Alda Besso. Un percorso d’arte nel Novecento

Fino al 23 febbraio

Pittrice di singolare talento. Ma anche grafica, brillante illustratrice di libri per importanti case editrici e, ancora, abilissima e raffinata decoratrice di stoffe e tappeti, nonché fortemente attratta dal design, dalle progettazioni d’arredo e , in generale, dal vasto universo delle arti applicate. Negli anni della prima gioventù amava firmarsi “Balda” (ironica crasi di nome e cognome, ma anche esplicito manifesto di come voler acchiappare a modo suo e a tutti i costi la vita); dagli anni ’40 in poi lo pseudonimo diventò “Giò”, come “Gioia” e “Giovinezza” , su esplicito desiderio e intuizione del grande Eugenio Colmo “Golia”, fra i più famosi illustratori e caricaturisti del Novecento, che “Balda” conobbe alla redazione della “Gazzetta del Popolo” ( dove lei lavorava come grafica e dove lui era tornato come direttore dell’Ufficio Vetrine nel ’44, profondamente segnato da drammatiche vicende esistenziali e famigliari) e con cui nacque un sodalizio d’amore e di arte che si manterrà per tutta la vita. Nata “per caso” nel 1906 a Genova (dove il padre Lodovico aveva trasferito per breve tempo la famiglia per lavoro) e scomparsa a Torre Pellice nel 1992, ad Alda Besso il Collegio San Giuseppe di via San Francesco da Paola a Torino dedica un’importante e ricca retrospettiva – una settantina i pezzi esposti fra dipinti, disegni, tecniche miste e curiosi piacevolissimi manufatti a panno lenci – curata da Alfredo Centra, Francesco De Caria e Donatella Taverna. In rassegna può dirsi rappresentato tutto il “percorso d’arte”, non meno che esistenziale (e mai, come nel suo caso, arte e vita hanno macinato insieme il tempo), compiuto in oltre sessant’anni di attività dall’artista: l’iter accademico in primis sotto la guida di Giulio Casanova e di Giacomo Grosso, la sottile fascinazione per le sospese silenti atmosfere casoratiane, i primi compositi e lineari paesaggi della periferia torinese, seguiti alla “buriana” emotiva che in lei produsse l’Esposizione di Torino del ’28 e la dirompente frenesia di quel secondo Futurismo che ritroviamo sintetizzato nell’aggressiva “Natura morta futurista” del ’31, così come nel “Sentiero”, fusain su carta del ‘39 esposto in mostra. E poi i ritratti. Grosso docet. Perfetto nei tratti di elegante compostezza – il naso marcato sormontato da spesse lenti da vista – e nelle combinazioni cromatiche ( con il pacato marrone del papillon sul bianco increspato della camicia) quello degli anni ’60 raffigurante il suo “Golia”. Con lui, molto più anziano (Colmo era nato a Torino nel 1885), Giò fondò, nella casa di corso Regina Margherita 101 a Torino – dove passò gran parte dell’intellighenzia artistica e culturale torinese – lo Studio “GoBes”, dove i due tennero prolifici corsi di pittura, grafica, design e scenografia per una nutrita corte di allievi, alcuni diventati nel tempo anche illustri. Uno per tutti, Giorgetto Giugiaro, rimasto particolarmente affezionato a “Giò”, anche dopo l’ esperienza di corso Regina. Furono quelli anni di intenso lavoro e grandi soddisfazioni. Seguiti da giorni e mesi carichi di amari presagi, diventati ben presto dolorose realtà. “Golia” (pare che il soprannome, riferito alla notevole statura, gli fosse stato appioppato da Guido Gozzano, suo compagno di scuola nei lontani anni del Liceo “Cavour”) morì nel settembre del 1967. Per “Giò” è quello l’inizio di una vita in ombra, segnata dal dolore, dalla memoria e dalla solitudine interiore. Nonostante tutto, incontra amici, partecipa a mostre e si sforza di mantenere viva la figura del marito attraverso interviste, pubblicazioni varie e il riordino delle sue carte e delle sue opere che sfociano nel ’68 nella pubblicazione de “Il mondo di Golia”, edito da “GoBes” e da lei curato. Di questo periodo, e fino agli anni ’80, sono ancora numerosi i ritratti. Di amici, famigliari, della sorella Bianca e della giovane amica Donatella Taverna con il bimbo di quest’ultima che in testa porta un cappello da moschettiere, dalla stessa “Giò” realizzato in panno e piume. Ma soprattutto, l’“Autoritratto” del ’76, che vediamo in mostra: i capelli ingrigiti, dietro l’armonia del volto le tracce dello scivolare degli anni, con un lieve e malinconico sorriso che cerca di annientare irremovibili malinconie. Piano piano “Giò” arriva alle ultime opere collettivamente definite “Sensazioni”: specchio di un’anima dolce indifesa e impaurita. Ecco allora i “Tronchi al vento”, dove il bosco partecipa e soggiace al vortice impetuoso delle emozioni, con una nera impercettibile presenza umana al riparo, in primo piano, di un albero. Figure nascoste e mani nascoste che s’intrecciano: le troviamo anche in alcune grandi composizioni floreali, su cui spesso vanno a posarsi variopinte farfalle e insetti. Apparenti scampoli di serenità. Anche in “Abbraccio” c’è sì il fondersi di affetti, ma le figure hanno perso volti e carne; sono oniriche sinuose e serpentine presenze – il gigante “Golia” e lo scricciolo “Giò”? – che abitano ormai mondi lontani. Separati. Diversi. A unirli, solo la drammaticità dei ricordi e dell’attesa.

Gianni Milani

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“Alda Besso. Un percorso d’arte nel Novecento”

Collegio San Giuseppe, via San Francesco da Paola 23, Torino; tel. 011/8123250 o www.collegiosangiuseppe.it

Fino al 23 febbraio

Orari: lun. – ven. 10,30/12,30 – 16/18; sab. 10,30/12,30

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Nelle foto

– “Autoritratto”, olio su tela, 1976
– “Sentiero”, fusain su carta, 1939
– “Golia”, olio su tavola, anni ’60
– “Tronchi  al vento”, fusain e china su carta, 1970
– “Euforbia e farfalla. Incontro n. 5”, tempera su carta, fine anni ’70
– “Abbraccio”, tempera olio e china su carta, anni ’70-’80

 

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