozione di nuovi stili di vita più sobri e conviviali. Oggi vi racconterò brevemente la scelta di alcuni monasteri.

 

L’Enciclica di Papa Francesco ” Laudato si’ ” è stata rivolta a ogni persona che abita questo pianeta, con l’intento di aprire un dialogo con tutti riguardo alla conservazione della “nostra casa comune”. La lettera pastorale del Pontefice richiama San Francesco, di cui ha assunto il nome e il cui cantico dà il titolo all’Enciclica e la introduce «Laudato si, mi Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba». Ma, come vi dicevo poc’anzi, non mancano nella storia della Chiesa altri esempi di Santi che hanno lasciato la loro testimonianza di attenzione e rispetto per la natura.

 

Il Santo di Assisi è sicuramente noto per il “Cantico delle creature” e il suo amore verso tutte le manifestazioni di vita (tutti ricorderete la predica agli uccelli o l’episodio del “lupo di Gubbio” che terrorizzava gli abitanti e fu ammansito dal Santo, tanto che “frate lupo vivette due anni in Agobio; ed entrava dimesticamente per le case, a uscio a uscio, sanza fare male a persona e senza esserne fatto a lui; e fu nutricato cortesemente dalla gente”).

 

Meno noto è il fatto che San Benedetto da Norcia (Norcia 480 circa – Montecassino, 21 marzo 547) fondatore dell’ordine dei Benedettini, nella sua Regola qualifica la vita monastica nel suo dovere di prendere in mano il “creato” e custodirlo per lo “scopo” per cui ci è stato dato: per la vita! E non solo conservarlo, ma anche trasformarlo continuando l’opera creatrice di Dio “con le mani dell’uomo” operanti per celebrare, appunto, il creato.

 

Si può affermare che i due santi, San Benedetto e San Francesco d’Assisi (che nacque “solo” nell’anno 1.181), rappresentano due modelli distinti, due approcci diversi al tema della “natura”.

I monaci del monastero di Monte Cassino, fondato da San Benedetto attorno al 529, seguendo la regola hanno imparato a gestire la terra mettendola a frutto e conservando la sua fertilità, diventando importanti centri spirituali, culturali ed economici in tutta Europa (e non solo). E’ conosciuto da tutti l’importante contributo dei monaci benedettini al prosciugamento delle paludi, allo sviluppo delle coltivazioni e dell’allevamento zootecnico, all’utilizzo dell’energia idraulica in tutta Europa.

San Benedetto e la sua tradizione rappresentano il momento ecologico della visione cristiana della natura.

San Francesco d’Assisi rappresenta, invece, l’aspetto della lode. Vedendo la bellezza e la grandiosità della natura, Francesco lodava il Signore e il suo «Cantico delle creature» è, appunto, un inno di lode.

 

La Regola benedettina ha stabilito l’autonomia di ogni monastero e il suo legame con il territorio in cui é insediato, così da prevedere una crescita e un progresso comuni, del convento e della regione circostante. Il motto “Ora et labora” (prega e lavora) sottolinea l’importanza che i Benedettini attribuiscono, oltre che alla vita contemplativa, anche al lavoro manuale. San Benedetto ha proposto uno stile di vita che incoraggia i monaci a rinunciare alle cose superflue e a accontentarsi di quello che il territorio nel quale vivono può offrire. L’agricoltura e l’artigianato godono della massima attenzione per garantire l’autosufficienza, ovvero l’indipendenza economica del Monastero.

 

Se un tempo praticare l’agricoltura significava garantire la conservazione dell’ambiente e delle sue risorse, oggi, con l’introduzione di modelli industriali anche per le produzioni dei campi, questo non è già scontato occorre compiere scelte precise se si vuole offrire una speranza di sopravivenza alla specie umana. L’agricoltura biologica è diventata, così, la scelta obbligata di chi vuole continuare a preoccuparsi della conservazione del creato.

 

Per questo il Monastero di Plankstetten (D), seguendo la Regola benedettina e scegliendo di “Ritornare alle origini”, ha deciso di convertirsi ai metodi dell’agricoltura biologica, tanto da essere oggi conosciuto come la “Bio Abbazia”.

Il Monastero è situato nel comune di Berching, al centro della Baviera, a circa 30 km da Norimberga, inserito in un territorio rurale che sta cercando un suo percorso di crescita sostenibile. Nell’Abbazia l’attività agricola (in prevalenza coltivazione di luppolo e cereali, che alimentano la produzione di un’ottima birra artigianale) è certificata secondo le regole dell’agricoltura biologica, così come l’allevamento del bestiame.

Sono stati creati dai monaci un hotel, un ristorante, un panificio per la produzione del pane e di prodotti di pasticceria, un laboratorio per la lavorazione della carne, oltre a un vero e proprio supermercato biologico, che serve il territorio e contribuisce alla valorizzazione dei prodotti della regione. Un vero e proprio villaggio autosufficiente, in cui non manca una fornita libreria con testi antichi, che offre ospitalità ai molti visitatori che stanno iniziando a frequentare il territorio, attirati dai percorsi ciclabili o dalla possibilità di tour nei corsi d’acqua collegati al canale Meno-Danubio (aperto nel 1992).

 

L’Abbazia è così ritornata a essere motore di sviluppo spirituale, culturale e anche economico per il territorio, seguendo le regole dell’agricoltura biologica. Il monastero di Plankstetten offre, attraverso il funzionamento del suo modello produttivo – economico, la dimostrazione che i cicli ecologici della produzione agricola e forestale, trasformazione e consumo dei prodotti, possono raggiungere la piena sostenibilità attraverso l’agricoltura biologica.

 

Ho visitato il Monastero qualche tempo fa, fermandomi a gustare i buoni piatti della cucina conventuale e senza negarmi un boccale dell’ottima birra artigianale. Ho poi fatto qualche acquisto nella loro bottega, che dispone di un’ampia selezione di vini biologici: assieme ai vini della regione anche quelli dei monaci del Monte Athos, distanti sul riconoscimento del primato del Vescovo di Roma, ma sicuramente vicini nella scelta di impegnarsi nella cura della casa comune.

 

Anche in Italia non mancano esperienze simili, come per esempio il Monastero di Siloe, collocato in un angolo ancora selvaggio della Maremma toscana, dove i monaci benedettini impegnano la loro giornata lavorativa nella coltivazione, tra le tante produzioni, di peperoncini, legumi cereali e altre erbe, seguendo le regole della biodinamica. Qui non siamo in un’antica Abbazia e le mura del convento sono state costruite secondo le norme della bioarchitettura.

 

Sul sito della Comunità si può leggere, a conferma dell’impegno per l’ambiente: “La Comunità di Siloe e il Centro Culturale San Benedetto hanno aderito ad una rete di centri per l’etica ambientale. Con la stesura di una “Carta di Intenti” si condivide l’esigenza di una azione congiunta, tesa a favorire, sostenere e promuovere la transizione ad una nuova modalità di presenza dell’uomo sul pianeta. Lo scopo è insomma la crescita di un nuovo umanesimo ecologico, che intrecci la custodia dell’ambiente con quella delle relazioni interumane e con un’attenzione forte per le generazioni future”.

 

Concludo questo racconto con le parole di Papa Francesco che nella sua Enciclica, riferendosi alla Terra, dice: “Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla … Dimentichiamo che noi stessi siamo terra (cfr Gen 2,7). Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora.”

 

* Presidente Italiabio

ciao@italiabio.net

 

 

Le “trame sensibili” di Sissi Sardone

SARDONE 2L’evento, in calendario per la rassegna “Appuntamenti con la Grafica d’ Autore” è promosso dall’ associazione “Il Brunitoio”

 

E’ stata inaugurata sabato 12 dicembre, alla Sala Esposizioni Panizza (corso Belvedere 114) a Ghiffa, sul Lago Maggiore, la mostra “Trame sensibili” di Sissi Sardone. L’evento, in calendario per la rassegna “Appuntamenti con la Grafica d’ Autore” è promosso dall’ associazione “Il Brunitoio”. Sissi Sardone , tra i fondatori dell’Officina di Incisione e Stampa in Ghiffa “Il Brunitoio”, ha collaborato nel corso di dodici anni di attività dell’associazione all’allestimento di numerose mostre, partecipando all’attività dei laboratori e ai corsi di grafica che hanno costituito la sua formazione artistica. Ha esposto in alcune mostre collettive ed è alla sua seconda mostra personale, dopo quella allestita in estate sul lago d’Orta,  presso l’Aglaia Arts And Crafts di Omegna. Protagoniste delle sue “trame sensibili” sono le bustine di tè che Sissi riutilizza in modo del tutto insolito. Nelle sue opere le bustine di tè verde, bianco o nero non esauriscono  le loro proprietà con l’infusione nelle tazze ma riscoprono una seconda vita  che consente loro di farci “esplorare segni e  reticoli di sensazioni”, costruendo originalissimi “percorsi di relazioni”, come ha detto Francesco Pagliari  nella sua presentazione.SARDONE 1

 

Queste bustine, simbolo di momenti conviviali, sono il punto di partenza della riflessione dell’artista, che – con estrema delicatezza – le utilizza per creare tenue ed eteree matrici idonee al suo lavoro calcografico. Crea quindi composizioni astratte, dai motivi geometrici, sulle quali interviene con delicati tocchi e accenni di colore. Scelte cromatiche raffinate, dove il colore o le scale dei grigi non “ dominano” ma “accompagnano” le forme delle bustine, con sfumature che ricordano l’acqua del lago (  l’ambiente dove Sissi Sardone è sempre vissuta ) ed i colori della stessa bevanda che, presumibilmente venne introdotta in Europa dai portoghesi anche se la prima importazione della quale si ha traccia rimanda alla famosa Compagnia Olandese delle Indie Orientali. Ubaldo Rodari, che ha curato la mostra, ha scritto: “L’età contemporanea si esprime soprattutto per la capacità di produrre al suo interno una quantità di immagini prima impensabili. Molti artisti contemporanei da tempo stanno ripensando al loro rapporto con le immagini e ai modi con cui crearle”. E Sissi Sardone, con la sua ricerca originale e l’uso alternativo delle sue bustine del tè, rispecchia questa tendenza con garbo e stile. La mostra è visitabile fino al 29 febbraio 2015. Orari: da giovedì a domenica,16.00/19.00 (dal primo gennaio visite scolastiche e/o su appuntamento).

 

Marco Travaglini

 

Al Cottolengo Nosiglia ha aperto la seconda Porta Santa

nosiglia e giovaniInsieme con le autorità alcuni senza dimora, nuovi poveri (italiani, stranieri, uomini, donne, famiglie), disabili, rom e rifugiati

 

Domenica 20 dicembre,  alle 12.30 mons. Nosiglia ha aperto la seconda Porta Santa della diocesi di Torino: è quella che dà accesso, dal cortile del numero 14, alla chiesa grande del Cottolengo. La prima Posrta è stata aperta il 13 in Cattedrale. L’Arcivescovo ha voluto collegare la liturgia dell’apertura con un momento di festa e scambio di auguri, cui sono stati invitati alcuni dei rappresentanti delle istituzioni cittadine e regionali e persone in stato di difficoltà, tra quelli che abitualmente vengono accolti nei servizi del Cottolengo, della Caritas e delle altre organizzazioni di aiuto di ispirazione cristiana.

 

Al fianco dell’arcivescovo il Padre generale della Piccola Casa, don Lino Piano. Presenti i vertici di Comune di Torino e Regione Piemonte, delle fondazioni bancarie, del mondo del lavoro e della cultura. Insieme con loro alcuni senza dimora, nuovi poveri (italiani, stranieri, uomini, donne, famiglie), disabili, rom e rifugiati. In tutto circa 150 persone.

 

“Ringrazio l’Arcivescovo mons. Cesare Nosiglia per averci ricordato con forza che la via del potere deve essere via del servizio e del bene comune. Per questo i programmi politici devono mettere al centro la persona e i suoi diritti, ripartire dagli ultimi, dai poveri e dai malati, aprendosi alla collaborazione e superando quell’autoreferenzialità che è uno dei peccati delle classi politiche contemporanee. Nosiglia ha richiamato la nostra attenzione su alcune ineludibili sfide, dalle periferie esistenziali presenti nelle nostre città alle nuove forme di povertà. ”: lo ha dichiarato l’assessore regionale alla sanitò, Antonio Saitta.

 

Il servizio a tavola è stato effettuato dalle suore del Cottolengo e dai giovani della Pastorale giovanile diocesana, che hanno curato anche il breve intrattenimento di benvenuto agli ospiti, prima del pranzo, in via Cottolengo 15. L’intero pasto (primo, secondo, contorno, frutta, dolce, caffè, panettone) è stato offerto dalla Piccola Casa.

 

L’OMELIA DELL’ARCIVESCOVO

 

“Passare la porta santa al Cottolengo significa dunque : chiedere al Signore di usare misericordia verso di noi perché non lo amiamo abbastanza nei poveri in cui lui è vivo e presente come ci ha ricordato nel vangelo. Riconoscere Cristo nei fratelli e sorelle infermi e poveri porta alla conversione del cuore, dona vera gioia che si prova nel donarsi agli altri, apre la vita a una relazione concreta e ricca di bene per noi stessi e coloro a cui doniamo tempo, beni e soprattutto affetto e amore. – Esprimere il nostro impegno di passare da una vita chiusa nei nostri interessi e tornaconti personali alla gratuità di saperci mettere a servizio e a disposizione degli altri donando misericordia, perdono, accoglienza, fraternità, amicizia. Anche questi sono gesti di misericordia che possono darci la garanzia di riconoscere e incontrare il Signore perché chi soffre per motivi interiori, la solitudine e l’indifferenza e l’abbandono degli altri è un povero di speranza e di amore”.

 

(foto: archivio)

 

Bosco Vincenzo & Claudio, ortofrutta fresca dal 1957

L’azienda agricola coltiva nell’area tra Nichelino e Vinovo, in campo aperto e in serra, nel rispetto della stagionalità e dei ritmi lenti legati alla vita agricola

Bosco bannerbosco fruttaDal produttore al consumatore, senza intermediari: la filosofia che dal 2005 conduce l’azienda agricola biologica Bosco Vincenzo & Claudio, e che porta nelle case dei torinesi ceste di ortofrutta fresca, sana e di stagione.Fin dal 1957, anno della sua fondazione da parte di Domenico, la famiglia Bosco coltiva nell’area tra Nichelino e Vinovo, in campo aperto e in serra, ortofrutta fresca, nel rispetto della stagionalità e dei ritmi lenti legati alla vita agricola.

 

Nel 1988, poi, sotto la spinta dei due figli di Domenico, Claudio e Vincenzo, l’azienda ha completamente e definitivamente cessato di utilizzare fitofarmaci e concimi di sintesi, nel rispetto della sostenibilità ambientale e degli equilibri biodinamici del terreno, concetti cui sono tutt’ora fortemente orientati i due proprietari.

 

Da dieci anni a questa parte, inoltre, l’azienda agricola Bosco Vincenzo&Claudio si è orientata verso la distribuzione tramite filiera corta: niente intermediari, dal produttore al consumatore, per riscoprire il gusto e la freschezza di frutta e verdura di stagione, con la possibilità di ritirare le ceste settimanali (disponibili in due formati, da 5 kg e da 7,5 kg, e con diverse combinazioni di prodotti: frutta, ortaggi, o mista) in azienda, oppure di riceverle direttamente a domicilio.

 

L’azienda, situata a Nichelino, in via Scarrone 38, è poi aperta a visite su prenotazione e, periodicamente, organizza aperitivi e rinfreschi biologici, e non si fa mancare un sito internet, www.cestedabosco.it, dotato di un’ampia galleria fotografica e di tutte le informazioni utili e i contatti, e una pagina facebook.

 

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La “Buona Scuola” inizia dalla mensa!

IL MONDO DEL BIO / di Ignazio Garau *

 

GARAU2Occorre avviare una riflessione seria sui modelli di ristorazione adottati nel nostro paese, sulle modalità di appalto del servizio, sulla centralizzazione delle cucine, sulla convenienza di scegliere derrate alimentari biologiche, sulla qualificazione complessiva del servizio e sull’importante ruolo nell’educazione e nella formazione dei giovani che riveste l’esperienza del pasto a scuola, oltre che nella prevenzione di importanti patologie

 

Non si può parlare di “Buona Scuola” se si dimentica il ruolo prezioso e indispensabile che l’alimentazione e, quindi, la mensa scolastica possono giocare per la formazione e il benessere dei giovani studenti. Durante ogni giorno di scuola, con il pasto servito a scuola, abbiamo l’opportunità di trasferire ai nostri ragazzi informazioni fondamentali per la loro salute e per la loro cultura. Battersi per esonerare i propri figli dalla refezione scolastica per contrastare i prezzi alti e/o problemi nella qualità del servizio, come sta avvenendo anche a Torino, è fuorviante e non affronta le questioni che sono importanti: educazione, prevenzione, inclusione, convivialità e diritto al piacere, lotta alla povertà, ecc.. Dopo l’Expo di Milano e gli impegni dei Comuni per le Food Policy, occorre agire per garantire il diritto alla piacevolezza del pasto nelle scuole, al cibo buono e biologico, con prezzi accessibili a tutti. E’ un investimento sul futuro della nostra società.

 

BAMBINILa Legge 107/2015, denominata “la Buona Scuola”, non affronta il tema dell’alimentazione dei ragazzi e della cultura alimentare. Eppure, negli anni passati il nostro paese ha fatto “scuola” in Europa, e non solo, in tema di ristorazione scolastica. Nel 2004 le mense scolastiche romane sono state riconosciute dal Consiglio d’Europa tra le migliori “prove di buone pratiche nella pubblica amministrazione”. Anche l’Agenzia della Nutrizione Scolastica della California ha analizzato i metodi e l’organizzazione dei pasti scolastici degli studenti romani e i ricercatori dell’Università di Cardiff hanno incontrato in Campidoglio le autorità comunali, visitato le scuole, stilando il rapporto “School Meals in Rome – The Quality Revolution”. Non sono mancate le visite di altre capitali europee per studiare le esperienze di altre città italiane: senza fare l’elenco completo, possiamo dire che le esperienze italiane sono state al centro dell’attenzione.

 

Le amministrazioni europee che hanno studiato le esperienze italiane ne hanno fatto tesoro e hanno investito per migliorare i loro modelli di servizio. Oggi i ruoli si sono invertiti e siamo noi che rischiamo di dover imparare da loro: mettere a confronto la situazione italiana con quella di alcune capitali europee significa evidenziare un divario di sensibilità, di scelte e di investimenti. Vuol dire suscitare sorpresa nei diversi nostri interlocutori, che si occupano della gestione della ristorazione collettiva nelle diverse città europee, con cui ci siamo confrontati. “Ma come, voi che siete la patria della dieta mediterranea, che siete paese leader nelle produzioni dell’agricoltura biologica, che vantate una così importante tradizione e cultura alimentare …”  mi sono sentito ripetere più di una volta.

 

I tagli alle risorse a disposizione degli Enti Locali e la necessità di contenimento dei costi hanno provocato, infatti, modifiche al servizio erogato e sicuramente non un miglioramento della sua qualità. Certo non mancano le eccezioni, ma ad esempio il biologico è stato bersaglio di attacchi (“costa troppo”, “ci sono problemi nel reperirlo”, ecc.) e si è creata volutamente molta confusione tra alimenti biologici e prodotti tipici, locali, prodotto stagionale, a KM 0, a lotta integrata, facendo sorgere un antagonismo tra questi vari termini a scapito uno dell’altro, con la conseguenza che sono state abbandonate molte delle buone pratiche che erano state avviate. L’esperienza della Città di Copenaghen, ad esempio, ci dimostra che il tema del prezzo delle derrate biologiche e della loro disponibilità è un falso problema e che si può puntare alla conversione biologica del pasto affrontando correttamente l’aspetto dei costi.

 

La Città di Copenaghen ha promosso la costituzione di una Fondazione che gestisce dal 2007 la conversione al biologico di 900 cucine municipali, impiegando nel team tecnico circa 30 persone con diverse professionalità: cuochi, dietisti, formatori, comunicatori, project managers. Loro compito è quello di ideare buone pratiche per migliorare il processo di produzione dei pasti, con l’obiettivo di arrivare al 100% bio, senza aumentare i costi delle materie prime. I pasti distribuiti giornalmente sono circa 65.000 e già qui appare evidente che il modello di ristorazione adottato non è quello della centralizzazione spinta: le grandi cucine centralizzate hanno lasciato il posto a ben 900 cucine, decentrate e distribuite su tutto il territorio comunale. Anche il numero del personale impiegato nella preparazione dei pasti (circa 1.700 persone) evidenzia che il modello di decentrare la preparazione dei pasti può creare occupazione. Il costo dei pasti, anche se un confronto non è così semplice e immediato, appare inferiore a quello di molti comuni italiani.

 

Occorre, dunque, avviare una riflessione seria sui modelli di ristorazione adottati nel nostro paese, sulle modalità di appalto del servizio, sulla centralizzazione delle cucine, sulla convenienza di scegliere derrate alimentari biologiche, sulla qualificazione complessiva del servizio e sull’importante ruolo nell’educazione e nella formazione dei giovani che riveste l’esperienza del pasto a scuola, oltre che nella prevenzione di importanti patologie. Scelte che non comportano necessariamente un aumento dei costi, come abbiamo visto nell’esperienza concreta della Città di Copenaghen, ma che anzi possono contribuire efficacemente anche a rigenerare i circuiti economici locali, in un rapporto nuovo e diverso con la produzione agricola e a creare opportunità occupazionali.

 

L’indagine di Save The children

 

In Italia, le impostazioni sono molto differenziate da comune a comune, come rileva anche una recente indagine di Save The children, che ha diffuso, per il terzo anno consecutivo, il rapporto “(Non)tutti a mensa”, analizzando i servizi di ristorazione scolastica nelle scuole primarie. “La presenza del servizio non è garantita in tutti i Comuni in maniera uniforme ma varia in modo significativo sul territorio a seconda della disponibilità di risorse economiche – scrive Save The children – oltre che della volontà politica delle amministrazioni”.

 

La mensa, rileva il rapporto, non è presente in tutte le scuole: il 40% degli istituti principali ne è sprovvisto. Percentuale che sale in alcune regioni del Sud, per esempio in Puglia (53%), Campania (51%), Sicilia (49%) mentre al Nord, la mensa manca in circa un terzo delle istituzioni scolastiche principali (per esempio in Veneto, 32%; Liguria, 29%; Lombardia, 27%; Piemonte, 27%).Ma anche laddove c’è, il servizio di refezione scolastica presenta grandi differenze sia per quanto riguarda i criteri di accesso, che per gli standard qualitativi.

 

Dall’analisi delle mense delle scuole primarie nei 45 Comuni capoluogo di provincia con più di 100.000 abitanti, emerge che nel 90% dei casi il servizio è affidato a ditte esterne di ristorazione e per il 65% dei comuni il servizio viene effettuato esclusivamente con pasti trasportati da cucine esterne. Molti i comuni del Sud Italia (ad eccezione di Cagliari) che usufruiscono esclusivamente di servizi di refezione con pasti trasportati dall’esterno.

 

Inoltre, prosegue il rapporto, anche se tutti i comuni monitorati dichiarano di aver recepito le direttive delle Linee Guida del Ministero della Salute per quanto riguarda la predisposizione dei menù sulla base dei LARN (Livelli di Assunzione giornalieri Raccomandati di Nutrienti) e la previsione di controlli esterni, non tutti hanno attivato la Commissione Mensa in tutte le scuole, fondamentale per coinvolgere anche le famiglie sul tema dell’educazione alimentare.

 

La mensa non è uguale per tutti, evidenzia ancora Save The children, poiché esaminando nel dettaglio le tariffe applicate nei 45 comuni capoluogo monitorati, queste variano notevolmente, con rette minime che vanno dagli 0,35 euro al giorno di Salerno ai 5,5 di Bergamo e tariffe massime che vanno dai 2,3 euro di Catania ai 7,7 euro di Ferrara.Anche per quanto attiene il diritto o meno all’esonero dal pagamento della retta, ci sono molte differenze, fino a arrivare al “paradosso che una famiglia in condizione di povertà a Bergamo si trova a pagare di più di una famiglia con un reddito medio – alto a Trento” e Save the Children evidenzia ancora che il 57% dei comuni intervistati prevede misure di riduzione e esenzione solo per i residenti, mentre il 43% non prevede nessuna forma di restrizione legata alla residenza.

 

Di fronte a una situazione così differenziata, con difficoltà nell’accesso, problemi di costo e/o di gradimento del servizio, stanno nascendo forme di resistenza, collettiva o individuale, per ottenere il riconoscimento del diritto di non utilizzare il servizio di refezione scolastica, optando per l’alternativa del pasto da casa. Ci sono le petizioni collettive, ma c’è anche la ricerca di soluzioni individuali, magari chiedendo un certificato medico per ottenere l’esonero dalla mensa.L’aspetto economico riveste un importanza considerevole, con la difficoltà per molte famiglie di sostenere i costi del servizio, soprattutto quando in casa c’è più di un bambino da mandare in mensa.

 

“Sono anni che Save the Children denuncia il gravissimo aumento della povertà minorile in Italia. Diamo atto al Governo di aver inserito finalmente, nella nuova legge di stabilità, l’avvio di una misura organica di contrasto alla povertà minorile e, in particolare, un fondo sperimentale triennale dedicato a contrastare proprio la “povertà educativa”, la dimensione a nostro avviso più grave e meno considerata della povertà dei bambini, che blocca sul nascere le loro aspirazioni e le prospettive di crescita per il futuro. Ci auguriamo che questi interventi segnino un effettivo punto di svolta nelle politiche di welfare sull’infanzia in Italia e che, in questo quadro, si intervenga anche sulle mense scolastiche, sottraendo questo servizio dalla discrezionalità dei singoli comuni e considerandolo invece come servizio essenziale, con gratuità di accesso per tutti i minori in povertà”, afferma Raffaela Milano, Direttore Programmi Italia – Europa di Save the Children. “Auspichiamo che si definisca un piano per l’estensione del servizio a tutte le scuole, a partire da quelle che si trovano nelle aree più deprivate, anche al fine di tenerle aperte tutto il giorno, con il supporto di tutte le realtà sociali ed educative territoriali. Va inoltre posta particolare attenzione alla qualità del servizio, per l’educazione alimentare e la promozione della salute, garantendo la possibilità ai genitori e agli stessi bambini di partecipare attivamente e di monitorare il servizio.”

 

La mensa scolastica è un’opportunità per costruire delle Food Policy capaci di rispondere a più esigenze nel segno della sostenibilità: sociale, economica, culturale, promuovendo un progetto di miglioramento della qualità della vita. Occorre difendere il diritto di accesso alla mensa, il diritto alla gradevolezza del pasto, con l’utilizzo di alimenti biologici, perché la ristorazione è un diritto per i ragazzi, un investimento sul futuro, perché ci consente di intervenire per la prevenzione delle patologie conseguenza di una errata alimentazione, ovvero di errati modelli alimentari e di cibi non adeguati.

 

Scegliere i prodotti dell’agricoltura biologica, inoltre, non significa solo sostituire i prodotti “convenzionali” con i prodotti “bio”, perché è la scelta di chi vuole prendersi cura della propria salute e di quella dell’ecosistema in cui viviamo, adottando un nuovo stile di vita. L’agricoltura biologica è, infatti, un insieme di principi e di valori che costituiscono una visione originale del modo in cui l’uomo si deve occupare della terra, dell’acqua, delle piante e degli animali per produrre, preparare e distribuire il cibo e altri beni. L’agricoltura biologica afferisce al modo in cui le persone interagiscono con paesaggi vivi, si rapportano luno con l’altro, contribuiscono a formare e custodire l’eredità per le generazioni future. Scegliere alimenti biologici per le mense scolastiche significa proporre ai giovani, ai futuri cittadini questi valori.

 

Dopo l’Expo di Milano, con i tanti buoni propositi annunciati, e condivisi, dopo la “Carta di Milano”, il “Milan Urban Food Policy Pact” sottoscritto a Milano il 15 ottobre scorso, il “Patto dei Sindaci per il cibo, l’alimentazione e l’agricoltura sostenibili” presentato dal Sindaco Fassino nel corso del III Forum Mondiale sullo Sviluppo Economico Locale svoltosi a Torino dal 13 al 16 ottobre scorsi, il tema delle “mense scolastiche” può rappresentare un’opportunità per avviare efficaci “Politiche Alimentari” nelle Città, oltre a un efficiente nuovo rapporto tra aree urbane e  territori rurali. Occorre puntare a un migliore servizio di mensa scolastica, anziché battersi per ottenere l’esonero dal servizio!

 

* Ignazio Garau

Presidente Italiabio

Tiziana Inversi, la sensibilità del medico artista

inversiinversi 2Alcune sue opere saranno esposte nell’ambito della rassegna “Pericentrica” a San Donato, al caffè De Rita. Socia della Promotrice di Belle Arti, con all’attivo mostre internazionali come quella a Barcellona, l’artista indaga con rara sensibilità l’umanità e i  suoi rapporti

 

La medicina è un’arte e l’arte una straordinaria medicina per l’anima. In tante opere artistiche spesso compaiono, infatti, soggetti tratti dalla materia medica, come il mistero del parto. D’altronde la medicina è, per sua stessa natura, una disciplina intimamente legata all’uomo,  alla sua natura corporea, ma, al tempo stesso, divina. E quindi non deve stupire che diversi medici siano stati artisti, come Alberto Burri,  e che dipingano opere che rispecchino la loro sensibilità. È questo il caso di Tiziana Inversi, medico anestesista attiva all’ospedale Molinette di Torino, una donna di rara sensibilità,  che la riversa nei suoi quadri. La passione pittorica per lei è stata precoce, nata già negli anni dell’adolescenza e coltivata anche durante gli studi di medicina. Ha anche frequentato lo studio d’arte del pittore Marco Seveso, a Torino, e ha potuto conoscere importanti artisti dell’ambiente culturale torinese, quali Carena e Mainolfi. Da quest’anno è diventata socia della Promotrice delle Belle Arti e ha partecipato alla 173 esima Esposizione di Arti Figurative, mostra collettiva di pittura alla Promotrice, con l’opera,  un olio su tela, dal titolo “Liberi al galoppo”, che ha ricevuto anche menzione su riviste quali Piemonte Arte.

 

Sabato 19 dicembre alcune sue opere saranno esposte nell’ambito della rassegna “Pericentrica” a San Donato, al caffè De Rita, dove alle 19 su esibirà il Duo Papoff.

 

Tiziana Inversi ha ottenuto l’ultimo riconoscimento in ordine di tempo con il Premio Centenario, preceduto dalla partecipazione alla Galleria Pinta di Genova nel giugno 2015 nell’ambito della rassegna intitolata ” Linguistici corpi”. Alla rassegna pittorica dal titolo “Preludio aurorale”, ospitata sempre alla Galleria genovese Pinta nel febbraio 2015, l’artista ha partecipato con l’opera intitolata “Alba sinfonica”, olio su tela dipinto nel febbraio 2015, opera che descrive l’apparire delle luci dell’alba in un’atmosfera “surreale”, in cui paiono prendere vita sulla tela elementi floreali immaginari. Il ponte musicale e il pentagramma rappresentano il passaggio dalla dimensione onirica alla realtà, il tutto immerso nell’elemento rappresentante la sorgente della vita sulla terra, l’acqua. Nel 2014, a Barcellona, Tiziana Inversi ha partecipato a una collettiva internazionale per la Casa Batlo’ di Gaudi’ con l’opera intitolata “Il doppio sogno”, con una critica curata da Maria Grazia Todaro.

Un’altra opera particolarmente significativa risulta la “Bestia”, dipinta nel 2007, che, come molti altri quadri dell’artista, è stata da lei affiancata a una poesia composta in un momento successivo alla stesura del quadro. Tiziana Inversi indaga, quindi, l’umanità a tutto tondo, cogliendo le figure in uno spazio che prevalica la vastità suggerita dalle semplici pareti. Nei suoi dipinti vi è una ricerca del colore che nasce da una profonda tensione emotiva, capace di rendere ogni sua opera il risultato di uno stato d’animo, mai passeggero, ma sentito e fissato in una dimensione di umanità, in cui vita e opera si fondono in un connubio perfetto.

 

Tiziana Inversi indaga in profondità il rapporto tra gli esseri umani e, in particolare, tra il maschile e il femminile.  Ne è una dimostrazione il trittico delle Tre teste, di cui l’opera conclusiva si intitola “Telepatia”. Il primo dipinto raffigura una testa femminile, che anatomicamente contiene al suo interno simboli maschili; viceversa il quadro raffigurante la testa maschile, all’interno di questa, presenta simboli femminili.  L’opera conclusiva del trittico, Telepatia,   rappresenta la condensazione del messaggio comunicativo. L’artista considera la comunicazione tra gli esseri umani fondamentale è indispensabile,  tanto più in una società dove gli esseri umani si stanno ammalano per mancanza di comunicazione, ricorrendo ai surrogati rappresentati dai media e dai rapporti virtuali via Internet o Facebook, sempre più frequenti di quelli reali. I corpi umani possono intrecciarsi in un rappresentano d’amore che, per l’artista,  rappresenta un altro aspetto fondamentale dell’esistenza.  Lo dimostra l’opera intitolata ” Estasi”, metafora della sintonia tra gli esseri umani.

 

Mara Martellotta

Quagliarella in campo per il "Cesto Solidale"

quagliarella 2 caritasIl giocatore di calcio in collaborazione con l’ A.S.D. Guardia di Finanza Piemonte, rappresentata dal Presidente Giovanni Mazzarella e la Giemme di  Pianezza, fornirà delle bandiere del Torino Calcio che saranno cedute ad offerta libera

 

La Caritas Val Noce, grazie a Don Virgilio e alla sua squadra di volontari non smette mai di sorprenderci per le iniziative che riesce continuamente a mettere in atto a sostegno di alcune decine di famiglie in difficoltà del territorio della Val Noce.

 

Da poco è terminata la raccolta alimentare che  ha prodotto circa 20 quintali di cibo, grazie allacaritas1 generosità delle persone e al contributo fornito dai numerosi volontari. Ed ecco che si riparte subito, dopo il successo dello scorso anno,  con il  “Cesto Solidale” in occasione delle festività Natalizie.

 

Ma le ulteriori novità per quest’anno sono rappresentate dalla presenza in campo, a favore del progetto, di Enti , Aziende e Personaggi di caratura nazionale. Infatti, l’azienda Caffè Vergnano  fornirà il proprio caritas2prodotto gratuitamente per ogni cesto prenotato o donato.

 

Il giocatore di calcio Fabio Quagliarella in collaborazione con l’ A.S.D. Guardia di Finanza Piemonte, rappresentata dal Presidente Giovanni Mazzarella e la Giemme (Articoli Promozionali) di  Pianezza, fornirà delle bandiere del Torino Calcio che saranno cedute ad offerta libera a chi aderirà all’iniziativa ed inoltre forniranno un contributo in denaro pari al 50 % dei costi sostenuti per la realizzazione dei Cesti Solidali” prenotati o donati. 

Il Christmas Shop di Fondazione Paideia

Aperto tutti i giorni, festivi compresi, dalle 10,30 alle 19,30 

 

natale Paideia ChristmasUn Natale solidale a favore delle famiglie che vivono una disabilità: torna il Christmas Shop della Fondazione Paideia, aperto fino al 23 dicembre in piazza Solferino 9 a Torino. 

 

Scegliendo i regali solidali selezionati da “La Mezzaluna” per Paideia sarà possibile contribuire a un progetto importante: le donazioni ricevute saranno destinate alla costruzione di due stanze di logopedia all’interno del “Centro Paideia” per offrire ai bambini con patologie legate ai disturbi della voce, del linguaggio e dell’apprendimento uno spazio su misura in cui svolgere le attività di riabilitazione in un ambiente non medicalizzato. 

 

La Fondazione Paideia è infatti impegnata nella realizzazione del “Centro Paideia”, una struttura di circa 3000 mq in via Moncalvo 1 a Torino rivolta alle attività di riabilitazione e socializzazione per famiglie con bambini con disabilità, che verrà inaugurata nel 2017. 

 

Il Paideia Christmas Shop è aperto tutti i giorni, festivi compresi, dalle 10,30 alle 19,30 fino al 23 dicembre.

 

Albero in piazza: meglio quest'anno, lo scorso o un abete vero?

alberonealbero natale castelloSulla pagina Facebook del “Torinese” abbiamo chiesto ai nostri lettori le loro preferenze sull’albero di Natale in piazza Castello: meglio quello di quest’anno o dello scorso?

 

Molto variegate le opinioni, con una preferenza per l’allestimento dello scorso anno. Ma in molti vorrebbero un abete vero e non di plastica. Ecco una selezione dei commenti apparsi in rete.

 

Simonetta Mardirossian Nessuno dei due. L’ albero deve essere un ALBERO

Valeria Baviero Io penso che siano belli tutti…., quello dell’anno scorso, quello di quest’anno e anche se ci fosse stato quello tradizionale. Penso però anche che per tanto che si faccia, gli ingrati rompi c……. Ci sono sempre!

Donata Giovanna Galliano Quello di questo anno mi convince di più, posso esprimere un desiderio: perché il prossimo anno non si torna alla tradizione, magari con pizzico di ecologia e tecnologia insieme.

Antonia Giusi Di Palermo Dove è finito quello dell’anno scorso..??? Dopo due anni di buio in piazza Rivoli hanno messo un alberello di Natale .. Peccato che si sono dimenticati di accenderlo!!!!

Manuela Mina Ogni albero ha il suo fascino…ogni albero ha un’anima …delle persone che l’hanno preparato

Catalano Anna Nessuno dei due meglio uno.vero ..come è il calendario e di una noia unica ..avevo gradito il presepe di due anni fa’ !!

Irene Conti Inverno: a natale ci vuole l’albero tradizionale vero perché è decisamente più bello!!!
Estate: fa caldo, è tutta colpa del riscaldamento globale! Sono stuf* della casta!!111!!!1! che rovina l’ambiente per i suoi vizi del cazzo!!

Gianinetto Renata Senza dubbio quello dello scorso anno, questo da spento non pare nemmeno un albero di Natale e da acceso è migliore, ma io preferisco la tradizionalità. Lo trovo piatto e molto più freddo

Claudia Iancu Preferisco un albero tradizionale che porta calore natalizio
Questo di quest anno non mi piace per niente

Marcella Siciliano Ogni anno é giusto cambiare. Trovo che ogni albero abbia il suo fascino!

Maria Antonietta Sampere Ma preferisco. l albero tradizionale di abete con le luci colorate e gli addobbi.!!!!!

Concetta Rigatuso Sono belli tutti e due, però quello dell’anno scorso a dei colori più appariscenti

Valentina Pirelli L’albero di Luci d’Artista è più originale di ogni altro pino verde con luci….l’abete vero con luci bianche è bello nei parchi della ns città…per esempio al Valentino sarebbe splendido!

Bruna Cima Sono belli tutti e due questo nuovo somiglia di più a tante candele vicine

Gianfranco Quagliotti Sono brutti tutti e due. Mettere un vero albero di Natale che certamente piace a TUTTI..!!!

Remo Ferrari l’ ultimo è sempre il più bello a prescindere gli altri sono già stati visti

Katia Sanguedolce Belli ognuno ha il proprio fascino! Personalmente io preferisco il rosso e il dorato…colori caldi!

Enrico Romano Quello di quest’anno!!!!

Mary Ioana Quello dell’anno scorso

Cinzia Lorenzetto Io li trovo entrambi “freddi”, non comunicano alcun “calore” natalizio…

Lorella Usai Uno vero da ripiantare dopo. ..con gli addobbi tradizionali e le lucine. …..

Donatella Corio Dell’anno scorso! L’ho visto ieri e devo dire che e’ proprio brutto!

Bruna Lisdero A me piace il tradizionale pino ,mio figlio preferisce questo (perché sacrificare un abete?) dice

Isabella Signetto Né uno né l’altro meglio il tradizionale

Maddalena Gordini Quello di quest’anno poi orrendo!!!

Maria Grazia Gino L’albero di quest’anno è più…favoloso!!!!

Cristina Cantelmi Per me quello dell’ anno scorso, decisamente!

Michela Vaccariello Quello dell’anno scorso questo lo trovo molto freddo! !!

Anna Malagnini Genti Quello dello scorso anno piu romantico

Gabriella Daghero Decisamente quelli dello scorso anno

Laura Mastelli Belli tutti e due. Quello dell’anno scorso era più naif

Paolo Massa riuscire ad esprimere un’opinione senza insultare ed essere volgari è impossibile per molti anche a natale!!!

Carla Prone Brutti ambedue…un albero è un albero.. Troppo oriente…

Caterina Rita Morabito Quello dello scorso anno era più armonico. Questo è troppo stilizzato

Giuliano Maghini come lampadario è un po’ troppo vistoso…

Domenica Mangialardi A me piacciono tutti e due ! Si dovrebbe fare anche il presepe !

Giorgio Ricciardelli Quest’ ano ( scritto volutamente con una n sola)….

Lina Pompilio Sarà d’effetto acceso, .ma secondo me, un abete tradizionale con tante luci sarebbe meglio!

 

Le vetrine di Natale sul "Torinese"

vetrina natalenatale Paideia ChristmasGrande successo per i nostri mini-clip postati sulla pagina Fb del giornale. Inviateci le vostre foto e i video con le vetrine natalizie più belle

 

Miniclip di qualche secondo con le riprese delle vetrine di Torino addobbate per il Natale. I video postati sulla pagina Facebook del nostro giornale sono visionati da migliaia di persone. Inviateci le vostre foto e i video con le vetrine natalizie più belle, li pubblicheremo sul “Torinese”!