CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 637

100% Italia. Cent’anni di capolavori

FINO AL 10 FEBBRAIO 2019

E’ stato definito “un evento unico nel suo genere”. E mai definizione fu così veritiera, per l’imponenza quantitativa e la qualità del progetto. Che certamente avrà richiesto una montagna di coraggio oltreché impegno da vendere e una profonda competenza storico-scientifica da parte dell’intera organizzazione. Ideata e coordinata da Andrea Busto, direttore del MEF – Museo Ettore Fico di Torino e curata da un team di sette storici e critici dell’arte di comprovata levatura ( da Luca Beatrice a Lorenzo Canova a Claudio Cerritelli e a Marco Meneguzzo in buona compagnia con Elena Pontiggia, Luigi Sansone e Giorgio Verzotti), la rassegna “100% Italia. Cent’anni di capolavori” vuole raccontare – fino al 10 febbraio del prossimo anno – un secolo d’arte in Italia, il made in Italy assolutamente doc dell’arte novecentesca, dagli anni immediatamente precedenti al 1915, anno d’avvio per il nostro Paese della Grande Guerra fin quasi ai giorni nostri: in sostanza, da quando i Futuristi proclamavano a gran voce di voler “bruciare i musei e le biblioteche” per dare un calcio alla storia passata, fino a quel 25 febbraio 2015 quando i jiadisti tradussero tragicamente in fatti le altisonanti buriane di “Marinetti & co.”, bombardando Ninive e distruggendo i reperti archeologici del Museo di Mosul. Il viaggio, sia pur compiuto a volo d’arte, è imponente e quasi spaventa per la complessità e l’ampiezza del percorso. A voler “evidenziare il ruolo preminente dell’arte italiana, che ha saputo segnare profondamente – sottolineano gli organizzatori – la creatività europea e quella mondiale” lungo il corso del “secolo breve”, le opere esposte sono ben 630 (a firma di oltre 400 artisti, autentiche icone della storia dell’arte del secolo scorso), tre le città coinvolte – Torino, Vercelli e Biella – e sette le sedi espositive. In mostra, un patrimonio inestimabile, in molti casi inedito e che difficilmente potrà essere rivisto in un unico “blocco” dal momento che tutte le opere provengono da collezioni private, dagli archivi di musei e fondazioni, oltreché dall’Associazione Nazionale delle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, dall’Associazione Fondazioni e Casse di Risparmio, nonché dalle Gallerie d’Italia di Intesa San Paolo.

A TORINO

Sono quattro, nel capoluogo piemontese, i punti espostivi dedicati ad alcune fra le correnti artistiche più significati del nostro Novecento. Al MEF (via Cigna, 114 – tel. 011/853065) vanno di scena Novecento, Corrente, Astrazione e Informale, con un lungo elenco di artisti in parete che vanno, solo per citarne alcuni, da Felice Casorati ad Arturo Martini (con un bellissimo “Ritratto di ragazzo” in terracotta del ’21), passando per Sironi e Dudreville (suoi gli iperrealistici “Occhiali” datati ’25). E poi ancora i Sei di Torino, le “nature morte” di Carena e Guttuso, e i pittori dell’astrazione, da Spazzapan a Carol Rama a Giò Pomodoro, fino all’informale gestualità di Vedova o al “Sacco” di Burri e al “Concetto spaziale” di Fontana. A seguire (e consapevolmente tralasciandone altri), Pinot Gallizio, Fico, Cherchi con le sue sculture e Garelli e Cordero. Nelle sale del MEF Outside (via Juvarra, 13 – tel. 011/0343229) è invece la Pop Art a raccontarsi attraverso le opere dei nostri “grandi”, da Schifano ad Angeli a Gribaudo a Nespolo, mentre al Mastio della Cittadella (via Cernaia, 1- tel. 011/01134494) troviamo gli esponenti dell’Arte Povera (da Celant all’ “Illuminazione Zen” di Rotella) e alcuni fra i più emblematici rappresentanti dell’Optical, del Minimalismo e del Concettuale, fra i quali Pistoletto, Salvo, Paolini, Boetti, Mario e Marisa Merz con Gilardi, Penone e Anselmo. A chiudere a Torino, sono la Transavanguardia, Nuova Figurazione e International con opere esposte a Palazzo Barolo ( via Corte d’Appello 20/c – tel. 011/2636111) a firma di Nicola De Maria, Paladino, Chia, Mondino insieme a Cattelan, Mainolfi, Stoisa e altri.

A VERCELLI

Nella Città del Riso, la mostra trova ospitalità con tutte le suggestioni della Metafisica, del Realismo Magico e della Neometafisica, negli spazi del Polo Espositivo “L’Arca” (piazza San Marco, 1 – tel. 0161/596363). Siamo ovviamente nel regno incontrastato di Giorgio De Chirico (fra le opere esposte l’epica “Battaglia sul ponte”, realizzata dal “Pictor Optimus” nel ’69), ma anche di Morandi e di Savinio e dei “Fiori” di De Pisis, così come dell’incanto sospeso de “La famiglia. Dopo il temporale” firmata nel ’34 da Antonio Calderara.

A BIELLA

In Palazzo Gromo Losa (corso del Piazzo, 22-24 tel. 015/2520432 ), il Novecento dell’arte italiana ha le forme, i colori forti e l’irrequieto dinamismo del Futurismo di Filippo Tommaso Marinetti e di Umberto Boccioni ma anche di Soffici e Sant’Elia e Carrà su tutti; mentre al Museo del Territorio ( via Quintino Sella, 54/b – tel. 015/2529345) spiccano in parete i dipinti di Diulgheroff, Depero, Farfa e Mino Rosso. Sono le avanguardie del Secondo Futurismo: quello seguito alla morte di Boccioni nel 1916 e al contemporaneo avvicinamento di Severini e Carrà alla sintassi cubista.

Gianni Milani

 

Foto

– Giorgio De Chirico: “La battaglia sul ponte”, 1969
– Leonardo Dudreville: “Occhiali”, 1925
– Antonio Calderara: “La famiglia. Dopo il temporale”, 1934
– Michelangelo Pistoletto: “Suonatrice di liuto”, 1970, ph. beppe giardino
– Mimmo Rotella: “Qui etes vous Polly”, 1975 ph. beppe giardino
– Athos Casarini: “Dinamismo di metropoli”, 1912

Le luci di Iren per la Cappella della Sindone

Iren Energia, società del Gruppo Iren, in collaborazione con Performance In Lighting e con la consulenza di GMS Studio Associato di Milano, ha studiato e realizzato il progetto di illuminazione interna ed esterna della Cappella della Sindone del Guarini

Il progetto prevede che le fonti di luce artificiale rimangano completamente nascoste alla vista del visitatore, rendendo la luce e l’architettura le uniche protagoniste, dando vita ad un effetto luminoso che ricerca quella elevazione verso l’Altissimo, a cui tendeva lo stesso Guarini, quale principio fondativo e connotativo dell’intervento. L’illuminazione artificiale, come quella naturale, assume una funzione caratterizzante lo spazio e soprattutto contribuisce all’esaltazione dell’architettura guariniana. Per quanto riguarda gli spazi interni, si è provveduto all’installazione degli apparecchi in quattro distinte fasce e postazioni:

  • esterno degli “occhi”, a quota +20m;
  • piano di calpestio del loggiato, a quota +28m;
  • cornici di imposta delle arcate del loggiato, a quota +35m;
  • estradosso della “stella”, a quota +45m.

Per quanto riguarda gli esterni, sono state individuate le seguenti postazioni:

  • manto di copertura alla base della cupola, a quota +40m circa;
  • base della punta della lanterna, a quota +50m circa.

 

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Ogni postazione è connotata dalla presenza di apparecchi con caratteristiche fotometriche peculiari alla specifica funzione. In generale, salendo dal basso verso l’alto, i valori di illuminamento sulle superfici aumentano, evidenziando la percezione del percorso ascensionale dalle tenebre alla luce. L’illuminazione dagli “occhi” è funzionale per mettere in evidenza l’intradosso degli occhi e il bacino tronco. L’illuminazione artificiale “diffusa” proveniente dall’esterno vuole porsi in continuità con il linguaggio architettonico della cappella del Guarini. Sul piano di calpestio del loggiato, in corrispondenza dei finestroni del tamburo, sono installate due tipologie differenti di apparecchi di illuminazione, in base alle specifiche funzioni a cui sono destinati. La luce che proviene da questi apparecchi (completamente nascosti alla vista) si irradia sull’imbotte degli archi del loggiato e sulle superfici del tamburo cercando di proporre una continuità di linguaggio rispetto ai concetti espressi dai volumi architettonici Al di sopra delle cornici alla base delle arcate del loggiato sono stati installati gli apparecchi lineari che hanno la specifica funzione di illuminare a proiezione l’interno della cupola con l’intento di proporre la lettura dei giochi di volumi pensati dal Guarini. Sull’estradosso della “stella” sono installati gli apparecchi destinati a illuminare la parte sommitale interna della lanterna. In quest’area si hanno i valori di illuminamento più elevati, rendendola, di fatto, l’area più illuminata della cupola. Parallelamente, si è previsto l’uso di sorgenti luminose a LED con temperature di colore calde, pari a 3.000 K che differisce volutamente dalle sorgenti LED a 4.000 K utilizzate per tutti gli altri apparecchi. Anche questa differenza di temperatura di colore contribuisce alla percezione della parte sommitale interna della lanterna quale elemento generatore dell’illuminazione “divina”. Alla base della cupola, sopra il manto di copertura, sono stati installati gli apparecchi dedicati all’illuminazione della cupola stessa. Si prevedono due proiettori per ogni “spicchio” della cupola, di cui uno caratterizzato da fascio luminoso bianco caldo a 3.000 K mentre l’altro è dotato di tecnologia LED RGBW (Red Green Blue White) in grado di riprodurre una vastissima gamma di colori. La miscellanea degli apparecchi di illuminazione garantisce un sapiente gioco di luci e ombre in grado di rendere evidente la struttura ad archi che compone la cupola. L’illuminazione scenografica colorata potrà inoltre essere utilizzata per sottolineare eventi e/o ricorrenze particolari. Completano la proposta gli apparecchi posti a quota +50m circa. Tali apparecchi sono funzionali all’illuminazione della lanterna di cui ne evidenziano la struttura e gli elementi decorativi. Tutti gli apparecchi di illuminazione sono equipaggiati con alimentatori comandati da protocolli digitali specifici. Grazie all’uso di questi sistemi di controllo digitali, si determina l’estrema flessibilità dell’impianto di illuminazione nel ricreare diversificati aspetti luminosi scenografici e suggestivi. Tale soluzione diventa indispensabile per l’illuminazione della cappella, che di volta in volta potrà valorizzare i caratteri connotativi della propria immagine in relazione agli eventi che in essa si svolgeranno. In totale è prevista l’installazione di 66 corpi illuminanti, per un totale di 2,89 KW di potenza a pieno regime.

 

Jacques Brel, il talento “di invecchiare senza diventare adulti”

Il 9 ottobre di quarant’anni ci lasciava Jacques Brel, uno dei più grandi chansonnier del ‘900, autore di indimenticabili brani come Ne me quitte pas e La chanson des vieux amants. Un cancro se lo portò via a soli  49 anni. Belga di nascita ma francese d’adozione, iniziò a suonare senza grande successo nei cabaret  e nei bistrot di Parigi ma tra la fine degli anni ’50 e la metà degli anni ‘60 il pubblico riconobbe il suo talento. Brel pubblicò 13 album, l’ultimo nel 1977 ( Les Marquises, noto anche come Breldieci anni dopo la scelta di non cantare più un pubblico. I più grandi cantanti, come Juliette Gréco, hanno interpretato le sue canzoni e da grande artista qual’era venne apprezzato anche come attore e regista teatrale. I sentimenti, l’amore, un certo esistenzialismo umanistico, le idee libertarie, l’antimilitarismo non di maniera, gli sberleffi alla società dei benpensanti, il senso dell’amicizia: i testi di Jaques Brel hanno riassunto la vita sotto ogni punto di vista. Jacques Brel è sepolto nel cimitero del Calvario ad Atuona, la località principale dell’isola di Hiva Oa nella Polinesia francese dove si era trasferito negli ultimi anni della sua vita. Nello stesso luogo, posto su un’alta collina dalla quale si vede l’oceano, riposa il pittore Paul Gauguin. Come scrisse in uno dei suoi testi più belli e importanti “c’è voluto del talento per riuscire a invecchiare senza diventare adulti“. In anche in questi altri versi, da poeta inquieto e ribelle, vi si può leggere il suo messaggio rivolto ad ognuno di noi: “Vi auguro sogni a non finire,la voglia furiosa di realizzarne qualcuno;vi auguro di amare ciò che si deve amare e di dimenticare ciò che si deve dimenticare;vi auguro passioni,vi auguro silenzi;vi auguro il canto degli uccelli al risveglio e risate di bambini;vi auguro di resistere all’affondamento, all’indifferenza,alle virtù negative della nostra epoca.Vi auguro soprattutto di essere voi stessi”.

Marco Travaglini

Le nuove frontiere della fotografia nell’era digitale

Il Rotary Rivoli promuove lunedì 1 ottobre prossimo una serata conviviale dedicata alla fotografia con un ospite di eccezione, il fotografo torinese Paolo Ranzani, classe 1966, che parlerà sul tema della “Mutazione del linguaggio fotografico nell’era digitale”.Ranzani, che ha frequentato il Dipartimento di fotografia dell’Istituto Europeo di Design a Torino, specializzandosi nel genere people, è un fotografo a 360 gradi, sia attivo nel campo della moda, sia nei reportage sociali e nel glamour. La sua opera spazia dai ritratti agli scatti alle celebreties, al settore del beauty, advertising e fashion. Ha realizzato molti lavori per Fiat, Iveco, Lavazza, Oreal, oltre a curare l’immagine di vari personaggi noti del mondo dello spettacolo, fra cui Arturo Brachetti, Luciana Littizzetto, Fernanda Lessa, i Subsonica, Antonella Elia. Negli ultimi anni ha poi ampliato la sua indagine di ricerca al linguaggio del video ed ha pubblicato libri come “Ecce femina” nel 2000, “La soglia. Vita carcere e teatro” e Go 4 it/ Universiadi 2007. È referente artistico per il progetto Torino Mosaico e del collettivo artistico Dead Photo Working per il progetto di apertura di Luci di Artista.

Mara Martellotta

Vittone il torinese “monferrino”

Bernardo Antonio Vittone, torinese, architetto alla corte dei Savoia progettò numerosi luoghi di culto ed edifici civili nel Settecento sabaudo.

Anche il Monferrato è stato interessato alla sua opera, dal Seminario di Acqui Terme, dedicata a San Luigi Gonzaga a Corteranzo, oggi frazione di Murisengo, dopo essere stata comune sino al 1928, per arrivare all’Ospizio di Carità di Casale Monferrato (l’attuale casa di riposo di piazza Cesare Battisti Murisengo, E proprio a Casale, a partire da sabato 29 setttembre si può ripercorrere tutta la sua vita artistica in un viaggio attraverso quarantotto panelli grafici che rappresentano tutte le opere di Bernardo Antonio Vittone che sono presenti sul territorio regionale piemontese. L’esposizione rimarrà aperta fino al 7 ottobre, dalle 10 alle 13.30 e dalle 14.30 alle 19, con catalogo disponibile presso il bookshop.

Sempre sabato, dalle 10, la sala Giumelli della Casa di riposo di piazza Cesare Battisti ospiterà un convegno che avrà come relatori Antonio Mignozzetti, storico e curatore con Cesare Matta (che ha seguit in particolare la parte fotografica), della mostra, lo storico Dionigi Roggero, l’archivista Manuela Meni ed Edoardo Piccoli docente associato di storia dell’architettura al Politecnico di Torino. Al convegno seguirà una visita guidata alla mostra ed alla struttura vittoniana.

 

Massimo Iaretti

Ecco il distributore automatico di poesie

Il Distributore Automatico di Poesia, ideato nel 1994 da Daniela Calisi, sarà a Torino Spiritualità, dal 26 al 30 settembre

 

Il DAP, che troverete nella sua prima versione è un distributore automatico di palline trasparenti, normalmente contenenti piccoli gadget viene utilizzato per proporre invece testi poetici inediti. Il distributore nasce dall’esigenza di proporre la poesia come bene di consumo di massa e sperimentare forme innovative di distribuzione e promozione della lettura. 

 

Esposto per la prima volta nel 1994  all’Università di Torino, da allora ha sempre suscitato l’interesse di diversi soggetti, coinvolti a diverso titolo nella promozione della lettura, sia nel pubblico sia nel privato.

 

Negli anni l’idea del distributore non ha perso la sua forza, che unisce semplicità e originalità:  uno strumento efficace di promozione della poesia di facile utilizzo, accessibile a tutti ed è stata utilizzato in diversi a Festival e manifestazioni poetiche e letterarie.

 

Il DAP 1 è il primo di una serie di sperimentazione e progettualità letterarie innovative: per approfondire il progetto, la sua storia e per saperne di più dei diversi Distributori potete visitare il sitowww.contentodesign.org 

 

Per Torino Spiritualità è stato realizzata un’edizione speciale con poesie sul tema dell’edizione 2018 PREFERISCO DI NO scritte ad hoc dai poeti aderenti alla Lega Italiana Poetry Slam http://www.lipslam.it

 

I poeti che hanno partecipato con almeno cinque testi indediti ciascuno, pensati sul tema della manifestazione sono: Serena Artom, Francesco Bastianon, Luca Bernardini, Arsenio Bravuomo, Francesco Deiana, Sergio Garau, Stella Iasiello, Rolando Piacentini, Mauro Piredda, Francesca Saladino. Potrete trovare il distributore e le poesie, al costo di un euro l’una, al Circolo dei Lettori, Via Bogino 9, Torino, vicino alla biglietteria di Torino Spiritualità.

“To be a person”. Tutti i colori della vita

FINO AL 15 NOVEMBRE

Carta. Colori. E tela. Fogli di carta colorati, ritagliati, ripuliti dagli inutili eccessi, composti scomposti e ricomposti e infine applicati sulla tela con combinazioni di universi pittorici e spirituali forse improbabili, forse casuali forse accettati o forse no; ma espressione sempre di un’intima complessità narrata attraverso segni e segnali istintivi, in cui la materia porta dentro le impronte di un’esaltante lievità, insieme (mai in dissonanza) con una vitalità e un’energia del gesto pittorico, calato con irruenza come se ogni pennellata fosse per l’artista un ultimo miracolante atto liberatorio. Capace di staccarti da terra per portarti nell’azzurro di cieli che più azzurri non si può. “Collage totale” o “collage inscindibile dalla pittura” o meglio “pittura in forma di collage”: così leggiamo nel testo-catalogo a presentazione dello opere (15 in totale) portate a Torino da Monique Rollins, in una suggestiva personale curata da Olga Gambari e allestita alla Galleria “metroquadro” fino al prossimo 15 novembre. Per Monique, americana del Delaware ma da tempo attiva fra New York e Firenze, è questo, negli spazi espositivi del gallerista Marco Sassone, un piacevole ritorno, attraverso il quale – sotto il titolo ben esplicito di “To be a person” – la pittrice presenta i lavori della recentissima serie “Spirit”, realizzati in seguito alla sua ultima residenza d’artista svolta a Pechino. Collages su tela. Carta e colore in acrilico, gli elementi essenziale del suo lavoro. Carta e carte, innanzitutto. Per lei materia prima, indispensabile a raccontare e a raccontarsi agli altri. E ciò da sempre. Di lei ricorda infatti la Gambari: “Quando faceva le sue prime lezioni d’arte da bambina, nello studio di una pittrice, invece che dipingere a olio su tela, colorava interi fogli di carta. Esercizi di colore puro”. Sul colore infatti, personalizzato, vibrante, delicato e graffiante ad un tempo, si gioca tutta la potenzialità narrativa delle sue opere; pagine in cui la Rollins trasforma (e l’azione non è per niente semplice, ma anzi complessa e ansiogena, pur se concepita in una sorta di magico divertissement) la realtà esteriore in paesaggi dell’anima, fissati con impetuosi tratti materici sulla linea di quell’espressionismo astratto americano da cui parte, mantenendo nel tempo significative cifre stilistiche, la sua formazione artistica a New York. Oggi sviata, rielaborata e diventata “altro”, attraverso parametri stilistici che si sono evoluti e personalizzati nel tempo e su cui hanno indubbiamente inciso – e non poco – anche gli studi di specializzazione compiuti da Monique sull’arte rinascimentale veneziana. Ecco allora quel nuovo tonalismo acceso, il colore asservito in toto alla luce e soprattutto quel riconoscere nel “bello” la molla d’accensione di un “piacere fisico e sensoriale” più che “intellettuale”, come voleva certo Rinascimento fiorentino, ad esempio. La bellezza legata più ai sensi che alla ragione e all’intelletto. Esaltata dall’accensione di quegli azzurri, di quei bruni smorzati e dei bianchi intensi e raffinati, in cui s’intrecciano libere storie condotte sul tema narrativo e sull’urgenza personale dell’“essere persona”. In un crogiolo variegato “di voci, di segni, forme e colori – ancora la Gambari – che hanno urgenza di essere ed esprimersi, che formano un coro, così incontenibili da uscire dal formato stesso della tela come un fiore che si schiuda. Ma non c’è caos, solo un’eufonia precisa e perfetta”.

Gianni Milani

“To be a person”

Galleria “metroquadro”, corso San Maurizio 73/F, Torino; www.metroquadroarte.com

Fino al 15 novembre

Orari: mart. – sab. 16/19

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Nelle foto

– Monique Rollins
– “Levels”, 2018
– “Inner Landscape”, 2018
– “Spirit Painting Blue”, 2018
– “Third Level Spirit”, 2018

 

Le aspre colline e gli alberi di Pippo Leocata, le auto di Paolo Pirrone prive di spazio e di tempo

Si chiuderà domenica 30 settembre, nella Sala Mostre presso la Biblioteca del Comune di Carignano, la doppia personale degli artisti Pippo Leocata – dal titolo “Tra terra e cielo” – e Paolo Pirrone – che guarda principalmente al disfacimento dell’automobile e propone “Dopo la corsa” -, una ventina di opere ciascuno scelte anche tra l’ultima produzione. Personali che vogliono essere il successivo riconoscimento all’avere gli artisti stessi conseguito, in occasione della mostra “Resistenza… Resistenze” tenutasi nel dicembre dello scorso anno nello stesso luogo, rispettivamente con le opere “Natura addio?” e “Metamorfosi”, ex aequo la Menzione speciale della Giuria con la seguente motivazione: “I due dipinti si accomunano nella volontà di una ricerca sperimentale sul colore e sulla materia che porta ad esiti assolutamente innovativi pur mantenendo una connotazione stilistica rigorosa e tecnicamente ineccepibile”.

Di Leocata meglio conoscevamo quelle opere che più, tra storia e mito, ricollegavano il presente ad un passato che affondava le proprie radici nella terra di Sicilia, nell’area di Adrano, con la sua rocca, antica, dove il pittore è nato, chiamata a convivere con il vulcano protettore ma anche feroce, pronto a far esplodere dal rosso violento del suo interno il magma minaccioso che scorrerà giù, lungo le pendici impervie; e poi i cavalieri forti e valorosi e i cavalli impennati, le lotte e le armi, immortalati dentro colori stupendamente accesi, le differenti architetture, le sagome dei suoi angeli, splendenti o atterrati, i miti, le pagine di una cultura e di un’epoca nuova. E poi i panorami più vicini a noi, le colline care a Pavese (“Una vigna che sale sul dorso di un colle/ fino a incidersi nel cielo,/ è una vista familiare”) o quei casolari distesi su quei terroni che degradano a valle, assolati e notturni, che hanno visto le tragedie fenogliane disseminate entro i ventitré giorni: questi raggruppa oggi qui Leocata, scendendo all’albero e al seme, fatti tramite attraverso un’immagine più affettuosa e solitaria. Colori a tratti forti immersi tra intuizioni, pensieri, domande che attendono risposte, alberi scuri e spogli su sfondi anonimi, alberi/silhoutte, geometrici, spezzati nel tratto, che paiono usciti da una vecchia pubblicità animata degli anni Sessanta, macchie di alberi contro accoglienti cieli azzurri. Ne nasce, al di là di un personale sentimento “naturalistico”, una poesia mai facilmente riprodotta, astratta e mai scontata, sciolta in una pace ritrovata tra i sentieri armonici della natura: che ci appare subito più vivifica e più vera.

Paolo Pirrone gioca in solitaria, ha il grande merito di costruire un mondo tutto suo, appartato, facilmente identificabile ma rigoroso, estremamente delineato e circoscritto, una costruzione che ritroviamo quando affronta la superficie terrosa di un paesaggio sia quando ancora estrae dagli elementi realistici gli scheletri della sue automobili – una landa rugginosa che sarebbe entrata di prepotenza nel “Cimitero di automobili” caro ad Arrabal -. E in quell’interno, Pirrone stringe la caratteristica di stare strettamente legato alla realtà, il paesaggio, l’auto e una parte di essa, per staccarsene dopo un attimo e riversare questa sua realtà entro i confini ampi dell’astrazione, dell’ambiente magico, della volontà di sollevare ogni cosa e rappresentarla entro un altro mondo, superiore, fatto di lunghi silenzi, privato di fisicità umane, chiuso nelle più personali suggestioni. Guardando a quelle tecniche miste che trovano spazio su lamiera (una materia rifiutata da molti) o su tavola, ogni particolare sembra aver perso il proprio tempo, lo spazio ha definitivamente allontanato i contorni abituali, un cofano o uno sguardo su un interno vuoto e abbandonato assumono significati assai più importanti di quelli che avevano nel passato. Tutto vive di una dimensione nuova. In un mondo ancora sconosciuto, quasi fantascientifico e di abbandono, le lame di colore, i lampi improvvisi che il pittore incastona tra il bruno della ruggine, che la fa da padrone, sembrano gli unici segni di vita. Tentativi che si portano dietro una bravura consolidata, sperimentazioni, la volontà di rimettersi ad ogni prova in discussione, guardando alla completezza dell’opera, al suo successo.

 

Elio Rabbione

 

Pippo Leocata, “La vigna”, olio su tela, 100 x 100 cm, 2017

Paolo Pirrone, “Le dinamiche del pensiero”, tecnica mista su tavola, 70 x 83 cm, 2009

 

“Grand’Italia” a palazzo Ducale di Genova

Domenica 30 settembre alle ore 11, a Palazzo Ducale di Genova – Sala Storia Patria, in occasione del Book Pride 2018, il prof. Dino Cofrancesco, Professore Emerito dell’Università di Genova, presenterà, in dialogo con l’autore, il libro di Pier Franco Quaglieni Grand’Italia, Golem Edizioni. I  libro raccoglie i ritratti di 31 personaggi che hanno caratterizzato la storia e la cultura italiana del Novecento, con molti dei quali l’autore ha intrattenuto rapporti personali. Compaiono, tra gli altri, Croce, Gobetti, Umberto II, Sciascia, Guareschi, Saragat, Oriana Fallaci, Umberto Agnelli, Rita Levi – Montalcini, Bruno Caccia, Giorgio Albertazzi. Una galleria di voci molto diverse una dall’altra, a volte decisamente discordanti, che hanno contribuito a scrivere la storia di una Grand’Italia. Dopo le molte presentazioni estive nel Ponente Ligure, è un traguardo molto importante la presentazione del libro a Palazzo Ducale di Genova, che verrà nei mesi di ottobre e novembre presentato a Roma, Napoli e Firenze.

 

“Palingenesi”

In mostra le opere dell’artista Roberto Demarchi realizzate o iniziate negli anni passati e rifatte, riprese o modificate nel 2018, una vera Palingenesi

Si intitola “Palingenesi” la mostra personale di Roberto Demarchi che si inaugurerà giovedì 27 settembre prossimo dalle 18.30, negli Spazi espositivi dell’artista ed architetto, in corso Rosselli 11, a Torino. Il titolo dell’esposizione non è certo casuale, in quanto vengono proposte una ventina di opere realizzate o iniziate dal maestro negli anni passati, poi modificate e riprese, in tempi più recenti e nel 2018. Il termine “palingenesi” deriva dai termini greci “palin”, che significa “di nuovo” e “genesis”, inteso come nascita, creazione. Palingenesi ha, quindi, il significato di rinascita e di ri-creazione. In alcune concezioni filosofiche o religiose con il termine “palingenesi” si intende il rinnovamento del cosmo dopo la sua distruzione o la rinascita dell’uomo dopo la morte, considerati come tappe ricorrenti di un perpetuo divenire delle cose. Nel Nuovo Testamento la palingenesi indica l’avvento ultimo e definitivo del regno di Dio. Nella storia dell’arte sono numerosi i casi di palingenesi, di opere d’arte create dall’artista e poi completamente o parzialmente rifatte. Le attuali tecniche radiografiche usate nelle operazioni di restauro ne hanno fornito svariati esempi. Elie Faure, noto storico dell’arte francese, nel primo quarto del Novecento, scriveva che “la pittura è il linguaggio delle incertezze, degli slanci e delle ritirate del cuore”. La grande arte pittorica, infatti, nasce da un pensiero che diventa emozione e da una emozione che diventa pensiero, può essere un qualche cosa di immediato che, in modo fulmineo, si fa colore e forma, o un pellegrinaggio nella coscienza che si distilla lentamente in forma e colore. La vera vita e la vera anima di un pittore si possono leggere proprio nelle sue palingenesi, che sono testamenti autentici degli slanci e delle ritirate del suo cuore.

 

Mara Martellotta