CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 648

Torna al teatro Regio "L'italiana in Algeri"

L’opera di Gioachino Rossini, per la regia di Vittorio Borrelli,  secondo Stendhal dal perfetto equilibrio tra genere serio e buffo

Torna in scena dal 22 al 28 maggio prossimi, sul palcoscenico del teatro Regio di Torino l’opera rossiniana “L’italiana in Algeri”, in cui Orchestra e Coro del Teatro Regio saranno diretti da Alessandro Demarchi.
Accanto al nome di questo direttore, affermato in campo internazionale, apprezzato alla Philarmornie di Parigi come al Festival di Salisburgo, figura un cast di interpreti di assoluto livello, tra cui la mezzasoprano Martina Belli nel ruolo di Isabella, il tenore Xabier Anduaga in quello di Lindoro, il basso Carlo Lepore in quello di Mustafa’, il basso Paolo Bordogna in quello di Taddeo, compagno di Isabella, e la soprano Sara Blanch in quello di Elvira, moglie di Mustafa’. La regia è di Vittorio Borrelli. Presenting partner Leonardo. Dramma giocoso in due atti, L’italiana in Algeri riprendeva un fatto di cronaca, la bizzarra vicenda di una signora milanese, Antonietta Frapolli, rapita nel 1805 e portata alla corte del bey di Algeri, Mustafa’-In-Ibrahim. Questa rappresenta la fonte più attendibile del libretto che Angelo Anelli appronto’ per l’opera di Luigi Mosca (teatro alla Scala, 1808), libretto che Gioacchino Rossini riutilizzo’ cinque anni dopo, quando l’impresario del Teatro San Benedetto di Venezia lo incaricò di comporre un’opera buffa. L’harem, il serraglio, la donna o l’uomo europei catturati e ridotti in schiavitù per ordine di un sultano, i tentativi di fuga conseguenti e la libertà finale conclusiva, grazie alla magnanimita’ del sultano, rappresentano delle costanti narrative del filone turchesco, che vengono rette da altrettante costanti musicali. Stendhal, “rossinista del 1815” per sua stessa definizione, incantato ammiratore del Rossini della “Pietra del paragone” e del “Tancredi”, anche nell’opera dell’Italiana riconosceva l’eredità del Cimarosa e della tradizione del canto italiano. A proposito dell’Italiana egli parla di “perfezione del genere buffo”. Stendhal si riferisce, con questa definizione, al perfetto equilibrio dei registri sentimentale, buffo e serio, riconosciuto anche dalla moderna critica come uno dei fattori della grandezza di questa opera lirica. La commistione tra genere serio e buffo nell’opera di Rossini è stata spesso sottolineata nel senso della trasmigrazione di materiale dell’opera buffa in opere serie. Nell’Italiana questa relazione avviene in senso contrario, nell’adozione di stilemi dell’opera seria entro l’opera buffa, non sempre nel senso della caricatura o della parodia. L’importanza attribuita ai ruoli vocali, la loro distribuzione, le loro dimensioni, l’impegno compositivo sono fattori che situano L’italiana in una posizione ben diversa da quella occupata dalle opere precedenti. Per quasi due secoli questo lavoro rossiniano ha proseguito, così, il proprio fortunato ed ininterrotto cammino.
 

Mara Martellotta

L'isola del libro

Rubrica settimanale sulle novità in libreria
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Camilla Läckberg “La gabbia dorata” -Marsilio Farfalle- euro 19,00
 
Cambia decisamente registro la regina del thriller svedese Camilla Läckberg, autrice dal successo planetario, tradotta in 42 lingue e pubblicata in 66 paesi. Bellissima come una top model, arriva dai fiordi con un noir dai connotati femministi in cui racconta un inferno coniugale, ma anche la capacità di riscatto e vendetta delle donne. Questa volta non ci narra le avventure della sua coppia vincente -la scrittrice Erica Falk ed il marito ispettore Patrick Hedström- ambientate a Fjällabacka, l’(apparentemente) idilliaco borgo di pescatori in cui l’autrice è nata. Però state tranquilli perché questo libro non delude le aspettative. Protagonista de “La gabbia dorata” è Faye che ha messo al primo posto il suo affascinante marito Jack. Ha interrotto gli studi per lavorare e mantenerlo, l’ha aiutato a costruirsi un patrimonio. Poi si è adagiata nell’idillio di una famiglia perfetta, una figlia splendida, casa lussuosa e stile di vita glamour, un marito di successo e lei che si è lasciata dietro talento e ambizioni. Peccato che il castello di carte venga improvvisamente spazzato via dal tradimento di Jack. Ed ecco venire a galla la sua vera natura di traditore seriale. Peggio ancora: si rivela uomo spietato che ama sottomettere e sminuire le sue donne, sottoponendole a violenze verbali e a perversioni che sono costrette a subire, sempre alla ricerca di quello che non ha, arrogante e abilissimo nel girare a suo favore gli eventi. Non solo tradisce Faye con una sua versione più giovane e più magra, ma la lascia senza nulla: la butta fuori di casa, la umilia e la tratta come se la colpevole del disastro fosse lei. Dapprima annientata e depressa, Faye, si rivela poi piena di risorse. Ha un passato oscuro e turbolento di violenza domestica che l’ha temprata, due amiche che tutte vorremmo avere, e una figlia da proteggere. Soprattutto è intelligente e machiavellica. Il suo è un piano geniale per risollevarsi; è stata lei la vera artefice del successo della società miliardaria di Jack e certo non ha dimenticato come si costruisce un impero dal nulla. Di più non va svelato, vi basti sapere che Faye ha ormai un solo obiettivo: la vendetta. Che va consumata con calma e pazienza, inducendo Jack ad abbassare la guardia per meglio intrappolarlo in una ragnatela di mosse che non gli lascino scampo. E preparatevi alle sorprese…
 
 
 
Lidia Ravera   “L’amore che dura” -Bompiani-   euro 18,00
 
La scrittrice torinese che aveva raggiunto uno strepitoso successo nel 1976 con “Porci con le ali”, (storia diventata manifesto della ribellione di un’intera generazione) da allora ha lavorato per cinema, televisione e teatro, e scritto una 30ina di romanzi. Cosa tiene legati due giovani innamorati che il tempo e le scelte hanno geograficamente diviso? Qual è e cos’è l’amore che dura tutta una vita? Per rispondere anche ad altre domande difficili sui massimi sistemi dell’esistenza, l’amore in primis, l’autrice usa come strumento d’indagine la scrittura e lo fa con un magnifico montaggio cinematografico. Imbastisce la storia di Emma e Carlo (ricordano un po’ i protagonisti di “Porci con le ali”, Rocco e Antonia) che s’innamorano giovanissimi, a 16 anni, quando sono ancora in quell’età terra di nessuno in cui si è informi fisicamente e ancor più interiormente. Sono attratti l’uno dall’altra come ferro e calamita, però le loro vite prendono tangenti diverse man mano che caratteri e ambizioni si delineano meglio. Lei è nata per aiutare i più deboli, diventa insegnante di borgata, e vorrebbe risolvere tutte le vite disgraziate in cui s’imbatte. Carlo invece sogna in grande: cinema, gloria e carriera lo attendono oltreoceano, a New York. Si amano fin dall’adolescenza, si sposano, ma nessuno dei due è disposto ad accantonare il suo progetto di vita per quello dell’altro. Finiranno per divorziare e rifarsi ognuno una nuova vita. Lei, che non ha voluto annullarsi per lui, resta in Italia; avrà una figlia e un nuovo compagno che di lavoro fa il sindacalista. Ormai Carlo è newyorkese da 20 anni, ha avuto un certo successo ed ha un’altra compagna. Viene invitato al Festival del cinema di Roma per presentare il suo ultimo film ispirato proprio alla love story adolescenziale tra lui ed Emma. Peccato che lei l’abbia stroncato su una rivista online. Si crea così l’occasione per un loro incontro anche chiarificatore, in cui lei progetta di rivelargli un segreto che lo riguarda e che si è tenuta dentro in tutti quegli anni. Ma quando stanno per rivedersi, il destino spariglia le carte ed Emma viene coinvolta in un incidente che la farà scivolare tra la vita e la morte. E’ la scheggia impazzita con cui Carlo, il nuovo compagno di Emma e la figlia Franny dovranno fare i conti, ricomponendo le tessere del passato e affrontando la portata dei loro sentimenti.
 
 
Shifra Horn    “Quattro madri”    -Fazi Editore- euro17,50
 
E’ un affresco tutto al femminile quello tratteggiato dalla scrittrice israeliana Shifra Horn nel romanzo “Quattro madri”, storia di 4 generazioni di donne nel corso dell’ultimo secolo a Gerusalemme. La scrittrice 68enne, nata a Tel Aviv nel 1951, da madre sefardita e padre russo, infanzia trascorsa a Gerusalemme, Laureata in Studi biblici e Archeologia, è stata anche corrispondente dal Giappone per 5 anni. Ma il suo cuore e i suoi libri sono per lo più ambientati in Israele, terra travagliata e divisa, di cui lei narra e assembla vicende storiche e drammi privati. Il romanzo è una saga in cui le donne sono protagoniste sullo sfondo delle vicende storico-politiche del paese. Un affresco epico e appassionante che s’intreccia con la tormentata storia della Palestina e dello Stato di Israele. E si percepiscono un affascinante realismo magico da fiaba, la forza delle tradizioni e dei riti che si perpetuano da tempi antichi; ma anche una buona dose di mistero e fantastico. E’ la storia di 4 madri sulle quali pesa una maledizione: crescere le figlie senza l’aiuto di un marito. Le loro vite sono ricostruite da Amal (5° generazione), che viene al mondo nel 1948, nella morbidezza del letto di ottone della bisnonna Sarah. E’ l’ultima delle madri, quella che dando alla luce un figlio maschio spezza la catena maledetta che aveva pesato sulle antenate. Anche suo marito si dilegua dopo il parto, ma a diluire la disperazione c’è la gioia delle anziane di casa perché finalmente non ci sarà un’altra femmina ad ereditare la sventura. La prima della stirpe di cui si racconta la vita è Mazal, poi c’è sua figlia Sarah dalla travolgente bellezza che incantava tutta Gerusalemme. Lunghi capelli biondi e tempra da guerriera; da sola, senza il suo grande amore, ha cresciuto i suoi figli tra mille difficoltà. E’ lei la bisnonna di Amal, ed è un’ anziana longeva, pilastro della famiglia, che lascia col sorriso sulle labbra questa vita, dopo aver visto il neonato. Figlia di Sarah è Pnina Mazal, il cui marito David è morto in guerra; a sua volta dà alla luce Gheula, che non si sposerà mai, cova un odio profondo per gli uomini e non vuol sentirsi chiedere notizie dell’uomo con cui ha concepito Amal. Una carrellata di donne molto diverse tra loro, ognuna con il suo personalissimo modo di affrontare la vita e le sfide durissime che impone, soprattutto a certe latitudini del mondo.
 

Enrico Ruggeri e il sax di Evan Parker

Gli appuntamenti musicali della settimana

Lunedì. Al Jazz Club si esibisce la cantautrice Giulia Mei.
Martedì. Al Blah Blah gli Earthset musicano dal vivo il film muto “L’uomo meccanico” di Andrè Deed ovvero Cretinetti.
Mercoledì. Al Jazz Club suona il duo folk L.A Woods. Allo Spazio 211 si esibisce il trio americano Messthetics, con la sezione ritmica dei Fugazi. Al cinema in città per tre sere consecutive, viene proiettato il documentario “ Asbury Park lotta,redenzione, rock’n’roll” dedicato a Bruce Springsteen.
Giovedì. Al Blah Blah si esibisce il duo californiano The Acharis. Al teatro Colosseo è di scena Cristiano De Andrè. Al Jazz Club l’organista Alberto Marsico suona in coppia con la cantante Sabrina Oggero Viale. All’Arteficio si esibisce Sarah Carlier. All’Opificio Cucine e Bottega per “Novara Jazz”, suona il quartetto di Andrea Marchetti.
Venerdì. Al Teatro Colosseo arriva Enrico Ruggeri, per presentare in concerto il nuovo album “Alma”. A San Pietro in Vincoli inaugurazione di “ Jazz is Dead” con i The Necks, Lino Capra Vaccina e il duo Tomaga. Al Blah Blah si esibisce il quartetto femminile Go Go Ponies. All’ Hiroshima Mon Amour suonano i Cockney Rejects assieme ai Truzzi Brothers. Per “Novara Jazz” alla Cascina Bullona di Magenta, si esibisce il quintetto Travelers.
Sabato. Al Blah Blah suonano i Dobermann e Stop Stop. Al Pala Alpitour arriva il duo Raf e Umberto Tozzi. Per “Jazz is Dead” a San Pietro in Vincoli, suonano i Winstons, Al Doum & The Faryds , Indianizer e Ariel Kalma. Per “Novara Jazz” al Museo Civico di Oleggio, sono di scena i NoTongues.
Domenica. Al Blah Blah si esibiscono Il Senato. Chiusura della rassegna “Jazz is Dead” a San Pietro in Vincoli, con l’ex Sonic Youth Thurston Moore in trio con il Jooklo Duo e il funambolico sassofonista inglese Evan Parker in associazione a setola di Maiale Unit, con di contorno il colletivo Grams , Fabrizio Modenese Palumbo, Renato Fiorito e Antonio Raia.
 

Pier Luigi Fuggetta

 
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La compagnia del Caffè

Proviamo a raccontare le storie di tutti coloro che dopo averci provato…ce l’hanno anche fatta a fare qualcosa nel mondo dello spettacolo d’intrattenimento, conoscendo la loro storia, i loro progetti e, soprattutto chi sono

 Ogni ambiente sviluppa caratteristiche proprie, ma, di solito, chi ce la fa ha caratteristiche che lo rendono unico. Scoprire i “segreti” di tali personaggi può essere una bella strada da conoscere. Dal positivo possono nascere solo cose buone, e noi proveremo a cercarlo e a raccontarlo.
Apriamo quindi questa serie di incontri con Sara Bagnato, fondatrice, anche se forse è improprio definirla così in modo “riduttivo” in quanto è più una “sognatrice concreta”, del gruppo la Compagnia Del Caffè. La “Compagnia del Caffè” nasce nel 2005, da uno di quei luoghi che una volta erano le prime fucine di tanti spettacoli e di grandi campioni dello sport, gli oratori, e nel nostro caso dall’oratorio di San Secondo dove Sara coinvolge un gruppo di ragazzi molto attivi nell’animazione di campi estivi, feste, gruppi giovanili e allestisce il primo spettacolo: “Aggiungi un posto a tavola” (di Garinei e Giovannini). Il risultato è sorprendente: lo spettacolo, pur essendo allestito da amatori, riscuote tantissimo successo fra amici, parenti, simpatizzanti, e decidono di continuare. I sogni sono talvolta vissuti nei momenti belli della notte, e poi alle prime luci dell’alba svaniscono e di loro resta solo un vago ricordo. Le persone che realmente credono nei propri sogni, come Sara, invece non vogliono vivere di ricordi, e si applicano affinché la vita diventi (almeno per alcuni istanti) un sogno. Ma non è facile. Infatti il gruppo è molto numeroso, ed è difficile trovare copioni adatti alle loro caratteristiche, ed è difficile ottenere i diritti di rappresentazione, senza un discorso “intenso” economico. I più lascerebbero stare, narrando epopee di storie mai vissute per giustificare la loro ignavia, ma Sara trova una soluzione che la coinvolge in prima persona: scrive lei un copione. Funziona. Da quel momento in poi inizia a scrivere lei tutti i copioni, strappando al proprio tempo libero la passione per il teatro e non perdere i propri sogni. Quanti di noi vorrebbero essere come lei. Ma la fatica è reale, non è un film, anzi, un teatro… Per un paio di anni propone un adattamento da due commedie popolarissime di Feydeau, traducendole personalmente dai testi originali (tradotti personalmente grazie al grande amore per la letteratura francese che le resta dal percorso di studi: laurea in lingue e letterature straniere – tesi in storia del teatro francese, Apollinaire e il teatro). Quando si vuole fortemente qualcosa, non si chiede ad altri, ma si va avanti in prima persona. Gli anni passano e la Compagnia del Caffè prosegue, e mi dice che “si allena, migliora”. E’ una squadra, il teatro non è un solo divertimento: per arrivare sul palco esiste un percorso lungo di studi e fatica, e se poi a farlo non guadagni nulla, vuol dire che cuore e passione sono dentro tutti i “teatranti”. Infatti molti intraprendono studi professionalizzanti, ma non tralasciano la passione. E, nel 2009, giunge la prima opera completamente originale per soggetto, quindi non più un copione su un soggetto noto. Originali anche le musiche. “Quarantaquattro gatti tutti su un tetto” (Sara Bagnato, Dario Salomone). Un bel traguardo. Cortina propone la scrittura del racconto omonimo “Tutti su un tetto”, ed il racconto viene scelto per essere presentato nella manifestazione “Un tram per la lettura” abbinato al Salone del Libro. Le pagine del libro sono lette da Matteo Brancaleoni. L’autrice e alcuni componenti del cast salgono sul tram con i costumi di scena, travestiti da gatti e allo stesso modo si presentano al Salone del Libro. Un pizzico di sana follia aiuta sempre, sia sulla scena che nella vita. E loro ci sembrano folli al punto giusto… .Nel 2011 nasce “Specchio riflesso”, nuovamente edito da Cortina nella versione racconto. Nel tempo la Compagnia cresce e personalizza sempre di più il suo stile. Si allontana dal musical tradizionale. La scrittura dei copioni riflette la naturalezza appresa dall’autrice nello studio del doppiaggio (corso triennale professionale ODS Torino). Ironia e leggerezza sono ingredienti fondamentali che fanno sì che si crei un rapporto di perfetta empatia fra i personaggi e il pubblico. Una cosa particolare è che al termine di ogni spettacolo l’energia e l’emozione “scendono” dal palco e il pubblico, al termine degli spettacoli, abbraccia gli attori e chiacchiera con loro. Assistere a uno spettacolo della Compagnia del Caffè non è solo trascorrere una serata a teatro, ma è vivere un’esperienza che ti tocca nel profondo. I fan sentono di essere parte del “gruppo” e seguono e scrivono messaggi sulla pagina Facebook e gli attori sono tanto abili nella rappresentazione quanto vicini a chi li guarda. La Compagnia del Caffè ha un altro elemento importante. Fin dalla sua nascita, sostiene progetti benefici dedicati, in particolare, ai bambini. Lo fa attraverso donazioni, iniziative e regalando i proventi di tutti i suoi spettacoli ad associazioni e ONLUS impegnate nel sociale. Vivere nella Compagnia del Caffè è per tutti i performer e gli assistenti dello staff è più di un lavoro: è una gioia ed una passione; infatti svolgono la loro attività a titolo gratuito, investendo moltissime ore ogni settimana da 15 anni. In un mondo in cui non si fa niente per nulla, allora vuol dire che essere parte della Compagnia di Sara e i suoi “amici” vale moltissimo. Forse quel qualcosa che il denaro non può comprare: amicizia e serenità. Siamo tutti in attesa del prossimo spettacolo: “Essere o non essere poveri”. Il copione è stato scritto ovviamente da Sara Bagnato, autrice e direi di più ideatrice di tutti gli spettacoli della Compagnia del Caffè, e in questo caso si aggiunge il fatto che il soggetto questa volta è stato ideato da uno dei performer più giovani della Compagnia, Paolo Tortomano (neo laureato in DAMS). Lo spettacolo racconta la storia di una ragazza scomparsa e della sua famiglia che la sta cercando. Due senzatetto la incontrano per strada e si impegnano a riaccompagnarla a casa, senza sapere però che qualcuno ha tramato un piano malefico per allontanarla. Nel corso della storia si incrociano le vite di molti personaggi che vengono messi a nudo da tre Indovine: l’Indovina del Passato, del Presente e del Futuro. Un po’ magiche e un po’ ciniche, le Indovine tessono i destini dei protagonisti di “Essere o non essere poveri”, un’esilarante commedia musicale che, con qualche nota amara, ci racconta come possano assomigliarsi la povertà e la ricchezza. Il tempo saprà dare il giusto valore a chi, pur lavorando tutti i giorni normalmente per poter vivere la propria vita, lavora con rinnovato impegno anche sul palco di un teatro tra prove in luoghi inverosimili e orari rubati al tempo libero. Ma forse è questo il miglior lato di chi fa ciò che gli piace: non vede come una fatica stare con persone amiche, e se questo porterà un sorriso nel mondo, potremo dire solo grazie a persone come Sara e la sua “compagnia”.
 
Paolo Michieletto

 
Per info spettacoli pagina Facebook Compagnia del Caffè.
29 e 30 maggio 2019 – Teatro Astra
dal 6 al 9 giugno 2019 – Teatro Le Serre

Torino, città delle 1000 corde

I tre Musei della Fondazione Torino Musei collaborano anche quest’anno al festival promosso dal Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino, diventando un palcoscenico speciale per gli allievi che si esibiranno tra le opere della GAM, di Palazzo Madama e del MAO

 

In questa seconda edizione, dal 17 al 29 maggio 2019, sono stati organizzati 19 concerti nei Musei della città, 9 concerti nei Musei scolastici e in 8 Biblioteche civiche, una tavola rotonda e quasi 200 esecutori: questo è il Festival Torino Città delle 1000 corde che il Conservatorio dona alla sua città per esaltarne la cultura, i Musei, le diverse Istituzioni che fanno di Torino da sempre una città unica. Il tema scelto quest’anno è Il Mare il Viaggio la Musica.

Domenica 19 maggio 2019 ore 17 e Sabato 25 maggio ore 16

TORINO CITTÀ DALLE 1000 CORDE. SUGGESTIONI MUSICALI D’ORIENTE

MAO – concerto

Il MAO Museo d’Arte Orientale presenta due appuntamenti nei quali il tema del viaggio, ovviamente, sarà al centro delle esecuzioni.

L’immagine guida dell’iniziativa è Veliero di Carlo Buffagnotti (per gentile concessione della Biblioteca Estense di Modena), musicista e pittore seicentesco che nella sua visionarietà ci trascina fuori da uno specifico spazio temporale con la musica e la pittura.

La musica dipinta sulle vele è il vento che sospinge il vascello, in questo viaggio immaginario dall’antichità ai nostri giorni. Navigare vuol dire conoscere popoli e altre culture, così al MAO domenica 19 maggio 2019 alle 17 si potrà assistere al concerto Suggestioni musicali d’Orientecomposto da brani tradizionali della Corea, del Giappone e della Turchia, e brani contemporanei dall’Armenia, dalla Grecia, dalla Moldavia/Romania e ancora dalla Turchia.

 

Sabato 25 maggio nelle sale della collezione permanente del Museo dalle 16.00 si potrà assistere alla performance musicale Sindbad una favola per chitarra di Carlo Domeniconi e – sempre per chitarra- Water music. Dalle 18.00 tra i giardini giapponesi del museo Elassomorph diStephen Funk Pearson.

 

Performance con ingresso incluso nel biglietto del museo.

Tra petrolio, coyote e… sciacalli

Persino una raccolta di racconti brevi pubblicata nel 1989 da William S. Burroughs, simbolo della Beat Generation, ne prese il nome, minaccioso e inquietante: “Tornado Alley”

E’ tutta quella fascia di territorio che comprende le pianure dei fiumi Mississippi e Ohio e la valle del basso corso del fiume Missouri, così come la parte sud-orientale degli Stati Uniti; vi sono inglobati Oklahoma, Kansas, Arkansas, Missouri e Iowa, cui si aggiungono nord-est del Texas, Colorado orientale, nord della Louisiana, centro e sud di Minnesota e South Dakota, nord-ovest del Mississippi, centro e sud dell’Illinois, Indiana sudoccidentale, sud-est e sud-ovest del Nebraska e aree di Tennessee, Kentucky e Wisconsin. Grande area territoriale… ma sicuramente definizione soprattutto mass-mediatica, con scarsi fondamenti scientifici e aree geografiche che non sempre rispecchiano la reale incidenza di tornados e il loro impatto al suolo. Fatto sta che la base meridionale della “Tornado Alley” si situa in Texas, sostanzialmente nell’area a nord di Dallas, sulla direttrice per Oklahoma City. Texas terra di petrolio, pianure, canidi di vario tipo tra cui il coyote…. ma gli sciacalli? Che ci siano o no poco importa, importa che piacevano tanto alle bands degli anni Sessanta nomi selvatici, da outcasts, da reietti di vario genere; e non poteva che essere gettonato un nome del tipo The Jackals. Ed eccola la band, sorta nel 1964 a Denton (Texas), ma composta (nella sua formazione definitiva dopo qualche tempo) da Billy Lawson (V), Mike Neal (chit), Ronny Sterling (b), John Talley (org), Phil Campbell (batt); il serbatoio erano il Cook County Jr. College e la North Texas State University e la guida manageriale era il magnetico e tentacolare George Rickrich (che era stella polare dei concittadini ma ben più famosi The Chessmen). In ogni caso The Jackals sapevano contaminare col loro entusiasmo parecchi frat parties di Dallas e dintorni e locali tra cui “Lou Ann’s”, “The Dunes” e “The Pirates’ Nook”; piacevano per il “soul flavour”, influenzato da Wilson Pickett, Percy Sledge, ma con impronta “British Invasion” (specialmente Yardbirds, Animals e Rolling Stones). La direttrice dei gigs era tra San Antonio, Austin, Waco, Fort Worth fino a Norman e Oklahoma City a nord e si può senz’altro affermare che The Jackals erano soprattutto band da esibizioni live, con scarsissima propensione all’incisione o agli studi di registrazione. Ne è prova il fatto che ci si accorse del loro contributo solo a più di vent’anni di distanza, allorquando il loro acetato col singolo “Love Times Eight” diventò brano cult; ciò a seguito di un lavoro di recupero di unreleased di varie bands ad opera di collaboratori ed emissari della casa Cape Crusader Records di Kansas City. Ne derivò una nutrita raccolta di brani inediti di carattere eterogeneo e di gruppi di differenti influenze musicali e aree territoriali, ma “Love Times Eight” dei The Jackals spiccò immediatamente nei gusti dei cultori del rock di nicchia, non solo nel genere garage. Della band si perdono quasi tutti i riferimenti dopo il 1966, allorquando Mike Neal, chiamato nella Air Force, dovette abbandonare, sostituito da William Williams. Non è da escludere che le esibizioni fossero comunque frequenti e il calendario fitto, anche se è presumibile che l’attività manageriale di George Rickrich, ormai orientata sui Chessmen, avesse “scaricato” The Jackals, condannandoli ad una lenta ed inesorabile parabola discendente sicuramente dal 1967. “Love Times Eight” resta comunque tuttora punto di riferimento degli aficionados del garage di nicchia e di quella vasta area degli inediti protopunk degli Stati Uniti di metà anni Sessanta.
 

Gian Marchisio

 

 
 

Vivolibro 2019. Nel Mondo del Piccolo Principe

Fra teatro, musica, arte e scenografie en plein air rivive nelle Langhe il mondo del piccolo – grande personaggio creato da Saint-Exupéry

Monforte d’Alba (Cuneo)
Dopo Marco Polo (2011), Mr Phileas Fogg (protagonista de “Il Giro del Mondo in 80 giorni” – 2013), Don Chisciotte (2015) e Pinocchio (2017), sarà il personaggio semplice, fragile e curioso de “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry, per eccellenza fra gli eterni classici dell’infanzia (pubblicato per la prima volta a New York nel 1943), il protagonista di “Vivolibro 2019”, manifestazione e progetto didattico biennale promosso dalla Fondazione Bottari Lattes di Monforte d’Alba (Cn), giunto quest’anno alla sua quinta edizione, con lo scopo di avvicinare i bambini delle scuole elementari alla lettura e a sensibilizzarli su valori universali, quali il rispetto e la comprensione dell’altro, l’accettazione e l’accoglienza delle diversità, insieme alla curiosità di scoprire il mondo. Dopo un anno di laboratori artistici, teatrali e letterari realizzati nelle scuole di Piemonte e Liguria (circa 50, per un totale di più di 60 classi e 3mila bimbi coinvolti), “Nel Mondo del Piccolo Principe” prende vita nel borgo storico di Monforte d’Alba, nelle Langhe Patrimonio Unesco, da lunedì 20 a domenica 26 maggio prossimi. Sette giornate in cui le vie, le piazze, i cortili e i luoghi pubblici del paese – trasformato in una sorta di libro a cielo aperto – si coloreranno di grandi scenografie, spettacoli di teatro, musica e danza, animazioni, laboratori artistici, mostre e giochi didattici, per ricreare e far rivivere, soprattutto a bambini e famiglie, la poetica storia del Piccolo Principe e dei personaggi da lui incontrati nel suo viaggio, le atmosfere e le suggestioni ispirate da una delle opere letterarie più celebri e amate del XX secolo. Il tutto scandito e incorniciato dai pannelli scenografici disegnati all’uopo dalla nota illustratrice (e scrittrice) torinese Francesca Chessa, che, a proposito del compito affidatole, ricorda: “Mi sono sentita intimidita di fronte a quest’opera così famosa…Ho riletto il testo molto attentamente e ho cercato di interpretarlo, consapevole di essere di fronte a un personaggio così conosciuto da non volerlo stravolgere troppo. Unico tocco contemporaneo ho pensato potesse essere, sul braccio del Piccolo Principe, il tatuaggio della rosa che egli tanto amava da portare con sé anche durante il viaggio lontano dal suo pianeta. Ho pensato allora a mio nipote Riccardo che ha nove anni e che è affascinato dai tatuaggi (temporanei) dei suoi eroi preferiti”. Impressionanti le cifre che, in sintesi, rendono l’idea della grandiosa felice complessità delle sette giornate di Monforte: circa 70 appuntamenti (molti dei quali realizzati dagli stessi ragazzi), 30 performance degli alunni delle scuole elementari guidati dagli artisti dell’Associazione Mus-e insieme ad altre realtà culturali del cuneese e dell’astigiano che durante l’anno scolastico hanno seguito i laboratori, 28 animazioni e la prima assoluta dello spettacolo “Nel Mondo del Piccolo Principe” di Fondazione Teatro Ragazzi e Giovani Onlus di Torino (diretto da Luigina Dagostino e che ogni giorno farà da conclusione alle varie attività nella cornice dell’Auditorium Horszowsky, situato nel punto più alto del borgo), 5 mini – atelier artistici “Ricordo di Me Bambino” condotti dalla designer Tiziana Redavid e la mostra “Une etoile de plus – Una stella in più” dell’illustratrice Madeleine Frochaux con dettagli in colori fluorescenti visibili con luce UV, in programma fino al 30 giugno.

Organizzazione:
“Vivolibro” è organizzato dalla Fondazione Bottari Lattes ed è realizzato in collaborazione con Fondazione Teatro Ragazzi e Giovani Onlus di Torino, Associazione Mus-e Italia, Associazione “Don Chisciotte siamo noi”, Associazione Nuove Rotte, con il sostegno di Regione Piemonte, Comune di Monforte d’Alba, Compagnia di San Paolo (Main Sponsor), Acqua San Bernardo, Unione di Comuni Colline di Langa e del Barolo, Gilda Brosio, sotto gli auspici di Cepell-Centro per il libro e la lettura. “Vivolibro 2019” aderisce inoltre alla campagna Il Maggio dei Libri del Cepell di Roma.
Fra Piemonte e Liguria, circa 50 le scuole elementari coinvolte, a:
Torino, Savona, Genova, Albenga, Borgio Verezzi, Cengio, Leca di Albenga, Millesimo, Pietra Ligure, Alba, Barolo, Bene Vagienna, Bra, Canale, Canelli, Cherasco, Diano d’Alba, Dogliani, Farigliano, Gallo Grinzane, Guarene, La Morra, Monforte d’Alba, Montà d’Alba, Monticello d’Alba, Neive, Novello, Trinità
I luoghi del “Mondo del Piccolo Principe” a Monforte d’Alba:
Piazza Umberto I, Palazzo Martina, Largo Marconi, Piazzetta Cavour, Auditorium Horszowski, Fondazione Bottari Lattes, Biblioteca-Pinacoteca Mario Lattes.
Info:
eventi@fondazionebottarilattes.it, organizzazione@fondazionebottarilattes.it – 0173/78.92.82
WEB fondazionebottarilattes.it | FB Fondazione Bottari Lattes | TW @BottariLattes | YT FondazioneBottariLattes

g.m.

Nelle foto
– Il manifesto di “Nel mondo del Piccolo Principe”
– Francesca Chessa: Illustrazioni realizzate per la manifestazione

L'opera autobiografica di Primo levi raccontata a teatro

“ME, MI CONOSCETE” IL SISTEMA PERIODICO 
Convincente, emozionante, magnetica l’esecuzione scenica di Luigi lo Cascio, accompagnata da un sound design intenso ed energico firmato G.U.P. Alcaro

Lo spettacolo, realizzato con la collaborazione del Centro Internazionale di Studi Primo Levi, il Comitato per le Celebrazioni del Centenario della Nascita di Primo Levi e prodotto dal Teatro Piemonte Europa, è ipnotico, cattura la platea dal primo momento e riesce a conquistarne l’attenzione per tutta la durata. Il Sistema periodico è il testo dove si concentra tutta l’opera di Primo Levi, una rappresentazione completa della sua vita, il lavoro più “primoleviano” diceva Italo Calvino, il “migliore libro di scienza di tutti i tempi” secondo il quotidiano inglese The Guardian. Composto da ventuno storie, ognuna dedicata ad un elemento chimico, è la storia della passione originaria, della vocazione dell’autore: la scienza. Comincia con Idrogeno, che racconta la giovinezza di aspirante chimico e tecnico all’università, ma anche del lavoro in fabbrica e della ricerca tecnologica. In Zinco invece si affronta, con un tono decisamente più romantico, l’amicizia femminile, mentre nella centrale Cerio si viene catapultati nella dolorosa tragedia dei lagher, all’interno dei laboratori gestiti dai nazisti, dove Levi fa una grande amicizia, quella con Alberto Dalla Volta, già raccontata in Se questo è un uomo, l’altro famoso libro dello scrittore. A ventanni da Auschwitz, nelle pagine dedicate al Vanadio, Levi si imbatte in Müller, uno di quei tedeschi che avevano disposto di noi, che ci avevano guardato negli occhi, come se noi non avessimo occhi” racconta, un incontro dolente e toccante che lo riporta nell’angoscioso passato. Infine, in Carbonio, si parla della straordinaria scoperta, dell’atomo di carbonio appunto, “al carbonio, elemento della vita, era rivolto il mio primo sogno letterario, insistentemente sognato in un’ora e in un luogo nei quali la mia vita non valeva molto”  ricorda tristemente. Un capolavoro dedicato alla scienza dunque, ma anche un triste e drammatico viaggio nel passato, all’interno di una delle pagine più buie e disperate della storia dell’umanità durante la quale la barbarie è arrivata a toccare i più oscuri e spaventosi abissi di disumanità.

Maria La Barbera


 
 
 

Rinascimento e pittura russa, Conlon dirige all’Auditorium Rai

Il Rinascimento e la pittura russa sono i protagonisti assoluti di tre grandi concerti diretti dal maestro James Conlon, con protagonista l’Orchestra Nazionale della Rai di Torino, prima al Teatro delMaggio Musicale Fiorentino, nell’ambito dell’omonimo Festival,mercoledì 15 maggio, poi giovedì 16 maggio, alle 20.30, con replica venerdì 17 maggio alle 20, allAuditorium Rai Arturo Toscanini di Torino.Brano di apertura del concerto è il Trittico Botticelliano per piccola orchestra di Ottorino Respighi, composto nel 1927 su commissione della ricca patronessa Elizabeth Sprague Coolidge. Ispirata a tre famose tele del Botticelli esposte agli Uffizi di Firenze, La Primavera, L’adorazione dei Magi e La nascita di Venere, la pagina, di intima natura, è stata considerata dal musicologo Massimo Mila un “cesello di grazia quattrocentesca nella linearità chiara e nervosa di un’orchestra ridotta all’essenziale. Il soggetto e lo spirito di ciascuno dei dipinti del Botticelli  sono riprodotti in musica, evocati con antichi motivi, ritmi di danza, atmosfere delicate e la partitura è affidata ad un organico strumentale di proporzioni contenute.Il boemo Bohuslav Martinu è l’autore del secondo brano ispirato agli Affreschi di Piero della Francesca, composto nel 1953, nato dalla profonda suggestione provata dal compositore di fronte alla vista degli affreschi contenuti nella Basilica di San Francesco ad Arezzo e che fanno parte del ciclo ispirato alla Leggenda della Vera Croce.A chiudere la serata sono i Quadri di un’esposizione, composti da Modest Musorgskij nel 1874, per lorchestrazione di Maurice Ravel. Fu l’occasione di una visita alla mostra postuma di disegni dell’amico architetto Victor Hartmann a fornire a Musorgskij lo spunto per comporre una suite di pezzi pianistici di grande fantasia,in cui egli descrive dieci quadri in cui si celano altrettanti stati d’animo. Maurice Ravel, su cui la musica russa esercitò una potente attrattiva, rimase talmente conquistato dal fascino dei Quadri da realizzarne una versione orchestrale di straordinaria bellezza. I Quadri di un’esposizione si presentano come un percorso ideale in cui pagine descrittive si alternano a brevi episodi musicali che indicano lo spostamento del visitatore da una sala all’altra. L’autore utilizza spunti iconografici per creare con forza visionaria  quadri musicali autonomi che riflettono il gusto per le scene popolati, il mondo della  fiaba e dell’infanzia, la concezione della tradizione russa e della storia che affonda le sue radici nell’epica. La trascrizione geniale di Ravel rispetta il testo originale e comprendequattordici pezzi, di cui quattro costituiti da una Promenade.

 Mara Martellotta

Libere come Rita

Torino e le sue donne
Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce
Con la locuzione “sesso debole” si indica il genere femminile. Una differenza di genere quella insita nell’espressione “sesso debole” che presuppone la condizione subalterna della donna bisognosa della protezione del cosiddetto “sesso forte”, uno stereotipo che ne ha sancito l’esclusione sociale e culturale per secoli. Ma le donne hanno saputo via via conquistare importanti diritti, e farsi spazio in una società da sempre prepotentemente maschilista. A questa “categoria” appartengono figure di rilievo come Giovanna D’arco, Elisabetta I d’Inghilterra, Emmeline Pankhurst, colei che ha combattuto la battaglia più dura in occidente per i diritti delle donne, Amelia Earhart, pioniera del volo e Valentina Tereskova, prima donna a viaggiare nello spazio. Anche Marie Curie, vincitrice del premio Nobel nel 1911 oltre che prima donna a insegnare alla Sorbona a Parigi, cade sotto tale definizione, così come Rita Levi Montalcini o Margherita Hack. Rientrano nell’elenco anche Coco Chanel, l’orfana rivoluzionaria che ha stravolto il concetto di stile ed eleganza e Rosa Parks, figura-simbolo del movimento per i diritti civili, o ancora Patty Smith, indimenticabile cantante rock. Il repertorio è decisamente lungo e fitto di nomi di quel “sesso debole” che “non si è addomesticato”, per dirla alla Alda Merini. Donne che non si sono mai arrese, proprio come hanno fatto alcune iconiche figure cinematografiche quali Sarah Connor o Ellen Ripley o, se pensiamo alle più piccole, Mulan.  Coloro i quali sono soliti utilizzare tale perifrasi per intendere il “gentil sesso” sono invitati a cercare nel dizionario l’etimologia della parola “donna”: “domna”, forma sincopata dal latino “domina” = signora, padrona. Non c’è altro da aggiungere. (ac)
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4. Libere come Rita
Una delle donne che forse più di tutte ha contribuito a cambiare il mondo con ciò che ha detto e ciò che ha fatto è proprio la nostra gloria nazionale, Rita Levi Montalcini, l’unica donna italiana ad aver vinto un premio Nobel scientifico. 
Una figura a cui dovremmo guardare più spesso, soprattutto nei momenti di difficoltà, quando ci sembra di aver perso la bussola: è una scienziata che soprattutto i giovani dovrebbero aver ben presente, in modo da poter scegliere a quale insegnamento aggrapparsi per perseguire la propria strada e i propri sogni. Non a caso sono stati numerosi i progetti del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) rivolti ai ragazzi, visti logicamente come l’unica possibile risorsa su cui investire per il futuro. Rita insegna che “nella vita non bisogna mai rassegnarsi né arrendersi alla mediocrità, occorre uscire da quella zona grigia in cui tutto è abitudine e rassegnazione passiva; è necessario coltivare il coraggio di ribellarsi”. Contro questo periodo di immobilismo generale, Rita ci rincuora dicendo: “Qualunque decisione tu abbia preso per il tuo futuro, sei autorizzato, e direi incoraggiato, a sottoporla ad un continuo esame, pronto a cambiarla, se non risponde più ai tuoi  desideri”. Rita Levi Montalcini nasce a Torino nel 1909, da Adamo Levi, ingegnere elettronico e da Adele Montalcini, pittrice. Rita è sorella di Anna e di Gino, che diventerà negli anni Trenta un noto scultore e architetto, e sorella gemella di Paola, anche lei pittrice come la madre. Rita appartiene a una famiglia ebrea sefardita, molto colta, e i genitori instillano ben presto nei figli l’apprezzamento per la ricerca intellettuale. Trascorre l’infanzia e l’adolescenza in un ambiente sereno, ma dominato da una concezione vittoriana nel rapporto con i genitori, basato sulla netta distinzione dei ruoli femminili e maschili; centrale è la figura del padre, inizialmente convinto che la carriera professionale desiderata dalla figlia avrebbe interferito con i doveri di moglie e di madre. Rita riesce però a convincere il padre e si laurea nel 1936 in Medicina presso l’Università di Torino. Fin dal primo anno di Università lavora come internista nell’istituto di Giuseppe Levi, dove conosce Salvatore Luria e Renato Dulbecco. Ciascuno dei tre giovani, che diventeranno presto amici, vincerà il premio Nobel. Mentre si sta specializzando in Psichiatria e Neurologia, nel 1938, vengono emanate le leggi razziali e lei, di origine ebrea, è costretta a emigrare in Belgio. A Liegi continua a lavorare con Giuseppe Levi; quando la Germania nazista invade il Belgio, Rita scappa a Bruxelles per poi riuscire a tornare finalmente a Torino, dove continua a fare ricerca allestendo un piccolo laboratorio casalingo. Proprio in casa inizia a studiare il sistema nervoso degli embrioni di pollo. La guerra non è ancora finita e Rita trova rifugio nelle campagne torinesi, si sposta poi a Firenze, dove prende contatto con le forze partigiane e dove opera come medico al servizio degli alleati. Una volta finita la guerra torna nuovamente nella città natale e continua la sua attività di ricerca. Nel 1947 accetta l’invito del neuroembriologo Viktor Hamburger e si reca negli Stati Uniti presso la Washington University di Saint Louis. Qui, nel 1954, insieme al suo collaboratore Stanley Coen, scopre il Nerve Grovth Factor (NGF), una proteina coinvolta nello sviluppo del sistema nervoso. E’ proprio grazie a questa scoperta che nel 1986 i due ricercatori otterranno il premio Nobel e sempre grazie a questa scoperta sono nate le discipline che vanno sotto il nome di Neuroscienze e che hanno come oggetto di studio il cervello umano. Nonostante la sua attività scientifica si sviluppi prevalentemente negli Stati Uniti, Rita non dimentica l’Italia. Tra il 1961 e il 1962 crea a Roma un centro di ricerca sul Fattore di Crescita del Tessuto Nervoso, NGF, e nel 1969 fonda e dirige l’istituto di Biologia Cellulare presso il CNR. Dal 1979 si trasferisce definitivamente in Italia. Nel 2002 fonda l’EBRI (European Brain Research Institute) sempre a Roma. Nel 1998 fonda la sezione Italiana della Green Cross International, riconosciuta dall’ONU e presieduta da Gorbaciov. Dal 2001 riveste la carica di senatore a vita. Rita levi Montalcini muore il 30 dicembre 2012, all’età di 103 anni, nella sua abitazione romana nel viale di Villa Massimo, nei pressi di Villa Torlonia. Il 31 dicembre viene allestita la camera ardente presso il Senato e il giorno seguente la salma viene trasferita a Torino, dove è accolta da una breve cerimonia privata con rito ebraico.
Il 2 gennaio si svolgono i funerali in forma pubblica. Dopo la cremazione, le sue ceneri vengono sepolte nella tomba di famiglia nel Campo Israelitico del Cimitero Monumentale di Torino.  Rita ha sempre affermato di essere e di sentirsi una donna libera e da donna libera ha vissuto. Ha deciso di rinunciare a un marito ed una famiglia per dedicarsi completamente alla scienza. Riguardo all’esperienza di donna nell’ambito scientifico, Rita descrive i rapporti con gli altri colleghi, collaboratori e studiosi, come incontri amichevoli e paritari, sostenendo sempre che “le donne costituiscono al pari degli uomini un immenso serbatoio di potenzialità, sebbene ancora lontane dal raggiungimento di una piena parità sociale.” Nella prima metà degli anni Settanta, Rita partecipa all’attività del Movimento di Liberazione Femminile per la regolamentazione dell’aborto. Da sempre paladina e promotrice del libero pensiero, ha dichiarato in più di un’occasione che tale visione di vita era da imputare a suo padre, il quale diceva sempre a lei e a sua sorella che dovevano essere entrambe libere pensatrici, “e noi siamo diventate libere pensatrici prima ancora di sapere che cosa volesse dire pensare”.  Non è possibile provare a riassumere degnamente centotre anni di vita illuminata in così poco spazio, e allora, per concludere questa rapida presentazione di una delle donne più grandi di sempre, mi piace ricordare una sua riflessione, a me molto cara, e che credo possa essere emblematica per il messaggio che la figura della scienziata rappresenta: “Rifiutate di accedere a una carriera solo perché vi assicura una pensione. La migliore pensione è il possesso di un cervello in piena attività che vi permetta di continuare a pensare usque ad finem, “fino alla fine”.
 

Alessia Cagnotto