CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 707

Un’altra armonia. Maestri del Rinascimento in Piemonte

Che dire? E’ proprio tutta “un’altra armonia”, per restare al titolo del progetto. Dal 16 dicembre scorso i più grandi nomi del Rinascimento piemontese hanno infatti trovato, al piano terra della Galleria Sabauda di piazzetta Reale a Torino, un nuovo, meno dispersivo e dunque meglio fruibile allestimento permanente: uno spazio di 380 metri quadri loro dedicato e destinato ad ospitare circa cinquanta opere, fra dipinti polittici sculture libri miniati e pale d’altare, che raccontano un momento fondamentale e di grande apertura alle novità più “esterne” – dalle influenze pittoriche dell’Italia centrale fino a quelle d’oltralpe o di matrice fiamminga- della storia dell’arte in Piemonte dalla metà del ‘300 fino all’avvento del Manierismo. Si tratta di una svolta importante per il complesso museale torinese, in un momento particolarmente florido che nel corso del 2017 ha registrato il 20,5% in più di visitatori (pari a circa un + 50mila) rispetto all’anno precedente. “Adesso i Musei Reali di Torino – sottolinea la direttrice Enrica Pagellahanno superato la prima fase. Sono state riaperte porte, riallacciati rapporti, è stato dato un nuovo nome e una identità visiva unica. C’è ancora molto da fare, ma stiamo lavorando per rendere i nostri Musei più accessibili, innovativi e inclusivi, perché credo che possiamo giocare alla pari con le grandi istituzioni museali internazionali”. Sono nove le sezioni in cui si articola il nuovo percorso espositivo, la maggior parte completata da una parte multimediale e interattiva, di cui quattro quelle monografiche, dedicate a singoli Maestri del tempo. A partire da Giovanni Martino Spanzotti (Casale Monferrato, circa 1455 – Chivasso, ante 1598) cui dobbiamo la monumentale parete affrescata con i cicli della “Vita di Cristo” nella Chiesa di San Bernardino ad Ivrea, per passare al suo allievo e collaboratore (certa la collaborazione dei due nella realizzazione, fra il 1502 e il 1510, del “Polittico della Compagnia dei Calzolai” e del “Battesimo di Gesù” conservati nel Duomo di Torino) Defendente Ferrari (Chivasso, 1480/1485 – dopo il 12 novembre 1540) nelle cui opere appare ancor più marcato il gusto al preziosismo decorativo e l’indubbia attrazione verso quella pittura fiamminga che tanto aveva affascinato il suo maestro nei periodi del soggiorno milanese accompagnata alla preziosa lezione architettonica del Bramante e del Bramantino, non meno che a quella di Vincenzo Foppa e del borgognone, attivo anch’egli e parecchio in Piemonte, Antoine de Lonhy. Le altre due sezioni rendono invece omaggio a Gaudenzio Ferrari (Valduggia, circa 1475 – Milano, 1546), pittore scultore e musicista, certamente il più colto e noto artista rinascimentale piemontese, considerato il Raffaello del Nord, e a Macrino d’Alba, pseudonimo di Gian Giacomo de Alladio (Alba, 1460/1465 – circa 1520), studioso a Roma della pittura toscana e umbra (Luca Signoretti e il Perugino) e forse allievo del Pinturicchio per certe affinità stilistiche legate al gusto del colore acceso così come alla forte attrazione per le ardite architetture rinascimentali nonché per i paesaggi ricchi di ruderi e antiche rovine romane. Le rimanenti cinque sezioni tematiche documentano invece, in un più vasto insieme, alcuni tratti pittorico-stilistici accomunabili in specifiche esperienze operative nonché esempi di vita e di costume artistico propri del periodo. Ecco allora l’obiettivo puntato sull’“Eleganza gotica” fatta di ridondanti cromie e abbondante uso dell’oro, cui guardano i vari Francesco Filiberti (con la sua “Madonna in trono con Bambino”, terracotta con tracce policrome), così come Barnaba da Modena o Giacomo Pitterio con le loro raffinate tempere e oro su tavola; a seguire l’attenzione si concentra sugli “Altari del Piemonte” ( con i “Polittici” a più scomparti, molto comuni nelle chiese piemontesi fino a tutto il ‘500) per poi passare agli “Eccentrici”, di cui il belga (ma attivo a Casale dal 1521) Pietro Grammorseo è uno dei principali esponenti, con le sue opere dalla “creatività mutevole e inquieta” in cui esperienze fiamminghe mirabilmente si fondono con motivi propri del figurativismo piemontese e con suggestivi influssi leonardeschi. All’“Organizzazione della bottega” e al “Manierismo” guardano infine le ultime due sezioni. Fiorente bottega in Vercelli fu, nella prima metà del ‘500, quella di Gerolamo Giovenone; in essa lavorò anche il genero (nativo di Mortara, ma diventato il principale artista sulla scena vercellese) Bernardino Lanino. Con quest’ultimo, soprattutto, si chiude in Piemonte il capitolo dell’alto Rinascimento, fondendosi con le peculiarità del nascente Barocco in un processo di decorativismo manieristico, per il quale i modelli di Raffaello e Leonardo diventano sempre più un riferimento imprescindibile.

 

Gianni Milani

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“Un’altra armonia. Maestri del Rinascimento in Piemonte”

Galleria Sabauda, piazzetta Reale 1, Torino; tel. 011/5211106 – www.museireali.beniculturali.it

Orari: dal mart. alla dom. 8,30-19,30

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– Defendente Ferrari: “Polittico con Madonna che allatta il Bambino”, tempera e oro su tavola, circa 1520

– Gaudenzio Ferrari: “Compianto sul Cristo morto”, olio su tavola, 1535-1540
– Macrino d’Alba: “Madonna con il Bambino in gloria”, tempera su tavola, 1498
– Enrica Pagella, direttrice Musei Reali di Torino
– Un particolare del nuovo allestimento
Crediti fotografici: Daniele Bottallo

La meglio gioventù di Voltolini

STORIE DI CITTA’  di Patrizio Tosetto
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Una  fredda serata, vai in una libreria per la presentazione del libro scritto da Dario Voltolini e ti trovi 45 anni di ricordi che partono dal liceo. E come tutte le strade fatte di ricordi nulla é lineare, fanno mille curve con gli inevitabili sali e scendi . Pacific Palidases . Si leggono coralmente pagine ed inevitabilmente si ricorda cosa eravamo e cosa siamo diventati. Dario mi devi un intervista!
“Assolutamente, dove ci vediamo? Io sono ritornato a vivere in barriera”.  Allora ci si vede in barriera. Facciamo martedì mattina, ore 10 in Largo Brescia….
Aggiudicato. Puntuali come due soldatini. 
Dario, ne è  passato del tempo…
Sì, anche se l’altra sera con le tue battute sembrava che non ne fosse passato cosi tanto.
Dai, bando ai convenevoli, Dario. Che hai fatto dopo la laurea?
Fino al ’94 ho lavorato per Olivetti in équipe di ricerca, scritto qualche libro. Poi la crisi Olivetti mi ha indotto a scrivere ed insegnare.
Dove?
Scuola Holden, nel 2007 sono stato anche direttore didattico. Ogni giorno ne inventavamo una e i ragazzi partecipavano a questa dimensione creativa. Poi ho collaborato con Beatrice Merz, la sua casa editrice e la Fondazione Mario Merz
Il rapporto con la critica?
Ottimo. Annovero pochissime stroncature. Forti quando ci sono ma non fanno male perché rare.
Rapporto con il pubblico.
Questo, diciamolo, è un po’ più complicato. La mia è una scrittura di nicchia. Non scrivo romanzi “con l’assassino”. Scrivo ciò che mi sento.
Hai qualche tecnica particolare?
No, ci penso molto. Questo si, e generalmente incontro il ricordo personale”.
Onirico?
Questo non so….ma ti ripeto, il ricordo é per me molto importante. 
Ritorniamo al rapporto con il pubblico. L’altra sera hai raccontato del Premio Ischia…
Già,  carino. Eravamo all’inizio degli anni ’90 ed un mio libro era finalista al premio Ischia.  Raccontavo della Torino post industriale e del mio ricordo dei colori della nebbia come delle mura di cinta delle fabbriche…Mi piaceva riviverle e ricordarle. La giuria era composta anche da una scolaresca. Una ragazza commentando mi disse: ma allora a lei la nostra isola non piace …non le piace venire qui. Ho sorriso…mi sono schermito ed ho precisato: la vostra isola mi piace tantissimo ed io arrivo semplicemente da Torino.
Posso definire il tuo metodo di scrittura naif?
Assolutamente, ma per scrivere bisogna anche essere capaci di leggere. O perlomeno io ho seguito questo metodo. Un’estate mi sono imposto, riuscendoci, di leggere tutto Alla ricerca del tempo perduto di Proust. 
Tutto? 
Si, tutto, perché  me lo chiedi?
Sei tra i pochi, Dario. E poi mi racconta di altri scrittori contemporanei. Dimostra di non essere invidioso, di saper ascoltare e leggere per sapere scrivere. Tanti piccoli e grandi episodi. Alla fine gli chiedo:  
al liceo eri iscritto a qualche gruppo politico?
Come si diceva allora “cane sciolto” dentro il mare magmatico del movimento.
Stavolta sorrido io:
come in questi ultimi 30 anni?
Forse. Ma la mia libertà è stare dentro un “movimento” conoscendo e cercando di capire.
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Dario fa proprio parte della “meglio gioventù.
Patrizio Tosetto

Corpo e anima. Dall’ombra alla luce

Esce in questi giorni nei cinema italiani “Corpo e anima” di Ildikò Enyedi, sorprendente vincitore dell’ultimo Orso d’Oro del Festival di Berlino, protagonisti Morcsányi Géza e Alexandra Borbély

Endre è il direttore finanziario di un mattatoio bovino non lontano da Budapest. Trascina lungo il fianco sinistro il peso di un braccio paralizzato, impedimento perenne ai normali movimenti quotidiani. Dalla prospettiva angolare di una finestra, il suo sguardo chiaro e buono rivela una pacata ed intima rassegnazione alla solitudine nella quale si è volontariamente rinchiuso. Mária è stata appena assunta come responsabile qualità e si fa immediatamente notare per la scontrosità e il rispetto ferreo delle normative vigenti. Detesta sentire pronunciare il proprio nome, cammina e si veste in maniera goffa, mette in atto rituali compulsivi. Il suo viso pallido, che sembra intagliato nel sapone, ha un’espressione che dichiara resa incondizionata al mondo che la circonda e che pretende da lei una “normalità”. Gli sguardi solitari di Endre e Mária si incrociano sfuggenti allo stesso tavolo della mensa, dove scambiano appena qualche parola, un abbozzo di conversazione che si interrompe dopo poche battute. Nella quiete serale della propria abitazione la ragazza ricostruisce le relazioni che è riuscita a stabilire durante il giorno, avvalendosi di pupazzetti e mettendo in scena il proprio vissuto, mescolandolo alle proprie fantasie.

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Nel corso di un colloquio che si svolge a seguito di un furto avvenuto nel laboratorio aziendale, una psicologa scopre che Mária ed Endre condividono lo stesso sogno. Sono due cervi, maschio e femmina, immersi in un paesaggio invernale silenzioso e confortevole: si aggirano liberi nel bosco, si osservano da lontano, separati da un piccolo lago. L’unico contatto tra i due è rappresentato da un lieve sfregamento dei nasi. La psicologa, una giovane donna impaziente e superficiale, pensa a uno scherzo e archivia rapidamente la questione. Endre e Mária, invece, vincono il pudore e appurano l’effettiva autenticità di questa particolare condivisione. Freud sosteneva che i sogni possono rivelare istinti, bisogni, desideri profondi. Per quanto siano dunque entrambi perplessi, titubanti, anche spaventati, la bellezza e la pace evocati dalla dimensione onirica del loro incontro esortano l’uomo e la donna a un avvicinamento reale, tanto irresistibile quanto problematico. Appaiono, infatti, rigidi, bloccati, nel corpo come nell’anima. Lui è prigioniero di un fisico menomato che non l’asseconda, anzi lo limita nei movimenti rendendoli goffi, inadeguati, e ciò si riflette nell’architettura della sua psiche; lei è ferma a una fase infantile dello sviluppo psichico (frequenta uno psicologo infantile), ha rimosso dall’anima emozioni e sentimenti, rendendosi quasi del tutto inabile alle relazioni umane. Nel sogno che continuano sorprendentemente a condividere, Endre e Mária ritrovano la propria integrità fisica e psicologica, quella completezza che manca loro durante il giorno. L’incanto intangibile che pervade le immagini oniriche fa da contrasto alle procedure ripugnanti di macellazione e di lavorazione industriale dei bovini.

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Occorre necessariamente rimettere insieme tutti questi frammenti dispersi di corpo e di anima, recuperare la percezione delle emozioni, attribuendo loro un significato da connettere al senso della propria esistenza. Solo in questo modo si può cercare di (ri)costruire, faticosamente, l’unità funzionale di soma e psiche. La riconquista della corporeità personale rappresenta la premessa al progressivo cedimento delle barriere che si interponevano tra loro, il preludio di un graduale avvicinamento fisico e psicoaffettivo. Il processo non può essere lineare, le difficoltà che, inevitabilmente, si frappongono lo rallentano, lo ostacolano, rischiano di spezzarlo. Endre e Mária hanno, però, riallineato i rispettivi piani inclinati su cui avanzavano e teso le mani alla ricerca di un possibile legame. L’ultima inquadratura è dedicata al paesaggio invernale del sogno, ora disabitato, che svanisce in una lenta dissolvenza in bianco. Dall’ombra alla luce. Il sogno ha esaurito la funzione descritta da Freud, quella di appagare un desiderio rimosso. Si tratta ora di spostare quel desiderio, divenuto consapevole, sul piano della realtà. Si tratta ora di vivere. Almeno di provarci.

Paolo Maria Iraldi

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Corpo e Anima (A teströl és a lélekröl), di Ildikò Enyedi, con Alexandra Borbély, Géza Morcsányi (Ungheria, 2017, 116’). In programmazione al Cinema Classico di Torino.

Il visitatore di Agatha Christie arriva nella casa alla ricerca dell’assassino

Grande ricamatrice di plot e di intrighi, di dialoghi sottili e di psicologie dentro cui scavare con il bisturi più affilato, Agatha Christie scrisse L’ospite inatteso nel 1958, non traendolo come in tante occasioni da uno dei suoi racconti ma confezionandolo direttamente per il palcoscenico. Un eccellente thriller, con un eccellente inizio. In una di quelle nere notti come solo la campagna inglese può partorire con il buio e i suoi silenzi attraversati soltanto da qualche latrato, un uomo entra all’improvviso in una casa, in cerca di aiuto, a seguito di un incidente che gli ha fatto abbandonare l’auto in un fosso. Entra e alla poca luce di una pila scorge un uomo che immediatamente si rivela vittima di un omicidio, un colpo sparato alla nuca, e accanto a lui la moglie, con una pistola in mano. Pronta ad accusarsi della morte del marito. Come in certi film hitchcockiani, tutto è – o parrebbe – sin troppo chiaro fin dall’inizio. Tutto già definitivo. Sta all’autore rimescolare le carte, dare nulla per scontato, confondere con successo ed emozioni la mente dello spettatore, creare sospetti robusti per abbandonarli o rinfocolarli lungo gli sviluppi del dramma, accentuarli o abbozzarli in un crescendo di situazioni e di dialoghi eccezionalmente efficaci. E costruire soprattutto un alternarsi di fattori che lascino intravedere quante ombre presenti l’innocente e quanti spiragli possano aprirsi dietro il comportamento di un presunto colpevole. E sappiamo in questo quanto fosse brava la nostra giallista. La vittima aveva conti aperti con parecchia gente, si divertiva a sparare ai gatti la notte, era un buon bevitore e per quell’incidente che lo aveva messo su di una carrozzina e aveva procurato la morte di un bambino, non sentiva alcun rimorso.

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Anche lo sconosciuto visitatore vuole inspiegabilmente tirare fuori dai guai la giovane donna, forse perché una bellezza simile non può ritrovarsi sotto processo e finire certamente condannata, l’importante per ora è costruire indizi che possano sviare le indagini. Non nascondendo che la donna, in apparenza legata al marito, coltiva una relazione con un amico di lui e per tacere della vecchia madre che tutto sembra dirigere, del fratellastro con un cervello che fa un po’ acqua, dell’infermiere che al momento buono è pronto al ricatto per quel che ha visto quella notte, della governante che sfugge ad ogni certezza. Andrea Borini, mettendo in scena il testo all’Astra, nuova produzione della Fondazione Teatro Piemonte Europa per la traduzione di Edoardo Erba, svolge con credibilità il proprio compito di srotolare sospetti, insinuazioni, sconcerti, e di comporre un valido discorso teatrale. Quel che personalmente sconcerta è quella strada verso il (preteso) versante comico, superfluo, purtroppo irresponsabile, quel vizio di sgonfiare certi personaggi per renderli delle macchiette, quel dar spazio a balletti tragicomici, quasi a voler alleggerire (ma perché?) una tensione che dovrebbe conservare al contrario il suo effettivo peso. Oppure a peccare di esplicazioni visive fuori luogo, quando si sente in dovere di illustrarci la dinamica dell’incidente attraverso certe ombre cinesi che passano su di una tenda inverosimilmente tirata lì su due piedi. Ne risentono anche certe interpretazioni, quelle più mollicce (gli investigatori con gesti e battute e strani movimenti) che vogliono proprio strappare la risata, o quelle risultate meno a fuoco (la Laura di Daria Pascal Attolini – caricata anche di uno squinternato costume – o il maggiore Farrar di Alessandro Meringolo o la governante sbiaditamente sulle spalle di Silvia Iannazzo). Di un gradino più sopra dei compagni, Giuseppe Nitti è lo schizzato fratellastro amante di ogni arma da fuoco, Gisella Bein una granitica madre, Andrea Romero un subdolo ricattatore e Stefano Moretti gioca con puntualità il suo ruolo di visitatore che regge tra le mani i fili di ogni altro personaggio.

 

Elio Rabbione

Tropea presenta “Uomini e ombre”

Venerdì  19 gennaio dalle ore 18:00 alle ore 19:30 si terrà., a cura del Circolo dei Riformisti, la  presentazione del libro di Salvatore Tropea: ‘Uomini e ombre’#primacheiltempocancellitutto edito da Nerosubianco Edizioni nel 2017. Al Polo del ‘900 (Sala Conferenze, corso Valdocco 4a) venerdì 19 gennaio alle ore 18 – Ingresso gratuito. Assieme all’Autore intervengono Sergio Soave, Presidente del Polo del ‘900, Marco Brunazzi, Istituto Salvemini, Giusi La Ganga, Presidente Circolo dei Riformisti. Conduce Salvatore Vullo

Il libro
Dalla introduzione dell’autore: “ I ricordi non hanno ordine: vengono e vanno. Col tempo tendono a diventare più numerosi quelli che scompaiono, poi arriva un momento in cui ci si sorprende a scoprire che i più lontani si ripresentano con una nitidezza che manca ai più vicini. Si avverte, allora, come un bisogno di fare qualcosa perché non si perdano irrimediabilmente, quasi un tentativo di sottrarli a questo destino, nella consapevolezza che è comunque una questione personale ma che, forse, può stimolare la curiosità degli altri. Nessun’altra ragione sta al fondo di questo mio viaggio, lungo all’incirca mezzo secolo, tra gli appunti di incontri per lo più professionali con personalità che, facendo un mestiere diverso da quello del giornalista, non avrei potuto conoscere, tanto o poco. Sono stato giornalista quando i giornalisti non erano ancora finiti “nel labirinto di una tecnologia scagliata senza controllo verso il futuro”, per dirla con García Márquez. Ma sto sperimentando anche il dopo, tuttora in corso con le sue molteplici incognite…” 

Vi aspettiamo.

“Io non mi chiamo Miriam”

Si terrà venerdì 19, alle 21,oo, nella sala ‘900 di  palazzo San Daniele, al n.14 di via del Carmine lo spettacolo teatrale “Io non mi chiamo Miriam”. L’iniziativa, pensata per il Giorno della Memoria, è a cura della Fondazione Polo del ‘900 in collaborazione con Consiglio regionale del Piemonte – Comitato Resistenza e Costituzione, l’Associazione Liberi pensatori Paul Valery  e Piemonte dal Vivo. Tratta dall’omonimo libro di Majgull Axelsson ( Iperborea,2016), nelo spetatcolo si narra la vicenda di Malika ( il vero nome della protagonista) che svela alla propria famiglia di non essere ebrea ma di  origine rom. Per cercare di salvarsi aveva sottratto i vestiti a Miriam, una ragazza ebrea morta durante il viaggio verso Auschwitz e con quell’identità era stata internata prima ad Auschwitz e poi a Ravensbrück.Una volta riacquistata la libertà, Malika trovò rifugio in Svezia dove scoprì con dolore che i rom non erano ben accetti e scelse così di essere per tutti e per sempre Miriam. A rivestire i panni di Miriam nello spettacolo sarà una delle grandi interpreti del teatro italiano, Annamaria Guarnieri, che condividerà la scena con Stefania Rosso e Daniela Vassallo. Lo spettacolo si avvarrà dell’accompagnamento musicale di due strumentisti cui spetterà il compito, sotto la guida di Matteo Castellan, di eseguire dal vivo le note del celebre “Quatuor pour la fin du temps” di Olivier Messianen. Al termine dello spettacolo, seguirà un incontro con le attrici e l’autrice del libro, la svedese Majguill Axelsson.

Ingresso libero fino a esaurimento posti. Info: reception@polodel900.it

La replica dello spettacolo di sabato 20 gennaio, alle ore 10.oo, sempre al Polo del ‘900 – Sala ‘900, Palazzo San Daniele – è riservata alle scuole, con prenotazione obbligatoria:didattica@polodel900.it.

Gennaio di cultura al “Pannunzio”

IL PROGRAMMA DELLE INIZIATIVE

LUNEDI’ 15 GENNAIO 2018

RIDAMMI VITA: DAI SALMI DI DAVIDE

A UNA VISIONE ETICA CONTEMPORANEA

di Stella BOLAFFI BENUZZI

 

Lunedì 15 gennaio alle ore 17,30 nella sede del Centro “Pannunzio” (via Maria Vittoria 35H, Torino), Giovanni RAMELLA Claudio ARNETOLI presenteranno, unitamente all’autrice, il libro di Stella BOLAFFI BENUZZI “RIDAMMI VITA: DAI SALMI DI DAVIDE A UNA VISIONE ETICA CONTEMPORANEA”Edizioni Salomone Belforte. Introdurrà Dario CRAVERO.

I Salmi di Davide, visti e vissuti attraverso la lente ebraica e quella cristiana, fanno da volano alle esperienze dell’autrice, psicoanalista e cittadina del mondo contemporaneo. Uno studio ispirato dal pensiero del rabbino Giuseppe Laras e del cardinale Carlo Maria Martini che diventa diario personale di un viaggio senza fine per la costruzione di un’etica individuale e collettiva.

Stella Bolaffi Benuzzi tenta di capire e di capirsi, ricapitolando il proprio percorso di studi, le proprie curiosità conoscitive e l’esperienza professionale con i pazienti. I Salmi diventano così lo strumento per agire nella realtà e per celebrare la vita.

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MERCOLEDI’ 17 GENNAIO 2018

FIGURE DELL’ITALIA CIVILE” – nuova edizione –

di Pier Franco QUAGLIENI

 

Mercoledì 17 gennaio alle ore 18 a Palazzo Ceriana Mayneri, Circolo della Stampa di Torino (Corso Stati Uniti, 27)sarà presentata in anteprima nazionale la nuova edizione di“FIGURE DELL’ITALIA CIVILE” di Pier Franco QUAGLIENI, edizioni Golem, con un prezioso inedito di Leo Valiani su Ernesto Rossi e sulla famiglia fascista di Giovanni Spadolini, un profilo di Enzo Bettiza e varie aggiunte su molti dei trentun personaggi tratteggiati.

Il libro esce in nuova edizione dopo le molte ristampe nel 2017 andate esaurite e cinquanta presentazioni in tutta Italia che hanno consentito di parlare del Centro “Pannunzio”, protagonista di molte pagine dell’opera.

Presenteranno il libro Valentino CASTELLANI, Dino COFRANCESCO Tilde GIANI GALLINO.

Coordinerà l’incontro Elena ALESSIATO. Letture di Ornella POZZI.

 

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LUNEDI’ 22 GENNAIO 2018

IL BIOTESTAMENTO: ASPETTI MEDICI E LEGALI

 

Lunedì 22 gennaio alle ore 18 nella sede del Centro “Pannunzio” (via Maria Vittoria 35H, Torino), Giuseppe PICCOLI, già Preside della Facoltà di Medicina, e Michele VAIRA,notaio, parleranno sul tema “IL BIOTESTAMENTO: ASPETTI MEDICI E LEGALI”.Introdurrà Anna RICOTTI.

Il biotestamento o testamento biologico è la volontà di mettere nero su bianco, quando ancora si è capaci di intendere e volere, quali trattamenti sanitari si intenderanno accettare o rifiutare nel momento in cui subentrerà un’incapacità mentale, verbale o uno stato di incoscienza protratto nel tempo.

La legge recentemente promulgata prevede un insieme di adempimenti e procedure per esprimere la propria volontà. L’incontro è dedicato al chiarimento dei vari aspetti medici e legali che riguardano l’argomento.

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MERCOLEDI’ 24 GENNAIO 2018

DRONI: VANTAGGI E RISCHI NEL LORO UTILIZZO

 

Mercoledì 24 gennaio alle ore 18 in sede, Fulvia QUAGLIOTTI, Docente al Politecnico di Torino, Presidente ed Amministratore delegato della Mavtech, terrà una conferenza sul tema“DRONI: VANTAGGI E RISCHI NEL LORO UTILIZZO”. Introdurrà Dante GIORDANENGO.

La presentazione consiste in un’illustrazione dei droni e sul loro utilizzo, che diventa giorno per giorno sempre più esteso. In particolare si porrà l’accento sulle applicazioni in caso di calamità naturali e situazioni di emergenza in genere, di cui vengono presentati alcuni esempi. Infine si prendono in considerazione i rischi che l’utilizzo dei droni comporta per gli essere umani, con dettagli sui regolamenti e sulla valutazione dei danni che essi possono arrecare al corpo umano. Infine si accenna a possibili configurazioni di droni “sicuri”.

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VENERDI’ 26 GENNAIO 2018

MARIO SOLDATI, UN VIAGGIO LUNGO 60 ANNI:

LA VALLE DEL PO FRA TELEVISIONE, LETTERATURA E CIBO

 

Venerdì 26 Gennaio alle ore 17 a Palazzo Cisterna, Sede della Città Metropolitana di Torino, (Via Maria Vittoria, 12), il Centro “Pannunzio”, nel sessantesimo anniversario dalla

prima messa in onda della serie televisiva “Viaggio nella valle del Po alla ricerca dei cibi genuini” di e con Mario Soldati, intende promuovere un incontro dal titolo “MARIO SOLDATI, UN VIAGGIO LUNGO 60 ANNI: LA VALLE DEL PO FRA TELEVISIONE, LETTERATURA E CIBO”.

Interverranno Luca BUGNONE, giornalista del Gambero Rosso, che ci condurrà in un viaggio in alcune delle città-vigneto visitate da Soldati, tracciando una parabola della simbiosi che ha legato l’essere umano alla vite nello “scrivere” il paesaggio; Elisabetta COCITO,dell’Accademia italiana della Cucina, parlerà della visione enograstronomica soldatiana;Monica Mercedes COSTA, studiosa di cultura materiale, modererà l’incontro e interverrà approfondendo il viaggio televisivo di Soldati attraverso il parallelo con la sua attività letteraria connessa al cibo e ai vini, indicandone la modernità e la profeticità.

Alla fine della conferenza verrà offerto un aperitivo in tema di cibo e vini del territorio (della Valle del Po).

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Centro “Pannunzio” – via Maria Vittoria 35H, 10123 Torino

WWW.CENTROPANNUNZIO.IT

 

Al Regio la Turandot incompiuta

Gianandrea Noseda torna sul podio dell’Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino, dal 16 al 25 gennaio prossimi, dirigendo Turandot, il capolavoro incompiuto di Puccini, nel nuovo allestimento e regia di Stefano Poda, che si preannuncia come una delle più sensazionali degli ultimi anni. Poda, autore dalla raffinata poetica metafisica e onirica, torna al Regio di Torino dopo i successi ottenuti con Thais e Faust. Turandot è la grande incompiuta del Novecento. La volontà di Gianandrea Noseda è quella di rispettare fedelmente il manoscritto autografo del maestro, seguendo la partitura fin dove arrivò Puccini, ovvero la piccola marcia funebre dopo la morte di Liu’, senza alcun finale postumo elaborato da Alfano o Berio. Il soprano Oksana Dyka, con il suo timbro abbagliante e fulgido, riesce a rendere la ieraticita’ della principessa di ghiaccio; accanto a lei un giovane tenore in grande ascesa, Jorge de Leon, interpreta un Calaf fresco e possente. Erika Grimaldi interpreta, invece, Liu’, personaggio che, in questa versione, assume un inedito spessore drammatico, sottolineato dalle rare doti della cantante lirica.

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Nella Turandot ogni personaggio gioca un ruolo ben preciso, nulla è lasciato al caso. Quelli che nel primo atto sembrano i ministri della morte, ci appaiono nel dispiegarsi dell’opera in una luce diversa, più morbida e umana. Descrivono la loro vita con melodie nostalgiche, abbandonandosi ai ricordi di un’esistenza felice. Riescono, insieme alla piccola Liu’, a creare intorno ai personaggi principali un’atmosfera tale da allentare la tensione emotiva dei protagonisti. Ciò che rende anche molto singolare questa opera pucciniana è la rapida trasformazione della protagonista, della gelida principessa, così statica e rigidamente sacrale, poi così repentinamente diversa nel finale. Il processo che porta alla progressiva umanizzazione di Turandot è reso evidente da una serie di contrapposizioni che emergono chiare sin dall’inizio dell’opera: tramonto e alba, sole e luna, amore e odio, crudeltà e asservimento. L’elenco di questi opposti potrebbe proseguire con vita-morte, vittoria-sconfitta, freddo-caldo. Tutti questi elementi rendono palese il contrasto che dilania la stessa Turandot, che, alla nuova alba, illuminata dalla luce del sole, si scopre umana e innamorata.

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Anche se la più celebre aria della Turandot rimane l’universalmente nota “Nessun dorma”, riveste un posto di rilievo quella dedicata alla piccola schiava, “Non piangere Liu'”. Quando la Turandot venne rappresentata per la prima volta, il 25 aprile 1926, Puccini era morto da un anno e mezzo. Malgrado il primo atto fosse stato entusiasticamente applaudito dal pubblico del Teatro alla Scala di Milano, l’accoglienza riservata al secondo atto non andò oltre un puro atto di cortesia. Il terzo atto venne interrotto dopo la morte di Liu’; il direttore Arturo Toscanini depose la bacchetta e disse: “Qui finisce l’opera, perché a questo punto il Maestro è morto”. Così incompiuta sarà la Turandot diretta al teatro Regio dal maestro Noseda.

 

Mara Martellotta

Verdone: “La crisi del cinema? L’inizio una decina di anni fa”

Giornalisti e pubblico, ieri, all’incontro con Carlo Verdone per la presentazione di “Benedetta follia”

 

L’appuntamento è per le 12 e trenta sotto la grande volta della Mole, nella casa del Museo del Cinema. Giornalisti e fotografi delle grandi occasioni per Carlo Verdone che arriva, in un incontro aperto anche al pubblico, tra gli ingombranti lettini rossi, a promuovere il suo ultimo “Benedetta follia” in compagnia del produttore Luigi De Laurentiis e di Ilenia Pastorelli – uscita dalla baraonda del GF dodicesima edizione, uscita dal grande successo di “Jeeg Robot” e oggi sugli schermi, in 750 copie, a far perdere la testa come Luna ad un intristito e stralunato Guglielmo e a tentare di rimetterlo in carreggiata attraverso l’approccio con le app per cuori solitari, dopo che la moglie gli ha rivelato la propria relazione con la commessa del suo grande negozio di arredi sacri e haute couture destinata ai porporati romani. “L’importante per me è incontrare il pubblico, andare sul luogo – inizia a raccontare, tra mezzi sorrisi appena abbozzati e occhi sgranati o spesso pensosamente richiusi, in un comprensibile misto di grande stanchezza (la tivù della Befana se l’è fatta proprio tutta!) e di personaggio “malincomico” che si porta addosso da anni -, negli ultimi giorni Milano, Bologna, Firenze, è una vita che stringo mani e ascolto persone, figuratevi se un selfie non me lo faccio volentieri! Presentare il film perché il film lo merita, io ci credo molto, è molto divertente e le sorprese sono molte, con il divertimento che dobbiamo alla platea c’è questo finale con un bel messaggio rassicurante, che è come una carezza sul viso di una persona, un momento di tranquillità”. È anche soddisfatto del proprio personaggio come dello sguardo che ha buttato sulla società di oggi. “Ho voluto esplorare la solitudine di un uomo, lo sconquasso di questa tegola che gli cade tra capo e collo, anche questo nuovo modo di approcciarsi al mondo femminile, con la donna non intesa soltanto come caricatura ma come efficace sostanza, che non va solo alla ricerca dei social ma è pure seria ed equilibrata… già, i nuovi mezzi di comunicazione: chissà se è un bene o un male, boh! non lo so, andiamo avanti così”. Anche Ilenia è soddisfatta di questo ruolo di borgatara che irrompe nel negozio a imporsi come nuova aiutante, quando tra abbigliamento e comportamento il livello è decisamente azzerato e il suo inglese raggruppa un paio di parole e niente più: “Io sono vissuta con il cinema di Carlo, come i miei amici, come l’intero pubblico, ha rappresentato tanto nella mia vita, a 13 anni vedevo i cartelloni di “Viaggi di nozze” e mi divertivo a ripetere le battute del film. Adesso sono qui con questa Luna che lo tira fuori dalla depressione e ho cercato di dargli il massimo, spero di esserci riuscita”. Verdone, tranquillo, accenna un sorriso: “E io l’aiuto nel suo essere fragile, nonostante questi atteggiamenti vivaci, condivido certi punti irrisolti, come il rapporto con il padre”. Poi c’è il ricordo su Torino, “nel ’78 quando venni qui per “Non stop” l’avevo trovata grigia, forse addirittura buia, adesso da qualche anno ha ritrovato una vivacità straordinaria, che mantiene tuttavia intatta tutta la sua signorilità. Ci torno sempre volentieri, è la città del cinema, tutti mi accolgono sempre con affetto, è giusto che io incontri il pubblico, all’interno di un cinema, davanti al grande schermo”. Già, i grandi schermi in grande sofferenza, la crisi del cinema italiano che nello scorso anno ha visto un calo del 46% degli spettatori: “Abbiamo cominciato a perdere pubblico dal 2007, la crisi è cominciata lì, le prime avvisaglie, i primi scricchiolii – è sicuro Verdone. Ma è anche consolatorio: “Ma se è vero che un pubblico ha abbandonato le sale, un altro ha lasciato la tivù. L’interesse è un altro, si sta di più su internet, si frequentano altre piattaforme e il pubblico giovane va alla ricerca della serie, quello che appassiona, che lega. È una tendenza diversa, noi dobbiamo cercare di dare il meglio, di far meglio i nostri film nella scrittura, mentre li giriamo in un tempo che non deve essere ridotto, mentre li promuoviamo come io sto facendo in questi giorni”. Anche il cinema deve trasformarsi, “le sale stesse vanno trasformate, devono essere maggiormente dei punti di incontro, dove si sappia creare l’evento, magari con librerie e ristoranti”. Ma anche Verdone sembra voler per una volta cambiare percorsi, anche se per l’abituale produttore ha già in preparazione un nuovo film. “Magari girarlo a Torino. Oppure una serie, sempre qui” e gli occhi di Paolo Tenna e di Paolo Manera, ad di Fip e direttore di Film Commission già si illuminano, “un’idea a cui sto pensando da tempo, credo si possa fare”, mentre l’intraprendente De Laurentiis annuisce. Forse l’anno prossimo o un altro ancora ritroveremo Verdone a cercar casa qui da noi, per imbarcarsi in un progetto seriale pensato e guidato da maestranze torinesi, progetto che vedrà ancora, al centro con lui, una donna che attraversi la sua vita di malincomico e la rivoluzioni, con un sorriso e una carezza?

 

Elio Rabbione

Nelle foto: Ilenia Pastorelli in un momento di “Benedetta follia”. Carlo Verdone durante l’incontro, accanto a lui il moderatore Steve della Casa, il produttore Luigi De Laurentiis, Ilenia Pastorelli e la presidente del Museo del Cinema Laura Milani

Oggi al cinema

TUTTE LE TRAME DEI FILM NELLE SALE DI TORINO

A cura di Elio Rabbione

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Assassinio sull’Oriente Express – Giallo. Regia di Kenneth Branagh, con Judi Dench, Michelle Pfeiffer, Johnny Depp, Penelope Cruz e Branagh nelle vesti di Hercule Poirot. Altra rivisitazione cinematografica del romanzo della Christie dopo l’edizione firmata da Sidney Lumet nel ’74, un grande Albert Finney come investigatore dalle fiammeggiati cellule grigie. Un titolo troppo grande per non conoscerlo: ma – crediamo, non foss’altro per il nuovo elenco di all star – resta intatto il piacere di rivederlo. Per districarci ancora una volta tra gli ospiti dell’elegante treno, tutti possibili assassini, una partenza da Istanbul, una vittima straodiata, una grande nevicata che obbliga ad una fermata fuori programma e Poirot a ragionare e a dedurre, sino a raggiungere un amaro finale, quello in cui la giustizia per una volta non vorrà seguire il proprio corso. Durata 114 minuti. (Ambrosio sala 2, Massaua, Eliseo Blu, Ideal, Lux sala 1, Uci)

 

Benedetta follia – Commedia. Regia di Carlo Verdone, con Carlo Verdone, Ilenia Pastorelli, Lucrezia Lante della Rovere e Paola Menaccioni. Guglielmo, in depressione stabile, è il proprietario di un negozio di arredi sacri e abbigliamento d’eccellenza, per il piacere e l’eleganza della moltitudine di porporati romani. Depresso anche per il fatto che la moglie lo ha appena abbandonato perché innamorata proprio della commessa del suo negozio: quando come un ciclone entra nella sua vita una ragazza di borgata. Durata 109 minuti. (Massaua, Due Giardini sala Nirvana, Ideal, Lux sala 2, Reposi, The Space, Uci)

 

50 primavere – Commedia. Regia di Blandine Lenoir, con Agnès Jaoui, Pascale Arbillot e Thibault de Montalembert. Raggiunta l’età del titolo, Aurore non vive proprio quel che si potrebbe definire un periodo felice, senza problemi. Si ritrova separata dal marito, a dover fare la cameriera in una piccola città di provincia anche per dare una mano alle due figlie. Come se non bastasse, il lavoro va in fumo e bisogna mettersi alla ricerca di un altro, una figlia aspetta un bebè che la chiamerà nonna e le vampate della menopausa sono sempre più lì ad aggredirla. Ritroverà un amore di gioventù e pensa di poter ricominciare. Ma non è così semplice. Durata 89 minuti. (Nazionale sala 2)

 

Coco – Animazione. Regia di Lee Unkrich e Adrian Molina. Fa parte di una famiglia che certo non stravede per la musica il piccolo Miguel e lui non ha altro sogno che diventare chitarrista. Questo il preambolo; e a dire quanto la Pixar guardi allo stesso tempo ad un pubblico di bambini (ma, per carità, senza nessun incubo) e di adulti, ecco che Miguel si ritrova catapultato nel Regno dei Morti a rendere omaggio ai tanti parenti che non sono più attorno a lui. Durata 125 minuti. ((Massaua, Greenwich sala 1, Ideal, Reposi, The Space, Uci anche in V.O.)

 

Come un gatto in tangenziale – Commedia. Regia di Riccardo Milani, con Paola Cortellesi, Antonio Albanese, Claudio Amendola e Sonia Bergamasco. Quando gli opposti si attraggono. Ovvero l’incontro tra Giovanni, intellettuale di sinistra, abitazione nel centro di Roma, tutto quadri e libri, in riunione a Bruxelles a parlare di periferie e di quanto sia opportuna la contaminazione tra l’alto e il basso, e Monica, borgatara di una periferia stracolma di extracomunitari, piena di tatuaggi, dal più che dubbio gusto nel vestire, consorte in perenne debito con la giustizia: incontro che nasce quando i due ragazzini dell’una e dell’altra parte iniziano un filarino che punta deciso al futuro. E se l’incontro portasse l’intellettuale e la borgatara a rivedere le loro antiche posizioni? Durata 98 minuti. (Massaua, Greenwich sala 1, Ideal, Reposi, The Space, Uci)

 

Corpo e anima – Drammatico. Regia di Ildiko Enyedi, con Alexandra Borbély e Géza Morcsànyi. Un film dove si mescolano realtà e sogno, immerso nella cruda realtà quotidiana (pur con qualche momento d’ironia) ancora più acida se si pensa all’ambientazione in un mattatoio. Una coppia “lontana”, lui direttore di quel luogo, lei addetta al controllo qualità, introversi entrambi, chiusa nelle proprie solitudini, scoprono di condividere ogni notte lo stesso sogno, essere una coppia di cervi in un bosco invernale. Orso d’oro all’ultima Berlinale, “Corpo e anima” è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani: “Un film capace di tracciare il racconto della storia d’amore che unisce due solitudini, sospendendolo con lucidità visiva tra la materialità della vita reale e l’impalpabile spiritualità del sentimento”. Durata 116 minuti. (Classico)

 

Ferdinand – Animazione. Regia di Carlos Saldahna. Non ha mai avuto vita facile il libro dell’americano Munro Leaf da cui oggi nasce questo cartoon di Saldahna (già premiato autore di “Rio” e dell’”Era glaciale”), libro del ’36 su cui franchisti prima e nazisti poi non poco s’accanirono (era, inevitabilmente, nell’animo di Gandhi). La vicenda del toro decisamente pacifista diverte oggi bambini e anche adulti dal cuore pronto a rilassarsi, pronti a simpatizzare con un animale che è destinato a combattere nell’arena ma che al contrario preferisce circondarsi di fiori, fugge da chi gli impone quelle regole, stringe amicizia con una piccola animalista. Lieto fine che s’impone, al fianco del “pericolosissimo” toro altri simpatici personaggi, tra cui da non lasciarsi sfuggire la capra Lupe. Durata106 minuti. (Massaua, Ideal, Uci)

 

L’insulto – Drammatico. Regia di Ziad Doueiri, con Adel Karam e Kamel El Basha (Coppa Volpi a Venezia). A Beirut, un incidente tra due uomini, un operaio palestinese che è caposquadra di un cantiere con l’incarico di una ristrutturazione e un meccanico di religione cristiana. Quando costui, Toni, rifiuta di riparare una vecchia grondaia che ha bagnato la testa di Yasser, questi lo insulta, e gli insulti si accompagnano alle percosse, per cui l’incidente finirà in tribunale: situazione aggravata dal fatto che la moglie di Toni ha per lo spavento dato alla luce prematuramente una bambina che lotta tra la vita e la morte. Un caso particolare che adombra un conflitto molto più allargato e mai cessato: come ancora dimostra il processo, dove un padre e una figlia, difensori dell’una e dell’altra parte, esprimono due diverse generazioni e un giudizio diametralmente opposto. Durata 110 minuti. (Nazionale sala 1)

 

Jumanji – Benvenuti nella giungla – Avventura. Regia di Jake Kasdan, con Dwayne Johnson, Karen Gillan e Jack Black. Un fenomeno che ha più di vent’anni (eravamo nel 1996) e che ricordiamo ancora oggi per il personaggio, Alan Parrish, interpretato dal compianto Robin Williams, attore al culmine del successo dopo la prova in “Mrs. Doubtfire”. Hollywood non dimentica e rispolvera un passato di ottimi botteghini. Messi in punizione nella scuola che frequentano, quattro ragazzi scoprono un vecchio videogame. Una volta dato il via al gioco, essi vengono catapultati all’interno del sorprendente meccanismo, ognuno con il proprio avatar. Assumeranno altre sembianze, entreranno nell’età adulta: ma che succederebbe se la loro missione fallisse e la vita di ognuno finisse intrappolata nel videogame? Durata 119 minuti. (Massaua, Greenwich sala 3, Ideal, Reposi, The Space, Uci)

 

Leo da Vinci – Missione Monna Lisa – Animazione. Regia di Sergio Manfio. La giovinezza di un futuro genio, che inizia a sperimentare le sue prime invenzioni, come lo scafandro, con cui raggiungere un tesoro sul fondo del mare di Montecristo e scongiurare il matrimonio dell’innamorata Lisa con il solito pretendente di ricca casata. Ma qualcuno gli darà parecchio filo da torcere, come quei pirati che giocheranno ogni carta pur d’impadronirsi del famoso tesoro. Ma Leonardo è pur sempre Leonardo. Durata 85 minuti. (Massaua, The Space, Uci)

 

Loveless – Drammatico. Regia di Andrei Zvyagintsev, con Alexei Rozin e Maryana Spivak. Premio della giuria a Cannes. Un uomo e una donna, dopo anni di matrimonio, si dividono, hanno già costruito altre relazioni. Una separazione carica di rancori e recriminazioni. Nella loro vita Alyosha, un figlio non amato, vittima dell’indifferenza e dell’egoismo, che dopo l’ennesimo litigio, scompare. Supplendo al lavoro della polizia, un gruppo di volontari si mette alla ricerca del bambino, senza risultati. Durata 127 minuti. (Romano sala 3)

 

Morto Stalin se ne fa un altro – Commedia. Regia di Armando Iannucci, con Steve Buscemi, Micael Palin, Olga Kurylenko, Simon Russel Beale. Scozzese di nascita ma napoletanissimo per origini paterne, Iannucci ci ha dato una delle opere più godibili degli ultimi anni, ricca di effetti sulfurei, di una sceneggiatura che supera con facilità la risata fine a se stessa per immergersi nella satira più corrosiva, per graffiare e far sanguinare un mondo ben sistemato sugli altari. Il vecchio castiga ridendo mores, in folclore politico. Ovvero la morte del baffuto Stalin, che ha appena impartito l’ordine che gli sia recapitata la registrazione di un concerto che però registrato non lo è stato. Orchestra, pubblico e pianista dissidente, tutti di nuovo al loro posto. Ma le preoccupazioni sono e saranno ben altre: quella sera stessa, era il 28 febbraio 1953, il dittatore è colpito da un ictus e le varie epurazioni delle vette sanitarie in odore di tradimento fanno sì che le cure non possano arrivare che in ritardo e infruttuose. Cinque giorni dopo, passato lui a miglior vita, può così cominciare l’arrembaggio alla poltrona tanto ambita da quanti tra i collaboratori l’hanno vistosamente sostenuto o tacitamente avversato, a cominciare da un atterrito Malenkov chiamato da un ridicolo Consiglio a reggere le sorti dei popoli. Senza dimenticare, tra il tragico e il ridicolo, le mosse dei tanti Mikoyan, Zukov, Bulganin, Molotov e Berija in atteggiamenti da vero macellaio sino a Nikita Kruscev (un impareggiabile Steve Buscemi, ma ogni personaggio si ritaglia un momento di gloria), astutissimo nel saper raccogliere le tante intenzioni, lotte, sospetti, accuse, sparizioni dei propri colleghi, e capace di afferrare il primo posto. Tutto questo sullo schermo, applaudito al recente TFF, risate e sberleffi come non mai: apprezzato, ma allo stesso temo ti chiedi quanto sia stato giusto cancellare la vena tragica di quelle giornate. E del poi. Durata 106 minuti. (Centrale, anche in V.O.)

 

Napoli velata – Drammatico. Regia di Ferzan Ozpetek, con Giovanna Mezzogiorno, Alessandro Borghi, Beppe Barra, Luisa Ranieri, Anna Bonaiuto. In una Napoli piena di ambiguità e di misteri, in bilico tra magia e superstizione, tra follia e razionalità, Adriana, ogni giorno a contatto con il mondo dei non-vivi per la sua professione di anatomopatologa, conosce un uomo, Andrea, con cui trascorre una notte di profonda passione. Si sente finalmente viva ed è felice nel pensare ad un prossimo appuntamento. A cui tuttavia Andrea non verrà: è l’inizio di un’indagine poliziesca ed esistenziale che condurrà Adriana nel ventre della città e di un passato, dove cova un rimosso luttuoso. Durata 110 minuti. (Eliseo Rosso, Ideal, Massimo sala 1, Reposi, Romano sala 1, The Space, Uci)

 

Poveri ma ricchissimi – Commedia. Regia di Fausto Brizzi, con Christian De Sica, Anna Mazzamauro, Enrico Brignano, Lucia Ocone. Per le risate degli aficionados, ma rimane pur sempre l’Oscar annuale del gossip e della scalogna: quel po’ po’ di tornado che s’è abbattuto sull’innominato regista, da cui la Warner s’è affrettata a prendere le distanze, e le botte sulla povera e antica signorina Silvani di fantozziana memoria, taciute prima e squadernate poi. Per poi, alla fine, forse, tanto rumore per nulla, per ritrovarci tra i piedi, dopo il lauto botteghino del passato Natale, ‘sta banda de burini che a forza di mettere in banca preziosi euri e cucinare supplì si comprano pure un castello. E chi li tiene più. Ma se il non trascurabile malloppo va mantenuto, non resta che fare del borgo nato uno stato indipendente, dopo referendum d’obbligo manco fosse la Catalogna, girare le spalle all’Italia e uscendo dall’euro dare nuova vita alla moneta locale. Nel frattempo, si ritrova l’occasione per inalberare De Sica con una capigliatura bionda grano che manco Donald e lasciare la nuova first lady tra le braccia e le manette e le fruste di Massimo Ciavarro manco tra le stanze del piacere di “Cinquanta sfumature…”. Di qualsiasi colore siano. Durata 96 minuti. (Uci)

 

Il ragazzo invisibile – Seconda generazione – Fantasy. Regia di Gabriele Salvatores, con Ludovico Girardello, Valeria Golino, Galatea Bellugi e Xsenia Rappoport. Perseverando all’interno di un filone che pare non appartenere al cinema di casa nostra, l’autore premio Oscar di “Mediterraneo” offre a distanza di tre anni, con la crescita del protagonista, il secondo capitolo di Michele, ancora tra le strade e i cieli di Trieste, ancora nella tristezza per la perdita della madre adottiva e ancora alla ricerca di un qualcosa che gli permetta di conoscere appieno i suoi superpoteri. Entrano in gioco, incontro alla necessità, la conosciuta sorella gemella e la madre naturale, entrambe decise a rapire un cattivassimo magnate russo e costringerlo a liberare altre persone pure esse dotate di quegli stessi poteri, tra le quali lo stesso padre dei ragazzi. Già non eravamo stati del tutto soddisfatti della fase iniziale: e il seguito è messo lì per dirci che dovremmo aspettarci una terza puntata? Durata 96 minuti. (Massaua, F.lli Marx sala Groucho, Greenwich sala 3, Reposi, The Space, Uci)

 

La ruota delle meraviglie – Drammatico. Regia di Woody Allen, con Kate Winslet, Justin Timberlake, James Belushi e Juno Temple. Inizio anni ’50, pieni di colore nella fotografia di Vittorio Storaro o rivisti in quelli ramati di un tramonto, un affollato parco dei divertimenti a Coney Island, quattro destini che s’incrociano tra grandi sogni, molta noia, paure e piccole speranze senza sbocco. Ginny è una ex attrice che oggi serve ai tavoli, emotivamente instabile, madre di un ragazzino malato di piromania, frequentatore di assurde psicologhe; Humpty è il rozzo marito, giostraio e pescatore con un gruppo di amici, che ha bevuto e che ancora beve troppo, Carolina è la figlia di lui, rampolla di prime nozze, un rapporto interrotto da cinque anni, dopo la fuga di lei con un piccolo ma quantomai sbrigativo gangster che adesso ha mandato due scagnozzi a cercarla per farla stare zitta, ogni mezzo è buono. Rapporto interrotto ma la casa di papà è sempre quella più sicura. E poi c’è il giovane sognatore, Mickey, che arrotonda facendo il bagnino e segue un corso di drammaturgia, mentre stravede per O’Neill e Tennessee Williams, artefice di ogni situazione, pronto a distribuire le carte, facendo innamorare l’ultima Bovary di provincia e poi posando gli occhi sulla ragazza. Forse Allen costruisce ancora una volta e aggroviglia a piacere una storia che è il riverbero di ogni mélo degli autori anche a lui cari, impone una recitazione tutta sopra le righe, enfatizza e finge, pecca come troppe volte nel suo mestiere di regista, non incanta lo spettatore. La (sua) vittima maggiore, che più risente del debole successo è la Winslet di “Titanic”, che pur nella sua nevrotica bravura non riesce (o non può, obbediente alla strada tracciata dall’autore) a calarsi appieno nel personaggio, come in anni recenti aveva fatto la Blanchett in “Blue Jasmine”. Durata 101 minuti. (Ambrosio sala 3, F.lli Marx sala Harpo)

 

Star Wars: Gli ultimi Jedi – Fantascienza. Regia di Rian Johnson, con Mark Hamill, Daisy Ridley, Carrie Fisher, Laura Dern, Benicio del Toro e Adam Driver. Luke Skywalker si è ritirato in un esilio volontario, in un nascondiglio segreto ai limiti del pianeta sperduto. La giovane Rey ha bisogno del suo aiuto, nell’incontrarlo gli donerà la vecchia spada laser appartenuta alla sua famiglia. Vecchi e nuovi personaggi, ultima apparizione della Fisher, indimenticabile principessa Leia, ad un anno esatto dalla scomparsa. Immancabile per il pubblico che da sempre segue la saga. Durata 152 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 1, Reposi, The Space, Uci)

 

The greatest showman – Biografico/musicale. Regia di Michael Gracey, con Hugh Jackman, Michelle Williams, Zac Efron, Zendaya. La vita di Phineas Taylor Barnum, l’uomo che inventò il grande circo, figlio di un povero sarto, da sempre innamorato di Charity che diverrà sua moglie (pur non disdegnando un occhio ad altre relazioni) e che fu il sostegno della sua attività imprenditoriale, l’uomo che con fatica e lungimiranza seppe far fonte ad un destino che allineava frettolosamente successi e batoste, l’uomo che raccolse con dignità sotto il suo tendone uomini altissimi e nani e donne barbute. Come sotto vicenda, accanto a lui, il ricco Phillip (Efron) capace di fuggire dalla sua condizione agiata per rifugiarsi nel mondo circense che gli farà conoscere l’amore di una trapezista. Durata 110 minuti. (Ideal, Uci)

 

The midnight man – Horror. Regia di Travis Zariwny, con Robert Englund, Summer Howell, Emily Haine e Michael Sirow. In una vecchia casa, la giovane Alexandra cura la nonna malata ed è presa dalla curiosità quando scopre nella soffitta un gioco racchiuso in una scatola, un foglio ne spiega le regole: se i giocatori (la ragazza non è sola) le seguiranno, apparirà “l’uomo di mezzanotte” capace di trasformare in realtà gli incubi più spaventosi. Se vorranno salvarsi, dovranno sfuggirgli – a lui, in grado di trasformarsi in nube nera come in qualsiasi altra sembianza – tra lo scoccare della mezzanotte e le 3 e 33 minuti. Durata 95 minuti. (The Space, Uci)

 

Tre manifesti a Ebbing, Missouri – Drammatico. Regia di Martin McDonagh, con Frances McDormand, Woody Harrelson, Sam Rockwell, Abbie Cornish e Lucas Hedges. Da sette mesi le ricerche e le indagini sulla morte della giovane Angela, violentata e ammazzata, non hanno dato sviluppi né certezze ed ecco che allora la madre Mildred compie una mossa coraggiosa, affitta sulla strada che porta a Ebbing, tre cartelloni pubblicitari con altrettanti messaggi di domanda accusatoria e di “incitamento” diretti a William Willoughby, il venerato capo della polizia. Coinvolgendo in seguito nella sua lotta anche il vicesceriffo Dixon, uomo immaturo dal comportamento violento e aggressivo, la donna finisce con l’essere un pericolo per l’intera comunità, mal sopportata, quella che da vittima si trasforma velocemente in minaccia: ogni cosa essendo immersa nella descrizione di una provincia americana che coltiva il razzismo, grumi di violenza e corruzione. Da parte di molti “Tre manifesti” è già stato giudicato come il miglior film dell’anno, i quattro recenti Golden Globe spianano la strada verso gli Oscar. Durata 132 minuti. (Ambrosio sala 1, Eliseo Grande, Greenwich sala 2, Uci)

 

Tutti i soldi del mondo – Drammatico. Regia di Ridley Scott, con Mark Wahlberg, Michelle Williams, Charles Plummer e Chistopher Plummer. Il film già celebre ancora prima di uscire sugli schermi: per la velocità con cui il regista ha ricompattato set e troupe per tirare ex novo le scene in cui compare il vecchio e arcigno Paul Getty che ha lasciato i tratti di Kevin Spacey straccusato di molestie sessuali da mezza Hollywood di stampo maschile per acquistare quello altrettanto marmorei e forse più puliti di Plummer, che in quattro e quattr’otto s’è candidato ai Globe. Cambio di casacca per narrare del rapimento del rampollo Getty (per cui il nonno, l’uomo più ricco del mondo, non avrebbe messo a disposizione un solo penny, la prima richiesta fu di 17 milioni di dollari, avendone altri 14 di nipoti chissà come sarebbe stato per lui il futuro!) nel luglio del 1973 – era il tempo dei figli dei fiori, dell’amore libero e della droga a gogò – ad opera dell’ndrangheta. La parte dell’eroe positivo va alla madre del ragazzo che lotta con ogni mezzo per la sua libertà mentre il negoziatore con i delinquenti è il paratone Wahlberg. Durata 132 minuti. (F.lli Marx sala Chico e Harpo, Romano sala 2, The Space, Uci)

 

Wonder – Drammatico. Regia di Stephen Chbosky, con Julia Roberts, Owen Wilson e Jacob Tremblay. Auggie è un bambino di dieci anni, una malformazione cranio facciale ha fatto sì che non abbia mai frequentato la scuola. Quando i genitori prendono la decisione che è venuta davvero l’ora di affrontare il mondo degli altri, per il ragazzino non sarà facile. Al tavolo di Auggie, in refettorio, nessuno prende posto, un gruppetto di compagni continua a divertirsi a prendere in giro il suo aspetto. Poi qualcuno comunicherà ad apprezzarlo e ad avvicinarsi a lui. Durata 113 minuti. (Massaua, Due Giardini sala Ombrerosse, F.lli Marx sala Groucho, Lux sala 3, Massimo sala 2, Reposi, The Space, Uci)