CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 602

Will You Love Me Tomorrow

“Stanotte sei completamente mio
Dai il tuo amore così dolcemente
Stanotte la luce dell’amore è nei tuoi occhi
Mi amerai ancora domani?”

Siamo negli anni ’60…e raccontiamo di un dubbio
Chi lo racconta sono The Shirelles ed il genere rientra nel Rhythm and blues. Will You Love Me Tomorrow (conosciuta anche come Will You Still Love Me Tomorrow) è una canzone romantica del 1960, scritta da Gerry Goffin e Carole King. La prima versione incisa, quella delle Shirelles nel 1961 arriva al 1º posto della Billboard Hot 100 per due settimane. Il brano fu reinterpretato mille e una volta da artisti svariati, amo la versione di Amy Winehouse che fa sentire tutta la tristezza di chi non sarà mai sicura di essere amata a dovere e…per sempre. Ma “per sempre” lo sappiamo, non esiste ne mai esisterà, e non solamente quando si parla d’amore. Perché se incontrarsi resta una magia, è non perdersi la vera favola, ma le favole sono sempre solo favole. Georg Christoph Lichtenberg diceva “Abitua il tuo intelletto al dubbio e il tuo cuore alla tolleranza” io aggiungerei che sarebbe bene non crearsi aspettativa alcuna. Mi sono resa conto, ultimamente, che la mia vita sia molto più facile se tengo basse le mie aspettative, evito cosi di rimanere delusa anche per il fatto che, diciamocelo, esiste molta più gente deludente che adeguata o soddisfacente. La versione che vi propongo oggi è di 5 ragazzi del Regno Unito, The Overtones. I ragazzi sono stati scoperti da un talent scout della Warner Bros Records mentre lavoravano come decoratori in un negozio vicino a Oxford Street , cantando durante la loro pausa per il tè. I ragazzi erano originariamente in una band chiamata DYYCE, che poi si riformò come Lexi Joe, che costituì la base di The Overtones. Con quattro membri originariamente Mark Franks, Mike Crawshaw, Darren Everest e Timmy Matley – la band si esibiva da diversi anni. I quattro condividevano un interesse per il genere doo-wop degli anni ’50 mescolato con R & B e musica pop moderna . Successivamente, hanno incontrato Lachie Chapman, hanno scoperto gusti simili nella musica e si sono riformati come una band di cinque elementi, sotto il nome di The Overtones. Le loro voci hanno una forte somiglianza con un boyband doo-wop degli anni ’80, 14 Karat Soul. Vi invito ad ascoltare la loro versione, vi farà innamorare!

https://www.youtube.com/watch?v=riMlTtlFbjs

Chiara De Carlo

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Chiara vi segnala i prossimi eventi… mancare sarebbe un sacrilegio!

 

L'isola del libro

Rubrica settimanale sulle novità in libreria
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Laura Morante “Brividi immorali” – La nave di Teseo- euro 17,00
 
Se amate Laura Morante attrice non potete non scoprirne l’anima profonda nei racconti che ha scritto in “Brividi immorali”. 15 storie intercalate da interludi musicali in cui l’icona del cinema narra tanti anfratti di vita. Racconti molto diversi fra loro, di varie lunghezze, scritti in momenti e stati d’animo differenti. Se cercate un filo comune che li leghi è …semplicemente… la vita. Quella di uomini razionali o infantili, donne alle prese con difficoltà varie, bambini anche crudeli, piccole e grandi violenze quotidiane, coppie sull’orlo dell’abisso, inquietudini e fragilità, adolescenti che   faticano a crescere e possono scivolare nell’anoressia, famiglie che cercano di stare a galla. Insomma, un ampio spettro di argomenti.     Per esempio, la prima storia, “La mia amica Giovanna” parla di amicizia e tradimento, e sonda il labirinto di lealtà e sentimenti contrastanti in cui possiamo perderci. Ogni racconto è un mondo a sé, narrato con ironia, ma anche con toni più drammatici. Sottesa a tutte le pagine è la sensibilità di questa attrice che ora, sulla scia della famosa zia Elsa Morante, irrompe con potenza anche nel mondo delle patrie lettere. Tutta da scoprire.
 
 
 
Lionel Shriver   “I Mandible” – 66thand2nd – euro 20,00
 
                                                                                                                                                Immaginate di svegliarvi una mattina e non avere più nulla….ecco ora potete immedesimarvi nell’incubo dei Mandible. Il sottotitolo “Una famiglia 2029-2047” vi proietta direttamente nel futuro e apre la visione su un mondo distopico, tutto concentrato sulla difficile economia di un futuro in cui le certezze sono ridotte a un lumicino. Il romanzo è la storia di una ricca famiglia americana che di colpo deve sopravvivere, come tutto il resto della nazione,…. con nulla. Geniale e anche un po’ apocalittica la vicenda imbastita dall’autrice americana, nata nel Nord Carolina, studi alla Columbia University, vissuta in più luoghi del mondo: Nairobi, Bangkok, Belfast e Londra, dove tutt’ora trascorre parte dell’anno insieme al marito che di lavoro fa il batterista. Tra i suoi libri   pubblicati in Italia c’è “Dobbiamo parlare di Kevin” che nel 2006 le è valso l’Orange Prize for Fiction ed è diventato anche un film di successo interpretato da Tilda Swinton. “I Mandible “ è una satira che ruota intorno a un devastante futuro in cui l’economia USA collassa e non è più alla guida del mondo. Il dollaro equivale ormai a carta straccia, sostituito dal “bancor”, nuova valuta di riserva mondiale. E puff tutta la ricchezza accumulata dal trisavolo, oculatamente protetta e conservata dal patriarca 97enne della famiglia, si dissolve. La vita diventa difficile, tra inflazione esplosa dall’oggi al domani, penuria di acqua, difficoltà di approvvigionamento di cibo e di tutto quello che serve quotidianamente. E’ una spietata lotta per la sopravvivenza, i mercati crollano e le città si riempiono di senzatetto e disperazione. Un po’ vi metterà ansia leggere le peripezie dei Mandible in un futuro possibile, in cui perdono tutto. Finiscono prima stipati nell’angusto appartamento di un parente e poi per strada, in cerca dell’unico lavoro possibile, quello nei campi.
 
 
Luke Jennings “Killing Eve” -Mondadori- euro 18,00
 
L’autore vive a Londra e collabora con grandi testate giornalistiche della levatura di “The New Yorker”, “Time”, “The Observer” e “Vanity fair” e la sua è una scrittura veloce, efficace, accattivante. Al centro della spy story che ha ispirato l’omonima serie Tv ci sono due donne, due antagoniste formidabili. Una è l’enigmatica e perversa Villanelle. Orfana russa, killer di professione, gode nel veder scivolare via la vita dalle sue vittime. E’ una sociopatica, totalmente priva di empatia. Ubbidisce -e basta- agli ordini di una fantomatica accolita che si fa chiamare “I dodici”; non sa chi siano né perché la mandino ad uccidere, ma neanche le interessa. A lei basta poter fare quello che più le piace: ammazzare e trarre da questa disumanità la sua forza. Ed è abilissima: insegue nell’ombra, stana, colpisce e   poi scompare. E’ anche bellissima, adora la moda e il lusso; ma sa pure adattarsi a situazioni scomode che   possono essere tappe strategiche delle sue missioni omicide. Sua antagonista è la poliziotta Eve Polastri. Tutt’altra pasta di donna. Estremamente intuitiva e brillante, è addetta alla sicurezza dell’MI5 con l’incarico di fornire protezione speciale a personaggi importanti in visita nel Regno unito. Poi perde il posto.. ma questo non le impedisce di dare la caccia alla cattiva di turno. Eve è la prima ad aver capito che il misterioso e inafferrabile killer che semina morte in tutta Europa è una donna…..e l’inseguimento ha inizio…

Nada e lo show di Salmo

Gli appuntamenti musicali della settimana

Lunedì. Al Milk la musica della tradizione africana proposta dai Kora Beat.
Martedì. Al Teatro Colosseo è di scena la cover band Pink Floyd Legend. Al Blah Blah suona il chitarrista blues John Paul Keith.
Mercoledì. Al Jazz Club è di scena il duo brasiliano Inevàtevel. Al Blah Blah si esibisce il GBG Modern Trio. Allo Spazio 211 suona Calvin Love accompagnato dai Foxhound.
Al Teatro Colosseo si esibisce Carl Brave.
Giovedì. Al Jazz Club suona il sassofonista francese Hervè Meschinet. Al Magazzino di Gilgamesh si esibisce il trio blues statunitense Mo Lowda & The Humble. All’Hiroshima Mon Amour è di scena Giorgio Canali e i Rossofuoco mentre all’Off Topic suonano Johnny Fishborn e Gionatan Scali.
Venerdì. Al Folk Club suona il trio di Mario Rosini mentre al Jazz Club si esibisce la vocalist Sofie Reed. Al Teatro Concordia di Venaria suonano i Dark Polo Gang. All’Off Topic sono di scena gli Afrodream. All’Hiroshima Mon Amour suonano i Delta V.

Sabato. Al Circolo della Musica di Rivoli si esibisce Nada. Al cinema Massimo Luca Morino per il festival “g LOCAL”, reinterpreta le canzoni di Luigi Tenco. Al Pala Alpitour arriva il rapper Salmo. Al Jazz Club suona il trio di Marco Betti. Al Kubo di Leini si esibisce il rapper Quentin40. Al Concordia è di scena Gazzelle. Da Gilgamesh si esibisce la Blues Band del chitarrista Dany Franchi. Al Blah Blah è di scena la cantante soul Sophia Danai mentre al Magazzino sul Po si esibisce Rome in Reverse.
Domenica. Al Blah Blah suonano i Dirty Wheels mentre al Magazzino sul Po si esibiscono i Pontiak.
 

Pier Luigi Fuggetta

 

Cous Cous Klan

A più di un anno di distanza dal suo debutto e dopo un centinaio di repliche Cous Cous Klan continua a divertire, emozionare e a far riflettere

Frutto della giovane compagnia Carrozzeria Orfeo, definita popolare e profonda, divertente e irriverente, cruda e fortemente poetica, l’allestimento rappresenta l’ultimo capitolo della trilogia composta da Thanks for vaselina (da cui sarà tratto un film con Luca Zingaretti nel cast) e Gente da bar. Il loro è un teatro impegnato e di evasione allo stesso tempo dove protagonista è la nostra complessa e nevrotica quotidianità. Amano raccontare spesso “gli ultimi, i perdenti, i meno accettati della società, mescolando generi, fondendo l’ironia con la tragicità, il divertimento al dramma, in una continua escursione fra la realtà è l’assurdo, fra il sublime e il banale.” Già nel titolo dello spettacolo “Cous Cous Klan” è evidente la volontà di farsi beffe dell’assurdità di ogni forma di discriminazione. E per scardinare pregiudizi e inquietanti conformismi, quali migliori grimaldelli se non il politicamente scorretto e l’ironia? In una spaventosa, e neanche troppo lontana, società in cui l’acqua è stata privatizzata, in una specie di discarica di rottami due roulotte sgangherate ospitano una galleria di casi umani. In una vivono tre fratelli: Achille, un giovane sordo muto un po’ ritardato, Caio un ex prete caustico e disfattista e Olga, una donna obesa con un occhio solo ossessionata dall’orologio biologico, nell’altra un ” musulmano-moderato”, Mezzaluna, continuamente insidiato dalla vicina che vorrebbe un figlio da lui e assillato dal padre che desidera per lui un futuro da terrorista come i fratelli. In questa piccola comunità di diseredati fanno irruzione un borghese, Aldo, di professione pubblicitario, cacciato di casa dalla moglie per averla tradita con una minorenne, e Nina una ragazza visionaria scampata alla morte. E sarà proprio quest’ultima ad offrire alla brigata un’occasione di riscatto dove ognuno troverà il proprio senso semplicemente così com’è. Lo spettacolo ha un buon ritmo e gli esilaranti e feroci scambi di battute strappano diversi applausi a scena aperta, merito del talento di tutti gli attori che danno vita a personaggi irresistibili. Innumerevoli i temi del nostro contemporaneo che emergono dallo spettacolo e che fanno riflettere sul presente. Le disuguaglianze sociali, l’emarginazione che procura voragini di solitudini, i problemi legati all’immigrazione, il difficile confronto tra il mondo occidentale e l’Islam, le violenze e i soprusi di ogni tipo, gli scandali e la corruzione che offuscano il Vaticano, famiglie che si sfasciano a causa di incontri effimeri, il desiderio di avere un figlio a tutti i costi. Ma non sembrano esaurirsi qui gli spunti di riflessione. Uscendo dalla sala si rimane un po’ frastornati dopo essere precipitati in questo mondo tragico portato alle sue estreme conseguenze, al limite dell’assurdo. Una trasfigurazione della realtà per restituirla potenziata, dove la violenza e la provocazione non sono mai gratuite, ma vanno a svelare il nostro disperato bisogno di poesia, di bellezza, di accettazione, di sentirci amati.

Giuliana Prestipino

 

I libri più letti e commentati a febbraio

Ecco, per il mese di febbraio, la nostra rassegna dei titoli più letti e discussi nel gruppo FB Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri

Iniziamo con Il senso di una fine, romanzo di Julian Barnes, che ha suscitato grande entusiasmo e che racconta i molti aspetti del concetto di fine; commenti per lo più favorevoli e grande interesse anche per un libro di Daniel Pennac, non molto recente, Mio fratello, che si è equamente diviso l’attenzione dei lettori con il saggio di Clarissa Pinkola Estes Donne che corrono coi lupi, libro che non manca di suscitare ampia discussione.Il dibattito del mese è stato però dominato dalla domanda se vi sia o meno un romanzo da rendere obbligatorio nelle scuole: in molti si sono espressi favorevolmente , proponendo come titolo 1984, di George Orwell ma non è mancato chi ha difeso l’intramontabile I promessi Sposi di Alessandro Manzoni mentre i più spregiudicati hanno suggerito Un cappello pieno di ciliege, di Oriana Fallaci, libro che non manca mai nelle nostre conversazioni. Concludiamo con la nostra consueta rassegna di consigli per i lettori curiosi e impavidi: tra i suggerimenti del mese abbiamo scelto Manhattan Transfer, celebre e difficile titolo di John Dos Passos, La morte del cuore, di Elizabeth Bowen e l’esordio letterario del celebre vice questore Rocco Schiavone, ovvero Pista nera di Antonio Manzini, per chi vuole svagarsi tra una lettura difficile e un’altra.Per questo mese è tutto: vi ricordiamo che se volete partecipare ai nostri confronti, potete venire a trovarci su FB e se volete rimanere aggiornati sulle novità in libreria e gli eventi legati al mondo dei libri e della lettura, visitate il nostro sito ufficiale all’indirizzo https://www.unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it/

Buone letture!

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Podio del mese:  Il senso di una fine, Barnes (Einaudi) –  Mio fratello, Pennac (Feltrinelli) – Donne che corrono coi lupi, Pinkola Estes (Pickwick)

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Focus on: libri obbligatori a scuola. 1984, Orwell (Mondadori) – I Promessi Sposi, Manzoni (Bur) – Un cappello pieno di ciliege , Fallaci (Rizzoli)

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Per lettori curiosi: Manhattan Transfer, Dos Passos (Dalai) – La morte del cuore, Bowen (Neri Pozza) – Pista nera, Manzini (Sellerio)

 

Testi : valentina.leoni@unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it

Grafica e Impaginazione : claudio.cantini@unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it 

Tre opere uniche alla mostra Van Gogh Multimedia & Friends

Lo spazio espositivo più importante dal punto di vista artistico, la “Stanza dei segreti” a cura di Alberto D’Atanasio, diviene così uno scrigno pieno di tesori inesplorati
A un mese dall’apertura al pubblico, la mostra Van Gogh Multimedia & Friends (fino al 28 aprile presso lo Spazio Lancia di via Lancia 27 a Torino) si arricchisce di tre opere uniche. Lo spazio espositivo più importante dal punto di vista artistico, la “Stanza dei segreti” a cura di Alberto D’Atanasio, diviene così uno scrigno pieno di tesori inesplorati. Qui sono già presenti le opere originali e mai esposte prima (ad eccezione dell’opera di Renoir che fu esposta nel 1999 a Roma) degli “amici” della giovinezza di Vincent: Renoir (Paesaggio), Degas (Donna col cappello, fusione in bronzo, 1881-1883), Monet (Paesaggio con veduta di Argenteuil, 1874) e un disegno dello stesso Van Gogh (Paesaggio, 1888 – 1890) del valore di oltre 30 milioni di euro. Dal 26 febbraio, i visitatori possono ammirare tre nuove opere, sempre originali, che andranno ad arricchire la “Stanza dei segreti”:

 

CLAUDE OSCAR MONETLe Charitè sur Loire, 1876, olio su tela

 

PIERRE AUGUSTE RENOIR: Donne al bagno, 1918-1919, tempera su cartoncino tavola

 

PIERRE AUGUSTE RENOIRDonna con cappello, 1895, olio su tela

I matti esistono!

C’erano una volta i matti
Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce
Non tutte le storie vengono raccontate, anche se così non dovrebbe essere. Ci sono vicende che fanno paura agli autori stessi, che sono talmente brutte da non distinguersi dagli incubi notturni, eppure sono storie che vanno narrate, perché i protagonisti meritano di essere ricordati. I personaggi che popolano queste strane vicende sono “matti”,” matti veri”, c’è chi ha paura della guerra nucleare, chi si crede un Dio elettrico, chi impazzisce dalla troppa tristezza e chi, invece, perde il senno per un improvviso amore. Sono marionette grottesche di cartapesta che recitano in un piccolo teatrino chiuso al mondo, vivono bizzarre avventure rinchiusi nei manicomi che impediscono loro di osservare come la vita intanto vada avanti, lasciandoli spaventosamente indietro. I matti sono le nostre paure terrene, i nostri peccati capitali, i nostri peggiori difetti, li incolpiamo delle nostre sciagure e ci rifugiamo nel loro eccessivo gridare a squarcia gola, per non sentirci in colpa, per non averli capiti e nemmeno ascoltati. (ac)
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8 I matti esistono!
La stampa italiana svolse un ruolo decisivo nella denuncia delle disumane condizioni in cui si trovavano le persone recluse nei manicomi. Grandi firme del giornalismo si schierarono contro tali orrori: Indro Montanelli, Dacia Maraini, Carlo Casalegno, Natalia Aspesi, Camilla Cederna. Anche oltre confini intellettuali di spicco si sentirono obbligati a inserirsi nella lotta, come Jean-Paul Sartre e Noam Chomsky, perfino il “The Times”, nel 1965, pubblicò un articolo dettagliato sulle drammatiche condizioni dei manicomi italiani, il pezzo era firmato Peter Nichols. Lo scandalo stava piano piano venendo fuori, ma ci volle l’inchiesta di Angelo Del Boca per infastidire la coscienza reticente dell’opinione pubblica. Il giornalista, storico e scrittore, scrisse un servizio sulla “Gazzetta del Popolo” fra l’aprile e il giugno 1966 dal titolo emblematico “Manicomi come lager. Centomila ostaggi da liberare”, in cui, con pungente sarcasmo, invitava i connazionali “generosamente commossi alla fame dell’India a prendere coscienza del dramma dei manicomi a casa nostra”. L’inchiesta-choc viene pubblicata anche su altri giornali, e non si può più far finta di niente. Anche la televisione interviene insinuandosi tra i gelidi corridoi dei manicomi; il reportage più significativo è quello realizzato il 3 gennaio del 1969 da Sergio Zavoli, dal titolo “I giardini di Abele”, all’interno del programma TV7, in onda subito dopo il Carosello, girato nel manicomio di Gorizia. La telecamera fa in modo che nelle case degli italiani si proiettino immagini terribili di uomini e donne fantasma, facce svuotate, spettri che si aggirano per cortili spogli e sporchi, infagottati in abiti grotteschi, la TV fa vedere uomini che legano altri uomini, mani che stringono mazzi di chiavi che serrano improvvisamente porte e finestre. Il servizio è commentato dalla stessa voce di Sergio Zavoli che dice: “si è detto che gli alienati vengono trattati più duramente degli altri ammalati perché sono uomini senza difesa e quindi senza voce e senza diritti. Che nel mondo dei sofferenti equivalgono ai negri, agli indigeni, agli apolidi, ai sottoproletari, agli ebrei e come tali sono spesso vittime di pregiudizi e privazioni”. Le parole del giornalista suonano come un’accusa collettiva e vergognosa, dalla quale è difficile difendersi. Anche la fotografia si fa portavoce dell’ingiustizia, Gianni Berengo Gardin, Carla Cerati, Uliano Lucas, Ferdinando Scianna e molti altri fotografi realizzano reportage-choc all’interno dei manicomi, scavalcando mura che parevano insormontabili e mostrando situazioni che non dovevano essere mostrate. Tra le tante ignobili condizioni che vengono scoperchiate c’è anche quella di via Gulio. Nell’anno 1965 “La Stampa” pubblica un articolo su quello che accadeva all’ “albergo dei tre pini”: “Il manicomio di via Giulio è un obbrobrio indegno degli uomini e della civiltà. È incredibile che in una città come Torino che si ritiene all’avanguardia del progresso e in una provincia come la nostra, che vanta antiche tradizioni in campo assistenziale e sociale, sia tollerata la presenza di un’opera che era già inadeguata cent’anni fa. La sede di via Giulio è un’accozzaglia di letti, distanti una spanna l’uno dall’altro, dove c’è posto per 600 persone e le ospiti sono 900. Dove si respira un lezzo insopportabile, dove la luce piove nelle camerate, in cui le pazze sostano tutto il giorno per mangiare e per vivere, da lucernari a mezza luna che non consentono il ricambio dell’aria. Dove i 30 uomini addetti ai servizi comuni dell’ospedale –pazzi tranquilli ma comunque malati- sono costretti a dormire nei seminterrati tra gli scarafaggi.” La gente fuori si trovava costretta a sbarrare gli occhi per vedere cosa accadeva dentro quelle mura che censuravano una realtà troppo scomoda anche solo da immaginare.  Anche la situazione a Collegno era disastrosa: “Il manicomio è tutto da rifare o da demolire. Per la sua struttura è addirittura impensabile di potervi praticare la psicoterapia o la socioterapia. Ci sono sezioni con 150 pazienti. Sezioni piene di vecchi che avrebbero bisogno solo di un’assistenza generica, ma che nessuno li vuole e finiscono qui. Ne vediamo a centinaia, distesi sui loro letti oppure sulle panche in giardino. Sono tranquilli, rassegnati, silenziosi. Nessuno si occupa più di loro. Per la società non rappresentano che alcune modiche rette da pagare, un mazzo di “fiches” in questura, alcuni mendicanti “molesti” di meno per le strade. Qualcuno di loro, però, ogni tanto si ribella e trova, per esprimere la sua protesta, energie impensabili. È il caso del vecchio che troviamo legato al letto, polsi e caviglie chiusi nei ceppi. È un grande vecchio, magro ma dotato di una ossatura imponente, i capelli ancora scuri, gli occhi che ci fissano adirati. L’infermiere sostiene che è “violento, e che spesso picchia i compagni.” All’epoca i manicomi di Collegno, Torino, Grugliasco e Savonera rinchiudevano tra le loro mura malati di mente e semplici emarginati, uomini e donne senza voce e senza difese, scaricati dalla società come zavorra e nella più totale indifferenza. Per la maggior parte erano anziani, allontanati dalle famiglie, rifiutati dalle case di riposo perché non più autosufficienti, una volta stavano al Cottolengo poi presero ad affollare i manicomi. Gli anni Sessanta videro l’immigrazione di massa dovuta all’ irrefrenabile processo di crescita dell’industria automobilistica FIAT e in particolare Torino era diventata una metropoli di oltre un milione di abitanti. Nelle fabbriche vi erano decine di migliaia di operai immigrati dal Sud, in gran parte ex contadini usciti malamente dallo scontro con la civiltà industriale; i dipendenti erano più lavoratori-macchine che semplici addetti alle linee di montaggio. I ritmi di lavoro uniti al disagio di ambientamento avevano fatto sì che nel 1965, 1579 lavoratori venissero internati nei manicomi torinesi, di questi il 37% erano operai, il 28% casalinghe, il 9% agricoltori e il 3% professionisti. Questo tipo di alienazione portò tra il 1957 e 1970 a 33 suicidi per impiccagione. Il fatto venne così commentato da un paziente :” (…) comunque, 33 impiccati in 13 anni! Ha fatto concorrenza al Rondò della Forca in tutta la storia del Rondò della Forca.”

Alessia Cagnotto

Leonidas Kavakos e Sol Gabetta le stelle di marzo

Venerdì primo marzo alle 20.30 all’Auditorium Toscanini, concerto dell’Orchestra Rai diretta da William Eddins con Simone Rubino alle percussioni e il Janoska Ensemble
Martedì 5 alle 20, al Teatro Vittoria, per la stagione dell’Unione Musicale, Pedro Robert Toronal , Dong Yang Xing e allievi ed ex allievi del Conservatorio, eseguiranno musiche di Schumann. Mercoledì 6 alle 21 al Conservatorio, Emanuele Arciuli al pianoforte eseguirà musiche di Schonberg, Haydn, Liszt, Berg, Debussy, Castelnuovo-Tedesco. Giovedì 7 alle 20.30 e venerdì 8 alle 20, all’Auditorium Toscanini, l’Orchestra Rai diretta da Edward Gardner e con Anna Caterina Antonacci mezzosoprano, eseguirà musiche di Janàcek, Berlioz e Mahler. Martedì12 alle 20 al Teatro Regio, per la Stagione d’opera, debutto di “Agnese”, dramma semiserio in 2 atti, musica di Ferdinando Avater L’Orchestra del Teatro sarà diretta da Diego Fasolis. Repliche fino a domenica 24. Martedì 12 alle 20 al Teatro Vittoria, verrà eseguito l’integrale dei lieder di Schubert. Mercoledì 13 alle 21 al Conservatorio, per la stagione dell’Unione Musicale, Massimo Polidori al violoncello, eseguirà le suites per violoncello solo n.1. n.3. n.5 di Bach. Giovedì 14 alle 20.30 e venerdì 15 alle 20, all’Auditorium Toscanini, l’Orchestra Rai diretta da Costantinos Carydis e con Sol Gabetta al violoncello, eseguirà musiche di Guiraud Lalo, Korsakov. Lunedì 18 alle 20 al Teatro Vittoria, Archicembalo Il Modo Italiano, eseguirà musiche di Vivaldi e Handel. Mercoledì 20 alle 21 al Conservatorio, per la stagione dell’Unione Musicale, Leonidas Kavakos al violino e Enrico Pace al pianoforte, eseguiranno un programma ancora da definire. Giovedì 21 alle 20.30 e venerdì 22 alle 20, l’Orchestra Rai diretta da Juraj Valcuha e con Alexander Malofeev al pianoforte, eseguirà musiche di Dvoràk, Cajkovskij, Rachmaninov.

Sempre giovedì 21 alle 10.30, al Teatro Regio per la stagione d’opera, debutto di Pinocchio opera in 2 atti, musica di Pierangelo Valtinoni. Repliche fino a sabato 23. Sabato 23 alle 20 al Teatro Vittoria, Gabriele Casciano e allievi ed ex allievi del Conservatorio, eseguiranno musiche di Schumann. Martedì 26 alle 20.30 all’Auditorium del Lingotto, la Kammerakademie Potsdam diretta da Antonello Manacorda e con Maximilian Hornung al violoncello, eseguirà musiche di Wagner, Schumann e Brahms. Mercoledì 27 alle 21 al Conservatorio, il Quartetto Belcea, eseguirà musiche di Haydn, Britten e Beethoven. Giovedì 28 alle 20.30 e venerdì 29 alle 20, all’Auditorium Toscani, l’Orchestra Rai diretta da Omer Meir Wellber e con Sarah Jane Brandon soprano , Katija Dragojevic mezzosoprano, Patrick Grahl tenore, Istvan Kovacs basso e il coro Maghini diretto da Claudio Chiavazza, eseguirà musiche di Mozart. Sabato 30 alle 20, al Teatro Vittoria, per la stagione dell’Unione Musicale, il Quartetto Daidalos eseguirà musiche di Webern, Verdi e Schumann.
 

Pier Luigi Fuggetta

Marco Gastini alla Galleria “Persano”

A pochi mesi dalla scomparsa la mostra ricorda il pittore torinese, fra i grandi dell’arte contemporanea italiana

Una ventina di opere inedite, quasi tutte di grandi dimensioni, e una nutrita raccolta di “maquettes”. E’ un omaggio dovuto, quello che Giorgio Persano dedica fino al prossimo 14 maggio, negli ampi spazi della torinese Galleria di via Principessa Clotilde, a Marco Gastini, nato a Torino nel 1938 e a Torino scomparso il 28 settembre del 2018. La mostra era stata infatti concordata da tempo fra lo stesso pittore e l’amico gallerista che oggi concretizza l’idea ripercorrendo, attraverso l’esposizione di opere fortemente significative, l’avventura artistica di uno dei più grandi e “instancabili” ed estrosi (di quell’estrosità coi piedi ben piantati a terra che guarda sempre alla concretezza del mestiere) artisti italiani del secondo Dopoguerra. Dagli anni ’70 ad oggi. Alle spalle – ma mai del tutto dimenticata – l’esperienza informale e gli impulsi ansiogeni anziché no del post-informale (dall’Arte Povera allo Spazialismo di Fontana via via fino al Minimalismo occhieggiante ai Paolini ai Griffa così come ai Castellani), gli anni rappresentati in mostra alla “Persano” sono quelli legati al periodo “analitico” di Gastini – la tela bianca, il “poverismo” cromatico e segnico, il gesto di esile incisività – e a seguire, in moti di andata e ritorno inaspettati e improvvisi, gli anni prepotentemente attratti dall’esplosione della materia (dal legno al ferro al carbone alle terrecotte o all’ardesia) “graffiata” dall’irrequietezza di un colore (il suo amato “blu” soprattutto) che pare condurre l’opera all’invasione e al recupero degli spazi esterni. Sono pagine, sempre, di profonda emozione, espressione passionale di una grande creatività appartenuta a un grande giocoliere dell’arte che ha saputo cavalcare con piena levità e senza imbarazzo alcuno le grandi scuole del Contemporaneo, restando sempre fedele a un’indipendenza di stile e d’intelletto che risiedeva soprattutto, come ebbe a scrivere qualche anno fa Marcella Beccaria “nel rigore – direi quasi nell’orgoglio – con cui ha sempre pensato a sé stesso come a un ‘pittore’, scegliendo di continuare a stare dalla parte della pittura anche in anni caratterizzati da un dilagante rifiuto culturale della stessa, come teoria e come pratica”. Attenzione, però: “Pittura che non dev’essere – annotava lo stesso Gastini– catalogabile, che deve sbilanciare per essere vera e che deve sfuggire alle intenzioni, anche alle mie”. Arte in bilico. Perennemente. Arte che non sai mai se abbia appieno esaurito le sue trame o, al contrario, sia solo agli inizi del gioco narrativo. Pittura che vive di movimento e precarietà come nel monumentale “Il sogno respira nell’aire” (1988), una sorta di geniale poderosa pitto-scultura (in cui, come in altre opere, ritorna quell’antico gusto del fare, respirato e assimilato fin da ragazzo nel laboratorio da marmista del padre) esposta per la prima volta in una galleria, carica di impasti cromatici che con violenza aggrediscono il precario (all’apparenza) assemblaggio di carbone, legno e lamiera di ferro, dove i cerchi possono diventare ruote e tracimare e invadere in un baleno l’area d’intorno. Dell’87, è invece “Mentre ancora la polvere muove”: quattro lamiere di rame, gravate dall’opaco nerofumo che pare appena posato sulla superficie luminosa del metallo, e su cui l’artista graffia e incide forme di casuale e semplificata astrazione, che rimandano alla magica primordiale gestualità della pittura rupestre. Materia e ancora materia. Accanto alle tele bianche o madreperlacee di fine anni ’70, sintesi di ricerca fra segno, spazio e “azzeramento cromatico” con quel bianco “che non è mai vuoto”, diceva Gastini; o ancora – e sono le ultime lasciateci dall’artista – tele datate 2018, appena appena sfiorate da leggeri tratti di carboncino o solcate da vigorose geometrie di colore (forme e silhouettes indecifrabili, a volte misteriche) o da ardesie che frantumano i piani, “feriscono e accrescono la materia”. Di grande interesse infine le “maquettes”, portate in rassegna e che Gastini abitualmente realizzava come progetti (ben saldi e concreti, quelli per la Banca d’Alba del 2010) o in forma autonoma, scelte per meglio comprendere lo sviluppo del suo lavoro negli anni. “Un percorso – sottolinea Giorgio Persano – che ci conduce in un viaggio nel tempo e che intende trasmettere, dell’artista e dell’amico, un ricordo vivo e aperto al futuro”.

Gianni Milani

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Marco Gastini
Galleria “Giorgio Persano”, via Principessa Clotilde 45, Torino; tel. 011/835527 o www.giorgiopersano.org
Fino al 14 maggio
Orari: mart. – sab. 10/13 e 15,30/19 
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Photo Pino dell’Aquila – Courtesy Galleria Giorgio Persano

– “Il sogno respira nell’aire”, tecnica mista, carbone, legno e lamiera di ferro su legno, 1988
– “Mentre ancora la polvere muove”, tecnica mista, carbone e legno su rame, 1987
– “Senza titolo”, tecnica mista, carta e terracotta su tela, 2018
– “Senza titolo B”, acrilici, pearl white, conté, grafite e pastelli su tela, 1978

 

Al Parco Dora "Sanremo the story"

La grande mostra che racconta il Festival della Canzone Italiana dal 1951 a oggi in un’avvincente e inedita raccolta di documenti, cimeli, strumenti, dischi e giornali dell’epoca
 
 
Dopo il successo della mostra dedicata all’animazione dei quadri di Claude Monet in 3D, la cultura torna protagonista al Centro Commerciale ‘Parco Dora’, a Torino in Via Livorno angolo via TrevisoQuesta volta, a calamitare l’attenzione del pubblico, è la volta di ‘Sanremo The Story’, una straordinaria e ricca mostra itinerante interamente dedicata al Festival della Canzone Italiana, che ripercorre la storia del Festival di Sanremo sin dalla prima edizione del 1951 fino ai nostri giorni, attraverso l’esposizione di oggetti e video documentari che fissano e narrano con grande emozione i momenti più belli ed entusiasmanti dell’evento più importante del nostro Paese. Un percorso di visita affascinante, visitabile dal 2 al 24 marzo 2019, frutto di un’iniziativa unica nel suo genere capace di trovare un connubio ideale tra modernità, arte e tecnologia. Più di una semplice retrospettiva sulla kermesse canora, rappresenta una visione più ampia di queste 68 edizioni, capace di mostrare anche i diversi aspetti sociali legati all’Italia dell’epoca”, afferma l’Architetto Emanuele Manca, General Manager del Parco Commerciale Dora nonché professionista attento ai fenomeni culturali e del cambiamento in atto. Il percorso emozionale che caratterizza ‘Sanremo The Story’ vanta la presenza di cimeli originali (dischi in vinile, documenti, abiti di scena) del Festival di Sanremo, accompagnati da monitor che proiettano video documentari, su di un’area di 80 metri quadrati che prevedono all’interno, 7 monitor touch ciascuno, predisposto all’ascolto di brani con l’utilizzo di cuffie, un’ampia varietà di teche con 45 e 33 giri originali del Festival di Sanremo e altre con esposti con strumenti musicali originali dell’epoca impiegati durante la kermesse. E ancora, 30 quadri con locandine storiche delle edizioni del Festival, 70 bacheche con all’interno le copertine di ‘Tv Sorrisi e Canzoni’ dedicate alla kermesse, impreziosite altresì da un’insegna luminosa con il popolare logo del noto settimanale di musica e spettacolo. Completano l’offerta culturale 1 monitor touch con viaggio 3d della mostra, e un altro con una selezione accurata di immagini in loop tratte dai momenti migliori della storia degli anni del Festival. ‘Sanremo The Story’ nasce da un’idea di Pepi Morgia, scomparso nel settembre 2011, direttore del ‘Museo della canzone’ e noto per le sua capacità di regista e light designerIl logo, così come il nome ‘Sanremo The Story’, è stato ideato da Silvano Guidone, socio dello storico pubblicitario torinese ‘Armando Testa’. La mostra è visitabile dal lunedì al venerdì dalle 09.30 alle 12.30, e dalle 16.30 alle 19.30. Sabato e domenica dalle 11.00 alle 22.00. Ingresso libero con offerta minima pari a 1 Euro che verrà interamente devoluta per sostenere il progetto ‘Alternanza Scuola Lavoro’ del Liceo Classico Musicale ‘Camillo Benso Conte di Cavour’ di Torino, i cui allievi forniranno il servizio di guida durante gli orari di apertura della mostra.
 
Tutte le informazioni sul sito www.parcocommercialedora.it e sulla relativa pagina FB del Centro Commerciale ‘Parco Dora’.