CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 688

I sentimenti del mostro, un omaggio al cinema

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

A Baltimora, nel 1962 – sono gli anni della Guerra Fredda, è l’anno della crisi di Cuba e l’anno successivo alla Baia dei Porci -, in un piccolo appartamento che confina attraverso il pavimento con un vasto cinema dalle architetture déco, pressoché vuoto, abita in solitario trantran, una giornata eguale all’altra, una giovane donna, Elisa Esposito, affetta da mutismo (ma ci sente benissimo) procuratole fin da bambina con la recisione delle corde vocali. Nell’alloggio accanto Giles, un disegnatore omosessuale, certo non più giovanissimo, a cui lei prodiga visite e premure e colazioni, sul posto di lavoro, un laboratorio governativo dove è addetta alle pulizie, Zelda, un’afroamericana sempre con le antenne dritte, vittima di un marito fannullone e iroso: sono i suoi unici amici. Elisa scopre un giorno, in questo avamposto costruito a contrastare con esperimenti le ricerche e la presenza inquietante del mondo sovietico, un essere anfibio, mezzo pesce e mezzo uomo, un “mostro” scovato tra le acque dell’Amazzonia e lì venerato, qui tenuto prigioniero e incatenato in una luminosa gabbia di vetro. Le premure che riversa su Giles, Elisa le trasporta verso l’essere sconosciuto, grazie al linguaggio dei segni, e a suon di uova, di musiche jazz e di canzoni dell’epoca instaura un rapporto fatto di affetto e di carnalità allo stesso tempo. Ma il tempo scorre, la vivisezione che le alte sfere comandano è ormai decisa, il crudele colonnello della base ha ordini ben precisi. Del progressivo innamoramento, degli inseguimenti e dell’epilogo di questa favola inventata dal visionario Guillermo del Toro (La spina del diavolo, Il labirinto del fauno) non diremo. Ricco del Leone d’oro veneziano e delle tredici candidature agli Oscar prossimi (miglior film e miglior regia, miglior interprete femminile come attore e attrice non protagonisti, colonna sonora e fotografia e montaggio, per tralasciare gli altri), La forma dell’acqua spazia con estrema padronanza nei più diversi generi cinematografici, saggia l’horror e sconfina nel musical, afferra il mélo e viaggia spedito nel fiabesco e oltre, si muove con appropriati, a tratti vorticosi movimenti della machina da presa, un grande inchino al cinema, settima arte con l’omaggio e l’ispirazione al

Mostro della laguna nera di Arnold che tanto colpì l’autore, ragazzino di dieci anni, e luogo dove sullo schermo scorrono le immagini di un vecchio film del ’60 di Koster, La storia di Ruth. Nella domanda che scorre lungo tutta la durata del film, ovvero chi sia il vero mostro, tra le opprimenti scenografie, ma pure capaci di liberare, liquide e no, di Paul Austerberry, Del Toro regala grazie a una sceneggiatura perfetta una love story inaspettata, non rinnega la lacrima, spreme con il superlativo commento musicale di Alexandre Desplat ogni sentimento, cerca a tutti i costi lo spiraglio dell’happy end, lavora di cesello sul rapporto tra la Donna e la Bestia (a lui non interessa il discorso della Bella e la Bestia, la scelta dell’accorata e bravissima Sally Hawkins è quanto mai significativa), rapporto che trascorre attraverso gli occhi prima e il gesto poi – la parola è esclusa ad entrambi -, mette su un innocente piedistallo la cultura del diverso. Oltre che dalla protagonista, è aiutato con concreta partecipazione, con un’immedesimazione che va ben oltre la buona prova interpretativa, da un gruppo d’attori che sono da citare in blocco, da Richard Jenkins a Doug Jones (la creatura da intravedere all’interno della sua armatura verdastra), da Octavia Spencer a Michael Stuhlbarg (il padre nel film di Guadagnino, un altro oscarizzabile) al perfetto Michael Shannon, anima inquieta e perfida nella sua voglia d’annientamento. Una storia, e un film, grandiosa nella sua particolare semplicità, che cattura i cuori senza troppa fatica: che il prossimo 4 marzo dovrà vedersela con quell’eccellenza cinematografica che per chi scrive queste note continuano a essere i Tre manifesti a Ebbing, Missouri. La mia scelta sta lì, nella desolazione violenta di quel paese e con tutta la rabbia di Frances McDormand. A meno che ci si debba ravvedere con sonore sorprese ancora in arrivo.

Frammenti di un bestiario amoroso

FINO AL 27 MAGGIO

Afghanistan, dintorni di Kandahar, 1974. Un giovane afgano, turbante nero intorno al capo e tunica lunga secondo gli usi locali, tiene dolcemente fra le mani una colomba bianca. Il becco gli sfiora appena il labbro inferiore, mentre il giovane ha lo sguardo fisso nel vuoto. Non si guardano, ma fra i due s’intuisce una strana misteriosa complicità di sensi. A migliaia di chilometri di distanza, siamo in Spagna, dintorni di Santiago, 1977. Sull’uscio di casa una tenera vecchietta gioca insieme al gatto con un bastoncino: due solitudini che s’incrociano

affettuosamente in un refolo di giocosa minuta quotidianità. E poi c’è la bimba nepalese seduta sullo scalino di una strada che ride di gusto accanto a un batuffolo di cagnolino, suo compagno di giochi e certo di birichinate; totalmente in contrasto con l’impeccabile signora english attorniata dalle oche in un giardino della City. Sono in tutto 46 gli scatti fotografici esposti dalla nota fotoreporter Marilaide Ghigliano nelle sale dello “Spazio Scoperte” della “Galleria Sabauda” di

Torino. Di origini cebane, la Ghigliano inizia la sua attività negli anni Settanta, incentrandola inizialmente sul tema della condizione femminile e dell’infanzia nei Paesi del Sud del Mondo, derivandone diverse mostre e collaborando per alcuni anni con la Soprintendenza per i Beni Storici e Artistici del Piemonte. Realizzate fra il 1974 e il 2010 in un curioso e attento girovagare fra Europa, Asia e Africa, le fotografie oggi esposte alla “Sabauda” vogliono invece essere una documentazione – spesso curiosa spesso suggestiva sempre di immediata carica poetica – più che di “fatti” di “sentimenti”, incentrati sull’importanza degli animali nella vita dell’uomo e sull’amorosa liaison che ne deriva. O, meglio, che sempre dovrebbe derivarne. Dai cani ai gatti agli asini alle oche, così come ai gabbiani (che volteggiano in cerca di cibo sulla spiaggia deserta di Celle Ligure, sotto gli occhi incantati del bimbo che tiene forte la mano della nonna) fino alle colombe ai cavalli e alle mucche: sono un ricco campionario di emozioni i soggetti catturati dal teleobiettivo della Ghigliano, con discrezione e senza messa in posa, facendoci ben

capire “che con nessuno – come sottolinea Giovanna Galante Garrone, curatrice della mostra – si è liberi negli affetti come con gli animali”. Amore puro, totalizzante, senza finzioni. Come quello che Maria de los perros riserva ai “suoi” cani. Maria vive ad Antequera, in Andalusia, è una donna senza età, piegata dagli stenti e dalle privazioni. In foto la vediamo seduta su un muretto, gli abiti sdruciti, accanto a tre cani, tre dei diciotto che ogni giorno tenta – come può– di sfamare. “Solo due sono suoi – racconta Marilaidegli altri sedici sono ‘abusivi’. Maria ormai parla solo con i cani o ‘di’ cani. Il resto della sua vita è confuso, non ha più nemmeno ricordi. Di lei non è sopravvissuto altro che la capacità di amare”. Con la stessa passione che da sempre lega Marilaide Ghigliano al mondo animale, mirabilmente raccontato dai suoi storici calendari con immagini di cani e gatti, tutti assolutamente senza pedigree e protagonisti anche di varie mostre fra cui la recente “Scatto felino” (Mondovì, 2017): immagini rigorosamente in bianco e nero, il modo “più efficace per comunicare in modo diretto, senza distrazioni, e per esplorare, attraverso i tagli di

forma e luce, l’anima di persone e animali”. In modo istintivo. Perfino casuale. Perché Ghigliano, ha scritto bene la storica dell’arte Adalgisa Lugli “è una sorta di miracolata dello strumento che usa, dal quale è sorprendentemente libera, spontanea, slegata. Lavora viaggiando, guardando con una sorta di amore trasversale per le cose così poco classificatorio”. Vincente e suggestiva anche l’idea di arricchire la mostra alla “Sabauda”, con due importanti opere secentesche del bolognese Carlo Cignani: “Adone” e “Venere e Cupido”. Opere che facevano parte della quadreria del principe Eugenio di Savoia – Soissons perfettamente inserite nella tematica della rassegna, con Adone rappresentato nell’atto di accarezzare amorevolmente il suo cane, compagno di tante battute di caccia, e Cupido – cui Venere ha sottratto l’arco – che abbraccia una coppia di candide colombe simbolo di legame amoroso e fede eterna. E ancora un consiglio. Prima di lasciare la mostra, mettetevi bene in memoria gli occhietti parlanti del cagnolino portato a spasso nello zaino dal suo amico “padrone”. E come allora non dar ragione a tal Victor Hugo? “Fissa il tuo cane negli occhi – diceva il padre del Romanticismo francese – e tenta ancora di affermare che gli animali non hanno un’anima”.

Gianni Milani

“Frammenti di un bestiario amoroso”

Galleria Sabauda- Spazio Scoperte, piazzetta Reale 1, Torino; tel. 011/5211106 – www.museireali.beniculturali.it

Fino al 27 maggio

Orari: dal mart. alla dom. 8,30-19,30

Obla, la poesia diventa immagine e l’immagine poesia

“Obla”, versione femminile ed ingentilita di Oblo’, indica uno sguardo, un occhio rotondo aperto sul mare, cielo e terra da parte di un poeta-fotografo, Roberto Biscaretti di Ruffia, nella vita avvocato, con studi anche al Collegio Navale Morosini di Venezia, e discendente del fondatore del celebre Museo dell’Automobile di Torino, Carlo Biscaretti di Ruffia. Obla è il titolo del libro, edito da Allemandi, che verrà presentato venerdì 23 febbraio prossimo alle 21, al Circolo dei Lettori in via Bogino 9, nella Sala Grande, nel corso di una serata in cui si terrà una piacevole conversazione tra l’autore e la scrittrice Margherita Oggero. La lettura dei brani sarà affidata ad Eleni Molos. “Obla – afferma la scrittrice Margherita Oggero – accosta poesia e fotografia, contaminazione ed insieme esegesi del testo, grazie all’immagine, e viceversa. L’occhio svela la complessità volutamente ambigua del dettato e la parola decifra il senso dell’angolazione e del ritocco dell’immagine”. D’altronde la poesia, arte molto antica, deriva dal greco “poiesis”, a sua volta derivante dal verbo greco “poieo”, che significa invento, compongo. “Obla” può essere considerato una sorta di magnifici cahiers, alla guisa di quelli di poeti francesi come Verlaine, secondo un gusto per il quale i disegni di composizioni trovano esito nella fotografia e si specchiano in essi, che a loro volta si rispecchiano nelle immagini. Rispetto alla precedente opera di Biscaretti di Ruffia, dal titolo “Photolyricon”, Obla risulta più matura nelle concezioni delle immagini e dei versi. Struggente il dittico in morte di un padre e di un figlio, poesie che risultano senza parole, quasi sospese come una foglia che non toccherà mai terra, metafora del dolore più grande che un uomo possa soffrire, quello per la perdita del proprio figlio. Questa opera di immagini che si fanno poesie e poesie che si traducono in immagini contiene anagrammi, crittogrammi, calembour, rebus, a volte echi dai grandi del Novecento come Palazzeschi, anche innovazioni di provenienza dannunziana, come nella lirica- immagine dal titolo “Piombo fondente”, capace di suggerire riflessioni sui nembi oscuri ed incombenti. Si può guardare il mondo con gli occhi di un fanciullo, come fa l’autore di “Obla”, Roberto Biscaretti di Ruffia, con gli occhi del fanciullino pascoliano, servendosi dell’ausilio della fotografia, capace di raggiungere l’eternità fissando il singolo momento.

 

Mara Martellotta

Il Père-Lachaise, tra le tombe di poeti e pensatori

Il più suggestivo cimitero letterario, dove riposano grandi scrittori, poeti e artisti,  è senz’altro il Père-Lachaise di Parigi. Nel grande cimetière de l’Est sulla collina che sormonta la rive droite e  il Boulevard de Ménilmontant, nel ventesimo arrondissement parigino, l’atmosfera è unica, sospesa tra romanticismo e storia nei suoi 44  ettari e tra le circa 70 mila tombe  all’ombra degli alberi. Il suo nome si deve al gesuita François d’Aix de La Chaise (detto Père La Chaise), confessore di Luigi XIV e proprietario dei terreni sui quali, durante il periodo napoleonico,venne edificato il cimitero più grande di Parigi. Nel giugno del 1804 , infatti, Napoleone emanò l’editto di Saint Cloud (Décret Impérial sur les Sépultures) prevedendo che le tombe fossero collocate fuori dalle mura delle città per motivi d’igiene, vietando al tempo stesso le sepolture nei cimiteri annessi alle chiese. A Parigi furono costruiti diversi cimiteri, tra cui quelli di Montmartre a nord,  di Montparnasse a sud , di Passy a ovest e ad est della città, il Père-Lachaise . Il luogo è tra i più visitati al mondo ( si stimano oltre 3,5 milioni di visitatori ogni anno) non solo per i sepolcri di grande valore storico e artistico ma anche e soprattutto perché vi sono sepolti tantissimi personaggi famosi. Da Eloisa e Abelardo, i due amanti più famosi della storia, a pittori come Amedeo Modigliani, David , Camille Pissarro e Delacroix, Corot e Max Ernst ; musicisti come Chopin e Bizet, insieme a compositori come Cherubini, Bellini e Rossini ( di questi ultimi sono rimasti i cenotafi) ; scrittori e poeti come Oscar WildeLa Fontaine , Alfred de Musset, Balzac, Marcel Proust, Apollinaire, Paul Éluard e Gertrude Stein. Per non parlare di Molière, il grande incisore e illustratore Gustave Dorè  e Nadar, l’inventore della fotografia. Tra le tante tombe ci sono anche quelle di Piero Gobetti , del pianista jazz Michel Petrucciani , degli attori Simone Signoret  e Yves Montand , di Edith Piaf – il passerotto di Parigi –   e Jim Morrison, il leader carismatico dei Doors. A sud di questo luogo che racchiude storia e memoria si trova il “muro dei Federati“. Un luogo-simbolo dove – il 28 maggio del 1871 – furono fucilati dalle truppe di Thiers gli ultimi 147 comunardi sopravvissuti alla “semaine sanglante”, la settimana di sangue che pose fine al sogno ribelle della Comune di Parigi. Non distante sono sepolti, tra gli altri, la fotoreporter tedesca Gerda Taro – compagna di Robert Capa – Jean-Baptiste Clément,  musicista che compose “Les temps des cerises”, il tempo delle ciliegie, famosa canzone che ricorda metaforicamente la rivoluzione fallita  della Comune paragonandola ad un amore perduto. Il Père-Lachaise , per chi ama la cultura e i libri, merita una visita alle tombe dei grandi del passato per un doveroso omaggio. L’ingresso in questo grande “giardino della memoria” è libero e gratuito ed è possibile ritirare una mappa con le indicazioni delle tombe famose all’entrata principale. Uno strumento indispensabile per orientarsi tra i lunghissimi viali che lo attraversano, tra tombe e monumenti funebri ricoperti di muschio,  cripte gotiche dove si posano gracchiando i corvi neri, piccoli sentieri coperti di foglie che si snodano tra quelle sepolture che hanno ancora qualcosa da dire. Come ha scritto l’olandese Cees Nooteboom nel suo libro “Tumbas. Tombe di poeti e pensatori”,  “la maggior parte dei morti tace. Per i poeti non è così. I poeti continuano a parlare”. E “all’ombra de’ cipressi e dentro l’urne confortate di pianto”, come scriveva Ugo Foscolo, non pare proprio che rimpiangano niente. Quasi che, dalla sua tomba nella 97sima divisione, Edith Piaf cantasse ancora con la sua voce potente e malinconica “Non, rien de rien / Non, je ne regrette rien / Ni le bien qu’on m’a fait, ni le mal / Tout ça m’est bien égal”. 

Marco Travaglini

Le foto sono di Barbara Castellaro

Fausto Melotti. Quando la musica diventa scultura

DOMENICA 25 FEBBRAIO

San Secondo di Pinerolo (Torino)

Prorogata di 15 giorni (era stata inaugurata nel novembre dello scorso anno), visto il grande successo di pubblico e la forte adesione delle famiglie e delle scuole alle proposte didattiche elaborate in relazione all’evento espositivo, la mostra dedicata al grande artista roveretano Fausto Melotti dalla Fondazione Cosso e ospitata nelle antiche sale del Castello di Miradolo – in una ricca teoria di mirabili sculture, disegni e ceramiche ispirate e formalmente suggerite dalle magiche suggestioni del mondo musicale – è ormai giunta alle battute finali. “Fausto Melotti. Quando la musica diventa scultura” chiude infatti i battenti domenica prossima 25 febbraio e lo fa alla grande riproponendo alle 21,15, attraverso il progetto musicale Avant-dernière pensée e a grande richiesta dopo il tutto esaurito del mese di dicembre, l’ultima replica del concerto “Metamorphosis da Buster Keaton a Philipp Glass”: spettacolo unico (con prenotazione obbligatoria allo 0121/502761 o prenotazioni@fondazionecosso.it ), la performance sonora avrà luogo nelle sale espositive legandosi al tema del tempo e della sua percezione, attraverso la relazione fra le due forme espressive che costruiscono il loro linguaggio sul tempo stesso, la musica e il cinema. E’ anche prevista una guida all’ascolto a cura di Roberto Galimberti. In fase di bilanci, è d’uopo ricordare che la rassegna ha rappresentato un eccezionale volano di promozione dell’arte e della musica presso i giovani e i giovanissimi, attraverso iniziative particolari appositamente studiate, come la “Giornata delle famiglie” tenutasi domenica 4 febbraio, che ha portato al Castello di Miradolo oltre 500 persone e circa 150 famiglie con bambini che hanno visitato gratuitamente la mostra. Numerose sono state anche le classi delle Scuole dell’Infanzia, Primaria e Secondaria, che dallo scorso novembre hanno partecipato ai laboratori proposti dalla sezione didattica della Fondazione Cosso e, al termine dei quali, i video prodotti sono stati raccolti in un totem multimediale esposto all’interno del Castello. Nello scorso gennaio, infine, oltre 500 studenti, in età compresa fra i 14 e i 18 anni, hanno visitato la mostra e assistito alle matinées loro riservate, nell’ambito del cosiddetto “Progetto Ulisse”, che ha inteso rappresentare anche un percorso di Alternanza Scuola – Lavoro e che ha messo a disposizione degli alunni un gruppo di veri e propri “professionisti dell’arte” con l’obiettivo di trasmettere loro i principali aspetti connessi all’ideazione e all’allestimento di mostre, ma anche di eventi o performances più complesse legate a varie forme di creatività ed espressioni artistico-musicali.

 

G.m.

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“Fausto Melotti. Quando la musica diventa scultura”

Fondazione Cosso – Castello di Miradolo, via Cardonata 2, San Secondo di Pinerolo (To), tel. 0121/376545 – www.fondazionecosso.com

Fino al 25 febbraio / Orari: ven. 14/18,30; sab. dom. e lun. 10/18,30

Due di cuori, intreccio di rami e di vita

Due di Cuori, che andrà in scena il 24 febbraio presso il Salone Polivalente Cav.Magnetto di Caselette, è il secondo dei cinque spettacoli proposti da “RassegnaT – Il teatro è a Caselette”. Una panchina e un intreccio di rami. Tre personaggi, i cui racconti, a tratti toccanti, a tratti quasi comici, si intrecciano proprio come fanno quelle frasche su di loro. Ad intrecciarsi davvero, però, sono vita e morte in un susseguirsi di rivelazioni in cui “chi stava per morire è rinato, e chi è morto, in qualche modo ha continuato a vivere”. Il tema, quello delicato e meraviglioso della donazione degli organi, diventerà chiaro man mano che lo spettacolo coinvolgerà ed emozionerà il pubblico. E’ “Due di Cuori”, scritto da Giuseppe Naretto, anestesista rianimatore dell’Ospedale Giovanni Bosco di Torino, ed interpretato da Esther Ruggiero, Oscar Ferrari e Federica Tripodi che si muovono in scenografie curate da Francesco Fassone. L’appuntamenti con “Due di Cuori” è fissato per sabato 24 febbraio alle ore 21.00, presso il Salone Polivalente Cav.Magnetto di Caselette. A fine spettacolo, come succede per tutti gli appuntamenti di “RassegnaT – Il Teatro è a Caselette”, il pubblico in sala avrà la possibilità di interagire con gli artisti e, per questo spettacolo, in particolare, vista la tematica, è previsto l’intervento della Dott.ssa Anna Guermani, medico del Coordinamento Regionale delle Donazioni e dei Prelievi di Organi del Piemonte, anche lei disponibile a rispondere alle domande degli spettatori.

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I biglietti, al prezzo di 12 euro, sono in vendita presso il Kiosko Birreria Caffetteria sito in Piazza Cays a Caselette. Info: www.teatrocaselette.it

Tappa in rosa per “Incipit offresi”

Il talent letterario più grande d’Italia

 


Biblioteca Civica Alda Merini – Corso Susa130/132, Rivoli (TO)

 

Una tappa speciale in un giorno speciale.

L’8 marzo si svolgerà a Rivoli (TO) l’ottava tappa di Incipit Offresi, il talent letterario per aspiranti scrittori più grande d’Italia. Un modo originale per celebrare la donna nel giorno della sua festa, all’interno della biblioteca civica rivolese che porta il nome di una grande figura femminile del ‘900: Alda Merini. Mai come per questo ottavo appuntamento le “quote rosa” sono state così alte: ad oggi solo un uomo è nella rosa dei candidati (un papà che si presenta in coppia con la figlia), tutte donne le altre aspiranti scrittrici, tra cui una giovanissima di 12 anni.Un 8 marzo diverso ed originale, un’occasione speciale per ascoltare la voce delle donne che, sul palco di Incipit Offresi, mostreranno il loro talento cercando di guadagnarsi l’ambita semifinale.

 

Incipit Offresi è un’iniziativa ideata e promossa dalla Fondazione ECM – Biblioteca Archimede di Settimo Torinese e Regione Piemonte, un’opportunità unica per dar voce al proprio talento e trasformare il proprio sogno in un progetto concreto e realizzabile. Incipit Offresi è un vero e proprio talent della scrittura, lo spazio dove tutti gli aspiranti scrittori possono presentare la propria idea di libro, un’occasione innovativa per diventare scrittori e promuovere la scrittura. La vera chance di Incipit Offresi è la possibilità offerta agli aspiranti scrittori di incontrare e dialogare direttamente con gli editori, farsi conoscere e raccontare la propria idea. Giunto quest’anno alla sua terza edizione, Incipit Offresi è un format a tappe: 12 appuntamenti, da dicembre 2017 a maggio 2018, in altrettante biblioteche. Perché proprio le biblioteche? Per raccontare come il luogo che per eccellenza accoglie e preserva i libri possa diventare anche la sede dove far nascere e crescere nuove opere. La partecipazione al talent è gratuita e aperta agli scrittori, esordienti e non, di tutte le nazionalità e di tutte le età (previa autorizzazione del genitore o tutore per i minorenni). I candidati dovranno presentare le prime righe della propria opera, l’incipit: un massimo di 1000 battute con le quali catturare l’attenzione dei lettori. La sfida si giocherà tutta a colpi di incipit. Durante ogni tappa gli aspiranti scrittori avranno 60 secondi di tempo per leggere o raccontare il proprio incipit al pubblico e alla giuria tecnica (composta da editori, librai, bibliotecari, lettori assidui e lettori occasionali della biblioteca ospitante). Allo scadere del tempo ogni incipit riceverà un punteggio. I due incipit che al termine della tappa si riveleranno i migliori potranno accedere direttamente alle semifinali che si svolgeranno in primavera. Gli 8 migliori classificati delle semifinali si incontreranno poi a maggio, per la grande finale al Salone Internazionale del Libro di Torino.

 

L’autore dell’incipit vincitore della gara si aggiudicherà un premio in denaro di 1000 euro, oltre l’accompagnamento alla possibile pubblicazione del libro, un secondo premio del valore di 500 euro verrà inoltre assegnato dalla giuria tecnica (composta dagli editori di ogni tappa e alcuni rappresentanti degli enti organizzatori e delle biblioteche aderenti al progetto). Alla chiusura dell’ultima tappa di Incipit Offresi, prima delle semifinali, l’autore che si sarà guadagnato più preferenze nella votazione online si aggiudicherà un abbonamento a TuttoLibri e un buono da utilizzare per l’acquisto di libri.

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Gli aspiranti scrittori che intendono partecipare a Incipit Offresi dovranno inviare il proprio incipit inedito (max 1000 battute), una descrizione dei contenuti dell’opera (max 1 cartella), l’indicazione del genere dell’opera e una fototessera in formato digitale all’indirizzo mail incipitpiemonte@gmail.com entro il 28 febbraio.

 

www.incipitoffresi.wordpress.com

www.facebook.com/incipitoffresi

Il Campus Einaudi si tinge di Green e parla ai Millennials

Venerdì 23 febbraio 2018 dalle ore 14.00 al Campus Luigi Einaudi di Torino, il Reload Music Festival, con la sua quarta edizione, entra nel mondo universitario, legando le tematiche della Green Education con la musica e i Millennials.

Reload Music Festival, insieme all’ Associazione EloVir92, incontra il mondo universitario e innovativo portando la musica e i temi che più stanno a cuore ai millennials nel loro luogo d’eccellenza di Torino: il Campus Einaudi.  Il concetto è che si deve partire dal rispetto dei propri spazi per sviluppare una Green Education e una consapevolezza attiva. L’Università si trasforma in un palco Reload e gli studenti in attori che potranno gustarsi un’anticipazione dell’unico festival EDM in Italia insieme a una call for artist per il progetto #reloadyourwaste sul riciclo creativo. Associazioni universitarie, startup, enti sportivi, associazioni no-profit, scuole superiori, il tutto condito dalla musica live e dallo storico Dj contest nazionale con giudici referenti importanti del mondo EDM. Il vincitore verrà premiato con uno spazio per la sua performance sul main stage del Reload Music Festival di sabato 3 marzo a Lingotto Fiere, insieme ai 12 artisti internazionali presenti nella top hit mondiale della musica EDM. Il Campus Luigi Einaudi, con SitPolito, UnitoGo e GreenTo e altre associazioni studentesche, come mai l’avete visto prima: protagonista ed interattivo con un grande Festival come il Reload della città di Torino, che coinvolge i Millennials verso messaggi sociali sicuri ed importanti come base di una cittadinanza attiva.

 

PER INFO:
mail: info@reloadmusicfestival.com

Libra Concerti tel: 011 591709 / 335 6466233

Biglietteria Reload Music Festival online: Ticket.it, Xceed BookingPiemonte e TicketOne

 

 

ISTRUZIONI PER L’USO DELL’EVENTO DI VENERDì 23 FEBBRAIO 2018

#ILCAMPUSCHEVORREI

 

 

#ILCAMPUSCHEVORREI abbraccia la filosofia della mission del Reload Music Festival 2018 e dell’Associazione EloVir92, improntata su una nuova centralità dell’uomo e dell’ambiente, recuperando attraverso la consapevolezza dell’etica e del rispetto, la creazione di una filosofia della sostenibilità, del riguardo ambientale e dell’etica dei consumi.

 

 

LA MUSICA.

Anima dello spirito Millennial, verrà proposta in due punti allestiti per l’occasione

  • ❏ Nel primo si svolgerà la FINALE NAZIONALE DJ CONTEST, storica alla stazione Metro di Porta Nuova e per la prima volta in assoluto al Campus Einaudi. Gli 8 finalisti saranno valutati da una giuria composta da dj, giornalisti e professionisti del settore e il vincitore avrà la possibilità di esibirsi sul mainstage del Reload Music Festival 2018.
  • ❏ Nel secondo avremo modo di veder alternare live band, rap e solisti in collaborazione con l’etichetta FIL1933 di Bergamo e WBproductions di Torino seguendo lo stile busker, rispecchiando così il principio green e alternativo del Reload 2018.

L’UNIVERSITÀ E LE STARTUP.

I Millennial sono nati fra i primi anni Ottanta e l’inizio degli anni Duemila, naturale quindi puntare a iniziative giovani, attuali e digitali.

Reload Music Festival, con la sinergia dell’Associazione EloVir92, stringe la mano al futuro, costruendo una collaborazione con associazioni e realtà legate al mondo universitario e dell’innovazione: UniToGo, GreenTo, SitPolito, MARKETERs Club, Rete UAN4S, AEGEE, insieme a startup territoriali, come l’Incubatore del Politecnico di Torino, Comunicare la Ricerca, EvilMozart, Fambress, Orangogo e Helpmearound, avranno la possibilità di farsi conoscere dagli studenti universitari e non, con attività e giochi interattivi.

 

 

LE ATTIVITÀ COLLATERALI.

Reload Music Festival, insieme a scuole superiori come Bodoni-Paravia, associazioni sportive, come OPES Piemonte (ente di promozione sportiva CONI), CUS Torino, Torino Sul Filo, e no-profit come PIN (Progetto Itinerante Notturno), Vol.To (Volontariato Torino) e la collaborazione straordinaria di SMAT (Società Metropolitana Acque Torino),   toccheranno tematiche legate al mondo del food e del riuso, dell’ ambiente e della sicurezza, e porteranno le loro conoscenze in ambito sanitario, sportivo ed educativo.
L’ARTE.

Da un’idea di EloVir92, Reload Music Festival porta in scena artisti e artigiani per dare nuova vita ai rifiuti e puntando il focus sulla sensibilizzazione creativa. #RELOADYOURWASTE sarà il momento perfetto per comprendere con mano come anche ciò che che consideriamo scarto possa, con la giusta dose di creatività, diventare qualcosa di nuovo e originale.  Artisti e appassionati produrranno, nel corso della giornata, opere creative partendo dal materiale di scarto recuperato nel mese di febbraio dai ragazzi di UniToGo.  La creazione migliore verrà esposta al Reload Music Festival 2018 e il vincitore premiato con uno speciale biglietto esperienziale da vivere sabato 3 marzo 2018 a Lingotto Fiere Torino. I partecipanti avranno disposizione dalle ore 13 alle ore 19 di venerdì 23 febbraio (c/o Campus Einaudi, nella Corte e negli spazi dedicati), per comporre con la plastica raccolta dentro il Campus delle creazioni, delle installazioni o degli oggetti utilizzando la plastica riciclata.  Ogni partecipante dovrà portare gli attrezzi e il materiale necessario per realizzare la sua idea personale.  In loco verrà fornita la plastica da utilizzare (bottigliette, bicchieri, confezioni di snack e bevande, …), vari flaconi di silicone, scotch, forbici e cutter.  Tutto il materiale, esclusa la plastica, dovrà essere portato dai partecipanti stessi. 
NB: non vi è la possibilità di utilizzare la corrente elettrica.

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PER INFO:

mail: info@reloadmusicfestival.com
Libra Concerti tel
: 011 591709 / 335 6466233

Biglietteria Reload Music Festival online:

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La pazzia dell’imperatore e lo sberleffo di Carlo Cecchi

Carlo Cecchi ha con Pirandello un rapporto e un giudizio conflittuali, lo considera il più grande autore italiano ma pure il più insopportabile. Prevale – diciamolo subito – in modo sfacciato questa antipatia di fondo condita con una buona dose di gelido sarcasmo, per cui, dopo aver invaso in anni addietro il campo dell’autore siciliano con le rivisitazioni dell’ “Uomo la bestia e la virtù” e dei “Sei personaggi” ecco che oggi si diverte a banalizzare, come un bambino che dispettosamente faccia le linguacce, quel mostro dell’”Enrico IV” scritto nel ’21 per Ruggero Ruggeri. Le forche caudine inevitabili sono una riscrittura a volte violenta nei confronti del testo e lì sotto Cecchi è costretto a passare. Ma ci passa con gioia. Che in cent’anni circa qualcosa di fumoso e di annebbiato, di troppo acquoso e di macchinoso ci sia è innegabile, che la macchina teatrale scricchioli e possa aver bisogno di un piccolo colpo di manutenzione da anni Duemila potremmo comprenderlo. Ma. Come ognuno sa, un uomo senza nome s’è richiuso da tempo nella pazzia “ideale” e creduta da tutti all’indomani di una caduta da cavallo durante un carnevale in cui aveva assunto la maschera di Enrico IV, non quello di Francia cinquecentesco (e su questo s’era preparato il malcapitato ultimo arrivato tra i servi che con lui si sono esiliati) ma quello che secoli prima attraverso Matilde di Toscana ottenne a Canossa dopo tre giorni d’attesa in mezzo alla neve di gennaio il perdono papale. I cavalieri e le dame di quel tempo sono ora riuniti, nell’eremo dell’imperatore pazzo, a rappresentare un’altra volta quel gioco, quella cavalcata e quel travestimento, Matilde la donna amata un tempo e quel barone Belcredi che ha preso il posto del vecchio amore, il medico che dovrebbe trovare la via della guarigione con l’improvvisa apparizione della giovane Frida, uguale alla madre giovanissima come una goccia d’acqua. A quel sotterfugio l’uomo non ci sta, afferra una spada, sbudella il buon Belcredi e si affossa vita natural durante nella propria pazzia. Anche Cecchi a quei sotterfugi teatrali, alla commozione cerebrale, alle disquisizioni senza fine non ci sta. Comincia, tra il Bignami e il fast food, a ridimensionare come un forsennato, a ridurre i tre canonici atti ad un unico blocco di 90’, via via via gli intervalli! per carità, a prosciugare di parecchio le lunghe battute del primo attore, guardando di sbieco la Grandattorialità, e a giocare a far apparire in miglior luce gli altri personaggi, a modernizzare il linguaggio di Pirandello seppur con una gran bella risata lasciando e ripetendo certe parole, quelle che già stridono e farle stridere ancora di più, gioca al teatro con i quattro suoi consiglieri, rovistando nella tragedia alta che diventa una insignificante fiction e potendo contare anche su chi s’è preso il compito di riportarlo, copione alla mano, sulla retta via quando lui s’allontana troppo dall’impianto originale. Perché s’allontana. Non gli interessa tanto il percorso da e verso la pazzia del protagonista né la fatidica capocciata – è stato lui a scegliere liberamente di fingersi pazzo, conscio ormai del mondo che gli si è aperto davanti -, scova e gli interessa il pirandellismo del teatro nel teatro e chiede a Sergio Tramonti una scena che abbia le quinte mobili di uno spazio teatrale e una superficie specchiante sul fondo in cui Enrico si possa guardare sempre più spesso mentre recita con le spalle rivolte al pubblico, in una non-dizione tutta di oggi. Tra uno sfrondare e l’altro, tra una linguaccia e uno sberleffo, il Cecchi nuovo autore trova le occasioni per farci riascoltare un breve brano di una lettera di Pirandello a Ruggeri, improvvisare il grido “Hanno ammazzato compare Turiddu” dalla “Cavalleria” di Mascagni con l’allegria di “Noi siam come le lucciole” e – prima degli applausi finali di un pubblico del Carignano estremamente divertito – un indifferente e frettoloso “dai, alzati, che domani sera abbiamo un’altra replica” rivolto al Tancredi che fino a un secondo prima cercava di esprimere tutta la sua sofferenza come neppure il Gallo morente. Ridicolo andare a cercare il “qua insieme, qua insieme… e per sempre” della tragedia finale, manco da parlarne. Nel pastiche gli stanno accanto Angelica Ippolito, Roberto Trifirò, Gigio Morra, Dario Iubatti, Chiara Mancuso e altri, estremamente obbedienti. I costumi, preziosi, sono di Nanà Cecchi.

 

Elio Rabbione

foto Matteo-Delbò

 

 

Torino torna capitale del Jazz

Un marchio che rappresenta i tre tasti stilizzati di una tromba verrà proiettato fino a domenica – da sera fino a tarda notte – sulla facciata della Mole Antonelliana per annunciare la rinascita del Torino Jazz Festival

La manifestazione porterà dal 23 al 30 aprile numerosi artisti a esibirsi sul palco delle OGR, nei circoli jazz centrali e periferici della città e in diversi teatri e musei, dal Piccolo Regio al Conservatorio a prezzi popolari

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Il logo è stato ideato dal gruppo di creativi Ikigai Media partendo da uno dei simboli per eccellenza del jazz, la tromba e gli strumenti a fiato. Si tratta di un marchio non privo di sinuosità e tagli netti, realizzato pensando allo stile di Torino, alle forme che si incontrano camminando e osservando le facciate di un palazzo nelle vie del centro, una chiesa barocca, i dettagli liberty di una vetrata.

Novità di questa edizione, diretta dal compositore e trombettista Giorgio Li Calzi in collaborazione con il sassofonista e compositore Diego Borotti, è il coinvolgimento diretto di musicisti italiani e torinesi con produzioni originali create per il festival, insieme a star del jazz internazionale e artisti provenienti da altri mondi musicali. Il programma del TJF sarà interpretato da grandi “vecchi” del jazz statunitense e da artisti che rappresentano l’evoluzione attuale del jazz, nel rock, nella musica elettronica e nei nuovi linguaggi improvvisativi che oggi contengono una forte identità extra-americana.La sede del Museo nazionale del Cinema, monumento simbolo della città, richiama stasera, a sessantasei giorni dall’apertura ufficiale del festival, l’attenzione alla tradizione jazzistica torinese di un’area metropolitana che è territorio fertile per questo genere musicale da quasi un secolo e che la kermesse intende valorizzare e rafforzare, in sinergia con le istituzioni culturali, raccogliendo il crescente favore del pubblico.

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Negli otto giorni, oltre all’energia degli assoli e delle jam session, si svolgeranno meeting, sonorizzazioni realizzate in aree pubbliche e private, incursioni musicali in luoghi atipici. Laboratorio di cultura per antonomasia, Torino intende sostenere e promuovere le produzioni e le sperimentazioni musicali, chiamando a collaborare tutte le realtà della città. Saranno infatti coinvolti nel TJF gli oltre 20 club cittadini in cui si suona jazz tutto l’anno e circa 250 musicisti (110 nei concerti del main, oltre 130 nei locali, 16 nei jazz blitz).  Cinquanta concerti di cui sette produzioni originali, la prima italiana di un’artista iconica, numerosi spettacoli pomeridiani, aperitivi in musica e le esibizioni serali.Il TJF intende proporsi come evento primaverile internazionale. Tuttavia l’edizione 2018 conta di sperimentare richiami nel resto dell’anno, con appuntamenti musicali e il coinvolgimento delle orchestre di allievi del Conservatorio e della Scuola Civica di musica e gruppi di studenti delle più titolate scuole specialistiche di jazz.Il programma e gli artisti saranno annunciati alla conferenza stampa in agenda mercoledì 28 marzo.

 

#tjf2018