CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 593

I segreti del Testamento di Marco Polo

In mostra al MAO-Museo d’Arte Orientale di Torino

 

Lontana l’immagine epica e leggendaria dell’impavido viaggiatore ed esploratore (nonché mercante ed ambasciatore alla corte del Gran Khan) più famoso della storia. Al suo posto, si legge quella intima e inedita dell’uomo reso fragile dalla malattia, che sente accanto il soffio della morte e rivive nella memoria – in un nostalgico ma sereno flashback di quasi settant’anni di vita – affetti, amori, avventure, generosità non sempre forse assecondate nel tempo terreno e trepide comprensibili paure. E’ questa l’immagine “segreta” che emerge da “Ego Marcus Paulo volo et ordino”, la replica scientificamente conforme del Testamento di Marco Polo, presentata il 14 giugno scorso in Palazzo Madama ed esposta, fino al 15 settembre, al MAO- Museo d’Arte Orientale di via San Domenico a Torino. Scritto su una pergamena di pecora nel 1324 e pubblicato, dopo un lungo e minuzioso lavoro, da Scrinium (organizzazione veneziana, nata nel 2000, che ha fatto della conservazione del patrimonio culturale mondiale la sua autentica mission), il Testamento racchiude l’anima – per certi versi – inaspettata di Marco Polo, nato a Venezia il 15 settembre 1254 e a Venezia scomparso l’8 gennaio 1324. Un uomo ricco, generoso e profondamente attento agli affetti famigliari (al punto di ignorare volutamente le “regole” allora in vigore rispetto ai passaggi ereditari), un uomo che anche in punto di morte volle stupire con le proprie disposizioni testamentarie: questo ci racconta il documento in cui appare, in primis, la volontà di elargire cospicue elemosine e donazioni alle chiese e alle congregazioni religiose cittadine, quasi a volersi meglio assicurare la salvezza dell’anima nell’aldilà. Per sua esplicita volontà, si dovrà inoltre provvedere a restituire la libertà al suo fedele schiavo di origine tartara, Pietro, e a rimettere alcuni importanti debiti. Ma non solo. Stando sempre alle disposizioni testamentarie, Marco destina la parte più consistente della sua eredità alla moglie Donata Badoér e alle tre figlie Fantina, Bellela e Moreta in un momento storico in cui gli eredi venivano scelti esclusivamente fra i membri maschili della propria discendenza. E davvero strabiliante è l’elenco delle proprietà e degli oggetti favolosi lasciati alle donne di casa, preziosa conferma fra l’altro delle sue straordinarie imprese in Cina e del viaggio (compiuto attraverso la “Via della Seta” e tutto il continente asiatico) narrato nel “Milione”: dai bottoni di ambra alle stoffe traforate in oro, ai drappi di seta e alle redini di foggia singolare, fino al pelo   di yak e ad una “zoia” in oro con pietre e perle del valore di “14 lire di danari grossi”. Questo, almeno in parte, quanto si evince dal documento la cui ricerca è iniziata alla Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, dove si conserva fin dalla prima metà dell’Ottocento la pergamena su cui Marco Polo, dal letto di morte, dettò le sue volontà al prete-notaio Giovanni Giustinian e che venne ritrovata all’interno del Codice Marciano che raccoglie anche i testamenti del padre Niccolò e dello zio Matteo, compagni di Marco nel lungo viaggio alla corte di Kublai Khan (il più illustre discendente di Gengis Khan) del 1271. Documento che il mondo accademico si è conteso per anni, ma il cui studio avrebbe comportato seri rischi di danni per l’usura dell’originale. Di qui l’idea, maturata nel 2016, da parte del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, insieme alla Biblioteca Nazionale Marciana e a Scrinium di avviare un progetto congiunto per realizzare un clone (in tutto sono oggi 185, per un valore di 5mila Euro l’uno, già tutti venduti nel mondo) perfettamente corrispondente all’originale stesso. “La prima fase è stata quelle delle indagini bio-chimico-fisiche sulla pergamena”, spiega Ferdinando Santoro, presidente di Scrinium che continua: “Contestualmente, il professor Attilio Bartoli Langeli, paleografo di fama internazionale, ha realizzato la prima edizione diplomatica corretta e completa del testo. Il Testamento è stato quindi consegnato per il restauro all’Icrcpal, Istituto Centrale per il Restauro e la Conservazione del Patrimonio Archivistico e Librario di Roma. Quindi è intervenuta Scrinium per le fasi di rilievo e le successive riprese ad altissima definizione sui documenti”. Un iter durato tre anni, contrassegnato da ricerche altamente impegnative che portano infine alla realizzazione per la Biblioteca Nazionale Marciana della prima replica conforme del Testamento (quella esposta oggi al MAO), di impressionante perfezione e certificato con firma autografa del direttore della Biblioteca, insieme alle preziose edizioni diplomatica e interpretativa, curate dal professor Attilio Bartoli Langeli, e ad un volume di approfondimento storico-scientifico a cura di Tiziana Plebani, con contributi di illustri storici e specialisti della materia.

Gianni Milani

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“I segreti del Testamento di Marco Polo”

MAO-Museo d’Arte Orientale, via San Domenico 11; tel. 011/4436927 o www.maotorino.it

Fino al 15 settembre

Orari: dal mart. al ven. 10/18, sab. e dom. 11/19; chiuso il lunedì

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Nelle foto
– Testamento di Marco Polo
– Ferdinando Santoro, presidente Scrinium
– Testamento di Marco Polo, edizione diplomatica e certificato di conformità

 

 

Dal Sessantotto ad oggi, “Come cambia lo sguardo”

In libreria per ‘Armando Curcio Editore’ il nuovo, appassionante romanzo della scrittrice bolognese Susanna Trippa, con la doppia prefazione del senatore Ignazio La Russa e del giornalista Maurizio Gussoni.

 

Arriva in libreria per ‘Armando Curcio Editore’ ‘Come cambia lo sguardo’ – dal significativo sottotitolo ‘Gli inganni del Sessantotto’ -, il nuovo romanzo autobiografico di Susanna Trippa, classe 1949, bolognese naturalizzata bergamasca, con prefazioni del senatore Ignazio La Russa e del giornalista Maurizio Gussoni, edito da Armando Curcio.

Dopo l’apprezzamento dell’opera prima ‘I racconti di CasaLuet’ (Lampi di Stampa Editore), è seguito l’episodio letterario dal titolo “Pane e cinema”, che le è valso il 1° premio Albero Andronico “Cinecittà – l’occhio del cinema sulla città” (2009), e il romanzo ‘Il viaggio di una stella’, pubblicato in forma di book crossing soltanto sul web. Ora l’autrice si inerpica su strade più difficili e complesse, con lo sguardo attento rivolto al passato e, in special modo, a quei richiami che esso esercita con piena attualità anche sul presente. Perché, come dicono gli antichi, la storia si ripete, ed è un percorso circolare fatto spesso di corsi, ricorsi e ritorni.

La sua è una testimonianza: bambina negli anni Cinquanta e ragazza in quel Sessantotto che prima sconvolse e poi deluse. Le varie fasi di formazione della protagonista – dall’infanzia all’età adulta – si legano strettamente ai forti cambiamenti di sguardo che accompagnarono il periodo dagli anni Cinquanta a quelli “di piombo” nella rossa Bologna.

Nel Sessantotto ci fu un comune denominatore, che idealmente unì i ragazzi di destra con quelli di sinistra. Fu lo spasmodico desiderio di cambiare la società, di farla approdare a un diverso equilibrio tra le classi sociali. Quei ragazzi di sinistra che, nel segreto della propria stanza, sentivano Lucio Battisti, il poeta «fascista». E quelli di destra che, nel medesimo modo, sentivano Fabrizio De Andrè, il poeta «comunista»”, scrive nella propria prefazione Maurizio Gussoni Giornalista, già presidente di Croce Rossa Lombardia.

Ma c’è di più. “Il Sessantotto visto oggi con gli occhi di una ragazza di allora che si era abbeverata ai miti dell’egualitarismo e si ubriacava, sia pur da «cane sciolto» come si autodefinisce, alle promesse del comunismo. La critica della scrittrice non solo al Sessantotto italiano ma anche al mondialismo e alla genesi dei «poteri forti» appare assolutamente condivisibile. La scelta di un patriottico sovranismo (che non va confuso con un indistinto populismo) come rimedio ai guasti di cui il Sessantotto è il germe iniziale, fanno del suo libro un monito e una speranza”, gli fa eco Ignazio La Russa, Vice Presidente del Senato.

Nel romanzo le vicende della protagonista/autrice sono narrate con la freschezza di una scrittura che fluisce con naturalezza dai “cassettini della memoria”: anni Cinquanta e Sessanta, l’ubriacatura del boom economico, il Sessantotto, i viaggi, l’Oriente e i bui anni ‘di piombo’, sino ad approdare infine all’età adulta.

Tra le righe di questo raccontare spontaneo, un’attuale rivisitazione dell’autrice individua proprio nel Sessantotto – con il suo desiderio di uccidere il padre – un filo che lo collega a quanto del globalismo più esasperato minaccia la nostra società.

Un’opera che trasuda presente da tutti i pori denunciando, con le sue annotazioni, soprattutto l’antidemocraticità sotterranea che, a livello italiano ma anche europeo, avvelena la nostra società. Quell’antifascismo “archeologico”, come da definizione pasoliniana, non è ancora morto e impedisce ogni ricomposizione civile con il suo disprezzo per la volontà popolare, quando questa si esprime con un voto non gradito come appena accaduto.

Il corpo principale del libro “Come cambia lo sguardo” è la narrazione dei miei primi trent’anni di vita”, confida l’autrice Susanna Trippa. Che prosegue: “Dai primi anni Cinquanta, quasi un dopoguerra, quando ancora a Bologna, negli inverni freddi, sentivo odore di frittelle impastate con farina di castagne e cotte per strada, le ’mistocchine’, fino ad arrivare al marzo del 1977 con ‘Radio Alice’ e gli Anni di piombo come una nube scura. Infine l’approdo a Bergamo e all’età adulta. In mezzo, riaprendo i cassettini della memoria, stanno l’ubriacatura del miracolo economico, il Sessantotto e quanto poi ne derivò. Un percorso di vita in quegli anni, da bambina a donna, in cui cambia lo sguardo“.

Recentemente la voce autorevolissima di Benedetto XVI, Joseph Ratzinger pontefice emerito, suffraga tali riflessioni, individuando nel Sessantotto – e nel suo conseguente relativismo – “il decadimento morale non solo della Chiesa ma di tutto l’Occidente” (Catholic News Agency). “Quando Dio muore in una società, essa diventa libera, ci è stato assicurato. In realtà, la morte di Dio significa anche la fine della libertà perché scompare la bussola che ci indica la giusta direzione insegnandoci a distinguere il bene dal male. Per questo è una società in cui la misura dell’umanità è sempre più perduta”. Benedetto XVI completa però la sua riflessione con un monito di speranza: “Anche oggi Dio ha i suoi testimoni nel mondo. Dobbiamo solo essere vigili per vederli e ascoltarli”.

 

L’isola del libro

Rubrica settimanale sulle novità librarie

A cura di Laura Goria

Thomas Harris  “Cari Mora”  -Mondadori-  euro 18,50

 

Thomas Harris, scrittore e giornalista americano, è l’autore dello strepitoso thriller “Il silenzio degli innocenti” (1988) e il creatore dell’inquietante cannibale Hannibal Lecter; protagonista del romanzo e dell’omonimo film -vincitore di ben 5 Premi Oscar- interpretato da Anthony Hopkins e da una giovane, brillante, Jodie Foster. Harris è uno scrittore che centellina le sue opere; in 30 anni di carriera ha pubblicato solo 5 romanzi che hanno ispirato film di successo. Dopo 13 anni di silenzio ecco “Cari Mora”, suo 6° libro che, con  la maestria di sempre, ci conduce  sulle tracce di efferati delitti ambientati a Miami e nelle Everglades, tra sangue e cadaveri ingurgitati dai coccodrilli.  Questa volta il cattivissimo non è un cannibale, ma un mostro comunque spietato che semina morte. E’ il trafficante di esseri umani, Hans-Peter- Schneider che si arricchisce fornendo ragazze al tritacarne delle depravate fantasie di uomini ricchi e malati. Scioglie le sue vittime –tutte giovani donne- in un’allucinante cremazione liquida, eliminando infine il succo di una vita nello scarico del water. E vi assicuro che l’accurata descrizione del procedimento vi farà accapponare la pelle. Perché, al di là della trama, Harris è un maestro nell’imbastire pagine con dettagli agghiaccianti. Schneider è pericoloso, perverso, senz’anima, ed è ossessionato dalla bella Cari Mora. Lei è una colombiana 25enne con alle spalle un passato travagliato. Travolta dalla guerra civile scoppiata nella seconda metà degli anni 60 nel suo paese, è stata arruolata nel movimento di resistenza creato dai contadini poveri. La sua famiglia era stata sterminata dai paramilitari e lei si è ritrovata bambina-soldato a soli 12 anni: addestrata nelle file della Farc, la cui missione era dare la caccia ai paramilitari e rispondere ai loro massacri con altrettanta morte, case e villaggi  bruciati, sequestri di persona. E’ riuscita a scappare dal suo paese martoriato e si ritrova in America, semiclandestina che deve arrangiarsi per sopravvivere. A Miami fa la custode nella villa che era stata del trafficante Pablo Escobar -nel posto sbagliato al momento sbagliato- perché finisce per trovarsi al centro dell’ossessione di Schneider per l’oro che sarebbe nascosto tra quelle mura. Dalla prima pagina in poi è un susseguirsi di colpi di scena, assassinii efferati, con tanto di decapitazione e orrori vari assortiti. Ma Cari Mora non è una facile preda perché la vita le ha insegnato a difendersi… anche da un mostro come Schneider.

Paola Calvetti   “Elisabetta II. Ritratto di Regina”  – Mondadori-  euro 20.00

 

La giornalista e scrittrice Paola Calvetti ha dato un taglio inedito a questa nuova biografia della Regina più longeva della storia Britannica: perché racchiude anche dettagli insoliti e meno noti, raccontati seguendo il percorso delle fotografie che più rappresentano la vita eccezionale di Sua Maestà. Elisabetta II è una sovrana da Guiness. I Windsor sono la più antica istituzione politica dopo il papato e durante il regno di Elisabetta II si sono dati il cambio 15 premier britannici (ha da poco “battezzato” l’ultimo inquilino del 10 di Downing Street, Boris Johnson), 7 pontefici e 13 presidenti americani… lei li ha surclassati tutti ed è ancora lì, con le sue 93 primavere. Salda sul trono da 67 anni, ha sorpassato anche i 63 della regina Vittoria che segnò addirittura un’epoca. La fotografia è stata fedele compagna della sua vita, ed è lei stessa un’appassionata fotografa fin dall’adolescenza, quando il padre re Giorgio VI le regalò la sua prima macchina. Da allora ha seguito sempre, anche con competenza, il lavoro dei ritrattisti ufficiali della Corona. Nei decenni è stata immortalata da mostri sacri come Cecil Beaton, Lord Snowdon, Annie Leibovitz, Harry Benson (tanto per citarne alcuni). Ed  è proprio dalle immagini che la Calvetti prende spunto per ripercorrere le tappe più importanti della vita della sovrana, finendo per tracciarne anche un  profilo personale e quasi intimo. Ogni capitolo inizia con una foto. Da quella di Elisabetta infante di appena 8 mesi, poi attraverso infanzia, gioventù come erede al trono, per arrivare al ruolo di moglie e madre. Nata duchessa, non era destinata al trono, ma la prematura morte del padre ha cambiato la traiettoria della sua vita. Diventata regina ha svolto il suo compito con un senso del dovere encomiabile, quasi una missione, un impegno totalmente dedito ai sudditi e al Regno. Donna unica, sempre risoluta anche di fronte alle avversità che hanno costellato il suo cammino. Oltre alle tappe che sanciscono il ruolo storico e ufficiale di Elisabetta, il libro sfiora anche immagini che ne ritraggono la solitudine, o la gioia a bordo del Britannia in uno dei suoi tanti viaggi intorno al mondo. E ancora…l’amore per Filippo o l’ironia sublime come Bond Girl piovuta dal cielo durante le Olimpiadi londinesi del 2012…Allora sorprese tutti dicendo: “Una controfigura? Solo io posso essere me stessa e, come set, non immagino nulla di più adatto di Buckingham Palace!” La Calvetti si addentra anche in coni di ombra come i problemi con le nuore Lady D e Sarah Fergusson sfociati in divorzi clamorosi, o l’“annus horribilis” segnato pure dall’incendio del Castello di Windsor (novembre 1992). Miliardi di sterline letteralmente in fumo, e lei sgomenta sul luogo del disastro in impermeabile e stivali di gomma. Insomma, 255 pagine che raccontano a tutto tondo una sovrana e una donna, a dir  poco, unica e ineguagliabile.

 

George Simenon  “Il mediterraneo in barca”   -Adelphi – euro 16,00   

Il papà del commissario Maigret, George Simenon, è stato un narratore prolifico come pochi, autore di innumerevoli romanzi, che forse sono la sua produzione migliore, e comunque delineano lo spessore di questo autore. Adelphi che da anni ristampa tutti i suoi libri, ora in “Il mediterraneo in barca” raccoglie gli articoli che Simenon scrisse nel 1934, durante una crociera nel Mediterraneo. Da Porquerolles alla Tunisia, passando dall’isola d’Elba, Messina , Siracusa e Malta. Tante tappe e  tanti approdi che hanno ispirato l’inesauribile immaginazione dello scrittore. Tutto è iniziato con la sua idea di affittare una barca a vela per una crociera di 6 mesi. Vento, mare, cielo e salsedine accarezzano i suoi pensieri e gli ispirano pensieri, ricordi, emozioni, ragionamenti sulla vita e sul Mare Nostrum. Tutto correlato da foto in bianco e nero, scattate durante la traversata: testimoniano un tempo lontano, la fatica e la gioia del mare, incontri con pescatori dalla pelle incartapecorita dal sole. Ma anche cartoline di volti e popoli diversi, dei paesi in cui la goletta ha attraccato, permettendo a Simenon di scoprire e immortalare, con immagini e parole, anfratti e scorci di vita esotici, come per esempio Tunisi. Su tutto il viaggio impera lui, con la sua inseparabile pipa e il cappello da marinaio, assorto sul pulpito di prua della barca mentre osserva la distesa di vita davanti a sé. Non vi resta che veleggiare con lui….e fare buone vacanze.

Macugnaga Pianotrail, le vette della musica

Il festival pianistico ai piedi del monte Rosa

La musica classica e l’incanto delle montagne possono diventare un connubio assolutamente vincente. Questo accade all’interno del Macugnaga PianoTrail, festival pianistico ai piedi del monte Rosa, dove quattro giovani interpteti internazionali si esibiranno in quattro recital pianistici.

Per il concerto di apertura, in programma domenica 4 agostoprossimo, alle 18, al Kongresshaus di Macugnaga, scelto come sede di tutti gli appuntamenti, sarà presente un ospite speciale, Vadim Shishkin, che aprirà la rasssegna eseguendo dei bellissimi pezzi al vibrafono. Al suo recital, nello stesso concerto, seguirà l’esecuzione al pianoforte della pianista Serena Costa, direttore artistico del Festival.  

Sabato 10 agosto, alle 18, sarà poi la volta del concertodell’Orchestra torinese dei Virtuosi dell’Accademia di San Giovanni, istituzione nata all’interno del Duomo di Torino, per favorire la diffusione del sacro nelle arti. Diretta dal maestro Antonmario Semolini, l’Orchestra, la cui fama ha travalicato da tempo i confini regionali, accompagnerà al pianoforte il giovanissimo pianista Chou Hung Tse nello splendido concerto in la maggiore K 488 diWolfgang Amadeus Mozart.

Terzo appuntamento del Festival sarà quello con il pianista di Taiwan Li Mingyang, che lo vedrà protagonista di un recital in programma mercoledì 14 agosto prossimo alle 21 e, a conclusionedella rassegna, sabato 17 agosto alle 18 si terrà il concerto che vedrà l’esecuzione pianistica del polacco Mikolaj Sikala, su musiche di Schubert e Rachmaninov.

 

Mara Martellotta 

 

Al centro della fotografia il sostenitore, negli anni passati, del Festival al suo nascere, Marco Giovannetti, recentemente scomparso a soli 59 anni

Sera d’estate con il “Pannunzio” ad Alassio

Lunedì 5 agosto alle ore 21,30 ad Alassio in Piazza della Libertà, nei giardini antistanti il Palazzo del Comune, si terrà l’evento Sera d’estate 2019, organizzato dal Centro Pannunzio.

Nel corso della serata verranno conferiti i seguenti premi:

·        Premio “Pannunzio Alassio” a Valter Vecellio, giornalista del “TG2” e di “Radio radicale”.

·        Premio “Ennio Flaiano Alassio” a Christine Enrile, organizzatrice di grandi mostre artistiche ed eventi culturali.

·        Premio “Mario Soldati Alassio” a Franco Gallea, docente e critico letterario alassino.

Interverrà il Prof. Pier Franco Quaglieni, direttore del Centro Pannunzio

Introdurranno e coordineranno la serata Anna Ricotti e Marco Servetto.

In caso di maltempo la manifestazione si terrà presso la Biblioteca civica di Alassio, Piazza Airaldi e Durante, n.7.

Mountains by Magnum Photographers

Scatti d’alta quota firmati “Magnum” in mostra al valdostano Forte di Bard. Fino al 6 gennaio 2020

Bard (Aosta)

Anche Robert Capa non poté sottrarsi al fascino delle grandi vette. In una foto scattata quasi settant’anni fa (ma di incredibile attualità e freschezza), il celebre fotografo ungherese – al secolo Enfre Erno Friedman, ritenuto il più grande fotografo di guerra del Novecento – fissa nella mondanissima Zermatt, sullo sfondo spettacolare del Cervino corteggiato da incerti e capricciosi giochi di nuvole, la discesa di tre pimpanti sciatori dell’epoca catturati dall’obiettivo della sua “Leika” o della “Contax”. La foto è datata 1950 (a pochi anni dal termine del secondo conflitto mondiale e dagli indimenticabili scatti realizzati in Italia da Capa in occasione dello sbarco degli alleati in Sicilia, fino a Napoli e sulla linea bellica di Cassino) e appartiene al gruppone delle 130 selezionate negli immensi archivi dell’Agenzia Magnum Photos – la più prestigiosa Agenzia di Fotogiornalismo al mondo, fondata nel 1947 da Henri Cartier-Bresson, insieme allo stesso Robert Capa, a David Seymour e a George Rodger – e ospitate, fino al 6 gennaio del prossimo anno negli spazi del valdostano Forte di Bard. Filo conduttore e soggetto comune di tutti gli scatti, la montagna: le vette d’ogni dove, ritratte e interpretate e poste in dialogo con quelle “reali” della Vallée che, imponenti, si lasciano ammirare dalle feritoie delle Sale delle Cannoniere.

Meraviglie fra meraviglie. Risultato di un sodalizio ormai più che consolidato fra il polo museale valdostano e la storica Agenzia Fotografica che oggi conta ben quattro sedi nel mondo, fra Parigi, New York, Londra e Tokyo, la mostra è curata da Andrea Holzherr e Annalisa Cittera, che   sottolineano: “I fotografi Magnum hanno costruito e reinventato l’iconografia montana. Nelle loro fotografie le montagne sono osservate, sfruttate e attraversate. Vediamo   persone che trascorrono tutta la loro vita ad alta quota, ma anche   persone di passaggio che cercano una guida spirituale, il piacere, un rifugio dalla guerra o semplice sopravvivenza”. Si va dai pionieri della fotografia di montagna come Werner Bischof (alpinista lui stesso) che negli anni ’40 racconta la bellezza delle sue Alpi svizzere, ai già citati Robert Capa e all’inglese George Rodger (noto soprattutto per i suoi reportages in Africa, molti dei quali pubblicati sul “National Geographic”) che nel ’47 ferma l’immagine struggente del fanciullo di Basuto in Sud Africa avvolto in povere coperte per ripararsi dal freddo del Thaba Bosiu o “Montagna della Notte”.

E l’iter prosegue passando per l’austriaca Inge Morath (seconda moglie di Arthur Miller, dopo Marilyn Monroe) e il tedesco Herbert List, impegnato nei suoi scatti in bianco e nero a “cogliere nell’immagine la magia dell’apparizione”,   per arrivare ai nostri giorni con le grandiose vette dell’Himalaya che fanno da sfondo al rilassato ritratto del Dalai Lama realizzato nel ’76 da Raghu Rai, oggi il più famoso fotografo indiano, accanto alle immagini di fascinosa visionarietà del francese Marc Riboud (è dell’’83 la cinese inquietante “Montagna Gialla – Huangshan”), a quelle del siciliano di Bagheria (primo italiano a entrare in Magnum) Ferdinando Scianna e agli imponenti massicci montuosi che sembrano affiorare dalle acque del Lago Inle, nella Myanmar del grande Steve McCurry, fino al sito iconico del Machu Picchu sulle Ande del Perù fissate dall’obiettivo   dell’inglese Martin Parr.

La mostra si chiude con una sezione speciale incentrata su un importante progetto dedicato al territorio valdostano, commissionato al romano Paolo Pellegrin, fotografo di notorietà internazionale, e frutto di uno shooting realizzato in loco nella scorsa primavera, “alla ricerca – spiegano ancora i curatori – di quelle luci che lui, amante del bianco e nero, predilige…luci filtrate dalle nubi sfilacciate dal vento, i violenti controluce sulla superficie della neve, le buie increspature dei crepacci, le scure torri delle creste rocciose, gli arabeschi disegnati sulla superficie dei laghi ghiacciati”. Scenari che la Valle d’Aosta sa donarci con generosa abbondanza. All’artista, il compito della scoperta e della poetica interpretazione.

Gianni Milani

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“Mountains by Magnum Photographers”

Forte di Bard (Aosta); tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it

Fino al 6 gennaio 2020

Orari: dal mart. al ven. 10/18, sab. dom. e festivi 10/19, lun. chiuso

Nelle foto

– Robert Capa:”Zermatt, Switzzerland”, 1950, Magnum Photos
– George Rodger: “Thaba Bosiu Basutoland (Lesotho)”, 1947, Magnum Photos
– Raghu Rai: “The Dalai Lama, Ladakh, India”, 1976, Magnum Photos
– Marc Riboud: “Huangshan, China”, 1983, Magnum Photos
– Steve McCurry: “Inle Lake, Myanmar”, 2011, Magnum Photos

Il mondo degli “ultimi” raccontato al PalaGiustizia

“Gli invisibili”negli scatti di Mauro Raffini. Fino al 3 settembre


Vagare per le strade di grandi città (da Torino a Napoli a Nizza fino a Parigi, a Marsiglia e a Londra) per raccontare, attraverso la fotografia, la solitudine e l’ingombrante fardello di povertà di chi quelle stesse strade ha eletto a propria dimora. Per Mauro Raffini, origini cuneesi, ma torinesissimo d’adozione, quegli scatti realizzati in cinquant’anni di attività – fra mille altri dedicati al fotogiornalismo, all’editoria non meno che alle architetture urbane e al paesaggio – rappresentano un atto di fede e di irrinunciabile compassione verso il mondo. Anche e con uno slancio particolare verso chi negli anfratti più oscuri di questo nostro mondo naviga in traversata solitaria, trascinandosi addosso (dentro e fuori) miserie senza limiti e rassegnata disperazione. Sono loro, gli “invisibili” (o i “senza tetto” o gli “homeless” o i “clochards” o – bruttissimo termine, ancora da tanti gettonato – i “barboni”) i protagonisti di una toccante selezione di foto, una trentina complessivamente in bianco e nero e a colori, esposte da Raffini, fino al prossimo 3 settembre, nello Spazio Cultura Inclusiva della Caffetteria del Palazzo di Giustizia di Torino.

Promossa dall’ “Ufficio Pastorale Migranti” (diretto per anni da don Fredo Olivero, ancora oggi apostolo e memoria storica dell’immigrazione straniera a Torino) e dal “Garante dei diritti delle persone private della libertà personale”, la rassegna ha in sé la forza di guidarci con empatico interesse –trasmessoci dallo stesso artista – verso gli “ultimi” e i più “poveri”, che è come “andare –per usare le parole di Papa Francesco – verso la carne di Gesù che soffre”. Perché, in fondo, è ben vero che “i volti degli homeless sono spesso segnati da elementi di santità”, come sostiene un altro grande della fotografia incentrata sul tema, l’inglese Lee Jeffries che prosegue: “E sono i corpi, non le parole a raccontare le pene patite”. Ecco perché nelle foto in mostra non troviamo nomi né titoli. Solo volti e corpi dall’età indefinita, sguardi stupiti o sperduti o pronti alla sfida, qualche volta perfino i segni di antiche agiatezze; accanto sacchetti di plastica o carrelli della spesa arrivati chissà come e ripieni di mille povere improbabili cose. Avanzi di cibo, bottiglie, coperte, maglioni, cappotti su cappotti, cuffie su cuffie.

E’ lì tutta la loro casa, tutta la loro ricchezza, tutta la loro vita; per giaciglio una panchina o un materasso o la custodia di una chitarra, davanti la scatola di cartone per l’elemosina e c’è perfino chi non rinuncia alla lettura e alla musica. Curiosa la pila di libri accanto alla cuffia di lana che esce dalle coperte, con “L’alba di Vasco” appoggiata a “L’ultimo giurato” di John Grisham e a una guida turistica di Praga. “Ho fotografato – racconta Raffini – cercando di capire cosa significhi vivere la strada tutti i giorni, senza mai forzare la situazione per il rispetto che si deve a queste persone e per non violare troppo la loro residuale umanità”. Ma può una fotografia muovere l’osservatore alla pietas? “Nel suo libro ‘Davanti al dolore degli altri’, Susan Sontag – compagna di viaggio di molti operatori dell’immagine che non si fermano alla superficie delle cose – sostiene di no. E io la penso come lei.

Così come sono convinto che la fotografia – aggiunge Raffini – non sia un elemento determinante, tranne rarissime eccezioni, per cambiare particolari situazioni geo-politiche. Oggi ricordiamo appena la foto del piccolo Aylan, il bimbo siriano spiaggiato sulla costa turca di Bodrum; in questi giorni la stessa emozione si ripete per l’immagine del padre e della figlia salvadoregni ancora abbracciati in acqua, morti per annegamento nel Rio Grande. Un’immagine forte, destinata però a essere dimenticata dopo pochi giorni. E il tentativo di raggiungere gli Stati Uniti continuerà inarrestabile”. Tuttavia? “Tuttavia questo non pregiudica – conclude Raffini – la capacità di narrare con le immagini, che mantengono intatto il loro valore testimoniale, un valore etico, documentale e storico”.

Gianni Milani

“Gli invisibili”
Spazio Cultura Inclusiva-Caffetteria del Palazzo di Giustizia, corso Vittorio Emanuele 130, Torino; tel. 011/01123771
Fino al 3 settembre
Orari: lun. e ven. 7,30/15,30; sab. 7,30/13

Un pianoforte e quattro interpreti per l’estate azegliese

Il 3 agosto alla rassegna Musiche da ripostiglio

compositrice dalle influenze jazz e blues Anna Dari e, infine, con il suo pop melodico, il musicista ed ex produttore discografico David K Tickle, inglese di Lancaster e canavesano d’adozione. La serata avrà come special guest Angela Carlotta  mentre ogni brano sarà introdotto e descritto da Inika F Tickle.

M.Tr.

“Ceramics in love – two”, appuntamento con la grande ceramica

A Castellamonte, in anticipo e sotto il segno della più vasta internazionalità. Fino al 4 agosto

Manca un anno alla fatidica tappa dei “Sessanta”. E per la 59esima edizione della “Mostra della Ceramica” – iniziata quest’anno il 20 luglio scorso, con circa un mese di anticipo rispetto al tradizionale periodo agostano – Castellamonte, la città delle “stufe” d’arte note in tutto il mondo e dei primi caminetti “Franklin” prodotti in Italia, sta già preparandosi (si presume) alla gran festa del 2020. Primo evidente e ottimo segnale, l’incredibilmente ampia partecipazione e soprattutto l’impensabile e vasta internazionalità (mai così accentuata nelle edizioni precedenti) degli artisti che hanno inteso aderire al concorso “Ceramics in love”, momento clou della mostra voluto anche quest’anno dal curatore Giuseppe Bertero, insieme ai ceramisti castellamontesi. Concorso in versione “two”, non solo perché alla sua seconda edizione ma soprattutto poiché articolato quest’anno nelle due sezioni di “Arte” e “Design”, cui hanno dato la loro adesione da tutto il mondo ( o quasi) 220 artisti, di cui 180 quelli selezionati dalla Giuria: 120 le opere nella sezione “Arte” e 60 nella sezione “Design”, cui fanno da preambolo il progetto didattico “Design Ceramica” dello storico Liceo Artistico Statale “Felice Faccio” e la mostra del “gioiello ceramico”, organizzata da CNA – Federmoda.

Tutte le opere saranno esposte nei locali storici, di primo riferimento della Mostra, di Palazzo Botton e al Centro Congressi Martinetti. Un autentico successo, considerate anche le ben 27 nazioni di diversa provenienza rappresentate in rassegna, per un totale di 43 artisti stranieri, affiancati dagli italiani giunti da tutte le regioni d’Italia. Dalla Cina al Giappone al Messico, via via fino al Brasile alla Giordania, Israele, Slovenia, Croazia e ancora Serbia, Ucraina, Francia, Spagna, Inghilterra, Belgio, Svizzera fino alla Polonia, Turchia, Tunisia, Germania, Grecia, Cipro, Olanda, Ungheria, Finlandia, Stati Uniti e, ovviamente, Italia: accompagnata dal coloratissimo manifesto di Guglielmo Marthyn (che interpreta in chiave gradevolmente Pop il famoso “Amore e Psiche” del Canova) la mostra di quest’anno è sicuramente la più internazionale finora mai proposta a Castellamonte. “Il nostro obiettivo – spiegano gli organizzatori – era quello di accogliere e consentire ad un nutrito numero di artisti italiani e stranieri di poter mostrare la loro creatività, nell’interpretazione di un’arte tanto antica quanto moderna, in cui la tradizione si affianca all’innovazione dei materiali e delle tecniche, sperimentando le più nuove forme espressive, fino al linguaggio 3D, sia nel momento della fase progettuale sia nel passaggio a quella pratica”.

Fino al 4 agosto, tutta Castellamonte parteciperà, come sempre, all’evento “con tutte le realtà locali –ancora gli organizzatori – della produzione ceramica, nota in particolare per le ‘stufe’ di antica tradizione pur se oggi attualizzate da un moderno raffinato ed estroso design, praticato insieme alla più ampia varietà produttiva nelle numerose botteghe d’arte che portano avanti con grande passione il fascino arcano dell’argilla, quando incontra l’ardore dei forni e il fuoco della creatività”. Oltre ai già citati “punti chiave” e pubblici di Palazzo Botton e del Centro Congressi Martinetti, anche per quest’anno sono confermate le location private che da sempre ospitano la mostra, quali il “Cantiere delle Arti”, la ditta “Castellamonte”, la “Casa Museo Allaria”, la “Fornace Museo Pagliero”, le “Ceramiche Castellamonte” di Elisa Giampietro, le “Ceramiche Camerlo” e le “Ceramiche Grandinetti”. Molte e di vario genere (dall’enogastronomico al musicale) anche le iniziative collaterali offerte, per animare la rassegna, dalle varie associazioni locali (per info: tel. 0124/51871 o www.castellamonte.to.it), mentre, come per la precedente edizione, nei giorni prefestivi e festivi è prevista una navetta per un sopralluogo ai suggestivi “castelletti”, da dove si ricava la famosa argilla rossa di Castellamonte.
Libero l’ingresso. Orari: dal lun. al ven. 17/21, sab. e dom. 10/21

Gianni Milani

Nelle foto il manifesto della mostra e le opere di alcuni artisti selezionati

– Guglielmo Marthyn: Manifesto della 59esima edizione della Mostra della Ceramica di Castellamonte
– Palazzo Botton, Esposizione
– Opera di Anna Motola
– Opera  di Maurizio Bellan
– Opera di Xu – Hongbo

Una notte al Castello di Rivoli

Club Silencio è l’associazione culturale il cui obiettivo è valorizzare e promuovere il
patrimonio storico-culturale dei musei e degli edifici storici d’Italia attraverso
l’organizzazione di iniziative serali.

Mercoledì 31 luglio, prima della pausa estiva, Club Silencio propone la sua Notte
al Museo all’interno del meraviglioso Castello di Rivoli, dove l’arte contemporanea e
la storia di una residenza reale di fondono con armonia.
All’interno del cortile del Castello, nell’ambito di Palchi Reali, si assisterà alle
performance musicali di Emanuele Via, musicista e tastierista della nota band
torinese Eugenio in Via Di Gioia, che sta letteralmente spopolando in tutta Italia e
di Ivan Bert, trombettista e compositore di ricerca, che a Rivoli porta il progetto
Audio/Visivo SJØ.
L’aperitivo a buffet con cocktail bar sarà servito nel giardino della Manica Lunga del
castello, durante la serata sarà possibile visitare il museo e le meravigliose opere
della Collezione Permanente di Arte Contemporanea.

GLI ARTISTI COINVOLTI

EMANUELE VIA

Emanuele Via é un musicista calabrese. Dopo aver intrapreso gli studi di pianoforte
al conservatorio di Cosenza si appassiona al jazz e allo studio dell’armonia. nel 2010
si trasferisce a Torino dove incontra Eugenio Cesaro, Paolo Di Gioia e Lorenzo
Federici, coi quali fonda gli Eugenio in Via Di Gioia, band con la quale suonerà in
Italia ed Europa raggiungendo importanti soddisfazioni. Durante gli anni di concerti
e studi al politecnico si dedica alla composizione di brani strumentali che culminerà
con la pubblicazione di Diario di bordo, il suo primo album solista, uscito a febbraio
2016. Si tratta di un concept album che simula un viaggio in mare, attraverso un
susseguirsi di atmosfere e sonorità che scandiscono il susseguirsi degli eventi nei
quali è immerso il viaggiatore. Scrive musiche per cortometraggi e spot che molto
spesso ripropone dal vivo.

IVAN BERT SJØ – SOUND JOURNEY ORCHESTRA
Ivan Bert, direzione, concept, sound design, tromba, elettronica
FiloQ, elettronica, live overdub, sound design
Paolo Porta, sassofoni
Andrea Bozzetto, sintetizzatori analogici, elettronica
Riccardo “Akasha” Franco – Loiri, live digital video
«Musica site specific per un volo virtuale in un mondo inesistente», questa è la sfida
lanciata da Ivan Bert con il suo Ensemble SJØ. Il gruppo fonde gli strumenti acustici
con l’elettronica live trasfigurando la musica contemporanea, le atmosfere “pop” e il
jazz per un nuovo capitolo nelle ricerche di confine. Questo lavoro è ispirato agli
studi sulle relazioni tra ambiente, architettura e uomo dell’antropologo Franco La
Cecla.

INFORMAZIONI UTILI
APERITIVO 1° drink & buffet – 20€
Ingresso 19:30 alle 20:45
POST APERITIVO 1° drink – 12€
Ingresso 21:30 alle 22:45
Visita del Museo d’Arte Contemporanea libera (ultimo accesso 22:45)
Consigliamo di posteggiare al parcheggio di Via Rosta 21, Rivoli. Ci sarà un servizio
navetta gratuito attivo tutta la sera dal parcheggio al Castello di Rivoli e ritorno.

TAVOLI & LOUNGE → bit.ly/CS_RIVOLI_P
– ingresso garantito e prioritario salta-coda
– aperitivo incluso con 1 drink e 1 calice di prosecco
– accesso all’area lounge riservata
– area food e bar dedicato
– tavoli e sedute riservate (dalle 19:30 alle 21:30)

PREMIUM PASS: €5 → bit.ly/CS_RIVOLI_P
– ingresso garantito (Aperitivo €20 – Post aperitivo €12)
– ingresso prioritario salta-coda
– un flute di spumante by Winelivery (codice promo €5: BONTON facendo un ordine
su winelivery.com su un acquisto di €15 o superiore)

PARTNER
Martini, Toyota Lexus Spazio 4, Winelivery, Nastro Azzurro, Palchi Reali, Fondazione
Piemonte dal Vivo, FAI Giovani – Torino.