CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 707

Carlo Alberto archeologo in Sardegna

FINO AL 4 NOVEMBRE

Non tutti lo sanno. Ma Carlo Aberto di Savoia – Carignano, re di Sardegna dal 1831 al 1849 (conosciuto principalmente per aver concesso nel 1848 lo Statuto che porta il suo nome e che sarebbe diventato la prima carta costituzionale italiana) nutriva un’enorme passione per l’archeologia; passione documentata dagli oltre 150 reperti raccolti in mostra, fino al prossimo 4 novembre sotto il titolo “Carlo Alberto archeologo in Sardegna”, presso il Museo di Antichità dei Musei Reali di Torino. E passione così sfrenata da renderlo perfino vulnerabile e potenziale vittima di neppur tanto improbabili sòle che anche allora fiorivano alla grande, senza guardare in faccia nessuno. Neanche un re. Fu così infatti che Carlo Alberto, allorché decise di partecipare personalmente fra il 1829 e il 1843 ad attività di scavo in Sardegna, restò invischiato nella “più grande truffa ottocentesca di reperti archeologici”, per dirla con Raimondo Zucca, docente all’Università di Sassari, che insieme a Gabriella Pantò, direttore del Museo di Antichità, ha collaborato alla realizzazione della mostra subalpina. Era il 20 aprile del 1841. Il re, armato di pala ed entusiasmo alle stelle, si porta, con il suo seguito e il figlio Vittorio Emanuele, nell’area archeologica di Nora. Al suo fianco c’è Gaetano Cara, abile ma famigerato direttore del Regio Museo di Cagliari; sarà proprio lui ad indicare all’ignaro sovrano il punto esatto dove scavare. E la trappola scatta come da copione; in un presumibile plauso generale, Carlo Alberto porta infatti immediatamente alla luce un bronzetto raffigurante un idolo fenicio nuragico dell’VIII secolo a. C. Clamoroso ritrovamento! Carlo Alberto (cui il grande amore per l’archeologia sarda era stato trasmesso dal generale, archeologo dilettante, Alberto Ferrero della Marmora), è al settimo cielo tanto da acquistarne, di quegli idoli, una settantina di esemplari per il suo “Medagliere” di Palazzo Reale, spendendo qualcosa come 85mila euro di oggi. Peccato però trattarsi di “falsi”, abilmente riprodotti da esperti falsari (il “migliore” nell’isola pare fosse, a quei tempi, un fabbro cagliaritano tal Raimondo Mongia) in combutta con lo stesso Cara; “idoli falsi e bugiardi” saranno definiti nel 1883 da Ettore Pais, l’allora direttore del Regio Museo cagliaritano, che ne vieterà l’esposizione. Nello stesso anno, anche a Torino, i bronzetti furono velocemente fatti sparire (ma Carlo Alberto era morto nel 1849, credendoli autentici) e riposti nei depositi di Palazzo Reale. Fino a un paio d’anni fa, quando Gabriella Pantò li ritrova e li fa restaurare per farne elemento di indubbia curiosità della mostra attualmente in corso nel Museo di Piazzetta Reale a Torino. Rassegna di grande valore storico-culturale, frutto di una passione frenetica che spinse il “re tentenna” o l’ “Italo Amleto” (come lo definì Carducci) a finanziare ricerche, oltreché in Sardegna, anche in Piemonte – nelle città romane di Industria e Pollenzo – e di cui resta traccia nella documentazione archivistica e bibliografica presente in mostra: un diario autografo e, soprattutto, le lettere scambiate con l’amata Contessa Maria Antonia Truchsess von Waldburg di Robilant. Riportati in luce dai Musei Reali e oggetto di attenti restauri e nuovi studi, nel Museo di Antichità si possono quindi ammirare oggi importanti reperti – autentici! – provenienti dalla Sardegna: dal preziosissimo e di raffinata cesellatura scudo greco di bronzo da oplita del VI secolo a. C. ritrovato a Tharros, al mosaico romano del III secolo d. C. (scoperto in realtà già nel 1763, scavando nel quartiere Stampace di Cagliari) raffigurante Orfeo che incanta gli animali feroci con le note della sua cetra, fino alle stele puniche già esposte nel 1764 al Regio Museo torinese o alla base di colonna con iscrizione in latino greco e punico da San Nicolò Gerrei (1861) e al nucleo di fibbie bizantine parte delle collezioni di Bartolomeo Gastaldi (prima del 1895). A chiudere l’esposizione bronzetti nuragici (raffiguranti persone, animali, navicelle e oggetti quotidiani) armi come asce e pugnali datati fra il X e il VII secolo a. C, e ancora vasi e ceramiche presenti a Tharros fra il VII secolo a. C. e il II d. C. fino al gruppo di busti in terracotta cosiddetti di “Sarda Ceres” (I-II secolo d. C.) testimoni della diffusione del culto di Cerere in Sardegna e ad una statuetta di figura femminile seduta (VI – V secolo a. C.) da tempo esposti nel “Medagliere Reale”.

Gianni Milani

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“Carlo Alberto archeologo in Sardegna”

Museo di Antichità – Musei Reali di Torino, piazzetta Reale 1, Torino; tel. 011/5211106 – www.museireali.beniculturali.it

Fino al 4 novembre – Orari: mart. – dom. 8,30/19,30

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Nelle foto

– “Bronzetto falso”
– “Mosaico con Orfeo”, seconda metà III secolo d. C.
– “Scudo greco da oplita”, VI secolo a. C.

Don Giovanni e la sfida al cielo, in un Seicento che riflette il mondo di oggi

Pur se chiuso dentro un cartellone che porta la firma, ormai scolorita in questo finale di stagione, di Mario Martone, questo Don Giovanni – in scena sul palcoscenico del Carignano sino al 22 aprile nella produzione del Teatro Stabile di Torino/Teatro Nazionale – suona come il biglietto da visita di Valerio Binasco ad introdurre un percorso che per quattro anni lo vedrà nuovo Direttore artistico dell’ente, con scelte e programmi in libertà che stabiliranno una cifra esatta di lavoro (quali siano le scelte e i programmi lo sapremo dal 7 maggio, con la presentazione della nuova stagione, sua a tutti gli effetti, all’insegna di quel divertimento promesso al tempo della sua elezione). Quel di-vertimento ha ben salde, già in sede etimologica, le radici nell’affrontare il personaggio del Seicento di Molière, non lontano da una luccicosa aureola che viene a onorare quella che è stata definita una “sciagurata grandezza”, spinto a farci dimenticare ogni esempio precedente, a cancellare ogni trionfalismo spagnoleggiante, inventato sulla scia della Commedia dell’Arte, ogni aura tardoromantica imbevuta nella malinconia, componenti tutte cui più o meno ci hanno abituato i passati metteurs en scène del secolo che ormai ci siamo messo alle spalle. È un invito a liberarci di ogni vecchia sovrapposizione, ai limiti della menzogna teatrale, e a considerare Molière nostro contemporaneo, a stendere su un tappeto il borioso e giovane burlador per metterlo alla berlina, a snocciolare senza se e senza ma ogni malefatta, i mariti i fratelli e i padri picchiati o uccisi, le donzelle sverginate e riempite di promesse che non avranno mai un lieto fine. Don Giovanni non è più il gentiluomo sfrontato, senza legami e senza morale, colui che rimorchia senza fatica e abbandona: è, nell’adattamento di Binasco, che ogni tanto sa sfacciatamente di riscrittura, “un delinquente, un autentico delinquente”, violento ma pur capace di giocare sulla simpatia, mentitore ma pur efficace nel trasmettere ogni parola come somma verità, odioso ma pur sorridente nel tentare senza successo il povero mendicante con un luigi d’oro purché bestemmi, salvo concederglielo non per quell’”amor del cielo” con cui era stato poco prima pregato ma con un ben diverso e soppesato “amore per l’umanità”. Don Giovanni, nella ricerca continua del suo libertinaggio, incessante e pieno di sfide, non è il gentiluomo altero e anche raffinato in cerca di gonnelle, è il miserabile che con il proprio servo si ritrova accucciato su un pulcioso pagliericcio, da ricovero per sbandati, che se la spassa in un bar di paese, lucine accese e tavolini pieghevoli sotto gli alberi, a strusciarsi con una donna Elvira che ancora reclama un futuro. È il campione della ribellione, l’inseguitore per eccellenza dell’affermazione della libertà, una ribellione che senza pudore arriva sino ad accettare la cena con il silenzioso convitato, sino a Dio: mentre Sganarello, finora improbabile raisonneur intorno ai principi della religione e delle verità della fede, privato del suo signore e del suo sostentamento, reclama il proprio guadagno (“Chi mi paga?”), forse tutto alla fine può acquietarsi nella morte, in una insperata “pietà” tutta al maschile. Binasco, e gliene rendiamo sinceramente doveroso atto, mentre corre con intelligenza lungo la propria lettura, non pone il dramma sotto le moderne forche caudine della burla a tutti i costi, non si piega a una certa aria di distruzione facilona che circola a volte sui palcoscenici. Nelle scene di Guido Fiorato, preparate a vista al di là di un velo, che guardano all’oggi senza cancellare del tutto il passato, il regista rimescola e attualizza, immiserisce e sfronda e stracciona, ma in ultimo lo sberleffo di oggi non arriva in platea, arriva tutta la serietà di quell’attualizzazione, ripensata, inviata allo spettatore con un nuovo, concreto messaggio. Nella nuova drammaturgia convergono tutti gli attori, da Giordana Faggiano a Elena Gigliotti a Fabrizio Contri agli altri; la sensualità e l’assoluzione del peccato, la sfida e le menzogne arrivano dall’ottimo protagonista che è Gianluca Gobbi, corporatura ragguardevole e magliette non proprio di bucato, polvere e sudore, lontano dall’immagine di tombeur de femme che ci aspetteremmo in scena, una prova convincente filtrata attraverso il tessuto delle parole di Molière, il ritratto comunque possente e prepotente, mentre Sergio Romano è un contraltare tempestoso e perfetto nel suo Sganarello, nel suo svilire una religione confondendola con superstiziose credenze e nei suoi eterni confronti con un padrone che ha fatto propria come bestemmia la sfida al cielo.

 

Elio Rabbione

 

foto: Donato Aquaro

Dopo Tokyo e Venezia “Il Cratere” al cinema Massimo

Esce nelle sale cinematografiche dal 12 Aprile il film di Silvia Luzi e Luca Bellino

Considerato tra i film più interessanti passati alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia, Il Cratere ha poi trionfato nel principale festival asiatico, il Tokyo International Film Festival, vincendo lo Special Jury Prize, unico film italiano della storia ad aver conseguito questo risultato. Il film racconta il rapporto travagliato di un’adolescente e suo padre, un venditore di peluche che vede nel talento della figlia una speranza di riscatto sociale. Gli attori Sharon e Rosario Caroccia, padre e figlia anche nella realtà, non avevano mai recitato prima e sono stati acclamati dalla critica nazionale e internazionale per la loro performance ritenuta ”un’impresa tecnicamente impressionante”. A Torino il film sarà in programmazione al Cinema Massimo di Via Giuseppe Verdi, 18. Orari sul sito. Il 13 Aprile saranno presenti in sala i registi Silvia Luzi e Luca Bellino.

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Il Cratere è un film prodotto da TFILM con RAI CINEMA

con contributo economico del MINISTERO dei BENI e delle ATTIVITÀ CULTURALI e del TURISMO | DIREZIONE GENERALE CINEMA, in collaborazione con BRITDOC, PULSE FILMS, con il sostegno di FILTEX srl

 

Regia di Silvia Luzi e Luca Bellino.

Per la prima volta sullo schermo ROSARIO CAROCCIA e SHARON CAROCCIA.

 

Trailer:

https://youtu.be/NgLA9Jo5lf0

Gabbani apre il Lovers Film Festival

Multisala Cinema Massimo, 20 aprile 2018

 

Thelma dJoachim Trier chiuderà il festival in anteprima nazionale

 (Torino, Multisala Cinema Massimo, 24 aprile 2018)

 

Dal 20 al 24 aprile 2018 a Torino, presso la Multisala Cinema Massimo, torna il più antico festival sui temi LGBTQI (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer e intersessuali) d’Europa e terzo nel mondo diretto dalla cineasta Irene Dionisio e presieduto da Giovanni Minerba, fondatore con Ottavio Mai della rassegna. Ha confermato la sua presenza alla serata di apertura, che si svolgerà il 20 aprile alle 20.30 presso la Sala 1 del Cinema Massimo, un ospite musicale d’eccezione: Francesco Gabbani che eseguirà un mini set acustico. ll celebre cantautore ha vinto il Festival di Sanremo nel 2017 con Occidentali’s Karma che ha ottenuto 5 Dischi di Platino; il video, con più di 185 milioni di visualizzazioni, ha superato molti record ed è stato  il video di un artista italiano più visto nel nostro Paese nel 2017. La trentatreesima edizione del festival sarà come ogni anno anche all’insegna del grande cinema internazionale con81 film provenienti da 24 nazioni, di cui 6 anteprime mondiali, 4 europee e 52 nazionali. Fra i film più attesi: Thelma(Norvegia, 116’) di Joachim Trier, selezionato al Toronto International Film Festiva che verrà proiettato, in anteprima nazionale durante la serata di chiusura il 24 aprile. Joachim Trier, che interverrà in collegamento dalla Norvegia, è stato recentemente nominato presidente di giuria della Settimana della Critica del Festival di Cannes.

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Il FILM:

Thelma è una timida ventenne di provincia che si trasferisce a Oslo per studiare e che si accorge, dopo essersi innamorata di una ragazza, di avere inquietanti poteri sovrannaturali. Joachin Trier firma un thriller d’autore di grande impatto, che tiene insieme realismo e tensione orrorifica, dramma psicologico e erotismo, mentre il tema del genere attraversa con diverse sfumature l’intera narrazione.

 

Il Lovers Film Festival  Torino LGBTQI Visions è amministrato dal 2005 dal Museo Nazionale del Cinema di Torino e si svolge con il contributo del MiBACT – Direzione generale Cinema, della Regione Piemonte e del Comune di Torino.

 

Prevendite da martedì 10 aprile

http://www4.anyticket.it/stonlineweb/uipublic/CalEventiCinema.aspx?idpartner=mncc

 

Resistenza Pop  al Polo del ‘900

La mattina di mercoledì 18 aprile 1945, con lo sciopero generale, ebbe inizio la lunga battaglia per la liberazione di Torino. Per ricordare quell’evento, mercoledì 18 aprile al Polo del ‘900 di Torino ( Sala Novecento, Palazzo San Daniele in via del Carmine 14) il Teatro Italiano del Disagio ATID – con il patrocinio e il sostegno del Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio regionale e il patrocinio della Città di Torino e del Comitato Provinciale ANPI – presenterà lo spettacolo teatrale-musicale“Resistenza Pop. Le avventure di una famiglia ribelle, di un bambino partigiano e di ragazze coraggiose”. Alle 11.00 è previsto lo spettacolo riservato alle scuole, gratuito e con prenotazione obbligatoria. Alle 21.00 ci sarà lo spettacolo per la cittadinanza a ingresso libero fino a esaurimento posti. L’evento ideato dall’artista Gian Piero Alloisio, storico collaboratore di Giorgio Gaber e Francesco Guccini, racconta con linguaggi nuovi e non retorici le storie di donne e uomini che hanno vissuto la Resistenza. Resistenza Pop (del quale è disponibile anche il Cd-Dvd) è dedicato alle Liberazioni di ieri e di oggi e contiene canzoni d’autore rivisitate, testi inediti, melodie partigiane riscoperte, emozionanti monologhi e video testimonianze dei protagonisti, partigiani piemontesi e liguri. Durante lo spettacolo riservato alle scuole, gli studenti saranno invitati a preparare degli aeroplanini di carta con i loro messaggi, disegnati o scritti, sul tema della Resistenza e delle esperienze di libertà di ieri e di oggi. Gli aeroplanini saranno raccolti e lanciati nel corso dello spettacolo serale in una performance ribattezzata “Bombardamenti Intelligentissimi”.

 

Info e prenotazioni: Simonetta Cerrini 3804522189; infoatid@gmail.com; www.gianpieroalloisio.it

Torino Crime Festival terza edizione

Nelle vicende della vita, come per i corsi e ricorsi di Gianbattista Vico, avviene che cose sopite da tempo si ripetano e rinnovino e ci sia sempre un nuovo ciclo. A me è successo, da un pò di tempo di appassionarmi nuovamente ai gialli, noir e Thriller

 

Pensavo che fosse una passione sopita per dar sfogo ad altre letture, forse più impegnative, ma giallo, noir e Thriller mi fanno nuovamente compagnia. Tutto è ricominciato con Il Postino di Superga dell’accoppiata Carillo Tallone un paio di anni fa e, da allora, non passa settimana senza Giallo. Le vicende della protagonista Lola, una femminista sui generis mi intrigano fino ad arrivare ad altri autori. Sapere che la terza edizione del Torino Crime Festival si svolgerà dal 12-15 aprile, essenzialmente, al Circolo Lettori è uno stimolo particolarmente interessante e un invito a partecipare.  Nella mattinata di giovedì 12,dalle 9.30 alle 12, con il profiler Fabrizio Russo è previsto il seminario “Psicologia investigativa e offender profiling” (iscrizioni torinocrimefest@gmail.com), mentre al pomeriggio, a partire dalle 15, ma al Tribunale di Torino “L’analisi del crimine” con lo psichiatra forense Alessandro Meluzzi e lo scrittore giallista Biagio Carillo, il comandante Fabio Federici e l’avvocato generale dello Stato Giorgio Vitari. A moderare Araceli Meluzzi dell’associazione Giovani Avvocati di Torino. Alla sera, alle 21, il film “Amore criminale”. (iscrizioni torinocrimefest@gmail.com), di nuovo al Circolo dei Lettori) Nella seconda giornata di venerdì 13 aprile, nel pomeriggio alle 15, è previsto “Storie di Galera” per passare a “Il seme della violenza” con la spiegazione del perché i reati sugli animali non sono di serie B e proseguire con Fabrizio Russo , lo psichiatra Pietro Petracco e il giallista Carlo De Filippis, occasione per presentare anche la nuova collana editoriale “Celid“. Concluderanno verso le 19 il professore Pier Luigi Baima Bollone (conosciuto pure come sindonologo) che assieme Mariangela De Cesare ci parleranno del perché Cesare Lombroso è considerato il padre del diritto penale moderno e di nuovo Fabrizio Russo e Anthony Pinizzotto che ci parleranno di Criminal Mind ovvero del lavoro nel campo della psicologia comportamentale. Nella terza giornata, al mattino, di nuovo il criminologo e giallista Biagio Fabrizo Carillo e l’avvocato Guglielmo Gulotta che ci illustreranno, durante il seminario, la moderna investigazione criminologica e argomentazioni e ragionamenti nelle indagini per passare nel pomeriggio, sempre con Carillo e l’abbinamento con Deborah Brizzi, autrice de “La stanza chiusa”, una sorta di apologia della vendetta,” prendendo spunto dai rispettivi romanzi degli autori passano a “Narrazioni poco conformi, quando la divisa e la scrittura si incontrano“. il Festival continua con altre interessanti “trattazioni” fino a sera e il giorno dopo su violenza domestica, stalking, mafia, immigrazioni e reati e una serie di interessanti film di successo. Non c’è che dire: il Po è il fiume su cui si ambientano gialli, noir e thriller, perché l’acqua è sempre fonte di ispirazione, di vita e di morte e il Giallo è di casa.

Info: torinocrimefest@gmail.com; www.crimefestival.it

Tommaso Lo Russo

Caleidoscopio rock anni 60. Meteore psych e garage in USA

Garage rock, psychedelic rock e generi affini?

Gran parte della rock music frenzy era riconducibile a quella straordinaria linfa vitale che era la British invasion, spinta con ondate progressive ed incalzanti dai tours dei Beatles e dei Rolling Stones; questi giovincelli inglesi poco più che ventenni che, oltre a scatenare i sogni e le fantasie di schiere di ragazze teenagers delle famiglie americane, avrebbero aperto le paratie di una vera e propria cascata di musica a stelle e strisce, estesa dalla costa pacifica a quella atlantica, da San Francisco a Boston, da New York a Seattle. Tra il 1964 ed il 1965, grazie ai concerti di quei “Fab Four” e “Stones”, la strada era già chiaramente tracciata; l’area del Midwest americano (tra Ohio, Michigan, Minnesota, Iowa, Illinois, Indiana, fin quasi al Colorado e all’Oklahoma) divenne terreno fertile per la nascita di una nuova forma di rock dai toni più crudi, grezzi e “home made”: il garage rock. Prendeva le mosse dalla scia del rock & roll e inglobava l’apporto del British Invasion rock, ma trasformandolo in un prodotto realizzabile da un vasto bacino di musicisti e fruibile da un variegato pubblico; le chitarre diventavano aggressive e distorte, la voce ringhiante, i testi più graffianti, sfacciati e diretti. La fiammata fu veloce ed improvvisa, l’ascesa travolgente; ma altrettanto rapido fu il declino, tanto che molte bands ebbero carattere di meteore ed entrarono nell’oblio già al giro di boa degli anni Settanta. In parallelo, la metà degli anni Sessanta vide l’affermarsi del movimento psichedelico, che impregnava il rock di particolari caratteristiche: la forma musicale ed il rapporto testo-musica assumevano fattezze fluide, venivano assorbiti suoni dell’area indiana e orientale, si sperimentavano novità pionieristiche nelle sale di registrazione, si ricorreva anche all’uso di chitarre “fuzz-toned” e alla stratificazione sonora con effetti di eco e di riverberi multipli. L’area californiana irradiò il verbo dello psychedelic rock in tutti gli Stati Uniti, tramite Doors, Jefferson Airplane, Grateful Dead, Big Brother and The Holding Company, Quicksilver Messenger Service, Byrds, Love, Moby Grape, Electric Prunes e molti altri. L’onda raggiunse anche il terreno del garage rock e si fuse con esso, dando vita ad una forma ibrida di “garage rock psichedelico”, sfaccettato e borderline che agli esordi degli anni Settanta si trasformò ancora e, come il garage, lasciò dietro di sé una vasta realtà di bands dalla vita breve o che non ebbero la fortuna di incrociare produttori musicali di primo piano e finirono per essere ingiustamente dimenticate. Dei “grandi” hanno discusso, discutono e discuteranno in molti (forse anche in troppi). Ma chi parlerà delle seconde e terze linee? Chi toccherà quest’area quasi ignota delle bands che vennero travolte dal rapido trasformarsi degli eventi, in quel lustro che dal 1965 al 1970 fu contraddistinto da un furore ed una frenesia musicali che, a dire il vero, probabilmente non avranno più eguali nella storia? Magari noi in questo spazio, perché no…

 

JCM Randle

 

Ogr, la nuova cattedrale di Torino

OGR, un posto dove passare il tempo libero, ultimamente vado spesso alle Officine Grandi Riparazioni di corso Castelfidardo, vicino alle Nuove, per le presentazioni di mostre e iniziative culturali, artistiche e di concerti.

Un po’ di storia delle OGR è d’obbligo. In principio erano officine di manutenzione di veicoli ferroviari e avevano un’anima mentre ora ospitano, in parte, Il Politecnico di Torino e per l’altra parte il Polo Museale OGR-CRT. La riqualificazione è stata un’opera di restituzione non solo alla città di Torino, ma all’intero Piemonte di uno dei luoghi simbolo dell’archeologia industriale che ha acquisito una nuova dimensione e una nuova anima che sa di ricordi. Anzi agli stessi si lega e sposa e perpetua in un continuum che sa di passato e futuro nel quale si proietta alla grande. Ma le OGR non sono solo il luogo dell’arte e dei concerti, ma anche un Polo dell’eccellenza del “buon bere” e del “ben mangiare” e per stare in compagnia. Dopo una sorta di nuovo Big Bang, la città di Torino ha ripreso ufficialmente possesso delle nuove Officine Grandi Riparazioni: “dopo mille giornate lavorative e 100 milioni di euro di investimento da parte della Fondazione Crt”, come ricordava il presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Torino (Crt) Giovanni Quaglia all’inaugurazione del 29 settembre scorso. Con l’apertura della Corte Est, antistante all’ingresso, scaturisce invece, come ha spiegato Massimo Lapucci, segretario generale della Fondazione Crt e direttore generale delle Ogr (forse) il compito più arduo: “diventare un simbolo della nuova città, anche al di là del loro valore estetico”. A BINARIO 1 Susan Hiller Social Facts a cura di Barbara Casavecchia è in corso dal 30 marzo – 24 giugno 2018 Social Facts, mostra personale di Susan Hiller.     E ancora “”Ambienti digitali interattivi, esperienze di realtà aumentata, percorsi immersivi multisensoriali. Laboratori di ricerca sui Big Data, acceleratori di imprese, sviluppo di start up high tech dei talenti italiani rientrati dalla Silicon Valley, sperimentazione di idee funzionali anche alla proposta di contenuti creativi per il pubblico delle Officine Nord, caratterizzeranno ancor più le OGR come un vero e proprio innovation hub internazionale”. Per il direttore artistico delle OGR Nicola Ricciardi   “I tre inediti e sperimentali progetti mirano a riaffermare Torino come centro gravitazionale per i mondi del contemporaneo e dell’innovazione A BINARIO 2 si trova The NewsRoom. Un’immersione sensoriale nelle notizie 30 marzo – 27 maggio 2018 “The NewsRoom, mostra interattiva de La Stampa in collaborazione con Studio Azzurro e Learn & Play! teamLab Future Park, progetto multimediale a cura del collettivo teamLab”. Lo spazio prende in questa occasione la forma di una mostra e di uno show digitale, di un’esperienza di giornalismo narrativo e interattivo basato sull’approfondimento. Invece a BINARIO 3 c’è “Learn & Play! teamLab Future Park” Dove i bambini giocano nel futuro . Primo progetto permanente in Europa di teamLab, collettivo di sviluppatori giapponesi il cui successo è stato consacrato dal pubblico di Expo2015. Il progetto accoglierà in un ambiente digitale interattivo i bambini dai 3 ai 10 anni, invitandoli a esplorare il confine tra arte e tecnologia attraverso un insieme di installazioni e postazioni immersive Chi vi scrive – che non è più un bimbo da moltissimi anni – confesso ci ha giocato! Da perdersi, ma anche per ritrovarsi fino a tuffarsi nella telecinesi con la sezione cinematografica.

Tommaso Lo Russo

 

La signora Van Gogh

Nell’interpretazione degli attori Gianni Bissaca e Stefania Ressico

 Primo episodio della TRILOGIA DEI GIGANTI DELL’ARTE MODERNA

 Alla base di questo lavoro teatrale c’è l’originale ipotesi che   l’opera di Vincent Van Gogh, dopo una vita di tormenti interiori e di scarsa o nessuna fortuna artistica, sarebbe stata probabilmente destinata all’oblio. E’ solo la dedizione, l’amore, la tenacia e l’ostinazione di una donna, Johanna Bonger, vedova del fratello Theo, ha fatto sì che Vincent Van Gogh, diventasse negli anni successivi alla sua tragica morte, una figura di importanza fondamentale nella storia dell’arte. La vicenda si snoda intervallando brani dalle lettere dell’artista, alla rielaborazione del diario della “signora Van Gogh”.

*** Domenica 6 maggio, verrà rappresentato il radiodramma con figure: La moglie di Gauguin.

 *** Domenica 10 giugno la trilogia si concluderà con Gabriele e Wassily, sulle figure di Wassily Kandinsky e Gabriele Münter.

L’evento è compreso nel normale biglietto d’ingresso della Pinacoteca Albertina, gratis con l’Abbonamento Musei, fino a esaurimento dei posti disponibili.

Pinacoteca Albertina, via Accademia Albertina 8, Torino. Tel: 0110897370  – E.mail: pinacoteca.albertina@coopculture.it

Leri Cavour, le estati di Camillo Benso

4 /  Oggi non voglio raccontare una storia, ma dipingere un quadro. Il cielo è turchese, la luce che si spande nell’aria è quella del mattino, si appoggia, timida, sulle cose del mondo, levigandone i contorni. Al centro della tela vi è una villa a pianta quadrata, suddivisa su due piani, ha pareti sobrie e bianche, eleganti nella loro austerità. Semplici bassorilievi decorano le finestre ed il portone principale, su tutto dominano i toni del bianco, dell’azzurro e del grigio; con educato contrasto si delineano le linee marroni e terra d’ombra del legno delle finestre e del portone principale. La villa è in procinto di svegliarsi, le imposte al piano superiore aperte per metà rappresentano un metaforico sgranchirsi dopo il riposo della notte. Tutto intorno vi è un gran fracasso di persone, contadini già stanchi si mescolano a qualche figura ben vestita, mentre un distinto cane da caccia insegue un gruppo di galline, un giovinetto porge dei fiori alla sua bella. Si sta eseguendo un quadro manierista, ricolmo di infiniti dettagli, uno in particolare va messo in risalto: nell’angolo in basso a sinistra, vicino all’anziana contadina che spia i giovani innamorati, il prete del paese sta discutendo con un signore dall’aria raffinata e dai lineamenti leggermente rotondi come i piccoli occhiali che indossa. Quello che si è delineato è un esercizio di pura fantasia, se avesse un titolo potremmo proporre: “Visione idealizzata di una giornata di Camillo Benso, Conte di Cavour, durante l’estate a Leri”. Sappiamo infatti che il grande statista piemontese, amava trascorrere più tempo possibile presso questo borgo, una sua tenuta estiva a cui egli era molto affezionato. Si dice che qui abbia scritto ben ottantatre lettere documentate.

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Ci troviamo nel vercellese, in una frazione di Trino, in una piccolissima borgata dalla storia antica e travagliata. I primi ad interessarsi alla zona furono i monaci Cistercensi, che, nell’XI secolo, bonificarono il territorio per adattarlo alla coltura del riso. La nascita del paesino è strettamente legata al Principato di Lucedio, di lì per nulla distante, e al Monastero di San Genuario, di cui era una grangia satellite. Il Monastero acquistò i terreni nel 1179 e ne trasse grandi benefici. Con il passare del tempo la borgata crebbe di importanza e di dimensioni, fino a quando, all’inizio dell’800, il territorio venne acquistato da Napoleone Bonaparte, che però non lo visitò mai di persona. In seguito la zona venne concessa al Principe Camillo Borghese, che lo vendette a Michele Benso di Cavour, padre di Camillo. Grazie agli interventi della famiglia Cavour il borgo cambiò completamente aspetto, trasformandosi in una sorta di azienda agricola, Camillo stesso progettò dei macchinari per l’epoca avanzati e moderni, volti sia al lavoro nei campi, sia a migliorare il sistema di irrigazione. Oggi, chi si avventura a perlustrare il territorio di Leri non trova alcuna facilità nell’immaginare l’operosità ed il fermento che all’epoca caratterizzava questa zona. Quando mi metto in macchina, con due amici, per raggiungere la borgata i colori attorno a me sono intensi, in netto contrasto gli uni con gli altri. Non sono io questa volta a guidare e decido di distrarmi guardando il paesaggio in continua trasformazione al di là del finestrino: penso alle vecchie pellicole in cui le scene erano tutte accelerate e i protagonisti si muovevano a scatti. Usciamo dalla via principale ed imbocchiamo una stradina sterrata e non capiamo nemmeno di essere arrivati a destinazione. Siamo scivolati in una atmosfera di onirico silenzio, la moltitudine di cascine e strutture a due piani sembrano essersi addormentate in seguito a chissà quale incantesimo; tutto sta riposando e nel sonno invecchia senza accorgersene.

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Estraggo la mia reflex ed inizio l’esplorazione: le crepe delle pareti sembrano rughe, gli oggetti di legno sono ingrigiti, in generale tutto pare sbiadito. Il paese di Trino visse fino agli anni ’60, poi iniziò a spopolarsi con lentezza inarrestabile. Si sparse la voce, in quel periodo, che sarebbe stata costruita una seconda centrale nucleare, in una zona troppo vicina perché gli abitanti dell’epoca potessero accettarla; fu questa, forse, la ragione principale della migrazione, e così, piano piano, qualcuno iniziò ad andar via, fino a quando rimase solo ciò che non poteva spostarsi. Negli anni ’80 ci fu un piccolo ripopolamento, alcune famiglie degli operai dell’Enel si trasferirono nelle vecchie cascine, ma fu una breve resurrezione di appena dieci anni. Negli anni ’90 qualcuno propose di costruire lì un Museo Nazionale dell’Agricoltura, ma le parole si persero nel vento, come l’ipotesi, del 2011, di iniziare i lavori di restauro per recuperare la tenuta della Famiglia Cavour, in occasione dei centocinquanta anni dell’unità d’Italia. È malinconicamente romantica la sensazione che provo, osservando oggetti dimenticati, traccia silenziosa del vissuto di qualcuno, mi colpiscono uno stendibiancheria e degli adesivi appiccicati al muro ad altezza di bambino. Tutte le strutture sono prive di mobilia, le finestre e le imposte e le porte sono state scardinate e appoggiate ai muri, l’unico edificio chiuso ermeticamente è la chiesa. Ci aggiriamo tra quei colossi assopiti, il loro respiro calmo passa attraverso i battenti scarni, levigando con delicatezza la loro pelle di cemento e pietra, fino al momento in cui ci ritroviamo in uno spiazzo quadrato, che circonda un edificio, abbastanza ben conservato, dalla pianta quadrata e che si alza su due piani.

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È il cuore, un tempo pulsante, di Leri, villa Cavour. Entrare dell’edificio è difficoltoso, poiché tutto attorno sono cresciute delle siepi spinose, abitate da una moltitudine di api indaffarate: è complicato, ma non impossibile. Una volta varcata la soglia entriamo in un grande salone affrescato, i decori sono sulle tinte del blu e dell’oro, sulla parete che sta di fronte a me e in quella alla mia sinistra sono stati dipinti dei finti caminetti, il muro che sta alla mia destra è squarciato da due grandi finestre rettangolari. I segni delle intemperie sono visibili, ma pare che il tempo abbia voluto essere meno intransigente con questo edificio. La villa è abbastanza grande, priva di arredamento interno, ogni sala è dominata da una tinta differente, penso che se si frantumasse potrebbe trasformarsi in un ipnotico enorme caleidoscopio. Giriamo con calma, venendo meno alla tabella di marcia; scatto molte fotografie tentando di catturare le sfumature di colore, ad ogni passo rifletto sul fatto che ogni cosa, lì, è pregna di Storia. Abbiamo appena finito di visitare tutte le stanze, quando il cambiamento di luce mi avvisa che è ora di andare. Anche qui ci sono stati avvistamenti di spiriti e fantasmi, ed è il momento di lasciare spazio a loro, i degni abitanti di quei sogni lontani che i giganti di pietra ancora stanno vagheggiando.

Alessia Cagnotto