L’efficacia di strumenti legali ancora poco conosciuti per chiamarsi fuori da critiche situazioni economiche di difficile gestione
Negli ultimi 11 anni, a partire dal disastroso default americano del 2008, anche in Italia assistiamo piuttosto tristemente e ricorrentemente a episodi di cronaca che vedono protagoniste, loro malgrado, le banche: ree di aver letteralmente polverizzato i risparmi di migliaia e migliaia di connazionali, attraverso l’operato infausto di management a dir poco disastrosi, determinando anche il crollo degli istituti di credito stessi. E la crisi versione 2019 non sembra tantomeno agevolare di certo una già di per sé complicata e difficile situazione.Da qui, il fenomeno per lo più tutto italiano di una serie di fusione a catena fra gruppi diversi per cercare di stare a galla. E ripartire, spesso e volentieri, grazie ai soldi dello Stato, o per mezzo di consistenti operazioni di ricapitalizzazione condotte soprattutto attraverso nuove richieste di fiducia in denaro proprio a quegli stessi correntisti–azionisti: ai quali, invece, andrebbero fatte mille e più scuse, e restituite somme cospicue. A partire dal 1999, e più precisamente da quando Piero Calabrò, famosissimo e stimato Magistrato, ottenne in tribunale la prima pronuncia storica in materia di anatocismo e usura bancaria, per i sempre più numerosi e onesti consumatori italiani si è aperto uno scenario nuovo grazie al quale poter ottenere giustizia dalle banche. Un’attività, questa, che ha fatto della celebre società bresciana ‘SDL Centrostudi SPA’ il punto di riferimento indiscusso nel nostro Paese per quanto riguarda la verifica dei possibili vizi usurari e anatocistici che spesso inquinano la bontà e la salute dei conti correnti. Fondata nel 2010 dal geniale Serafino Di Loreto, in passato stimato avvocato e tuttora imprenditore di successo, l’azienda offre ai consumatori preanalisi gratuite dei loro conti correnti: e persino una polizza che, in caso di soccombenza in tribunale, copre l’intero importo delle spese legali sostenute.
A oggi, ‘SDL Centrostudi SPA’ (www.sdlcentrostudi.it) si è rivelata un partner efficace ed efficiente nella gestione anche di altre problematiche di primaria importanza connesse all’avanzare della crisi: tra queste, in primis, il cosiddetto ‘sovraindebitamento,’ alias il superamento delle pendenze economiche sostenibili da consumatori e imprese che sono alla base della cosiddetta ‘morte civile’, recuperando nel complesso dei primi nove anni di attività oltre 250 milioni di euro indebitamente sottratti alle tasche delle fasce deboli, tra cui cittadini, correntisti, famiglie, privati, consumatori e piccole e medie imprese.
PERFORMING + più competenze a sistema
3 regioni e 6 città, 6 incontri, 87 enti, 27 relatori, 40 ore di formazione e confronto, 1050 km percorsi
Questi alcuni dati che provano a raccontare in maniera sintetica il primo anno di Performing+, progetto triennale promosso da Compagnia di San Paolo e Fondazione Piemonte dal Vivo, in collaborazione con l’Osservatorio Culturale del Piemonte, per rafforzare le competenze dei soggetti del Terzo Settore attivi nello spettacolo dal vivo in Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. La scelta di lavorare congiuntamente nasce dalla comune convinzione che il ruolo generativo del comparto nello sviluppo culturale, sociale ed economico di un territorio necessiti di essere potenziato investendo nelle competenze e nella costruzione di relazioni, per una comunanza di pratiche, obiettivi, ragionamenti ed esperienze sempre più efficace ed estesa. “La Compagnia di San Paolo, in particolare con il suo Piano Strategico 2017-2020, a fronte delle domande crescenti da parte del territorio, propone una strategia e co-progetta con la comunità, ponendosi sempre di più come soggetto che diventa moltiplicatore di risorse e fattore abilitante per il territorio. In quest’ottica, con Performing+ la Compagnia affianca, all’erogazione di contributi economici, azioni di capacity building che nascono dal dialogo con altre istituzioni, vengono definite a partire dai bisogni del contesto e maturano con esso, condividendo percorsi capaci di portare valore aggiunto agli enti che lavorano nel settore dello spettacolo dal vivo” afferma Alberto Anfossi, Segretario Generale della Compagnia di San Paolo. “A fronte di una società in trasformazione per abitudini, aspettative e bisogni, come fondazioni culturali siamo chiamati a ripensare il nostro modello di azione: oggi l’innovazione culturale deve passare necessariamente per la costruzione di un capitale culturale collettivo che faccia sì che best practise e modelli proficui diventino scalabili e migrabili verso comunità sempre più ampie. Il tutto sapendo coniugare qualità artistica, sviluppo locale e impatti sociali” commenta Matteo Negrin, Direttore di Fondazione Piemonte dal Vivo. “Il valore che Performing+ assume per l’Osservatorio è quello insito nel dare avvio a un processo di capacitazione dei singoli professionisti e del settore nel suo complesso, che pur nutrendosi della condivisione di buone pratiche, messa a sistema di conoscenze, metodi, relazioni nazionali e internazionali, va oltre e si spinge a progettare insieme un percorso per rendere l’esperienza di Performing+ una policy, alla quale si chiede di dare un contributo importante di ispirazione e orientamento ai singoli e al sistema intero. Uno degli effetti a cui si mira esplicitamente consiste nella costruzione di una comunità professionale intessuta di legami anche deboli tra gli operatori, per costruire quel tessuto che è il terreno di base per future possibilità e per costruire atmosfere creative” dichiara Luca Dal Pozzolo, direttore dell’Osservatorio Culturale del Piemonte.
Il primo anno, strutturato in sei giornate itineranti nelle tre regioni da novembre a maggio 2019, è stato dedicato al tema dell’audience development, per agire prima di tutto sullo sviluppo della domanda e sulla connessa capacità dei soggetti di interpretarsi e operare come fattori di crescita degli individui e della comunità di appartenenza. Il comitato scientifico – composto da Sandra Aloia, Compagnia di San Paolo; Luisella Carnelli, Osservatorio Culturale del Piemonte; Mara Loro, Fondazione Piemonte dal Vivo – ha ideato un percorso che ha visto l’alternarsi di relatori da tutta Italia, con consolidate esperienze nell’ambito dello spettacolo dal vivo e della progettazione culturale: Lucio Argano, Alessandro Bollo, Giuliana Ciancio, Emanuele Masi, Agostino Riitano, Pierluigi Sacco, Rosa Scapin, Catterina Seia sono alcuni dei nomi che hanno incontrato le realtà culturali durante Performing+. Obiettivo del percorso triennale è, da una parte, rafforzare la consapevolezza delle organizzazioni culturali sul loro ruolo chiave per lo sviluppo sostenibile della società e, dall’altra, accompagnarle e facilitarle nella ricerca della loro personale dimensione di sostenibilità, attrezzandosi per gli scenari che si troveranno di fronte e che dovranno necessariamente affrontare. L’appuntamento con Performing + è per l’autunno 2019, con il nuovo ciclo dedicato alla sostenibilità organizzativa, gestionale, economica e ambientale.
DALLA CALABRIA
Contattava le sue vittime su Internet con una falsa identità e, dopo avere avuto rapporti sessuali con loro le ricattava. E’ stato arrestato un pensionato di 56 anni, di Reggio Calabria, con l’accusa di violenza sessuale, tentata estorsione e circonvenzione di incapace. L’uomo è sposato e padre di due figli. Due le donne che, dopo avere avuto rapporti sessuali con lui, gli avevano dato dei soldi e, in un caso, erano state ricattate sotto la minaccia di diffondere un video sui loro rapporti sessuali. Le due vittime, dopo avere consegnato alcune somme di denaro, hanno presentato un esposto in Procura.
CRESCE LA VOGLIA DI VIAGGIARE: L’87% DEGLI INTERVISTATI HA FATTO UNA VACANZA DI ALMENO 4 NOTTI, CON UN INCREMENTO DEL +12% RISPETTO AL 2018
In un mercato sempre più fluido, nascono precisi profili dei viaggiatori moderni – gli alternativi e gli esclusivisti – con diversi comportamenti e attitudini di spesa. Chi sceglie le case vacanza genera un impatto economico sul territorio pari a 2,9 miliardi di euro
HomeAway®, esperto globale delle case per vacanza, e CISET, Centro Internazionale sull’Economia Turistica fondato da Università Ca’ Foscari di Venezia e Regione Veneto, presentano i dati della seconda edizione del barometro sull’affitto di case per vacanza in Italia*.
Emerge in generale un cauto ottimismo rispetto alla propensione di viaggio degli italiani che sembrano disposti a viaggiare di più. L’87% della popolazione – tra i 18 e i 65 anni – ha infatti potuto godere di una vacanza lunga, superiore alle 4 notti, in aumento rispetto a quanto registrato nel 2018 sul periodo aprile 2016-2018.
Ottimistiche anche le previsioni di vacanza per il 2019, anno in cui l’89% degli italiani ha in programma almeno un soggiorno fuori casa tra aprile e dicembre. Di questi, il 43% opterà sicuramente per unalocalità dove sia garantita un’offerta di case vacanza, altrimenti cambierà destinazione.
In questo scenario generale, che sottende ad un mercato sempre più fluido in cui anche il turista si sente “residente temporaneo” del luogo scelto per le proprie vacanze, si inserisce l’indagine commissionata da HomeAway che, quest’anno, presenta un’importante novità. Sono stati infatti tracciati il profilo dell’utente italiano che sceglie la casa vacanza e il profilo di coloro che invece prediligono l’hotel, analizzandone per la prima volta i diversi comportamenti in termini di abitudini di viaggio e di spesa. L’analisi ha portato a delineare così precisi segmenti di viaggiatori: gli “alternativi” (chi utilizza sia case per vacanza che hotel) e gli “esclusivisti”, che includono sia coloro che utilizzano solo case per vacanza sia coloro che utilizzano solohotel.
“Gli alternativi”, chi sono?
I dati più interessanti di questo studio emergono proprio dal campione di indagine di chi sceglie sia case per vacanza che hotel. Questo segmento è composto per la maggior parte da giovani (il 40% ha < 34 anni) e adulti (il 23% ha 35-44 anni), risiede soprattutto al Nord (il 45%) o al Sud (24%) e ha uno status socioeconomico medio-alto, sia in termini di istruzione che di ceto sociale. Rispetto agli altri profili ha una maggiore propensione al viaggio: quasi l’80% di loro ha fatto almeno 2 vacanze lunghe e 2 short break negli ultimi due anni e, tra le due tipologie di alloggio (case per vacanza e hotel), il 56% di loro valuta e sceglie la prima.
Dove, come, quando, perché e con chi viaggiano gli alternativi?
Dove? Le destinazioni preferite da questo segmento di viaggiatori sono in assoluto le località balneari, che registrano il 47% delle preferenze, seguite dalle città d’arte (22%) e dalla montagna (11%). L’appartamentoè la tipologia di alloggio più gettonata, scelta dal 52% degli intervistati, seguita dalla casa indipendente/villetta (25%). Le altre tipologie di alloggio legate alla vacanza scelta (ad es. bungalow per le vacanze al mare, baita per la montagna, etc.) contano per il 20%.
Quando? L’estate è senza dubbio la stagione prediletta, in particolare il periodo giugno-agosto è preferito dal 56%, con un picco ad agosto (25%). L’autunno, e in particolare settembre, è scelto dal 16%, seguito dalla primavera, in particolare maggio (15%) e infine dall’inverno (gennaio soprattutto), che chiude con il 13%.
Perché? Gli alternativi amano viaggiare soprattutto per rilassarsi ed evadere dallo stress quotidiano (voto 4 su 5), godersi il meritato riposo, divertirsi con i compagni di viaggio (voto 3,8 su 5) e infine per conoscere nuovi luoghi (voto 3,7 su 5) e nella scelta della destinazione, danno importanza anche all’offerta della stessa (enogastronomia 3,6, risorse culturali 3,5, naturali 3,3).
Con chi? Il gruppo è formato in media da 3 persone, con la maggioranza che decide di viaggiare in famiglia(partner e figli) o in coppia (entrambi al 36%). A seguire troviamo i gruppi numerosi, formati da partner/famiglia e parenti o amici (12%), gruppi di amici (11%) e infine chi sceglie di viaggiare da solo (2%).
Dove prenotano e come scelgono una casa per vacanze?
Le piattaforme online specializzate in affitti turistici sono il principale canale di informazione e prenotazione (37%), seguito dalle OTA e dai portali delle destinazioni turistiche, che registrano il 32% e il 30% delle preferenze, rispettivamente. Il passaparola tradizionale è ancora scelto dal 29% degli intervistati, mentre il 13% è un repeater (sceglie, cioè, sempre lo stesso alloggio). Chiudono le agenzie di viaggi (8%) e le agenzie immobiliari (7%).
La prima caratteristica presa in considerazione in fase di valutazione dell’alloggio è la posizione e il prezzo(voto 4 su 5), seguito dall’ambiente e i dintorni della casa (voto 3,8 su 5) e infine le recensioni su internet e il contatto diretto con i proprietari e i gestori di case vengono valutati con un voto di 3,6 su 5.
“In Italia il mercato degli affitti ad uso turistico è in crescita costante ed è uno dei più attivi in Europa, sia dal lato dell’offerta che della domanda, grazie alla diffusione di piattaforme e siti web specializzati in affitti – ha sottolineato Valeria Minghetti, Chief Senior Researcher di CISET -Da qualche anno a questa parte la figura del viaggiatore si è evoluta: la vacanza di stampo tradizionale esiste sempre di meno e ormai è pensata come esperienza per vivere i luoghi. In un mercato sempre più fluido e mutevole, abbiamo individuato quindi una tipologia di turista ‘ibrido’, che cambia le sue scelte e i suoi comportamenti in base alle sue molteplici individualità”.
“Gli esclusivisti”, chi sono?
E gli altri due segmenti? La ricerca ha tracciato anche il profilo degli esclusivisti. Coloro che hanno scelto di soggiornare solo in case per vacanza sono per la maggior parte adulti o maturi (il 47% ha più di 45 anni) e risiedono in prevalenza nel Nord Italia (57%). La loro vacanza ideale è tradizionale, prevalentemente al mare (45%) e in montagna (14%). Amano viaggiare in famiglia (42%) o in gruppi numerosi (15%) e in gruppo di amici (13%) per la prenotazione utilizzano sia le piattaforme specializzate in affitti brevi (32%) sia le OTA e altri intermediari (30%).
Diverse invece sono le abitudini di chi sceglie solo l’hotel; il target di riferimento ha un’età media più elevata (il 51% ha > 45 anni) e risiede un po’ in tutta Italia, ma con una maggiore concentrazione al Centro. Viaggia soprattutto in coppia (44%) o in famiglia (27%) e opta per una tipologia di vacanza più eterogenea: il 39% sceglie un soggiorno nelle città d’arte, mentre il 32% va al mare. Le cosiddette “bed banks” (i portali specializzati nella prenotazione di camere) sono il tool di riferimento per il 50% degli intervistati, seguiti dai portali delle località turistiche (27%).
Spese extra e impatto economico, i target a confronto
Ma veniamo alle spese extra: il barometro HomeAway/CISET indica che gli “alternativi” spendono in media € 573 per l’affitto e una cifra più che doppia in spese extra – € 1.165 Euro – per tutto il soggiorno, per un totale di € 1.738. Delle spese extra, la maggior parte è destinata alla ristorazione (40,4%).
Tra gli “esclusivisti”, sono i sostenitori delle case vacanza a spendere di più, non tanto in termini di affitto, quanto in attività da svolgere durante il proprio soggiorno, con un miglior indotto per il territorio (€ 766contro € 664 sostenuto da chi alloggia solo in hotel), dato un gruppo di viaggio più numeroso e una maggiore durata del soggiorno.
In generale, il fatturato generato da chi utilizza case per vacanza (esclusivisi e alternativi) si aggira intorno ai € 2,9 miliardi, di cui poco meno di € 1 Mld è dovuto alle spese di affitto e € 1,9 Mld sono le spese extra a destinazione.
A chiusura della presentazione dei risultati, Gualberto Scaletta, Country Manager Italy Vrbo, ha così commentato: “Siamo contenti di aver rinnovato anche quest’anno la nostra collaborazione con il CISET per la realizzazione di questo studio che quest’anno si è ulteriormente arricchito di importanti novità, Questa seconda edizione, infatti, fornendo diversi profili e comparandoli tra loro, ci offre molti dettagli interessanti per conoscere meglio, e per la prima volta, in maniera così dettagliata, quelli che abbiamo definito “Gli alternativi”, un profilo di turista, più fluido, consapevole e che sceglie sia l’hotel che la casa per vacanze, confermandoci ancora una volta quanto oramai siano due soluzioni di alloggio a tutti gli effetti complementari. In un contesto, anche se lieve, di ripresa economica – aggiunge il manager – in cui il viaggiatore diventa sempre più esigente e quindi più “fluido”, credo sia strategico ascoltarne più attentamente i bisogni e ad anticiparne le esigenze e per farlo è sempre più utile realizzare indagini come questa, che ci aiutano a tracciarne un profilo preciso, al passo con i tempi e non limitativo”.
* Definizione generica non corrispondente ad alcuna definizione legale
**Metodologia di analisi
- Indagine CAWI condotta da SWG su un panel di 60.000 persone rappresentative della popolazione italiana
- Intervistati Italiani 18 – 65 anni che hanno fatto almeno 1 vacanza/breve soggiorno (almeno 1 notte fuori casa) in Italia nel corso degli ultimi 2 anni (marzo 2017-aprile 2019)
- Periodo: prima metà di aprile 2019
- I campioni intervistati:
– Turisti in case per vacanza: 1.300 interviste a persone che negli ultimi 2 anni hanno trascorso almeno 1 notte in un alloggio in affitto e che hanno utilizzato anche altre tipologie di alloggio (hotel)
– Turisti in hotel, che NON utilizzano case per vacanza: 600 interviste a persone che negli ultimi 2 anni hanno trascorso almeno 1 notte in hotel, ma non in un alloggio in affitto
DALLA LIGURIA
E’ morta la donna di 60 anni accoltellata dal marito dentista, nel corso di una lite nella loro abitazione a Bolano, in provincia di La Spezia. L’aggressione, scaturita da una lite per il malfunzionamento di una caldaia, avvenne il 20 marzo. Il marito, coetaneo, l’aveva ferita con un coltello da cucina. La donna era stata operata e ricoverata in terapia intensiva, ma non si era mai ripresa. Era stato il coniuge a chiamare i soccorsi.
Il luogo che non c'è
A partire dall’inizio del ventesimo secolo, su questa collina appena sopra Ascona, tra Brissago e Locarno, si riunirono intellettuali e artisti alla ricerca di valori e modi di vita alternativi
Ascona è un comune svizzero del Canton ticino, sul lago Maggiore. E’ lì che s’incontra “il luogo che non c’è”, la culla dell’utopia: il Monte Verità. A partire dall’inizio del ventesimo secolo , su questa collina appena sopra Ascona, tra Brissago e Locarno, si riunirono intellettuali e artisti alla ricerca di valori e modi di vita alternativi: fra loro c’erano vegetariani, predicatori del ritorno alla vita rurale,sostenitori dell’utilità delle pratiche igeniste all’aria aperta (ginnastica, sole e bagni freddi) e chi propagandava l’anarchia e il libero amore. I fondatori del movimento – Henry Hoendekoven, figlio di un industriale belga, e Ida Hoffmann, femminista e insegnante di pianoforte, arrivarono sulle rive del lago Maggiore dalla Germania. E chi arrivarono a piedi, rifiutando le abitudini di una società sempre più materialistica e cercando – all’opposto – una vita a contatto con la terra, la natura, la semplicità. Erano dei veri naturisti. A quel tempo il “Monte Verità” si chiamava Monescia; in breve comprarono i terreni e costruirono delle case seguendo stili precisi. All’epoca quassù non c’era neppure l’acqua ma non per questo si persero d’animo e per tutto il primo ventennio del ’900 il Monte Verità diventò la “piccola patria” di pensatori, scrittori, artisti, anarchici e di chiunque fosse interessato a sperimentare in completa libertà le proposte rivoluzionarie del gruppo. Vi passarono le intelligenze più vivaci dell’epoca:Carl Gustav Jung, Erich Maria Remarque,Thomas Mann ,André Gide, Herman Hesse. E non mancarono gli anarchici ed i rivoluzionari come Bakunin e Lenin. I valori condivisi erano: emancipazione femminile, vegetarianismo, danza di gruppo (o euritmia, spesso fatta alla luce della luna), abolizione del denaro e pratica del baratto, abolizione delle maiuscole nei testi. Coltivare la terra nudi (ne erano certi) portava benefici al raccolto. Nel giro di pochi anni gli abitanti di Ascona iniziarono a guardare con sospetto a cosa stava accadendo sulla loro collina. Ma non protestarono, si limitarono a chiamare quei nudisti ballerini, agricoltori, musicisti e messaggeri dell’amore libero, con un innocuo nomignolo: i «balabiòtt». Sarà pur bizzarra la storia del Monte Verità e dei suoi “ danzatori nudi” ma, come mi disse un vecchio intellettuale ticinese e storico del lago Maggiore, “ è la bellezza di questa landa libertaria dove le idee si rispettano anche quando non si condividono”.
Marco Travaglini
Le due chiese di Montmartre
Una è conosciuta e fotografata, eletta tra i simboli di Parigi per chi visita la città e sale sulla “butte” di Montmartre, la collina prescelta da pittori come Renoir,Toulouse-Lautrec, Suzanne Valadon e Maurice Utrillo
L’altra è una delle più antiche della “ville lumière”, molto amata da chi abita nel quartiere, luogo di culto dove si respira una profonda spiritualità. C’è differenza, e non poca, tra l’imponente e bianca basilica del Sacré Coeur e la più riservata chiesa di Saint Pierre, a fianco della place du Tertre, un tempo ritrovo degli artisti che ne varcavano la soglia per venerare la loro patrona, Notre Dame de Beauté. Su questa collina un tempo simbolo di ardenti passioni e spiriti liberi e ancor oggi, nonostante la pacifica invasione di vocianti comitive di turisti, ricca di fascino e di poesia, i due luoghi di culto sorgono uno vicino all’altro. Al culmine della lunga scalinata o, risparmiando fatica, al termine del tragitto della
funicolare, la candida sagoma del Sacro Cuore domina Parigi, essendo il luogo più alto della città dopo la Tour Eiffel. Zola, nel suo “Paris”, feuilletons pubblicato su Le Journal dall’ottobre 1897 al febbraio 1898, raccontava così la vista che si gode dalla Basilica: “Parigi immensa si stendeva ai suoi piedi, una Parigi limpida e leggera nella chiarità di una sera di primavera precoce. Il mare senza fine dei tetti si stagliava con così singolare nettezza che si sarebbero potuti contare i camini e i trattini neri delle finestre, a milioni. Nell’aria calma i monumenti sembravano navi alla fonda, una squadra fermata nel suo cammino le cui alte alberature brillavano nell’addio del sole”. La basilica, costruita tra il 1875 e il 1914, consacrata cinque anni dopo, nel 1919 (quest’anno ricorre il centenario) è il frutto di un “voto nazionale” promosso dalla chiesa cattolica per “espiare i crimini della Comune di Parigi” e proprio per questo fu edificata nel cuore del
quartiere dal quale erano partiti i moti rivoluzionari del marzo 1871. Quello che viene considerato come il primo esempio di potere democratico e socialista nell’Europa del nascente capitalismo, durò poco più di due mesi e finì nel sangue. Quella sorta di “ex-voto”, inaugurato in pompa magna, venne però snobbato dagli abitanti di Montmartre che continuarono ad andare a messa nella chiesa di Saint Pierre.Edificata sui resti di un antico tempio gallo-romano dedicato a Marte tra il 1133 e il 1147 nel luogo in cui, secondo la tradizione, Ignazio di Loyola fondò la Compagnia di Gesù (l’ordine dei Gesuiti) la chiesa di Saint Pierre
de Montmartre faceva parte della grande abbazia benedettina di Montmartre fondata nel 1133 da Adelaide di Savoia, madre del Re Luigi VII, la cui pietra tombale si trova all’interno della chiesa. L’aspetto esterno di questo luogo di culto è di foggia medievale anche se la facciata è barocca, costruita nel ‘700, mentre l’interno è in stile gotico. Dove sorgeva l’abbazia, ora c’è il giardino del Calvario, con i resti della Via Crucis realizzata per Richelieu. Di fianco alla chiesa il più piccolo dei cimiteri parigini – dove, tra le 87 tombe sono sepolti il cuore dell’esploratore Louis Bougainville (le cui spoglie sono ospitate al Panthéon) e lo scultore Jan Baptiste Pigalle – , aperto solo un giorno all’anno, il
1° novembre in occasione della festa dei morti. Due chiese, due epoche e due storie diverse, dove la meno nota dimostra di non essere la meno importante. E non solo per l’affetto, mai venuto meno, di chi ha vissuto sulla collina più alta a nord di Parigi, come i bohémien della rive droite durante la Belle Époque.
Marco Travaglini
DALLA PUGLIA
Una intera famiglia di Taranto padre, madre e figlio è rimasta gravemente intossicata dopo avere mangiato funghi velenosi raccolti nelle campagne e non sottoposti a controllo sanitario. Il capofamiglia, di 56 anni, è in prognosi riservata nel reparto di rianimazione dell’ospedale cittadino, in pericolo di vita. Invece la moglie e il figlio si trovano nel nosocomio San Pio di Castellaneta, dove hanno ricevuto i primi soccorsi. L’intossicazione sarebbe stata provocata dall’Amanita Phalloides, una delle specie di funghi più velenosi in assoluto.
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Venezia (Italia), Dubrovnik (Croazia), Brno (Repubblica Ceca), Kecskemét (Ungheria), e Cracovia (Polonia), le cinque città coinvolte nel progetto, sono state mappate per individuare i prodotti più rappresentativi del patrimonio gastronomico locale. Brno ha scelto la mela Panenské Ćeské, una varietà particolarmente resistente e saporita, dotata di ottima conservabilità e adatta al consumo diretto. La Croazia punta sulla Malvasia di Dubrovnik, un vino bianco secco e delicato, ottimo da abbinare al pesce bianco, e il sale di Ston, prodotto nella salina più antica e meglio conservata di tutta Europa. Kecskemét, nota come il “frutteto dell’Ungheria” grazie alla peculiare struttura del suolo e all’abbondante luce solare di cui gode, ha selezionato l’albicocca Hankovszky, la più pregiata tra le molte varietà locali; molto versatile nella gastronomia ungherese e spesso utilizzata per la produzione di conserve, è anche l’ingrediente della famosa pálinka all’albicocca, il tipico distillato simbolo di Kecskemét, conosciuto in tutto il mondo. Per quanto riguarda Cracovia, la scelta è andata sull’Obwarzanek krakowski, una ciambella realizzata in pasta di pane, bollita e cosparsa di semi di papavero, sesamo o formaggio prima della cottura in forno; questo tipico di snack, molto noto e diffuso nella città, viene tradizionalmente acquistato dai carretti dei venditori di strada. Venezia invece, tra i suoi tanti prodotti, presenta la schia della Laguna, un piccolo crostaceo di colore grigio, servito generalmente fritto e accompagnato con polenta bianca; dall’antico vitigno Dorona viene prodotto l’omonimo vino abbinato alla schia.
Per testare le innovative soluzioni di tipo partecipativo concepite per la promozione del patrimonio gastronomico negli spazi pubblici, le cinque città hanno lanciato le azioni pilota che nel corso di quest’anno raggiungeranno gli abitanti, gli studenti delle scuole e i turisti, coinvolgendoli in diverse attività.
• Il prossimo autunno, Venezia ospiterà i Venice Food Days, per scoprire il sapore autentico della città e promuovere la cucina e i prodotti locali, in collaborazione con i principali attori della gastronomia locale.
• Col programma Learn to taste the diversity of South Moravia, Brno punterà a promuovere i sapori regionali della Moravia meridionale attraverso attività per bambini, spettacoli e mercati, elaborando menù stagionali per le scuole, realizzando un catalogo dei prodotti locali e organizzando sessioni d’incontri con i produttori per preparare piatti tipici.
• City Breadwinners sarà la manifestazione gastronomica, multimediale e multisensoriale al cuore delle attività di Dubrovnik; durerà tutto l’anno con lo scopo di valorizzare i produttori di cibo presentando il patrimonio gastronomico della città.
• In Ungheria, il Kecskemét Green Market ospiterà formazioni per i contadini e i produttori e diverse attività di educazione alimentare, cucina, degustazioni, visite guidate e incontri con i produttori locali.
• Cracovia presenterà invece la manifestazione Culinary Krakow: Heritage on the plate. L’iniziativa darà la possibilità di immergersi nel patrimonio gastronomico della capitale grazie a uno speciale tour, diversificando in tal modo l’offerta turistica della città e incoraggiando i visitatori a scoprire nuove zone meno conosciute.
Ma non finisce qui: ogni città europea potrà adottare il metodo sviluppato dalle cinque città coinvolte nel progetto SLOW FOOD-CE per promuovere il proprio patrimonio gastronomico. Per condividere esempi, consigli e corsi di formazione on line, è stata lanciata la piattaforma Food Paths Network,a cui possono accedere tutte le città interessate all’adozione di un approccio comune per la tutela e lo sviluppo del patrimonio gastronomico locale.
Il progetto
Il progetto SLOW FOOD-CE ha dato vita a un modello replicabile in grado di valorizzare i cibi tradizionali così come i produttori, le razze e i semi, le tecniche di lavorazione artigianali, il folklore, il paesaggio culturale e le risorse naturali che nutrono il patrimonio gastronomico comune dell’Europa centrale. Il progetto ha portato a una nuova alleanza tra le cinque città di Venezia, Dubrovnik, Brno, Kecskemét e Cracovia. Il principale obiettivo è il miglioramento delle capacità degli attori locali nella tutela e promozione del patrimonio immateriale del cibo, in una prospettiva di sostenibilità economica, ambientale e sociale. Le cinque città coinvolte sono i luoghi ideali per sviluppare il concetto di “nuova gastronomia” promosso da Slow Food: un approccio multidisciplinare al cibo, che riconosce le forti e profonde connessioni tra gli alimenti, il pianeta e le persone.
*Al progetto SLOW FOOD-CE aderiscono 10 partner di 5 paesi dell’Europa centrale impegnati a costruire insieme una metodologia comune per l’identificazione e la promozione delle risorse culturali legate al patrimonio gastronomico. Italia (Slow Food, città di Venezia, Università delle scienze gastronomiche) Croazia (Agenzia per lo sviluppo della città di Dubrovnik, Assosciaizone Kinookus)
Repubblica Ceca (Autorità del turismo della Moravia meridionale, Slow Food Brno)
Ungheria (Municipalità di Kecskemét, Kiskunság Tradition-bound, Artisans and Tourism Association)
Polonia (Municipalità di Cracovia) Partner associati – 7 partner associati supportano i partner del progetto per il coinvolgimento di attori e soggetti interessati e nella diffusione dei risultati del progetto: il Consiglio per il turismo di Ston (HR), la città di Dubrovnik (HR), la città di Brno (CZ), l’Organizzazione del turismo della Malopolska (PL), l’Accademia di educazione fisica e turismo di Cracovia (PL), l’Istituto europeo di storia e culture del cibo (FR), Europa Nostra (NL).
Immigrazione. Problema di tutti
Stando ad una giornalista tedesca, fra i molti problemi che l’Italia ha è che noi abbiamo il Papa. Francamente l’aforisma l’avevo già sentito, ma penso sia molto più datato e non di appartenenza della teutonica giornalista. In effetti, da noi ogni problema, serio o meno serio viene, sempre interpretato in chiave religiosa e quindi, a maggior ragione, il problema della migrazione non viene mai affrontato in modo equilibrato, ma sempre come scontro fra fazioni.Se da un lato le frontiere sono bloccate come un colabrodo, le riammissioni di migranti da Germania, Francia e Austria superano di gran lunga il numero degli sbarchi, via mare.Germania, Austria e Francia rimandano in Italia un numero di migranti superiore a quelli che vi sbarcano. Infatti dalle verifiche risulta che da gennaio a maggio 2019 sono sbarcati in Italia 857 migranti. Dalla Germania, nello stesso arco di tempo ben 710 “Dublinanti” a cui vanno aggiunti quelli rispediti indietro dall’Austria e dalla Francia sono stati rispediti indietro.I cosiddetti “Dublinanti” sono i migranti sbarcati in l’Italia, poi passati nei paesi confinanti attraversando la frontiera di Ventimiglia, Bolzano e via di seguito e intercettati dalla polizia e identificati in base alla banca dati europea delle impronte digitali (Eurodac).Se si scopre che sono arrivati in Italia questi migranti vengono rispediti indietro, verso il paese di primo sbarco. Germania, Austria e Francia legittimamente l fanno in forza del trattato di Dublino, che impone che i migranti chiedano asilo e restino nel paese di sbarco. Trattato – ingiusto – che l’Italia non ha mai ottenuto di modificare. Nel 2018, la Germania ha trasferito in Italia un totale di 2848 persone (fonti del ministero tedesco) e non sembra ci sia inversione di tendenza. Sempre le statistiche del governo federale riportano che nei primi 11 mesi del 2018, su 51.558 casi esaminati, la Germania ha chiesto ad altri paesi dell’Unione europea di riprendersi i migranti che vi erano arrivati dal resto d’Europa e per l’Italia si è trattato di riprendersi un migrante espulso su tre. In particolare il ministro tedesco Horst Seehofer ha insistito per accelerare le “restituzioni.La morale: sui migranti sono tutti d’accordo quando si tratta degli altri (Italia), meno quando si tratta di Germania, Francia, Belgio, Olanda ecc.
Tommaso Lo Russo