CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 562

La donna del quadro

Le poesie di Alessia Savoini
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Rimane sedotto
Inerme innanzi 
O per quel che sarebbe stato poco dopo
Al visivo contatto
Di una donna che si sfiora
Strofinando con le dita sui capelli
Un’intima voglia
Di affannare il respiro.
Sinuoso tutt’altro
Per l’epoca manifesta
Ma è profondità eterna
Il bianco cadere del lenzuolo sulle sue cosce.
Il fiato trattenuto
Tra la folla si sarebbe disperso
Il timore di non poterlo sentire
In qualcosa di concreto.
Non è lei che sogni
Ma la cerchi fuori dal quadro
E allo stesso modo t’osservavo
Pochi passi più indietro.
Non potesti notarlo,
Ma forse qualcuno
Nel tempo del tuo fascino 
Dipinse il mio sentimento.
Ci si voltò, poi,
E si camminò altrove.
Svanì l’incanto
E l’erotico istante
Dietro la cornice resta.

A San Valentino il regalo del cuore è la cultura

Per San Valentino il regalo perfetto per tutti gli innamorati è la Cultura. Con oltre 200 realtà, fra musei, residenze reali, castelli, giardini e fortezze diffuse in tutto il Piemonte, nelle città e nei piccoli centri, la tessera Abbonamento Musei Torino Piemonte è realmente lo stimolo migliore per esplorare insieme alla persona del cuore il paesaggio piemontese con gite fuori porta e visite illimitate per vivere a 360° un’intera regione.

 

L’Abbonamento Musei si rivolge infatti a ogni tipo di pubblico con tariffe dedicate ma sempre molto convenienti, ha una validità di 365 giorni e può essere sottoscritto o rinnovato in qualsiasi momento dell’anno. Perché dunque non sfruttare la festa degli innamorati per fare un regalo originale che permette di accedere, senza costi e limiti nel numero di visite, alle sedi e alle mostre negli enti convenzionati, e di godere di tutti beni paesaggistici e museali piemontesi che raccolgono la grande varietà dell’eredità culturale e della ricchezza naturalistica tipica dell’Italia. Oltre ad avere a portata di tessera l’intera offerta del panorama culturale piemontese con tanti appuntamenti e mostre, l’Abbonamento Musei permette di visitare a tariffe agevolate anche alcuni dei più importanti musei italiani e accedere ad eventi e visite guidate esclusive. Tra le più attese in Piemonte ci sono la mostra Il Rinascimento di Gaudenzio Ferrari, dal 24 marzo, dedicata al più importante esponente del Rinascimento in Piemonte, che si articola tra la Pinacoteca di Varallo, l’Arca di Vercelli e si conclude al Broletto di Novara. Sempre a marzo, la Reggia di Venaria ospiterà due importanti esposizioni: Genesi, l’ultimo grande lavoro di Sebastião Salgado, il più importante fotografo documentario del nostro tempo. Oltre 200 eccezionali immagini compongono un itinerario fotografico in un bianco e nero di grande incanto, raccontano la rara bellezza del patrimonio unico e prezioso di cui disponiamo, il nostro pianeta. Genio e Maestria. Mobili ed ebanisti alla corte sabauda tra Settecento e Ottocento presenta invece mobili d’arte di eccezionale rilevanza realizzati dai maggiori ebanisti e scultori dell’epoca, Luigi Prinotto, Pietro Piffetti, Giuseppe Maria Bonzanigo e Gabriele Capello detto “il Moncalvo”, alcuni mai esposti prima: due secoli di storia dell’arredo in circa 130 opere. Tante le mostre nel capoluogo piemontese. La GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino dedica un’importante esposizione alla pittura di Renato Guttuso, presenza di rilievo nella storia dell’arte italiana del Novecento e figura nodale nel dibattito concernente i rapporti tra arte e società. A Palazzo Madama la mostra Perfumum. I profumi della Storia. è un racconto sull’evoluzione e la pluralità dei significati del profumo dall’Antichità greca e romana al Novecento, visto attraverso più di duecento oggetti esposti, tra oreficerie, vetri, porcellane, affiches e trattati scientifici. La mostra Da Piffetti a Ladatte. Dieci anni di acquisizioni alla Fondazione Accorsi-Ometto permette di ammirare i pezzi acquistati negli ultimi dieci anni: i mobili, i dipinti, le miniature, gli orologi, gli argenti e gli oggetti montati esposti rappresentano tutti un omaggio incondizionato alle arti decorative. I disegni e i dipinti di Filippo de Pisis sono esposti, invece, negli spazi del MEF – Museo Ettore Fico. Le oltre 150 opere indagano la cultura dell’artista: l’inclinazione poetica, la passione antiquaria e collezionistica, il mondo musicale della lirica, l’indole del botanico naturalista e l’amore per le civiltà del passato.

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Uscendo dall’area metropolitana torinese, per la prima volta il Forte di Bard dedica una mostra evento agli impressionisti e lo fa con un progetto inedito dal titolo Luci del Nord. Impressionismo in Normandia. Più di 70 importanti opere raccontano la fascinazione degli artisti per la Normandia; tra questi Monet, Renoir, Boudin, Corot, Courbet, ma anche Delacroix, Dufy, Gericault. Ad Asti, Palazzo Mazzetti presenta, invece,Aleppo. Come è stata uccisa una città. Unica in Italia, la mostra ripercorre i cinque anni di guerra che hanno coinvolto Aleppo dal 2011 al 2016 con un allestimento che immerge il visitatore nella realtà della città siriana e dei suoi abitanti.  Le tariffe della tessera Abbonamento Musei sono suddivise secondo differenti fasce d’età per offrire a ogni tipo di pubblico la soluzione più conveniente e in linea con le proprie necessità. L’intero costa a 52 euro. Per chi ha più di 65 anni c’è l’Abbonamento Musei Senior a 45 euro; per chi ha dai 15 ai 26 anni (sino a 29 per i titolari della Pyou Card) quello Young a 32 euro; 20 euro dai 6 ai 14 anni per l’Abbonamento Musei Yunior. L’Abbonamento Musei è acquistabile e rinnovabile on-line, sul sito www.abbonamentomusei.it, con spese di spedizione gratuite, presso i punti vendita e numerosi musei della rete. Per maggiori informazioni è possibile contattare il numero verde 800/329.329.

Enrico IV: la vita? Meglio fingersi folli

Il tema della follia declinato da Pirandello va in scena al teatro Carignano dal 13 febbraio, alle 19.30, nell’ “Enrico IV”, capolavoro indiscusso del drammaturgo siciliano, per l’adattamento e la regia di Carlo Cecchi, che ne è anche superbo interprete. Il testo pirandeliano si basa sul pretesto da parte di un uomo di inscenare la propria follia, per ritirarsi dietro le quinte della realtà e, da lì, contemplare con un leggero sogghigno le miserie e le ipocrisie della società. Il protagonista, il cui nome rimane ignoto per tutta la durata dello spettacolo, dopo una caduta da cavallo nel corso di una rievocazione storica, decide di fingersi pazzo e mostrare di essere convinto di essere Enrico IV di Francia.   Carlo Cecchi riprende il testo pirandelliano, uno dei più penetranti e intensi sul tema della maschera e del rapporto realtà – finzione, nonché magistrale esempio di teatro nel teatro, rimaneggiandolo, però, in modo da farlo risultare ancora più incisivo, capace di sottolineare l’aspetto psicologico e di critica sociale. Cecchi riduce in modo drastico i lunghi monologhi che, in origine, erano stati scritti per Ruggero Ruggeri e colloca la vicenda in un costante equilibrio tra finzione e realtà. L’essere e l’apparire risultano due facce della stessa medaglia, cui si aggiunge il nascondersi dietro la lucidità insinuante e sferzante, dentro un mondo ovattato, in un’epoca remota della storia, o dietro maschere che ognuno di noi indossa, pur senza definirsi attore. Il protagonista vive, fingendosi Enrico IV, una esistenza fiabesca con l’aiuto di alcuni uomini da lui pagati per fingersi suoi consiglieri segreti; ad un certo punto riconquista la ragione, ma continua a fingersi pazzo ed osserva dall’esterno la sceneggiata predisposta per lui, che coinvolge anche la donna amata, Matilde Spina, e l’amante di lei, Belcredi, un medico che vuole provocare uno choc per farlo rinsavire. Cecchi elimina diverse ridondanze e non appesantisce di lunghi monologhi la piece teatrale, usando finzione e umorismo, riuscendo benissimo a rendere il pirandellismo del testo.

 

Mara Martellotta

Galasso, un napoletano che guardava al Risorgimento e all’Europa

di Pier Franco Quaglieni

Con la morte di Giuseppe Galasso si è chiusa l’età dei grandi storici italiani. Era uno studioso di livello europeo, profondamente radicato nella sua Napoli ed impegnato sul terreno di un meridionalismo alto che riprendeva gli ideali di Guido Dorso rivivendolo in una temperie politico – culturale totalmente cambiata .Era stato partecipe dell’avventura di “Nord e Sud” di Francesco Compagna e Vittorio De Caprariis. Fu nella redazione di quella nobile rivista che lo conobbi negli Anni Settanta del Novecento sull’onda del ricordo di Mario Pannunzio, che per Galasso rappresentava una delle lezioni morali e politiche più importanti . L’ultimo articolo che ha pubblicato pochi giorni prima della morte fu quello dedicato a Pannunzio a 50 anni dalla sua morte. Gli telefonai per complimentarmi con lui che era riuscito a storicizzare la figura di Pannunzio, andando oltre le celebrazioni acritiche e le polemiche contingenti in cui si è impelagato Eugenio Scalfari. Fu generoso con me e mi disse che aveva letto e apprezzato il mio articolo su Pannunzio per il suo “taglio innovativo”. Mi disse che , pur essendomi occupato per quasi 50 anni dell’argomento, avevo saputo dare un taglio distaccato. Concordò con me sul fatto che Pannunzio non aveva avuto un biografo adeguato. Una telefonata di pochi minuti, l’ultima tra tante. Ma soprattutto la nostra frequentazione era avvenuta a Palazzo Filomarino, dove abitava Alda Croce e dove ha sede l’istituto italiano di studi storici in cui Galasso si era formato alla scuola di Federico Chabod, come accadde a Rosario Romeo e Renzo De Felice. Una volta gli proposi di succedere ad Alda Croce alla presidenza del Centro “Pannunzio”,lui ringraziò ma mi disse che spostarsi a Torino di frequente era per lui troppo disagevole. Nel suo ricordo di Alda Croce nel 2009 al momento della sua morte omise di ricordare che era stata Presidente del Centro “Pannunzio”,ma quando lo chiamai per farglielo notare, mi chiede scusa e mi disse che aveva dovuto scrivere il pezzo in pochissimo tempo. Un tratto essenziale, fondamentale di Galasso è che fu anche attivo politicamente: fu deputato repubblicano per tre legislature e sottosegretario di Stato ai beni culturali.

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Fu l’artefice dei primi provvedimenti seri a tutela del paessaggio con la legge che porta il suo nome e che va oltre la legge Bottai del 1939. Giovanni Spadolini ,dal momento in cui si dedicò alla politica, pose definitivamente fine alla sua ricerca storica .Galasso invece seppe coniugare politica e attività scientifica, senza mai lasciarsi condizionare dal suo agire politico. Non si sentì mai un intellettuale “prestato” alla politica perché si dedicò ad essa in modo appassionato,specie dopo la morte di Francesco Compagna da cui ereditò il seggio parlamentare a Napoli. Ma non si lasciò mai travolgere dalla politica mantenendo la sua fisionomia di studioso. La Legge Galasso ne è testimonianza e la sua presidenza della Biennale di Venezia dal 1978 al 1983 ( anni molto difficili per il clima politico del nostro Paese) e’ la dimostrazione di questa straordinaria capacità di vivere l’endiadi cultura e politica senza mai far prevalere l’una sull’ altra. Aveva una concezione profondamente laica, ma rispettosa delle fedi religiose. Era molto diverso dal laicismo molto radicato di Gennaro Sasso ,studioso come lui dell’opera di Benedetto Croce a cui si sentì molto legato. Aveva iniziato come storico ad occuparsi dell’età moderna per poi rivolgersi alla storia medievale e al Risorgimento. Su quest’ultimo tema aveva difeso, lui napoletano, come Croce, Omodeo, De Felice le ragioni dell’unificazione italiana contro le demonizzazioni marxiste ,le nostalgie neo borboniche e le volgarità leghiste. Quando seppe che un comico prestato alla politica voleva istituire un’ ennesima giornata della memoria in ricordo delle vittime del Risorgimento in occasione dell’ anniversario della presa di Gaeta, ebbe un sussulto. Gli lessi un articolo scritto a quattro mani con Dino Cofrancesco contro l’ assurda proposta, che venne presa in considerazione solo dal Consiglio regionale pugliese e mi confidò che Narciso Nada ,storico torinese del Risorgimento con cui avevo studiato all’Università, si sarebbe sentito orgoglioso di me. Anche questa volta rimasi colpito dalla sua generosità .Lui repubblicano seppe valutare positivamente il ruolo della Monarchia nel Risorgimento e considerare l’attaccamento sincero della gente del Sud alla dinastia sabauda dimostrata nel secondo dopoguerra. Era molto rammaricato dal fatto che le cattedre di Storia del Risorgimento venissero sostituite da quelle di Storia risorgimentale ed era amareggiato per la fine non bella degli Istituti per la Storia del Risorgimento, << ormai in stato comatoso e finiti in mano a persone inadeguate>>.

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Nel 2011 andammo insieme a Roma al Museo centrale del Risorgimento del Vittoriano e constatammo insieme la sua inadeguatezza. Aveva invece molto apprezzato quello nazionale di Torino così come lo aveva concepito Umberto Levra che <<aveva avuto il coraggio di eliminare la sala delle bandiere del movimento operaio e sindacale inaugurata da Pertini e che non c’entrava nulla con il Risorgimento>> Negli anni Settanta venne nell’Aula Magna dell’Università di Torino a presentare un suo libro sul Mezzogiorno. Era un’iniziativa del Centro “Pannunzio” .L’Aula era ormai quasi piena ed era già arrivato il sociologo Filippo Barbano che era, insieme a Giorgio La Malfa, il presentatore del libro. Un “proconsole” torinese di La Malfa arrivò trafelato annunciando che il deputato non sarebbe venuto e che chiedeva a Galasso di rinviare ad altra data la presentazione .Fu una grave umiliazione e un atto di suprema arroganza. L’autore non proferì parola e dovette subire. Erano episodi che rivelarono fin dall’inizio la decadenza del partito repubblicano torinese. Anni dopo gli ricordai a Napoli quel lontano episodio e mi rispose con eleganza superiore che non valeva la pena di ricordarlo. Ricordare la sua vastissima opera storica diventa impossibile nei limiti che ci siamo posti. Un capolavoro appare la sua “storia di Napoli” ,come già era accaduto per Croce. Galasso si era anche occupato di storiografia e di metodo storico, come aveva fatto Chabod. Mise in evidenza i limiti di una storiografia basata sull’ideologia e anche quelli dei celebrati “Annales” francesi, evidenziando come ingiustamente gli storici italiani siano stati poco considerati a livello internazionale, sia a causa del fascismo sia a causa della prevalenza della lingua inglese. La grande storiografia italiana invece andava valutata in tutta la sua importanza, da Gioacchino Volpe ( del quale evidenziava la grandezza per troppo tempo messa in discussione per ragioni politiche ) ad Omodeo, da Chabod a Giorgio Falco, da Arnaldo Momigliano a Delio Cantimori, seguiti da Walter Maturi,Franco Venturi, Rosario Romeo e Renzo De Felice. In questa galleria di grandi storici la cui ricerca era finalizzata all’unico scopo di indagare la verità storica, l’ultimo in ordine di tempo non certo di importanza, che trova posto è proprio Giuseppe Galasso, la figura più autorevole della cultura napoletana che seppe essere cosmopolita, europeo e nazionale. In Galasso vibrava la tradizione in lui sempre viva di Francesco De Sanctis.

 

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“DESAPARECIDOS#43″ con gli Instabili Vaganti

Lo spettacolo ricorda la drammatica vicenda dei 43 studenti di Ayotzinapa scomparsi a Iguala, in Messico nel 2014

Sabato 24 e domenica 25 febbraio, al POLO DEL ‘900 in via del Carmine 14 a Torino, la compagnia teatrale “Instabili Vaganti” presenterà “DESAPARECIDOS#43 | Acción Global por Ayotzinapa”. L’appuntamento, per entrambe le serate, è alle 21.oo. In scena Anna Dora Dorno, Nicola Pianzola, Armida Pieretti. La regia è a cura di Anna Dora Dorno e le musiche originali sono di Alberto Novello JesterN, Eyky RAP, Yeudiel Infante. La drammaturgia originale è firmata da Nicola Pianzola e Anna Dora Dorno. Oggetti di scena e cura dello spazio scenico Luana Filippi con i contenuti fotografici video di Giuia Iacolutti. Lo spettacolo è patrocinato da Amnesty International – Italia ed è candidato alla 16° edizione del Premio Museo Cervi – Teatro per la memoria. Con “DESAPARECIDOS#43” la compagnia Instabili Vaganti intende dar voce alla drammatica vicenda dei 43 studenti di Ayotzinapa scomparsi a Iguala, in Messico, il 26 settembre del 2014. Lo fa partendo dalla propria ricerca ed esperienza di lavoro in Messico, Uruguay e Argentina e dalle testimonianze e dai racconti degli studenti e artisti coinvolti nella fase messicana del progetto internazionale “Megalopolis”,  ideato e diretto dalla compagnia. Una drammaturgia originale, bilingue, fatta non solo di parole ma anche di azioni fisiche, suoni, canti, immagini che mettono insieme più voci, quelle stesse voci che ancora oggi si uniscono al grido “Todos somos Ayotzinapa!”. Un grido di rabbia e di richiesta di giustizia  che continua ad animare le piazze delle città messicane e di tutto il mondo, che rimarrà nei graffiti metropolitani e che si è diffuso attraverso la rete. Instabili Vaganti propongono una performance forte, un atto di protesta che si unisce alle azioni dal basso, che sono diventate globali attraverso i social networks, oltrepassando censure e barriere. “DESAPARECIDOS#43” è anche un inno alla speranza che fa nascere da mucchi di vestiti insanguinati delicati fiori rossi: “Volevano seppellirci ma non sapevano che eravamo semi”. Uno spettacolo di teatro d’impegno civile “emozionale” che riprende la stessa innovativa metodologia di lavoro usata per “MADE IN ILVA”, opera cult della compagnia, pluripremiata a livello internazionale, trasformando interviste, dati e informazioni di denuncia in azioni fisiche, immagini ed emozioni capaci di suscitare una reazione immediata in chi guarda. Fondata nel 2004 dalla regista e attrice Anna Dora Dorno e dall’attore Nicola Pianzola, “Instabili Vaganti” si caratterizza per il suo lavoro di ricerca e sperimentazione nel teatro fisico e contemporaneo e per l’internazionalità dei suoi progetti. Instabili Vaganti opera nella creazione e produzione di spettacoli e performance, nella direzione di progetti, workshop e percorsi di alta formazione nelle arti performative a livello internazionale, svolgendo un continuo lavoro di ricerca sull’arte dell’attore.

M.Tr.

Da Piffetti a Ladatte

Dieci anni di acquisizioni alla Fondazione

 

La Fondazione Accorsi-Ometto, dopo una serie di esposizioni dedicate alla pittura italiana, torna a proporre una mostra sulle arti decorative, questa volta incentrata sulle acquisizioni fatte per incrementare le collezioni permanenti del museo. L’esposizione, curata da Giulio Ometto, Presidente della Fondazione e da Luca Mana, conservatore del Museo, consente, quindi, di ammirare un centinaio di pezzi, tra gli oltre duecentocinquanta acquistati negli ultimi dieci anni. Tra questi, è stato possibile il recupero di capolavori senza tempo, finiti all’estero e riportati a Torino, come il cofano-forte di Pietro Piffetti e le tre sculture in terracotta di Francesco Ladatte, raffiguranti le Allegorie dell’Autunno e dell’Inverno e Il Trionfo della Virtù. Ogni singolo pezzo è stato selezionato, perseguendo una personalissima passione per il bello e per gli oggetti preziosi. Ne sono un esempio: gli incantevoli mobili intarsiati in avorio di Pietro Piffetti; la scrivania “mazzarina” dell’inizio del XVIII secolo, con il monogramma “VA”; la Venditrice di Amorini in biscuit di Meissen; le miniature francesi che ritraggono eleganti gentiluomini e nobildonne del XIX secolo;  i ritratti dei Savoia realizzati da Giovanni Panealbo e da Louis Michel Van Loo o ancora i raffinati oggetti montati su bronzo dorato con porcellane della manifattura Vincennes e della dinastia Qing. I mobili, i dipinti, gli argenti e tutte le opere esposte in mostra rappresentano, pertanto, un omaggio incondizionato alle arti decorative e rendono il museo un’istituzione in continuo divenire.

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Museo Accorsi-Ometto 16 febbraio – 3 giugno 2018

Al Superga arriva “Cats”

 

Al Teatro Superga torna a grande richiesta il musical con un titolo leggendario: “Cats” dal 16 al 18 febbraio per tre repliche della versione italiana con atmosfere e costumi steampunk, accettata e apprezzata dal suo creatore, A.L. Webber.

Trenta giovani performers, cantanti e ballerini, un’orchestra di ventuno musicisti e un folto gruppo organizzativo di più di venti persone sono i componenti della compagnia Operà Populaire in questa originale e affidabile versione di “Cats”, uno dei capolavori nella storia del musical. Il Direttore artistico della compagnia, Stefano Mapelli, dopo uno studio approfondito dell’opera, ha proposto alla “The Really Useful Group Ltd”, editore di “Cats”, una diversa ambientazione, accolta con entusiasmo nel 2016 dalla casa di produzione di A.L.Webber. Questa nuova rilettura steampunk ambienta la celebrazione della notte dei Gatti Jellicle nell’età vittoriana di fine ‘800, sul tetto di una vecchia stazione ferroviaria abbandonata, rispetto alla versione classica in stile punk glamour ambientata in una discarica. “Cats”, composto nel 1981 dal talento di Webber, è una vera e propria leggenda del musical, sia per numero di spettatori, che per longevità; secondo Operà Populaire la rilettura steampunk era insita nella storia raccontata, secondo le tendenze di costume odierne nel mondo teatrale, filmografico e fumettistico. Lo steampunk è un filone della narrativa fantastica-fantascientifica che descrive un mondo anacronistico, in cui la forza motrice del vapore (steam in inglese) aziona le macchine e le strumentazioni, permeando ogni aspetto della vita, l’estetica, le abitudini e i modi di fare. L’energia elettrica torna a essere, come nella fantascienza ottocentesca, un elemento narrativo capace di ogni progresso e meraviglia. Dunque i “Gatti” di Operà Populaire vestiranno questi panni, immersi nella magica atmosfera steampunk in una grande storia di emarginazione che si trasformerà in integrazione.

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Teatro Superga

 

CATS

Musica Andrew Lloyd Webber
Tratto dal libro “Old Possum’s Book of Practical Cats” di T.S. Eliot
Traduzione italiana di Michele Renzullo, Saverio Marconi, Franco Travaglio
Coreografie Valentina Sala
Coordinamento orchestrale Sergio Sala
Costume designer Stefania Pisano
Make-up designer Giulia Giorgi
Materiale Aggiunto “Prologue – Jellicle Songs for Jellicle Cats”
Scritto da Trevor Nunn e Richard Stilgo e “Memory” scritto da Trevo Nunn
Regia e direzione musicale Stefano Mapelli
Produzione Operà Populaire

cantato in italiano con orchestra

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Biglietti: platea 33 € – platea ridotto 31 € | galleria 27 € – galleria ridotto 24,5 € | riduzioni per under12 e over65

Informazioni e prevendite biglietti: Teatro Superga, Via Superga 44 – Nichelino (To)
Biglietteria: dal lunedì al venerdì dalle ore 15 alle ore 19, sabato 17/2 dalle ore 18 e domenica 18/2 dalle ore 15 Prenotazioni: biglietteria@teatrosuperga.it | 011.6279789

Acquisto online su www.teatrosuperga.it e prevendite abituali del Circuito Ticketone

 

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PRIMO ATTO

Mezzanotte. Un’esplosione di musica e luci illumina il tetto di una vecchia stazione abbandonata di epoca vittoriana sullo sfondo di una Londra notturna. Questa è la notte speciale in cui, ogni anno, la tribù dei gatti Jellicle si riunisce per celebrare la propria identità. Sono gatti fieri e orgogliosi e si presentano al pubblico raccontando delle loro incredibili doti. I gatti sanno cantare, ballare, fare acrobazie… Si svela il segreto dei tre nomi dei gatti: il primo è il nome comune, il secondo è speciale, può appartenere solo ad un gatto alla volta. Il terzo nome è quello che solo il gatto stesso sa e nessun uomo potrà mai indovinare. I gatti aspettano il loro Leader, il saggio Old Deuteronomy, che sceglierà chi tra loro ascenderà al Dolce Aldilà, il mondo spirituale in cui i gatti possono reincarnarsi in una nuova vita Jellicle. Jennyanydots è la prima gatta a presentarsi, una gatta tranquilla e pacifica durante il giorno, ma estremamente attiva la notte, quando insegna musica e uncinetto ai topolini e trasforma gli scarafaggi in validi boy-scout. Rum Tum Tugger è un gatto viziato e dispettoso che riscuote uno straordinario successo tra le gatte della tribù e adora essere al centro dell’attenzione. Grizabella è una gatta con un passato glorioso. Un tempo star idolatrata tanto da rinnegare la sua tribù di gatti Jellicle ritorna e, pentita, chiede di essere riaccolta nella diffidenza generale di tutti gli altri gatti. Demetra e Bombalurina la derideranno invitando tutta la tribù a fare lo stesso. Bustopher Jones è il gatto dell’alta società, un gatto ghiottone dalla stazza imponente che conosce tutti i luoghi più raffinati dove consumare un ottimo pasto. All’improvviso un tuono: Macavity è nei paraggi! I gatti abbandonano in fretta la discarica, lasciando il palcoscenico completamente vuoto. Mungojerrie e Rumpelteazer sono una coppia di gatti ladri e buontemponi che adora fare scherzi e finisce sempre nei guai. La tribù rientra in scena per accogliere il saggio e benevolo capo Old Deuteronomy, amato e rispettato da tutti. È giunto il momento del grande Ballo Jellicle, la grande danza annuale alla quale partecipano tutti i gatti. Torna Grizabella, desiderosa di ricongiungersi alla sua famiglia e partecipare ai festeggiamenti; cerca un contatto ma viene ripudiata da tutti. Ricorda con goffi movimenti i suoi momenti da grande star e la sua situazione odierna.

 

SECONDO ATTO

Dopo il Ballo Jellicle, i gatti si riposano e Old Deuteronomy li intrattiene con riflessioni profonde e toccanti sulla felicità. Jemima, malinconica e ispirata, richiama l’aria cantata da Grizabella e il valore del ricordo, avvicinandosi così per la prima volta musicalmente alla vecchia gatta. Gus è il Gatto del Teatro. Un anziano attore che ha lavorato con i più grandi attori dei suoi tempi; ricorda i suoi maggiori successi, bramando di poter recitare ancora. Gus rivive una delle sue memorabili interpretazioni: il malvagio Pirata Growltiger, catturato e condannato a morte da una banda di Siamesi mentre era in compagnia della sua amata Griddelbone. Skimbleshanks, il Gatto Ferroviere, si presenta al pubblico. Si occupa personalmente dei treni su cui viaggia, assicurandosi che ogni dettaglio sia perfetto. Un fragoroso temporale interrompe i festeggiamenti, inquietanti rumori spaventano la tribù: è arrivato Macavity, il gatto malvagio: lui e i suoi tirapiedi rapiscono Old Deuteronomy. Demetra e Bombalurina cantano ciò che sanno del gatto malvagio; le sue cattive azioni gli sono valse il soprannome di “Napoleone del crimine”. Macavity rientra poi in scena coperto per non farsi riconoscere ma viene smascherato e combatte contro Admetus e gli altri maschi. Sfinito e ormai sconfitto, provoca magicamente una violenta scarica di fulmini dal cielo lasciando il tetto illuminato solo dal grande orologio. Old Deuteronomy non si trova più. Rum Tum Tugger si rivolge a Mr Mistoffelees e gli chiede di utilizzare i suoi poteri magici per ritrovare il buon Old Deuteronomy. Mistoffelees riesce a riportare luce e a far riapparire Old Deuteronomy. È arrivato il momento di nominare il prescelto tra i Jellicle, il gatto che rinascerà in una nuova vita. Ed ecco che Grizabella cerca di spiegare alla tribù tutto il suo dolore. Commossa e riaccolta nel gruppo, viene scelta: sarà proprio lei a ricevere la possibilità di ascendere al Dolce Aldilà. Nel finale Old Deuteronomy ricorda agli spettatori umani come sia opportuno trattare i gatti: con grande rispetto. Prima che un gatto ti conceda la sua fiducia ricorda, dovrai meritartela…

Applausi al Teatro di Caselette per Recital

Uno strepitoso Leonardo Manera si è alternato, sul palcoscenico del Salone Polivalente Cav.Magnetto di Caselette, ad una brillante Claudia Penoni, venerdì 9 febbraio, durante l’attesissimo “Recital”. Lo spettacolo, che ha aperto il ciclo di cinque appuntamenti di “RassegnaT – il teatro è a Caselette”, si è aperto con un momento di improvvisazione che, grazie alla simpatia di Leonardo Manera, ha rotto il ghiaccio, coinvolgendo un incredulo e divertitissimo pubblico. A fine spettacolo, dopo l’attesissimo duo del Cinema Polacco, grazie al quale i due attori sono diventati famosi come coppia a Zelig, il pubblico ha avuto la possibilità di porre domande agli artisti che hanno

risposto con simpatia ed informalità. “Abbiamo venduto l’ultimo biglietto circa una settimana prima dello spettacolo” Afferma con orgoglio Andrea Capogreco, Presidente dell’Associazione Messinscena, che ha organizzato, col patrocinio del Comune di Caselette, “RassegnaT” e prosegue: “Siamo molto contenti che il pubblico, di Caselette, ma anche dei paesi limitrofi, abbia risposto con tanto interesse a questa iniziativa”. Soddisfatto anche il Sindaco di Caselette, Pacifico Banchieri, che ha affermato: “Insieme all’Associazione Messinscena, abbiamo fatto una scommessa molto ambiziosa con questa rassegna e, a quanto pare, l’abbiamo stravinta!”. RassegnaT prosegue con altri quattro spettacoli, alcuni dei quali, vedranno protagoniste grandi personalità del teatro. Il prossimo appuntamento è fissato per il 24 febbraio, con “Due di Cuori”, con Esther Ruggero, Oscar Ferrari e Federica Tripodi. I biglietti saranno in vendita, a partire da mercoledì 15 febbraio, presso il Bar Caffetteria Kiosko, sito in Piazza Cays, a Caselette.

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Per maggiori informazioni www.teatrocaselette.it o visitare la pagina Facebook di Associazione Messinscena.

Un capolavoro ritrovato

IN ESPOSIZIONE ALLA PINACOTECA ALBERTINA DI TORINO, RACCONTA UNO SPACCATO ESEMPLARE DEL GRANDE RINASCIMENTO PIEMONTESE. FINO AL 25 FEBBRAIO

Un dipinto   avvolto nell’oblio per oltre 450 anni, passato misteriosamente di mano in mano in labirintici ghirigori legati al mondo delle committenze e del collezionismo privato e che oggi, finalmente, ritrova – grazie a un mecenatismo virtuoso – una sua dignitosa destinazione e collocazione pubblica. Frutto di un recente ritrovamento e acquisita da Banca Patrimoni Sella & C., che ne ha finanziato anche l’accurato restauro presso il Laboratorio “Radelet” di Torino, “L’Adorazione del Bambino con i Santi Francesco d’Assisi e Antonio da Padova” resterà esposta fino domenica 25 febbraio (l’inaugurazione si è tenuta lo scorso mercoledì 7 febbraio) nella sala dei cartoni gaudenziani della Pinacoteca Albertina, permettendo così ai torinesi di poter ammirare un altro grande capolavoro di quel Rinascimento che rappresentò un momento fondamentale per la storia dell’arte in Piemonte. Dalla metà del Trecento fino all’avvento del Manierismo. La tavola, databile verso la fine degli anni Trenta del Cinquecento, è un’opera matura di Gerolamo Giovenone, nato nel contado di Novara prima del 1490 e morto a Vercelli nel 1555. Artista poco conosciuto dal grande pubblico ma sicuramente fra i protagonisti della pittura piemontese del primo Cinquecento accanto ai vari Giovanni Martino Spanzotti, Defendente e Gaudenzio   Ferrari e al genero Bernardino Lanino (che ne sposò la figlia Dorotea), il Giovenone lavorò prevalentemente in Piemonte ma anche nel milanese, riuscendo ad esprimere, in maniera orgogliosamente personale le cifre stilistiche e i dettami narrativi (la costante del paesaggio sullo sfondo del quadro, ad esempio) del grande Rinascimento italiano.

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Alla Pinacoteca Albertina la sua “Adorazione del Bambino” si confronterà con altre opere della Collezione Albertina normalmente non visibili, accanto ai disegni della bottega dello stesso Giovenone, di Lanino e Gaudenzio Ferrari e ad un’altra bellissima “Madonna con Bambino” realizzata sempre da Giovenone su modello di Raffaello e arrivata in prestito da Palazzo Madama. “Il percorso espositivo alla Pinacoteca Albertina – sottolinea Daniela Magnetti, curatrice dell’evento e direttrice artistica della Banca Patrimoni Sella – è stato concepito come un progressivo avvicinamento all’opera protagonista…In mostra anche i materiali raccolti durante l’indagine diagnostica e il restauro della pala, che rappresentano un apporto prezioso alla comprensione storico-artistica del maestro e della sua bottega”. L’esposizione, inoltre, vuole offrire al pubblico l’occasione di comprendere meglio la funzione e il significato dei “cartoni” cinquecenteschi, parte della ricca collezione donata da re Carlo Alberto alla torinese Accademia di Belle Arti. Dopo Torino, il “capolavoro ritrovato” tornerà a Vercelli, dove dal prossimo 10 marzo guadagnerà la sua definitiva collocazione al Museo Borgogna, la prestigiosa sede che beneficerà del deposito permanente voluto da Banca Patrimoni Sella & C.

Gianni Milani

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“Gerolamo Giovenone. Un capolavoro ritrovato”

Pinacoteca Albertina, via Accademia Albertina 8, Torino, tel. 011/0897370; www.pinacotecalbertina.it

Fino al 25 febbraio

Orari: tutti i giorni 10 – 18; chiuso mercoledì 14 e 21 febbraio

 

Arca Azzurra Teatro, ancora un successo con il testo di Molière

Quanta strada per l’Arca Azzurra. Sono sui palcoscenici dall’inizio degli anni Ottanta, credo una famiglia, dove i padri fondatori non hanno mai avuto il desiderio di scappare e di rifarsi una vita, un nume tutelare e un poeta che ha l’intelligenza di Ugo Chiti, autore e regista – parecchie incursioni nel cinema con premi, a dar man forte all’amico Alessandro benvenuti, a Giovanni Veronesi, a Francesco Nuti, a Matteo Garrone -, la voglia di recitare insieme. Certi titoli, da quegli anni, uno non se li scorda, La provincia di Jimmy e Allegretto… perbene ma non troppo soprattutto, per arrivare a certe riproposte del Decamerone o della Clizia o della Mandragola di Machiavelli, a Benvenuti in casa Gori a 4 bombe in tasca, per non tacere del fatto che anche il grande Shakespeare è stato rivisitato. Certi spettacoli dei piccoli capolavori, i testi presi dalla cronaca come dalla letteratura, l’amalgama perfetto che si era creato, i personaggi inventati, la glorificazione della terra toscana e ben oltre. Fino a domenica sono all’Erba e questa compagnia, se ancora non la conosceste, dovreste davvero andare ad applaudirla. Propongono L’avaro di Molière ed è un piacere riascoltarli. Chiti, da buon deus ex machina si accaparra adattamento, regia, l’intero spazio scenico (un interno grigio pronto a farsi piccolo giardino con le sue belle piante ornamentali, certe porte sghembe che non sarebbero spiaciute ai futuristi) e pure i costumi, questi ultimi in combutta con la veterana Giuliana Colzi, pronta pure a vestire gli abiti e i mantelli della mezzana Frosina: ed è un pezzo da antologia il suo dialogo di donna abituata a maneggiare matrimoni e con la pretesa di ricavarci qualcosa con il protagonista Arpagone. Quanto lo conosce Molière il buon Chiti! Lo conosce così tanto che non gli pesa affatto rigirarselo tra le mani, attualizzarne la lingua e gli ammiccamenti al pubblico, usare la parola con ogni freschezza possibile, vivacizzare oltremodo gli amori contrastati tra le due giovani coppie in scena, i figli vittime di un padre per cui ogni più piccola spesa viene intesa come un capestro e ogni dote da accompagnare al matrimonio un supplizio che lo porta alla tomba, un’agnizione finale che è trattata come un frettoloso sberleffo drammaturgico, inventarsi un prologo e soprattutto un epilogo che quasi annienta lo spilorcio sotto il peso del proprio denaro, forsennatamente raccolto nelle saccocce del suo abito nero. È un giocare continuo sul personaggio principale, i suoi sbalzi d’umore, il terrore che gli si legge in viso al solo pensiero che quel tesoro nascosto nella cassetta sepolta in giardino gli venga sottratto, la sua gioia quando crede d’aver trovato un alleato, il ritratto dell’Egoismo e della Cupidigia. Alessandro Benvenuti, primo attore che non ha bisogno di sgomitare ma che si mette al servizio del regista e della insostituibile bravura dei propri compagni, provoca la risata, usa intelligenza e divertimento, dà l’immagine concreta di quella che è una malattia, occhieggia al pubblico, rumina tra sé e bofonchia giudizi e speranze, si perde quasi con felicità in quelle splendenti monete ritrovate. Della mezzana tratteggiata con grande bravura dalla Colzi s’è detto, come Dimitri Frosali è un perfetto mastro Giacomo e la presenza di Massimo Salvianti riaccompagna alla Commedia dell’Arte. Con le più giovani leve hanno fatto il successo della serata, durante e al termine accompagnata da interminabili applausi.

 

Elio Rabbione