FOCUS INTERNAZIONALE di Filippo Re
Non solo gli armeni ma anche i greci che vivevano nei territori dell’Impero ottomano finirono molto male durante la Prima guerra mondiale. Sono i cristiani del Ponto, circa 350.000 greci ortodossi, che vennero sterminati sulle rive del Mar Nero tra il 1914 e il 1923 nel nome della nuova Turchia laica, quella di Ataturk e del famigerato triumvirato formato da Enver Pascià, Talaat Pascià e Djemal Pascià che stava nascendo sulle ceneri dell’Impero ma che voleva essere etnicamente e devotamente pura, compatta e soprattutto libera da cristiani e da altre fedi non islamiche. Per lo stesso criminale obiettivo era già in corso lo sterminio degli armeni e dei siriaci, oltre un milione e mezzo, massacrati nei territori dell’Impero turco tra la fine dell’Ottocento e il 1924. Ma mentre il genocidio turco degli armeni è diventato un evento ormai ben noto a tutti, della tragedia greca si conosce ancora troppo poco oltre i confini della stessa nazione. A cent’anni di distanza la Grecia commemora l’eccidio con libri, convegni e manifestazioni mentre la Turchia, esattamente come nel caso del genocidio degli armeni, nega ogni accusa. Fu l’apostolo Andrea a evangelizzare la comunità del Ponto che si era insediata lungo le sponde del Mar Nero, da Trebisonda a Ordu, fino a Sinope, mille anni prima dell’era cristiana. Gli abitanti del Ponto divennero cristiani e bizantini e sotto l’Impero ottomano godettero per secoli di una relativa tolleranza così come accadde per altre minoranze non musulmane. Ma all’inizio del Novecento la situazione cambiò drasticamente. Con il ritorno di nazionalismi esasperati e con lo scoppio della Grande Guerra le persecuzioni turche e le violenze contro i cristiani, accusati di essere al servizio delle potenze straniere interessate e coinvolte nello smembramento dell’Impero, si fecero sistematiche e brutali. I cristiani erano diventati, da un giorno all’altro, nemici interni da abbattere. E così iniziò lo sterminio di oltre 350.000 cristiani greci su circa 700.000 che vivevano sul Mar Nero. I sopravvissuti, meno della metà, riuscirono a fuggire in Grecia. Uomini, donne, bambini, autorità locali, poveri e ricchi, furono giustiziati o morirono durante lunghe ed estenuanti marce forzate da città e villaggi. Centinaia di case furono incendiate o rase al suolo per cancellare ogni traccia della presenza cristiana. Qualcuno scampò con molta fortuna alle stragi e grazie ai racconti dei superstiti è stato possibile ricostruire le tragiche vicende dei profughi greci del Ponto. Film, documentari, libri e altre iniziative per ricordare l’antica cultura pontica sono fiorite in tutta la Grecia per testimoniare quanto accadde cento anni fa. Non mancano interviste a storici e ricercatori, programmi televisivi che rispolverano le antiche tradizioni della comunità greco-ortodossa e testimonianze dei discendenti dei sopravvissuti che narrano la storia della propria famiglia. Come la giornalista e scrittrice Maria Tatsos che, dopo un’accurata ricerca storica, ha scoperto che sua nonna era una profuga e che la sua famiglia paterna fu costretta con la forza ad abbandonare la regione del Ponto dove era nata, la terra del filosofo Diogene e del re Mitridate. Lo racconta nel libro “La ragazza del Mar Nero” (Paoline editrice) ricordando che solo da adulta scoprì di discendere da un popolo vittima di una delle prime “pulizie etniche” del Novecento. Quando negli anni Venti le nuove autorità repubblicane decisero che la Turchia doveva essere totalmente musulmana, la sua famiglia cristiana dovette abbandonare tutto e fuggire immediatamente. “La storia di mia nonna, sarta di professione, scrive Maria Tatsos, è una goccia nel mare di un’immane tragedia. Questo libro vuole essere un tributo alla memoria, per non dimenticare e per capire quanto siano simili le tragedie di ieri a quelle di oggi. Ma è anche un inno alla speranza, perchè anche i nostri nonni o bisnonni, in altri momenti della storia, sono stati profughi, immigrati e stranieri e, se hanno fatto fortuna in terre lontane, è perchè qualcuno ha offerto loro un’opportunità”. Se già dagli anni Novanta la Repubblica greca ricorda a maggio questi terribili eventi, la Turchia del super presidente Erdogan si ostina a negare tali fatti storici e a considerare il maggio del 1919 come l’inizio della guerra di liberazione del territorio turco dalle potenze straniere intervenute per porre fine all’Impero dei sultani. L’atteggiamento di Ankara su questo argomento non fa altro che inasprire i rapporti, già molto tesi per tante altre questioni, tra turchi e greci che a volte arrivano perfino a sfiorare uno scontro armato.
DALLA LOMBARDIA
Un bimbo di 2 anni è stato trovato privo di vita in un appartamento alla periferia di Milano, con evidenti segni di violenza. I soccorsi sono stati chiamati dal padre, ma all’arrivo della polizia era presente solo la madre, una donna croata di 23 anni. Le indagini si stanno concentrando sull’uomo, un 25enne italiano, al momento non reperibile.
L’annuncio nel giorno di Santa Rita del sacro bronzo frutto della sensibilità della Parrocchia bresciana di San Bartolomeo di Castenedolo. Sarà fusa dalla rinomata ‘Pontificia Fonderia Marinelli’ di Agnone, in Molise
CASTENEDOLO (BS), Lì 22 Maggio 2019 – Il giorno tradizionalmente dedicato alla memoria liturgica di Santa Rita quest’anno porta con sé un inatteso regalo per gli abitanti di Cascia, paese natale della Santa delle cause impossibili.
‘Una campana fa un popolo’, recita un antico adagio. Un sacro bronzo pregiato e prezioso, del diametro di ben 50 cm, nota Sol Bemolle e 80 chili di peso, finemente decorato e ornato: è questo il dono appassionato e generoso della Parrocchia San Bartolomeo Apostolo di Castenedolo (BS) alla Parrocchia di Cascia, funestata dal sisma del 2016.Un’iniziativa fortemente sentita e voluta dal Parroco, Don Tino Decca, che per le campane nutre un’affezione speciale, e subito sposata con evidente entusiasmo dall’intera comunità bresciana. “Quel tragico 24 Agosto, giorno del terremoto, mentre a Cascia dormiente la terra tremava, da noi erano invece in corso i gioiosi festeggiamenti di San Bartolomeo Apostolo, nostro Santo Patrono“, ricorda don Tino. Che aggiunge: “Immediatamente, appresa la notizia del disastro, il pensiero volò al dramma dei cari fratelli del Centro Italia. Così nacque l’idea della campana, come segno di ideale comunione dei cuori dei fedeli cristiani legati tra loro attraverso quei rintocchi antichi che, ogni giorno, ci ricordano di Dio“. Racconta ancora il prelato: “Contattato il Pievano don Renzo Persiani Parroco della Parrocchiale Collegiata di Santa Maria della Visitazione irrimediabilmente colpita dal sisma, lo incontrammo con alcuni giovani del nostro Oratorio ‘San Pio X’ che si prodigarono fin da subito per promuovere iniziative volte a sostenere la popolazione di Cascia, raccogliendo la generosità dei fedeli di Castenedolo. Ne è nato un sodalizio rafforzatosi di giorno in giorno, grazie anche all’interessamento in loco di don Canzio Scarabottini, Pro-Rettore del Santuario di S. Rita in Roccaporena di Cascia, e del consigliere comunale Piero Reali”.Gli fa eco Davide Anselmini, della Parrocchia donatrice e Coordinatore del progetto: “Questa campana è storia della Provvidenza. Quando, insieme al giornalista e designer Maurizio Scandurra – Testimonial della Pontificia Fonderia Marinelli cui ne abbiamo affidato la realizzazione – ci siamo trovati per studiarne il bozzetto grafico, spontaneamente abbiamo deciso di dare evidenza ai Santi Sociali: da San Luigi Guanella, che per la prima volta nella storia troverà posto su una campana, a San Giovanni Bosco, San Giuseppe Benedetto Cottolengo, a San Giuseppe Cafasso”.
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Riprende poi entusiasta Anselmini: “Con in più i Santi Bresciani Paolo VI, Faustino e Giovita, in segno di riconoscenza ai protettori del nostro territorio, il nostro Patrono San Bartolomeo, San Michele Arcangelo, la Divina Provvidenza e la Madonna che scioglie i nodi, in ossequio alla devozione tanto cara al nostro amato Papa Francesco”. Conclude Maurizio Scandurra: “Con gioia mi ritrovo a collaborare nuovamente con gli amici fraterni della Parrocchia di Castenedolo, con i quali realizzammo a Dicembre 2018, grazie anche alla sensibilità del noto avvocato bresciano e benefattore Serafino Di Loreto, la ‘Campana della Nuova Vita’, splendido esemplare di bronzo a firma Fonderia Marinelli che suona per le nuove nascite e in ricordo dei tanti bambini saliti al cielo prematuramente”. Per poi continuare: “La ‘Campana della Rinascita’, così battezzata come inno alla speranza e alla ricostruzione, pensata appositamente per Cascia, si pone in ideale soluzione di continuità con la prima di Castenedolo: un documento di bronzo che ricorda come tutto è possibile all’uomo che confida soltanto nel Signore, come insegna San Paolo Apostolo. Un raffinato monumento sonoro affidato, come per tutte le importanti ricorrenze, alla comprovata e ineguagliabile esperienza della tradizione ultramillenaria della ‘Pontificia Fonderia di Campane Marinelli’ guidata dai cari e stimati Fratelli Armando e Pasquale: artigiani unici, come il resto della loro famiglia, con un cuore pulsante nel segno della fede, dell’arte e della bellezza senza tempo dei loro preziosi manufatti da sempre apprezzati in ogni angolo del mondo”. La ‘Campana della Rinascita’ verrà benedetta e consegnata, nel corso di una solenne celebrazione che sarà presieduta da sua Eccellenza il Vescovo della Diocesi di Spoleto-Norcia Monsignor Renato Boccardo, alla presenza delle autorità locali e religiose, il prossimo 15 Settembre, giorno della ricorrenza di Santa Maria della Visitazione, Patrona della cittadina umbra.
Circa il 75% delle coltivazioni alimentari dipende dall’impollinazione animale. Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), oggi le colonie di api sono soggette a livelli di estinzione che sono da 100 a 1000 volte più elevati del normale. La responsabilità? Dell’uomo e dall’uso e abuso di pesticidi in agricoltura. Per far fronte a questi dati allarmanti, in occasione della Giornata mondiale delle api, attivisti, comunità e Condotte Slow Food pianteranno arbusti o alberi biologici da fiore per offrire alle api un nutrimento privo di pesticidi. Una mobilitazione lanciata a livello globale tra tutta la rete della Chiocciola e non solo: chiunque può partecipare, piantando fiori e alberi biologici e condividendo il lavoro fatto sui propri canali social usando gli hashtag #onetreeforahive, #plantoneforpollinators e #slowtreesforbees. «Siamo convinti che parlare e far conoscere il mondo di api e impollinatori sia il segreto per osservare, conoscere, misurare e proteggere la biodiversità, mettendo in primo piano le conoscenze tradizionali riguardanti le pratiche agricole sostenibili. Non possono esserci impollinatori sani senza un numero sufficiente di fiori biologici per tutto il periodo vegetativo: ecco perché è fondamentale agire adesso!» commentano gli apicoltori Jennifer Holmes (Florida), Terry Oxford (California) e Guido Cortese (Italia), coordinatori delle attività di Slow Food per la Giornata mondiale delle api. Simbolicamente, il 20 maggio alcuni rappresentanti di Stati membri dell’Unione Europea si incontreranno per discutere l’attuazione degli standard per la valutazione della tossicità, ovvero il Bee Guidance Document elaborato dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) già nel 2013, e che comprende anche la proposta di protocolli più adeguati e cautelativi in caso di valutazione dell’autorizzazione di nuove molecole. Questi infatti non sono ancora stati adottati in tutta Europa e si persevera con le farse pseudo-precauzionali, per l’ostinata opposizione degli Stati membri dell’Ue e delle filiere agrochimiche. Per completezza di informazioni, aggiungiamo che l’Efsa ha applicato appieno le nuove norme solo nella valutazione dei tre neonicotinoidi (imidacloprid, clothianidin e thiamethoxam), vietati in Unione Europea nel 2018. Finora, i governi nazionali europei non hanno applicato le linee guida dell’Efsa in tutte le altre decisioni riguardanti i pesticidi. Per questo Slow Food chiede che queste linee guide vengano adottate al più presto e fa parte di una coalizione di organizzazioni della società civile che chiedono a chi detiene il potere di salvare le api e una maggiore trasparenza nel processo di valutazione del rischio. Qualche giorno fa si è svolta in diverse città europee un’azione congiunta: apicoltori e organizzazioni ambientaliste hanno consegnato una petizione firmata da più di 230.000 europei ai ministri nazionali dell’Agricoltura in 7 capitali europee, chiedendo di migliorare il modo in cui l’Unione testa i nuovi pesticidi. Il gruppo locale di apicoltori e attivisti Slow Food ha rivolto tali richieste al ministro delle politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo Marco Centinaio chiedendo al governo italiano di proteggere davvero le api dai pesticidi tossici. Slow Food teme che, in assenza di regole precise, continuino a essere usati molti pesticidi letali per le api e che altri vengano messi in commercio, rendendo inutili i tanto celebrati divieti europei sui neonicotinoidi dell’anno scorso. Slow Food sa bene che, per salvare le api, l’Unione Europea deve bandire tutti i pesticidi letali per questi insetti, non solo tre oggi vietati.
Precipita nel vano ascensore e muore
DALLA SICILIA
Un pensionato, ingegnere di 72 anni è morto ad Agrigento dopo essere precipitato nel vano ascensore di un centro commerciale. La procura ha aperto un’indagine per omicidio colposo, al momento contro ignoti, e ha disposto l’autopsia. Le immagini della videosorveglianza mostrano l’uomo mentre si avvia verso la porta di servizio dello stabile che conduce all’ascensore. Sono già stati ascoltati i responsabili della società incaricata della manutenzione dell’ascensore. Gli investigatori hanno appurato che l’ascensore verrebbe usato soprattutto come montacarichi, poiché al primo piano dell’edificio si accede dall’esterno, da una rampa dove c’è un parcheggio.
Autonomisti a Venezia
Sabato 18 maggio, all’Antony Palace Hotel di Marcon, comune della Città Metropolitana di Venezia, si tiene un convegno sul tema de ‘Le identità regionali protagoniste dell’autonomia solidale’, organizzato dal Patto per l’autonomia del Veneto e dal Patto per l’autonomia friulano. All’importante convegno prende parte anche una delegazione del Comitato Autonomia Piemont, guidata dal segretario/tesoriere, Emiliano Racca (che è componente del coordinamento di presidenza con Carlo Comoli e Massimo Iaretti), il quale prenderà parte, nel pomeriggio alla tavola rotonda ‘Quali strategie per l’autonomia dei popoli ? Progetti e soluzioni per riformare l’Europa’, insieme a Roberto Agirmo, presidente del Patto per l’autonomia Veneto, Erik Lavelaz, presidente dell’Union Valdotaine, ed Herbert Dorfamann, europarlamentare della Sudtiroler Volskpartei. A moderare sarà il direttore di Rete Veneto e Antenna 3, Luigi Bacialli. Seguirà un’altra tavola rotonda su ‘Autonomia estesa a tutte le regioni: i vantaggi economici e giuridici’ con il consigliere regionale del Patto per l’autonomia Friuli, Massimo Moretuzzo, il costituzionalista Daniele Trabucco, l’economista Gian Angelo Bellati e l’avvocato Luca Azzano Cantarutti.
Lungo la rotta balcanica
Viaggi compiuti spostandosi solo con mezzi pubblici, per incontrare e dare voce ai vissuti di donne e uomini, protagonisti loro malgrado di una delle più tragiche pagine della storia dell’umanità del nostro tempo
“Lungo la rotta balcanica” è il racconto di un viaggio sulla principale porta d’ingresso all’Europa e per la quale sono transitate oltre un milione di persone. Anna Clementi, operatrice e mediatrice linguistico-culturale presso il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati di Venezia, ha vissuto per alcuni anni in Siria e in Palestina. Diego Saccora opera all’interno del sistema di accoglienza del Comune di Venezia nell’ambito dei minori stranieri non accompagnati e da tempo è impegnato nel promuovere iniziative a favore dei giovani in Bosnia Erzegovina. Insieme hanno scritto questo libro importante, pubblicato da Infinito Edizioni. Due viaggi. Il primo, nel 2015, dall’Italia alla Grecia, da Venezia a Idomeni, in direzione “ostinata e contraria” del flusso dei migranti.L’altro,un anno dopo, attraverso Slovenia,Croazia,Serbia, Macedonia, Grecia, Albania e Kosovo. Viaggi nel fango dei campi profughi, in mezzo a donne e bambini incatenati dalla burocrazia; tra le reti e i muri che hanno reso di nuovo l’Europa un continente diviso e ostile; tra sogni che s’infrangono contro la dura realtà fatta di respingimenti e di campi di raccolta in Grecia e in Turchia e in qualunque altro Paese non faccia parte dell’Unione europea. Viaggi compiuti spostandosi solo con mezzi pubblici, per incontrare e dare voce ai vissuti di donne e uomini, protagonisti loro malgrado di una delle più tragiche pagine della storia dell’umanità del nostro tempo.
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Questo libro, come scrive il giornalista Lorenzo Trombetta, che vive e lavora in Libano dal 2005, dove è uno dei due corrispondenti per l’ANSA dal Medio Oriente,“si inserisce nello sforzo di raccogliere quante più storie possibile perché rimangano oltre la cronaca destinata all’oblio. Perché nessuno merita d’essere dimenticato”. Viaggi lungo la “balkan route”, fuggendo dal dramma del conflitto siriano, da fame e guerra, violenze e assoluta negazione di ogni futuro. Persone che impiegano anni che sembrano secoli in questo doloroso peregrinare. Storie di chi proviene da Bab Amro, uno dei sobborghi che fino al 2011 era tra i più depressi di Homs, terza città del Paese e polo industriale della Siria prima del conflitto. Di chi di dal 2012 è stato costretto a vivere in tende e catapecchie tra Tripoli, in Libano, e il confine siriano. In patria erano imbianchini, artigiani, tassisti, operai. Alcuni avevano possedevano terreni, tutti avevano la casa di proprietà. Avevano una dignità e riuscivano ad arrivare a fine mese. Ora gioiscono, e discutono, perché uno di loro è riuscito ad arrivare vivo all’altro capo del mondo – nei paesi scandinavi come la Svezia che appare quasi come la terra promessa – pagando poco più di cinquemila euro. Ogni storia ne apre altrettante, innumerevoli, infinite.Disperderle, dimenticarle equivarrebbe ad un misfatto insopportabile, intollerabile. Quindi vanno raccontate, oltre alla cronaca che dura lo spazio di un fotogramma, di qualche riga su un quotidiano. Si possono costruire altri muri, raddoppiare il filo spinato ma i confini non possono fermare chi è disperato, trascorre notti e giorni all’addiaccio, nei campi, sotto la pioggia, con poca acqua e scarso cibo. “Lungo la rotta balcanica” racconta, con lucida intensità, la forza e la dignità di questi “esiliati” che esercitano il diritto di attraversare i territori alla ricerca di una speranza, dopo aver voltato le spalle a guerre, rapine e violenze.
Marco Travaglini
Le foto sono di Paolo Siccardi, giornalista e fotoreporter free-lance torinese
Presentati da Brooke Kamin Rapaport, Daniele Radini Tedeschi, Margarita Sanchez Prieto
Ottantasette sono i paesi partecipanti alla 58.Esposizione Internazionale d’Arte- La Biennale di Venezia, tra cui quattordici i paesi relativi all’America Meridionale, Centrale e Settentrionale.
Stati Uniti, Canada, Messico, Guatemala, Uruguay, Cuba, Grenada, Haiti, Repubblica Dominicana, Antigua e Barbuda, fino a scendere in Brasile, Argentina, Perù e Cile, questi sono i protagonisti in Laguna del continente americano. Il caso forse più emblematico che interpreta e riflette sulla mostra May You Live In Interesting Times è quello del Venezuala con il suo padiglione chiuso all’interno dei Giardini dal titolo Metáfora de las tres ventanas Venezuela: identidad en tiempo y espacio. I problemi politici del Venezuela sono amaramente noti a tutti, con la repressiva dittatura di Maduro combattuta dalla popolazione bisognosa di libertà e diritti, supportata in questa lotta da Juan Guaidò e da Leopoldo López. Un Venezuela in piena guerra civile, con il popolo sfinito, senza farmaci e supporti umanitari, che avrebbe portato in Laguna una mostra diretta da Oscar Sottillo Meneses con lavori di Natalie Rocha Capiello, Ricardo García, Gabriel López e Nelson Rangelosky. Per l’America Centrale sicuramente degni di nota sono il Padiglione Cuba, presso l’Isola di San Servolo, diretto da Margarita Sanchez Prieto con gli artisti Alejandro Campins, Alex Hérnandez, Ariamna Contino e Eugenio Tibaldi laddove ognuno di essi riflette sulla relazione uomo ambiente. Entorno aleccionador (A Cautionary Environment), questo il titolo della mostra, condivide l’idea che le azioni dei singoli siano rilevanti per tutti noi e abbiano ricadute su luoghi e ambiti diversi. Al contrario lo scenografico padiglione del Guatemala, curato da Stefania Pieralice, dal titolo Interesting State, è dedicato alla violenza sulle donne ponendo a confronto il raffinato omaggio a Frida Kahlo, vittima ed eroina, con i volti sfigurati di Elsie Wunderlich fino a giungere alle mani tatuate maschili e femminili di Marco Manzo colte in contrapposizione tra loro. Sempre per il Centro America un posto di massima importanza è riservato al lavoro del curatore Daniele Radini Tedeschi che ha portato il Grenada, con la mostra Epic Memory, a conseguire un notevole successo di pubblico e critica. Il Padiglione riflette sull’identità culturale dei paesi caraibici con risvolti riguardanti integrazione e immigrazione trattati dagli artisti Dave Lewis, Billy Gerard Frank, Shervone Neckles, Amy Cannestra, Franco Rota Candiani, Roberto Miniati e dal collettivo CRS avant-garde. Guatemala e Grenada sono entrambi presso il Palazzo Albrizzi Capello in Cannaregio assieme alla Repubblica Dominicana che per la prima volta fa ingresso in Biennale con un proprio padiglione. Per l’America Settentrionale non si può non apprezzare ai Giardini il Padiglione Stati Uniti con la mostra Liberty/Libertà diretta da Brooke Kamin Rapaport con opere di Martin Puryear che riflette sul rapporto artista cittadino attraverso i valori democratici alla base della civiltà.
Nella foto i curatori: Brooke Kamin Rapaport, Daniele Radini Tedeschi, Margarita Sanchez Prieto
DALLA LIGURIA
Un 75enne disabile è morto ieri sera nell’incendio nel suo appartamento a Genova. L’anziano era in casa con la moglie e il figlio che si sono invece salvati e hanno chiamato i soccorsi. L’uomo avrebbe lasciato una sigaretta accesa nella camera dove era coricato a letto. La moglie e il figlio si trovavano in un’altra stanza quando si sono accorti del fumo, ma a causa delle fiamme non sono riusciti a salvarlo.
(foto archivio – il Torinese)