Su www.doveecomemicuro.it la classifica regionale degli ospedali più performanti per volume di interventi per tumore al seno (fonte dati: PNE 2018). A conquistare le prime posizioni sono l’Ospedale Sant’Anna – AOU Città della Salute e della Scienza di Torino, l’Istituto di Candiolo (TO), il Presidio Sanitario Cottolengo di Torino, l’Ospedale Santi Antonio e Margherita di Tortona – ASL Alessandria (AL) e l’Azienda Ospedaliera Maggiore della Carità di Novara
Con un’incidenza di 1 donna colpita su 8, il carcinoma alla mammella è la neoplasia più diffusa nella popolazione femminile. Nell’eventualità di doversi sottoporre a un intervento, come individuare l’ospedale che offre maggiori garanzie di sicurezza e che risponde meglio alle proprie esigenze?
Su www.doveecomemicuro.it, portale di public reporting in ambito sanitario, è disponibile la
classifica degli ospedali italiani per numero di interventi annui per tumore al seno (fonte:
PNE 2018 di Agenas, riferito all’anno 2017). Alla base, l’assunto secondo cui più alto è il
numero di casi trattati maggiori sono le garanzie per le pazienti. “Il volume di attività, infatti,
secondo quanto dimostrano le evidenze scientifiche, ha un impatto significativo sull’efficacia
degli interventi e sull’esito delle cure”, spiega Elena Azzolini, medico specialista in Sanità
Pubblica e membro del comitato scientifico del sito.
Nel nostro Paese, gli ospedali pubblici o privati accreditati che nel 2017 hanno effettuato
interventi annui per carcinoma alla mammella (tenendo conto solo di quelli che hanno
eseguito almeno 5 operazioni) sono 469: il 42,9% è situato al Nord, il 19,8% al Centro e il
37,3% al Sud. A quali si rivolgono più frequentemente i cittadini?
Tre quarti degli interventi concentrati in meno di un terzo dei centri
Dei 469 ospedali pubblici o privati accreditati che in Italia effettuano almeno 5 operazioni
annue, solo 137 (il 29,2% del totale) rispettano la soglia di 150 interventi fissata
dalle autorità ministeriali per il tumore alla mammella: il 49,6% si trova al Nord, il 24,8% al
Centro e il 25,6% al Sud. In queste strutture, nel 2017, sono stati eseguiti ben il
74,7% (quasi tre quarti) degli interventi totali contro il 55,8% del 2012: è a questi
centri, particolarmente performanti, quindi, che si rivolgono sempre più spesso i cittadini.
Viceversa, nelle restanti strutture accreditate (oltre due terzi), nel 2017 è stato eseguito
appena il 25,3% delle operazioni totali (poco più di un quarto) contro il 44,2% del 2012.
“La scelta di fissare una soglia minima d’interventi annui ha, tra i principali effetti, quello di
convogliare i pazienti nei centri che offrono maggiori garanzie, che saranno così portati a
progredire in esperienza ed adeguatezza delle cure. I grandi numeri hanno un altro
vantaggio: giustificano l’impiego di più specialisti in una logica multidisciplinare e consentono
di attivare Breast Unit certificate: reparti specializzati che offrono alle pazienti l’opportunità
di essere seguite da un team di esperti e di accedere a un trattamento personalizzato”,
spiega Massimiliano Gennaro, medico della Struttura Complessa Chirurgia generale
indirizzo oncologico 3 (Senologia) presso l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.
Le strutture in linea con lo standard aumentate del 63% in 5 anni
Nell’ultimo quinquennio, i centri che rispettano lo standard – quelli cioè che eseguono
almeno 150 interventi annui – sono cresciuti del 63% (da 84 nel 2012 sono passati a 137
nel 2017). Al contrario, è calato il numero complessivo degli ospedali che eseguono
interventi per tumore alla mammella (sempre tenendo conto solo di quelli che effettuano
almeno 5 interventi annui): da 559 nel 2012 sono passati a 469 nel 2017 (-16%).
La direzione è quella giusta, ma la mia aspettativa, nell’interesse dei pazienti, è che gli
indicatori individuati per valutare i centri – come le soglie di attività – si perfezionino nel
tempo e riflettano sempre più fedelmente la qualità delle prestazioni offerte”, dice
Massimiliano Gennaro. “Quanto alle strutture in linea con gli standard, il loro aumento è
auspicabile, ma non si può prescindere da una loro equa distribuzione sul territorio che
garantisca ai cittadini le stesse opportunità di cura risparmiando loro migrazioni da una
Regione all’altra”.
Interventi aumentati di oltre un terzo in un quinquennio
Dai dati di Agenas emerge anche un notevole incremento delle operazioni per tumore al
seno che, nel nostro Paese, hanno registrato un + 38,5% in 5 anni passando dalle 44.147
effettuate nel 2012 alle 61.137 del 2017.
“L’aumento è in linea con i dati riportati nell’ottobre scorso da AIOM, i quali rivelano un
trend in crescita per quanto riguarda l’incidenza del tumore al seno in Italia (+0,3% per
anno, dal 2003 al 2018). L’incremento delle diagnosi si spiega con l’ampliamento, in alcune
Regioni, dello screening mammografico, che ha coinvolto nuove fasce di età (45-49 anni) in
aggiunta a quelle per cui era già attivo (dai 50 ai 69 anni). Inoltre, si deve al fatto che molte
giovani donne oggi scelgono di sottoporsi ai controlli di loro iniziativa, spinte dalle campagne
di prevenzione e dai progressi fatti nei campi della diagnosi e delle cure, che hanno
consentito un significativo calo della mortalità (-0,8% per anno)”, spiega Massimiliano
Gennaro.
Un portale aiuta i cittadini a orientarsi
Quali centri vantano un buon numero d’interventi annui nel rispetto delle soglie ministeriali?
E quali ospitano al loro interno una Breast Unit? Queste e altre informazioni sono disponibili
su www.doveecomemicuro.it, portale che vanta un database di oltre 2.300 strutture:
tra ospedali pubblici, strutture ospedaliere territoriali, case di cura accreditate,
poliambulatori, centri diagnostici e centri specialistici.
Come eseguire la ricerca?
Per confrontare le strutture è sufficiente inserire nel “cerca” la parola chiave desiderata, ad
esempio “tumore al seno” e selezionare la voce che interessa tra quelle suggerite. In cima
alla pagina dei risultati compariranno i centri ordinati per numero d’interventi, per vicinanza
o in base ad altri criteri selezionabili. Il semaforo verde indica il rispetto della soglia
ministeriale mentre una barra di scorrimento mostra il posizionamento delle singole strutture
nel panorama nazionale. La valutazione viene fatta considerando indicatori istituzionali di
qualità come volumi di attività (dati validati e diffusi dal PNE – Programma Nazionale Esiti
gestito dall’Agenas per conto del Ministero della Salute).
È possibile anche inserire nel “cerca” uno specifico esame (ecografia della mammella,
mammografia, agoaspirato della mammella, ecc..) o un determinato intervento
(mastectomia, ricostruzione della mammella, ecc…), quindi restringere il campo alla
regione o alla città di appartenenza. Per filtrare ulteriormente i risultati, basta spuntare
le caselle della colonnina in basso a sinistra relative, ad esempio, alle certificazioni Breast
Unit o Bollini Rosa, il premio assegnato agli ospedali attenti alle esigenze femminili.
CLASSIFICA REGIONALE STILATA PER VOLUME DI INTERVENTI CHIRURGICI PER TUMORE AL SENO
(Fonte PNE 2018)
Le strutture pubbliche o private accreditate che in Piemonte hanno effettuato questo tipo
di intervento sono 31.
12 strutture su 31 rispettano la soglia (38,7%).
Le 5 strutture che effettuano un maggior numero di interventi sono:
1. Ospedale Sant’Anna – A.O.U. Città della Salute e della Scienza di Torino (n°
interventi: 833) 6° in Italia
2. Istituto di Candiolo (TO) (n° interventi: 413)
3. Presidio Sanitario Cottolengo di Torino (n° interventi: 335)
4. Ospedale Santi Antonio e Margherita di Tortona – ASL Alessandria (AL) (n°
interventi: 276)
5. Azienda Ospedaliera Maggiore della Carità di Novara (n° interventi: 260)
Il 12,6% dei residenti sceglie di farsi curare in altre regioni
L’87,4% dei residenti sceglie di farsi curare nella propria regione
Il 3,4% di interventi eseguiti su non residenti
Un progetto in campo ricettivo che coinvolgerà le più belle terre portoghesi
“E’ proprio per queste caratteristiche che abbiamo scelto Comporta come nostro primo progetto – spiega Carlo Patetta Rotta – Non c’e’ dubbio che le nostre abitazioni sono semplici, per la bellezza e il comfort ci penserà Cristiane con il suo bespoke design. Lo stile, invece, sarà categoricamente quello portoghese: azulejos (le famose piastrelle portoghesi), tetti ricoperti di paglia e oggetti in sughero”.

È la conclusione cui sono arrivato nei giorni scorsi davanti allo spettacolo di natura che non è il Grand Canyon o la savana africana ma semplicemente la Valcerrina, nello specifico la frazione Piancerreto di Cerrina Monferrato
sulle spalle delle persone che si vogliono aiutare a parole), meno legata a concetti legati all’ambientalismo che all’ambiente in quanto tale,più rispettosa delle tradizioni dei popoli che al voler mettere tutto in soffitta quello che c’era prima, se l’Europa non vivesse oggi/ non nascondiamocelo – un’epoca di decadenza che mi pare quella della caduta dell’impero romano d’Occidente, sarebbe successo? Si da la colpa alla Cina è vero. Ma in Cina c’è stata la corsa nel recentissimo passato, nell’auspicio da fare Affari col regime capital-comunista. E ci fu un Presidente della Repubblica che, anzi, invitò ad investire in Cina… Altro aspetto è che oggi il modello urbanistico vincente a livello mondiale è quello dell’Estremo Oriente, con megalopoli e Città estese, l’esatto contrario di quello che è stato il nostro sinora. Tutta questa lunga tirata, e mi scuso, per dire che occorre RIPENSARE il nostro modello di vita, non bloccando la corsa ma rallentandola, pensare per il futuro a rendere le condizioni di vita e lavoro più semplici nelle aree cosiddette marginali, rivalorizzare il settore primario è chi vi lavora. Partendo da queste considerazioni, e coerentemente con queste, il mio impegno politico sarà questo d’ora in avanti. Con due bussole, il buon senso e la mia coscienza.

L’assessore regionale ai servizi digitali Matteo Marnati invita i piemontesi ad utilizzare i servizi informatici per l’adempimento degli oneri tributari, fiscali e di altro genere, che si possono effettuare direttamente da casa. Chi ad esempio deve pagare il bollo auto, ritirare referti di laboratorio o documenti prodotti dalla pubblica amministrazione dal campo edilizio a quello delle certificazioni può farlo online.
A partire dal decennio successivo nuovi modelli di sviluppo contribuirono a svuotare le valli alpine dei loro abitanti. In realtà pareva già un destino segnato, a conferma di una crisi iniziata ben prima del secondo dopoguerra, acceleratasi dalla rivoluzione industriale in poi.
“Mal di Valgrande” e “Le ceneri della fatica”- ripubblicati con una intelligente operazione culturale dalla casa editrice verbanese Tararà, specializzata in letteratura di montagna. Le conseguenze di quell’abbandono sono state simili nel mondo alpino e al di fuori di tre realtà (Trentino, Alto Adige e Valle d’Aosta) la montagna è stata vissuta nell’ambivalenza del ruolo di madre e matrigna al punto che ben pochi avrebbero scommesso sulla possibilità di un’inversione di tendenza. Cosa restava di quel mondo sconfitto, dei borghi abbandonati, degli alpeggi, delle architetture e delle tradizioni oltre ai segni che raccontavano di una vasta, immensa “spoon river” alpina? Parafrasando una bella e sintetica poesia di Pietro Ingrao, restavano “l’indicibile dei vinti e il dubbio dei vincitori”. La montagna alpina si trovava (e si trova) schiacciata nella contrapposizione fra l’essere il “terreno di gioco” per un turismo sportivo e spesso aggressivo e l’abbandono, l’incuria. Eppure qualcosa si muove, seppur timidamente. L’impegno di molte comunità locali, di associazioni di enti locali di montagna come l’Uncem, di operatori economici e sociali insieme a tanti appassionati che hanno a cuore l’ambiente e un’idea di sviluppo sostenibile che abbia a cuore la consapevolezza dei limiti produce risultati.
lavoro e di abitazione a basso costo. Nella seconda categoria si individuano i protagonisti di quella tendenza migratoria verso località periferiche, prevalentemente montane e colpite da spopolamento, che prospettino una qualità della vita migliore per risorse ambientali e culturali, in un contesto di relazioni sociali più umano. Si tratta ovviamente di primi segnali ed è vero che una rondine non fa primavera ma in qualche modo si tratta di fenomeni anticipatori di una nuova sensibilità verso la vita in montagna. Vale la pena ricordare come anche in Piemonte i territori montani si caratterizzano per la grande varietà di situazioni, differenze altimetriche, diversità demografiche, storico-culturali, sociali, economiche, fondate principalmente sull’accessibilità, sulla popolazione e sulla ricchezza. Una montagna diversificata, tutt’altro che povera, capace di proporre attrattive ambientali e paesaggistiche, risorse utilizzabili a partire dai suoi boschi ( basti pensare che in cinquant’anni la superficie forestale è raddoppiata mentre il prelievo di legname si è dimezzato). A patto, ovviamente, di non perdere di vista l’obiettivo principale che, in termini di sviluppo, è sempre lo stesso: ricostruire delle aree produttive economicamente sostenibili, in grado di agevolare l’occupazione,la nascita e il consolidamento di imprese competitive, puntando molto sull’economia verde. Solo così la montagna, pur tra difficoltà e lentezze, può essere individuata come un ambiente naturale e storico-culturale in grado di offrire valide alternative allo stile di vita prevalente nelle grandi agglomerazioni urbane, sia attraverso nuove forme di frequentazione turistica “dolce”, sia con la scelta più radicale, anche se ancora limitata, del reinsediamento e dell’avvio di attività produttive sostenibili sotto l’aspetto ambientale, culturale e sociale. Si tratta, anche concettualmente, di una prospettiva radicalmente diversa da quella dominante nel secolo scorso, che vedeva i valori della civiltà alpina come complementari e subordinati a quelli urbani, attraverso lo sfruttamento delle risorse naturali e di quelle turistiche. Oggi ci si rende conto che le “terre alte” rappresentano una possibile fonte di reddito grazie alle proprie valenze economiche e culturali, ambientali ed energetiche. Ma la sostenibilità delle aree alpine,declinabile in tanti modi e con diversi accenni, impone
riflessioni molto serie. Le Alpi sono una enorme riserva di biodiversità. Sono molte le zone di grande interesse dal punto di vista etnografico e storico con le tante comunità di montagna la cui sopravvivenza era legata a un territorio aspro, difficile, all’agricoltura di sussistenza, alla monticazione del bestiame. Storie difficili, vissute in salita lungo le secolari lotte per coltivare, muoversi, strappare faticosamente alla montagna risorse fatte di pietra, legno,coltivi,pascoli. L’elemento importante era la stessa verticalità: l’intera economia era basata sugli spostamenti altitudinali stagionali, in base ai ritmi della natura. Le tracce si vedono ancora oggi nei terrazzamenti, nella ragnatela di stradine e sentieri che segnavano i versanti vallivi collegando il fondovalle ai maggenghi e agli alpeggi. Storie che accomunano molte realtà con quella della Valgrande narrata da Nino Chiovini. Storie che ci hanno lasciato, come nelle terre che si estendono nel cuore della provincia del Verbano Cusio Ossola, nell’area selvaggia più vasta d’ltalia (vero e proprio “museo all’aperto della passata civiltà alpina”) un’eredità di resti di teleferiche, piazzole delle carbonaie, polloni di faggio ricresciuti dopo il taglio del tronco principale, a testimonianza dei grandi disboscamenti. Con il tempo la natura si è ripresa i boschi e i pascoli abbandonati, cambiando fisionomia al paesaggio. Quasi un messaggio per gli uomini che, con la scelta del parco, hanno compreso la necessità di difendere e preservare questa preziosa riserva di biodiversità. Avere cura dell’area valgrandina ( diventata parco nazionale nel 1992) e di altre realtà dell’area alpina e prealpina equivale a porre molta attenzione alle scelte che si compiono oggi, affinché non ne venga compromessa l’eccezionale qualità ambientale. Una regola importante soprattutto quando si parla del turismo. La montagna, intesa come destinazione di vacanza, negli ultimi anni ha riconquistato un certo fascino e interesse presso un pubblico vasto dopo aver patito molto la concorrenza di altre mete, più o meno vicine e a buon prezzo. Il turismo montano si è preso una rivincita? In parte è così ma i problemi sono tanti e persistenti. L’impresa turistica montana, più sensibilmente delle altre, richiede un insieme di condizioni territoriali e ambientali particolari. Gli accessi, la valorizzazione della qualità del paesaggio e delle stazioni montane attraverso interventi di riqualificazione urbanistica e di manutenzione del paesaggio, la cura dei sentieri e dei boschi, nuovi sforzi in termini di comunicazione e promozione rivolti al pubblico, sono solo alcuni degli aspetti. La concentrazione del turismo in pochi periodi dell’anno, ha causato fenomeni di saturazione e uno sviluppo modellato “a fotocopia” ha portato a una omogeneizzazione del territorio alpino, con il rischio di perdere identità e attrattività, con ricadute nella produzione di reddito, diventando economicamente più debole.
Da qui la necessità di destagionalizzare, sfuggire alla ripetitività e alla riproposizione di stili, realtà e situazioni che ricordano il luogo da cui si è partiti, valorizzate le realtà di “mezza montagna” e le “stagioni di mezzo”. Scelte necessarie per non dire obbligate poiché i problemi legati all’innalzamento delle temperature invernali cambieranno le prospettive. Le previsioni del Centre d’Etudes de la Neige, anni fa, stimavano per il 2030 un incremento medio della temperatura di 1,8°C e una diminuzione del 25% delle giornate con neve al suolo per le località situate a 1500 metri d’altitudine. Ciò che accade, i fenomeni che viviamo in diretta, giorno dopo giorno, ci dimostrano che non si trattava di stime pessimistiche. Nell’area alpina il turismo sostenibile rappresenterà dunque l’unica alternativa a lungo termine al turismo di massa convenzionale, in grado di garantire uno spazio vitale per la natura e l’uomo. Chi ha responsabilità pubbliche avrà il compito di promuovere programmazione, promozione e attuazione di un turismo sostenibile che non è una scelta ideologica ma una indispensabile prospettiva per la competitività tra sistemi economici e sociali, un nuovo modo di pensare a forme di benessere, crescita economica durevole ed equa, ridistribuendo nel tempo e nello spazio risorse e persone che oggi frequentano le “terre alte”. Le politiche pubbliche dovranno sostenere progetti innovativi e non rutilanti e faraonici interventi che costerebbero molto senza offrire serie garanzie di efficacia, di valorizzazione e tutela ambientale. Per garantire alla Valgrande e alle altre valli alpine condizioni ambientali più che accettabili occorrerà far sì che il turismo del domani sia davvero “più lento, più profondo, più dolce“,evitando quei fenomeni di consumo rapace ai quali ci si è abituati per troppo tempo. In fondo questa è una delle lezioni che ci ha lasciato Nino Chiovini con le sue opere e l’impegno teso al riscatto dei montanari. La montagna ha tuttora un forte credito aperto ed è giusto che rivendichi nei confronti del Paese un’attenzione istituzionale e precise strategie, concrete e durature.