CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 558

Lo studio della Storia, necessario e fruttuoso

Di Stefano Casarino
Si è appena conclusa la Sessione Primaverile del Convegno della Delegazione di Cuneo dell’ A.I.C.C., articolata nei due pomeriggi di martedì 19 e giovedì 21 marzo presso l’Aula Bruno del Liceo “Vasco Beccaria Govone” di Mondovì (CN): tema di quest’anno, Il senso della storia, argomento che ha certamente incontrato l’interesse del numeroso pubblico – di docenti (per i quali ha anche valore di corso di aggiornamento), di studenti e di appassionati – che ha riempito la sala
Organizzato col Patrocinio del Comune di Mondovì e con la collaborazione di molte Associazioni Culturali, il Convegno intende offrire un’articolata riflessione pluridisciplinare sul valore della storia proprio ora che essa sembra avere un’importanza minore nei programmi scolastici e nel dibattito culturale. Si sono succeduti nelle due giornate ben sei interventi: il primo di chi scrive, teso a rimarcare l’importanza della storia nella cultura classica attraverso l’esame delle tesi di Erodoto, Tucidide e Polibio e lo stretto, indissolubile legame tra lo studio di tale disciplina e quello delle lingue classiche (non è affatto un caso che la nostra sia un’età di pericolosa eclissi di entrambi!); il secondo del Prof. Gigi Garelli, direttore dell’Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea di Cuneo, che ha citato la longue durée di F.Braudel e la teoria dei cleavages di S.Rokkan e che, dopo aver proiettato un’impressionante sequenza del film Bastardi senza gloria (2009) di Quentin Tarantino, ha formulato alcune “conclusioni provvisorie” sul “senso della storia”: la storia non serve a dare risposte ma a evidenziare problemi; studiarla significa mettersi in prospettiva, destrutturare pregiudizi e apparenze; imparare a contestualizzare e a relativizzare. Ci consente una conoscenza imperfetta: come, in fondo, è ogni forma di conoscenza umana. Ha chiuso il primo pomeriggio Marco Travaglini, giornalista e scrittore, che ha illustrato i numerosi progetti e i concorsi organizzati dalla Regione Piemonte per sensibilizzare gli studenti alla storia: essi hanno come premio la visita a luoghi importanti, di grande potere evocativo. Egli ha giustamente insistito sulla ricaduta didattica e culturale del vedere coi propri occhi alcuni posti per riflettere sulla sovrapposizione tra spazio geografico e tempo storico: ad esempio, il lager di Buchenwald dista solo otto chilometri da Weimar, dalla casa di Goethe e le SS lasciarono in piedi lalbero di Goethe, sotto il quale il grande poeta sedeva a scrivere le sue opere, all’interno di Buchenwald. Il meglio e il peggio della storia di un popolo racchiusi in uno stesso posto. Il secondo pomeriggio è stato aperto dalla conferenza della Prof.ssa Lia Raffaella Cresci, dell’Università di Genova, che ha invitato a superare ogni ingenua fede in una sorta di legge del progresso storico e ha sapientemente illustrato la storia, ben poco nota, dell’Impero Romano d’Oriente, in cui epoche di apparente splendore contengono già i germi della futura decadenza e, viceversa, altre di crisi politica e militare garantirono invece un maggior benessere alla popolazione: una storia quasi “a fisarmonica”, interessantissima e che andrebbe certamente molto meglio conosciuta per comprendere oggi i rapporti tra Europa occidentale e orientale. Il Prof. Stefano Sicardi, dell’Università di Torino, ha invece illustrato il processo costituzionale italiano tra storia, politica e diritto, realizzatosi incredibilmente in soli quattro anni, dal 1943 al 1947, ricostruendone accuratamente procedure e tempistica e rimarcando che il prodotto finale fu votato a scrutinio segreto e ottenne un’amplissima maggioranza: sarebbe auspicabile, a parer mio, che si tenesse ben presente ciò, prima di procedere, come recentemente e un po’ avventatamente è stato fatto, a qualsivoglia tipo di massiccia revisione della nostra Costituzione.
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Ha chiuso il secondo pomeriggio e l’intera Sessione Primaverile del Convegno la relazione di Daniele La Corte, giornalista e autore del recente Resistenza svelata (Fusta Ed. Saluzzo): mi fa piacere ricordare che in anteprima nazionale tale romanzo storico è stata presentato, a cura del sottoscritto, a Mondovì il 27 ottobre 2018. Come Travaglini aveva insistito sul “vedere”, La Corte insiste sull’ “ascoltare” e sulla “storia orale”, che si è affermata a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, anche se già nel 1948 lo storico Allan Nevins fondò il Columbia Oral History Research Office, ora noto come Columbia Center for Oral History, con lo scopo di registrare, trascrivere e archiviare interviste di storia orale. Ma come intervistare chi magari è riluttante o diffidente a raccontare, come creare una sintonia tra storico e intervistato? La Corte si è brevemente soffermato sulle sue tecniche, tutte fondate sull’onestà intellettuale e sull’empatia: le testimonianze rese non sono quelle formalmente impeccabili del dibattimento giudiziario, ma sono momenti di vita che hanno marchiato in modo indelebile l’anima di chi le racconta, devono essere ascoltate e riprodotte con estrema cura e con quella pietas che sempre affiora nelle pagine del suo libro. Due giornate, quindi, molto ricche di informazioni e di stimoli che, credo, il pubblico abbia positivamente recepito: perché di storia abbiamo sempre bisogno; perché di storia proprio non possiamo fare a meno, nonostante quello che sembri credere qualche nostro poco avveduto decisore politico. Ad ottobre/novembre 2019 ci sarà la Sessione Autunnale del Convegno, con relazioni in cui il senso della storia verrà esaminato dal punto di vista delle letterature moderne, dell’arte e della scienza.

L'isola del libro

La rubrica settimanale delle novità in libreria
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Manuel Vilas “In tutto c’è stata bellezza” -Guanda- euro 19,00
 
Per molti Manuel Vilas è il miglior autore spagnolo dell’anno. Concordo e dirò di più… questo è uno dei libri più belli, intensi e a tratti lucidamente strazianti che possiate leggere. Senza ingenti investimenti di marketing, è balzato in vetta alle classifiche, ha attraversato i confini e colpisce dritto al cuore. Perché è una storia universale. Basta leggere l’incipit e capisci che sta parlando anche di te. E’ un libro per certi versi scomodo: tratta temi tosti come la malattia e la morte, la vecchiaia, i ricordi, l’inesorabile scorrere del tempo, le scelte giuste o sbagliate… E’ una sorta di indagine esistenziale. Manuel Vilas l’ha presentato al Circolo dei lettori di Torino, gremito di pubblico, che lui ha incantato rivelandosi piacevolmente disponibile, profondo come si evince dalle sue pagine, ma anche ironico e capace di sorridere del tragico che la vita ci butta addosso. Ha raccontato aneddoti teneri e divertenti che hanno strappato applausi, e spiegato di aver iniziato a scrivere il libro (in Spagnolo si intitola “Ordesa”) quando è morta la madre e si è reso conto che era già troppo tardi. Allora ha ricostruito le vite di quei genitori “speciali” e “bellissimi” che non c’erano più, cercando di dire quello che non aveva detto mentre erano ancora vivi. Un dialogo continuo con dei “fantasmi”, scaturito dall’amore e dalla riconoscenza per tutti i sacrifici che avevano fatto per lui. E’ il lungo monologo di un professore 52enne rimasto solo, dopo la morte e la cremazione dei genitori, e il suo divorzio, che fa i conti con le rovine della sua esistenza, ovvero quel “ lungo tunnel in cui siamo tutti infilati e povera gente”. I ricordi scattano dall’estate del 1969, a Ordesa nel nord della Spagna, quando era bambino, in compagnia del padre. Manuel Vilas è nato li vicino, a Barbastro, nel 1962, e Ordesa è innanzitutto lo spazio intimo dei ricordi e l’avvio della narrazione. A volte parte da una foto antica e delinea la storia della sua famiglia, mette a nudo le difficoltà dell’essere figlio, marito e padre, i problemi con il lavoro, l’abuso d’alcol, la vita di provincia. Non pensate però a un libro triste. Certo, narra vicende drammatiche, tristi e dolorose, sconfitte, tradimenti e clamorosi fallimenti; ma coglie anche la bellezza del mondo e della vita, come l’amicizia, la bontà, la forza interiore, la meraviglia della nascita dei figli e le promesse di gioventù. Procede a raffiche emotive che scavano nel profondo e hanno una forza portentosa, senza retorica o menzogne, semplicemente testimonia la necessità di amare ed essere amati.
 
 
Natasha Solomons “I Goldbaum” – Neri Pozza- euro 18,00
 
E’ un imponente affresco familiare e storico quello imbastito dalla scrittrice inglese 39enne, autrice di altri 5 libri (tra cui “Un perfetto gentiluomo” e “La galleria dei mariti scomparsi”), che vive nel Dorset con il marito David Solomons, famoso scrittore per bambini, e i loro 2 figli. La storia dei banchieri Goldbaum è quella di una dinastia cosmopolita con diramazioni nei luoghi strategici della finanza europea: sono tutti imparentati tra loro perché i matrimoni in famiglia “erano spiacevolezze da affrontare per salvaguardare il casato”. Sono ebrei ricchissimi che amano collezionare la bellezza a tutti i livelli: grandi dimore, ville e castelli, mobili pregiati, opere d’arte, gioielli e collezioni di prestigio… e soprattutto debiti di primi ministri da riscuotere prima o poi, insieme al potere che ne deriva. La storia inizia nell’aprile del 1911 a Vienna, con i giovani eredi Otto e Greta: lui responsabile e maturo, lei irrequieta e ribelle, destinata a sposare (nessuno le chiede se è d’accordo) il cugino del ramo inglese Albert Goldbaum, un naturalista con una passione sfrenata per le farfalle. All’inizio le cose non saranno facili. A Temple Court, residenza degli sposi nella piovosa Inghilterra, Greta si salva dalla freddezza del coniuge dedicandosi alla coltivazione di piante e fiori. La nuova famiglia la tratta benissimo, la servitù è ai suoi piedi…peccato solo che il marito, in pubblico cortese e attento, nel privato non la consideri proprio. Le cose poi miglioreranno…e lascio a voi scoprire come. Albert prende in mano le redini della banca e si affaccia anche alla politica diventando membro del Parlamento. Ma a mettersi di mezzo sarà la 1° Guerra Mondiale che spazzerà via l’antico ordine su cui l’Europa si reggeva da secoli. Scatta la corsa agli armamenti ed emerge il ruolo delle banche nei finanziamenti alla causa bellica. Per la prima volta, i vari Goldbaum si troveranno su fronti opposti e Greta dovrà scegliere; mentre il fratello e il marito mettono a repentaglio la vita nelle trincee. Ognuno farà la sua parte. Gli uomini combattendo e cercando di sopravvivere; Greta aiutando le donne che rischiano di morire di parto perché lasciate indietro dall’assistenza medica concentrata tutta sui feriti di guerra. Ma la storia non finisce qui, i vari destini si compiono in pagine piene di sorprese e scritte divinamente.
 
 
Lou Berney “November road” – HarperCollins – euro 18,00
 
Il novembre del titolo rimanda a una data storica: il 22 novembre del 1963 a Dallas veniva ucciso John Fitzgerald Kennedy, 35° Presidente degli Stati Uniti d’America. Il romanzo si aggira intorno a questo assassinio, fa sua la tesi del complotto ordito dalla mafia e diventerà anche un film diretto da Lawrence Kasdan. Gran bel colpo per il giovane scrittore e professore universitario Lou Berney, di Oklahoma City, che ha al suo attivo altri 3 romanzi. Protagonista del libro è Frank Guidry, membro fedele della Mafia di New Orleans e al suo capo Carlos Marcello, uno dei boss più potenti e temuti negli anni 50-60 in America. Guidry è stato a Dallas in missione poco prima che Kennedy venisse ucciso, sa troppe cose sull’assassinio del secolo e per questo è diventato sacrificabile, come altri sicari di Marcello che in rapida successione vengono ritrovati cadavere. Lui sa di essere il prossimo. Il romanzo segue le vicende di tre personaggi: Frank Guidry, in fuga verso Las Vegas, dove spera di trovare aiuto in un altro boss che odia Marcello; un terribile sicario che semina morte a ogni passo e lo insegue per tappargli la bocca; Charlotte, una giovane madre con due figli e un cane che sta scappando dal marito ubriacone. Frank sa che in certi casi la regola per sopravvivere è “non fermarsi”; ma a cambiare le carte in tavola è l’incontro con Charlotte, sul ciglio della strada, disperata e con l’auto in panne. Ed ecco il thriller on the road in cui galeotto sarà il viaggio dei due verso ovest. Frank si finge assicuratore e si offre di accompagnarla in California, se prima lei accetta di seguirlo a Las Vegas dove lui può procurarle una macchina. Ma l’altra regola sovrana di chi fugge è non innamorarsi mai, perché questo rallenta la corsa e diminuisce il vantaggio della preda. Esattamente quello che succede ai due e che rischia di farli uccidere…
 
 
 

La Magna Charta esposta a Vercelli

Vercelli è da sabato 23 marzo al centro di un evento culturale di dimensione, non solo locale o nazionale, ma addirittura internazionale. Nell’ambito delle celebrazioni per gli ottocento anni della posa delle prime due pietre dell’Abbazia di Sant’Andrea, voluta dal cardinale Giala Bicchieri, è esposta nell’Arca (l’ex chiesa di San Marco sull’omonima piazza) una delle tre copie esistenti della Magna Charta Libertatum, documento scritto in latino che il re d’Inghilterra, Giovanni Senzaterra, fu costretto a concedere ai baroni del regno, suoi diretti feudatari, il 15 giugno 1215. E questo è uno dei primi documenti in cui si riconoscono i diritti umani. La pergamena, giunta a Vercelli sotto scorta, proveniente dalla cattedrale di Hereford fa parte della mostra ‘La Magna Charta-Guala Bicchieri e il suo lascito”. L’evento – cui se ne accompagnano altri con mostre ed esposizioni diffuse al Museo Francesco Borgogna, al Museo Camillo Leone, a Museo del Tesoro del Duomo e all’Archivio di Stato di Vercelli, legati alle figure del cardinale, di Sant’Andrea e della Vercelli del Duecento, periodo caratterizzato da un’eccezionale importante culturale della città eusebiana – vuole essere appunto un omaggio al cardinale Guala Biocchieri che il 19 febbraio 2019 diede l’avvio alla costruzione del Sant’Andrea uno dei primi esempi di gotico in Italia e perché il prelato ebbe un ruolo di primo piano nella sua vicenda, in quanto come legato pontificio alla corte inglese e tutore del giovane re Enrico III, fu il supervisore del documento, ponendo il suo sigillo sia nella riconferma della Carta del 1216, sia in quella riconfermata nel 1217, che è la versione esposta a Vercelli. La mostra propone anche il ‘baule da viaggio’ del cardinale, in prestito dal Museo di Palazzo Madama a Torino e gli splendidi smalti di Limoges, oltre ad oggetti, ritratti, codici e documenti inediti. La presentazione alla città di Vercelli è avvenuta in una cerimonia che si è tenuta nella sua cornice naturale, l’Abbazia di Sant’Andrea. A fare gli onori di casa ai molti vercellesi e rappresentanti di enti ed istituzioni che hanno permesso la realizzazione dell’evento c’era il sindaco Maura Forte che ha evidenziato l’importanza che assume in ambito culturale una simile iniziativa e anticipato di voler stringere legami più stretti con Hereford. Tra i relatori ci sono stati l’arcivescovo di Vercelli, monsignor Marco Arnolfo, il presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino, l’assessore regionale alla cultura Antonella Parigi, il vice ambasciatore della Gran Bretagna. Da ricordare, infine, il particolare sostegno ottenuto dalle Fondazioni bancarie, Cassa di risparmio di Vercelli, Cassa di risparmio di Torino e Compagnia San Paolo.

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Massimo Iaretti

Carnet de Voyage a Palazzo Lascaris

Prove d’artista, per il secentesco Palazzo di via Alfieri a Torino, in mostra alla Biblioteca della Regione Piemonte

“Un modo tutto nuovo – è stato definito il progetto – di vedere Palazzo Lascaris”. Certamente libero nella scelta degli spazi, degli “angoli” e delle prospettive architettoniche e ambientali da fermare e interpretare in chiave artistica, così come nell’individuazione delle tecniche e delle cifre stilistiche meglio idonee ad esaltarne i contenuti e a trasmettere processi di formazione artistica individuale più o meno consolidati nel tempo. Sono infatti oltre 150 gli “operatori artistici” coinvolti nella preparazione e nella progettazione della mostra “Carnet de Voyage a Palazzo Lascaris”, che si terrà, fino al prossimo 3 maggio, nelle sale della Biblioteca della Regione Piemonte “Umberto Eco”, al civico 14 di via Confienza, a Torino. L’intero progetto – che comprende anche il catalogo della rassegna – è stato organizzato in collaborazione con la Fondazione Peano, l’Alliance Francaise di Cuneo ed il Primo Liceo Artistico di Torino e vuole collegarsi con la manifestazione “Cuneo Vualà” che, da alcuni anni, si svolge nel capoluogo della Granda. Due le giornate chiave dell’evento artistico: venerdì 22 febbraio e venerdì 1° marzo scorsi. In quei due giorni, gli studenti del torinese Primo Liceo Artistico – diretto da Elisabetta Oggero – e numerosi “professionisti” e appassionati del disegno hanno letteralmente invaso il cortile d’onore e le sale auliche del Palazzo barocco di via Alfieri (costruito in origine fra il 1663 e il 1665 da Domenico Bernardi, su disegno di Amedeo di Castellamonte, per il conte Giovanni Battista Beggiamo di Sant’Albano e Cervere e dal 1975, dopo vari passaggi fra casate nobiliari locali, sede

del Consiglio Regionale del Piemonte), per fissare su carta, con matite pennelli e altri svariati supporti grafici, le più ispiranti forme architettoniche dell’edificio. Attratti dall’evento, sono arrivati sotto la Mole anche un buon numero di “artisti” provenienti dall’estero (da Parigi ad esempio) e da altre città italiane come Roma, Brescia, Ferrara, Treviso, Firenze e Genova. “Il nostro bel palazzo, che racchiude storia, bellezza e che oggi ospita l’Assemblea legislativa regionale – aveva allora commentato il presidente Nino Boeti - oggi sembra Montmartre con tutti questi giovani che disegnano seduti in cortile al sole. Una splendida immagine che contribuisce ad aprire sempre di più le porte dell’Istituzione ai cittadini”. Le due sessioni di disegno dal vivo hanno prodotto, in quell’occasione, decine di opere; le più significative sono state selezionate da una commissione di esperti e dalla curatrice della mostra Ivana Mulatero, per essere per l’appunto presentate al pubblico nelle sale della Biblioteca Regionale insieme ad alcuni esempi di “Carnet de Voyage” realizzati in altre zone del Piemonte: da Cuneo alla Valchiusella a Casale Monferrato, dal Museo Egizio alla Cappella della Sindone fino alla Venaria Reale. Mostra da godersi con curiosità e indubbio interesse.

g.m.


“Carnet de Voyage a Palazzo Lascaris”
Biblioteca Regionale del Piemonte “Umberto Eco”, via Confienza 14 Torino; tel. 011/5757371
Fino al 3 maggio
Orari: dal lun. al giov. 9/12,30 e 14,30/16; ven. 9/12,30

“Sanremo the Story” ultimo weekend

Aperta fino a domenica 24 Marzo l’iniziativa che celebra la kermesse canora più amata d’Italia

Al Centro Commerciale ‘Parco Dora’, a Torino in Via Livorno angolo via Treviso prosegue con successo ‘Sanremo The Story’, la straordinaria e ricca mostra itinerante interamente dedicata al Festival della Canzone Italiana.Il percorso emozionale che caratterizza ‘Sanremo The Story’vanta la presenza di cimeli originali (dischi in vinile, documenti, abiti di scena) del Festival di Sanremo, accompagnati da monitor che proiettano video documentari, su di un’area di 80 metri quadrati con un’ampia varietà di teche con 45 e 33 giri originali del Festival di Sanremo e strumenti musicali originali dell’epoca impiegati durante la kermesse.La mostra è visitabile sabato 23 e domenica 24 dalle 11.00 alle 20.00.

Ingresso libero con offerta minima pari a 1 Euro che verrà interamente devoluta per sostenere il progetto ‘Alternanza Scuola Lavoro’ del Liceo Classico Musicale ‘Camillo Benso Conte di Cavour’ di Torino, i cui allievi forniranno il servizio di guida durante gli orari di apertura della mostra.Tutte le informazioni sul sito www.parcocommercialedora.it e sulla relativa pagina FB del Centro Commerciale ‘Parco Dora’.

Museo Storico Reale Mutua: i primi cinque anni tra festa e bilanci

Un museo gratuito, ricco di storie e accessibile a tutti
Il Museo Storico Reale Mutua ha appena festeggiato i suoi primi cinque anni di vera vita. Nato quasi per gioco nel lontano 2007, ha assunto la fisionomia di un vero e proprio museo d’impresa tra 2013 e 2014. Infatti, risalgono a cinque anni fa i lavori di ampliamento e riallestimento delle sue sale, grazie ai quali il percorso di visita è diventato un vero e proprio viaggio, interattivo e multimediale, nel mondo di Reale Mutua. Ogni sala del museo custodisce numerosi documenti e oggetti che narrano storie e curiosità interessanti, non solo strettamente legate alla compagnia assicurativa. In effetti, si tratta di racconti che consentono di «scoprire la memoria e l’identità della nostra azienda — ha spiegato Carlo Enrico de Fernex, responsabile comunicazione istituzionale di Reale Mutua — e che, nel contempo, permettono di ripercorrere la storia di Torino e del nostro Paese».  Negli ultimi anni il museo ha lavorato molto affinché queste storie siano accessibili a tutti. Non si tratta solo di aver progettato un museo moderno, senza barriere architettoniche e sempre a ingresso gratuito, ma di lavorare quotidianamente per renderlo un luogo accogliente. Così, oltre a proporre percorsi didattici ad hoc per le scuole, si sta lavorando per disporre lungo il percorso strumenti che rendano la visita un’esperienza piacevole e arricchente anche per ciechi, ipovedenti e sordi. D’altronde, la volontà di migliorarsi è una costante della compagnia assicurativa che, nella prima sala del museo, si presenta al pubblico affermando: «noi siamo il risultato delle nostre scelte e della nostra storia».
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La festa con lo spettacolo di Alice Basso e delle Soundscape 2.0
Proprio per celebrare tale storia e festeggiare il primo lustro di vita del Museo Storico Reale Mutua, lo scorso 8 marzo  si è tenuto lo spettacolo “Signorina Bertero, dattilografa”. Quasi duecento persone si sono presentate all’ingresso di via Garibaldi per assistere alla performance della scrittrice Alice Basso. Nel suggestivo cortile porticato del museo, l’autrice si è esibita in compagnia delle musiciste della sua rock band tutta al femminile, le Soundscape 2.0. Dall’intesa che unisce Alice Basso a Claudia Fassina, Elisa Lorenzo, Maria Chiara Maccarrone e Daria Orami è nato un avvincente racconto in musica e parole. Facendo divertire e riflettere, giocando tra realtà e fantasia, Alice Basso e le sue musiciste hanno ripercorso la storia della prima donna impiegata in Reale Mutua. Egle Bertero (Bertone in realtà) venne assunta come dattilografa nel 1926, quasi cento anni dopo la nascita della compagnia assicurativa. Nonostante fosse abilissima nell’utilizzo della macchina da scrivere, nel 1928 fu costretta a lasciare il lavoro. La giovane si innamorò di un funzionario di Reale Mutua, che decise di sposare. I vertici della compagnia non ostacolarono la loro unione, ma dovettero rispettare la clausola di licenziamento per “causa di matrimonio” presente nel contratto di assunzione, in linea con quanto stabilito dalle leggi allora in vigore. Fu così che Egle Bertone lasciò il lavoro di dattilografa dopo soli ventiquattro mesi dal suo ingresso in Reale Mutua.  Quella di Egle Bertone è la storia di tante donne del secolo scorso. Una storia che la compagnia ha deciso di raccontare non solo attraverso lo spettacolo di Alice Basso, ma anche e soprattutto  nel percorso di visita. Non è un caso che le vicende della prima donna assunta dalla compagnia siano protagoniste della sala dedicata agli impiegati di Reale Mutua. Uno spazio nato per celebrare il lavoro di migliaia di uomini e donne che, a partire dal 1828, insieme hanno costruito il successo della compagnia.
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Giulia Amedeo
(foto di Claudio Ferrero)

Ando Gilardi Reporter. Italia 1950 – 1962

Alla GAM di Torino, il Paese che usciva dalla guerra raccontato negli scatti del poliedrico fotografo monferrino

Una giovane operaia sorride di un sorriso battagliero e orgoglioso, in sella a una grossa motocicletta, levando in alto e mostrando al fotografo una copia del rotocalco popolar – sindacale dall’emblematico titolo “Lavoro”, elegante e moderno (per i tempi) settimanale cigiellino pubblicato, negli anni del dopoguerra, dal ’48 al ’62. Con quest’immagine di vivace e vitale euforia, datata 1952, si apre la mostra che la GAM di Torino dedica, negli spazi della Wunderkammer all’alessandrino Ando Gilardi (Arquata Scrivia, 1921 – Ponzone Monferrato, 2012), fotografo e fotoreporter di denuncia nell’Italia degli anni appena fuori dai disastri materiali e immateriali del secondo conflitto mondiale. Curata da Daniela Giorgi, la rassegna é realizzata in collaborazione con la Fototeca Storica Nazionale Gilardi, ufficialmente fondata nel 1959 da Ando (al secolo Aldo, ribattezzato Ando da partigiano e tale rimasto – fors’anche partigiano – per tutta la vita) insieme alla moglie Luciana Barbarino. Nel complesso sono 55 le immagini esposte, attentamente selezionate in un mare di scatti eseguiti fra il 1950 e il 1962 e   che rappresentano anche l’occasione per valorizzare il recupero e la digitalizzazione dell’importante collezione di negativi del Fondo Ando Gilardi Reporter, portato a termine nel 2017 da ABF – Atelier per i Beni Fotografici di Torino. Le   istantanee in parete raccontano le ancora precarie condizioni di vita di molta gente impegnata a ricostruire e a ricostruirsi, a confrontarsi con il “poco” quotidiano accompagnato pur sempre da coraggiosi sorrisi e dalla dignità di un lavoro, quello degli operai e dei braccianti agricoli, riguadagnato a fatica e che in lontananza prospetta un riscatto che, qualche anno dopo, si chiamerà boom economico. Già in nuce, nell’immagine profetica dei tre bambini sorridenti seduti sotto il manifesto dei grandi magazzini Standa che, con fine acume pubblicitario, promettono a tutti risparmio e offerte speciali. Non mancano le foto di importanti manifestazioni sindacali (come quella con Giuseppe Di Vittorio, intervenuto a Pavia per le celebrazioni del 60° anniversario della Camera del Lavoro) o il fermo immagine su scioperi e occupazioni di fabbriche, a dimostrazione di una ripresa ancora tutta in salita, evidente (nella sua manifesta precarietà) nelle case-baracche del “Quartiere Shanghai” di Crotone con i panni stesi su cui spuntano allegre faccine di bimbi o nel trasporto, sempre nel Crotonese, dell’acqua corrente a dorso d’asino. Ma in giacca e cravatta. Di pasoliniana suggestione, è anche la foto del piccole garzone di bottega che, al Borghetto Nomentano di Roma, si prodiga ad aggiustare una bicicletta, regalandoci il tipico sorriso a “spazi vuoti” proprio dell’età. Spicchi di un mondo reale

colti da Gilardi – che non fu solo fotografo, ma anche giornalista (memorabili i suoi corsivi in prima pagina su “L’Unità”), nonché storico e critico della fotografia – con briosa capacità narrativa, concreta nella cristallizzazione dei fatti non meno che attenta alla loro trasposizione in chiave poetica ed emozionale. Il suo interesse per il “mistero chiamato Fotografia” nasce nell’immediato dopoguerra, allorché Ando viene reclutato nel Laboratorio di riproduzione fotografica dalla Commissione Interalleata per la documentazione dei Crimini di Guerra a supporto del processo di Norimberga e l’avventura prosegue senza pause negli anni, con acute riflessioni sul “potere dello scatto” e fino alle più recenti implicazioni artistiche delle tecniche di fotografia digitale. In mezzo, i lavori in mostra alla GAM di taglio decisamente post-neorealista, attenti alle campagne fotografiche d’oltre oceano promosse dalla Farm Security Administration nell’ambito del New Deal americano: scambi d’interesse, governati sempre da una sapiente, personalissima interpretazione del “suo” e del “nostro” inconfondibile vissuto quotidiano. La mostra alla GAM apre le attività di “ARCHIVIARE il Presente”, contenitore culturale per un progetto condiviso fra enti, associazioni culturali, centri polivalenti, gallerie, che avrà luogo nella prossima primavera e rientra nella kermesse “Fo-To Fotografi a Torino”.

Gianni Milani

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“Ando Gilardi Reporter.Italia 1950 – 1962”
GAM- Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, via Magenta 31, Torino; tel. 011/4429518 o www.gamtorino.it
Fino al 16 giugno
Orari: dal mart. alla dom. 10/18, lunedì chiuso
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Foto Ando Gilardi/Fototeca Gilardi

– “Giornali”, Genova, 1952
– “Bambini nell’Italia del dopoguerra”, Palermo, 1957
– “Giuseppe Di Vittorio”, Pavia, 1953
– Serie “Abitare a Crotone”, Crotone, 1954-’56
– “Acqua corrente a dorso d’asino”, Melissa (Crotone), 1954
– “Bambini”, Borghetto Nomentano di Roma, 1953 ca.

 

Esercito e Fondazione Cavour insieme per la cultura

L’accordo sottoscritto dal Comandante dell’Istituto Gen.D. Salvatore Cuoci ed il Presidente della Fondazione Nerio Nesi, prevede il consolidamento della collaborazione fra le due storiche realtà culturali subalpine

Firmato a Palazzo Arsenale il rinnovo della convenzione fra il Comando per la Formazione e Scuola di Applicazione dell’Esercito e la Fondazione Camillo Cavour di Torino. L’accordo sottoscritto dal Comandante dell’Istituto Gen.D. Salvatore Cuoci ed il Presidente della Fondazione Nerio Nesi, prevede il consolidamento della collaborazione fra le due storiche realtà culturali subalpine. Visite didattiche, scambio di saperi, convegni e seminari sono alcune delle iniziative contemplate nella convenzione. Al centro dell’intesa vi è infatti l’impegno a conservare e divulgare l’eredità culturale e il patrimonio di valori di una delle figure chiave della storia del nostro paese. Il documento è stato firmato nella sala di Palazzo Arsenale dedicata proprio al grande statista piemontese. Forse non tutti sanno che lo stesso Cavour fu anche ufficiale dell’Armata Sarda e ottenne le spalline da luogotenente a soli quindici anni. Nella sala di Palazzo dell’Arsenale a lui dedicata è anche custodito lo spadino da allievo ufficiale dello statista. Nata ufficialmente nel 1957, la Fondazione Cavour ha come scopo la promozione degli “studi cavouriani e le iniziative rivolte ad approfondire la conoscenza dell’opera del Conte Camillo Benso di Cavour” e di mantenere “nella condizione attuale il castello già dei Benso di Cavour, sito in Santena”. L’accordo siglato questa mattina pone l’accento sul proficuo inserimento del Comando nel tessuto sociale torinese e più in generale sullo sforzo compiuto dall’Esercito a beneficio della collettività.  

Liberi Liberi

Racconti, curiosità ed eventi…la musica al servizio della gente

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Smettila di parlare….

Guardando il muro!!!

E….. se qualcosa mi devi dire….

Dimmelo “duro”! “

Siamo nel 1989 e la penna è quella di un certo Vasco Rossi. L’album è Liberi Liberi e la canzone in questione, traccia numero 7, è un vero urlo contro il destino. Mai in un brano fu descritta cosi bene la rabbia verso un sistema, addirittura contro Dio, mai come in questo brano, l’autore parla del male di vivere che lo affligge. Bonolis un giorno gli chiese: ”come sta oggi Vasco Rossi?” ed il ragazzo di Zocca rispose: ”non mi posso lamentare anche perchè…se mi potessi lamentare…” Pochi hanno capito questa risposta, nemmeno il “paolo” nazionale, ma col genio dei grandi poeti, c’è dentro tutto il nuovo Vasco, quello del post 50. Faccio la parafrasi: non mi posso lamentare, perché “sulla carta” sono una persona davvero fortunata, soldi, successo… eppure soffro lo stesso. Soffro di un male interiore che non si può spiegare, se non con le canzoni. Ma non ho il diritto di piangere, perchè, ripeto, sono consapevole di essere fortunato, malgrado tutto. Altre persone stanno molto peggio di me. Torniamo al brano, è evidente che Rossi si stia, fin dall’inizio, rivolgendo ad una donna che non ha il coraggio di dirgli in faccia qualcosa di veramente brutto. “guardami quando mi parli…” Quattro parole a dipingere un quadro dai colori più che nitidi. Questo è il Vasco nazionale, che piaccia o meno, un vero genio. una brutta cosa da dire, un forte imbarazzo, un ipocrisia di circostanza da parte di lei e il carattere forte di lui che vuole sapere, che vuole affrontare di petto la realtà. Ed ecco che la rabbia esce con forza, ma, per una volta, è una rabbia serena. La rabbia di chi non può fare nulla, ma che non si sente in colpa. Emblematica la frase: “la chiamerò sfortuna, maledetta sfortuna!!!” Non credo alla fortuna o alla sfortuna io, Chiara De Carlo, credo che ognuno sia l’artefice della propria vita, credo che se qualcosa può andare storto, beh., lo farà, indipendentemente da tutto e da tutti. Ma vi lascio con una frase che mi fa sorridere ogni volta! “La fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo – e spesso prende anche la mira.” (Roberto “Freak” Antoni) Vi invito ad ascoltare la versione di una sfortunata per antonomasia, la grande Mia, vi farà impazzire, spero! Con me ha funzionato

https://www.youtube.com/watch?v=F72Y9Hsx4QA

 Chiara De Carlo

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Chiara vi segnala i prossimi eventi… mancare sarebbe un sacrilegio!
 

Donne (in nero) a Torino, un polittico a più cornici

A Torino passando per via Garibaldi, poco prima di arrivare all’incrocio con via XX Settembre, si può vedere un presidio tutto al femminile, fatto di un ampio striscione, volantini e della forza delle sostenitrici che fanno parte delle Casa delle Donne di Torino e che partecipano con la loro manifestazione al movimento delle Donne in Nero ogni ultimo venerdì del mese dalle ore 18 alle 19

Donne in Nero il movimento a cui la Casa delle Donne di Torino afferisce, è nato in Israele nel 1988 e da allora in varie parti del mondo manifesta principalmente contro la guerra e contro il ruolo tradizionalmente attribuito alla donna nei confronti dei conflitti, un ruolo di passività e remissività. Donne in Nero si impegna affinché sia le condizioni di pace sia le prospettive che la pace porta con sé non siano dimenticate e inoltre chiede che nessuna guerra sia messa a tacere. donne (in nero) è anche una serie che collega le donne in nero che rispondano a due caratteristiche: facciano parte della storia dell’arte e siano legate alla città di Torino. Per la terza uscita della serie donne (in nero) come di solito vediamo qualcosa di pittorico, ossia il Polittico di Sant’Anna di Gaudenzio Ferrari (1475/1480-1546), in parte conservato ai Musei Reali. L’opera esposta nella Galleria Sabauda è composta da quattro parti, di cui tre una in fila all’altra e la quarta sopra. La scena centrale ritrae Sant’Anna, la madre di Maria, che regge sulle gambe il bambin Gesù mentre Maria è accanto. Ed è proprio da lì che partiamo, dallo spazio che separa la madre e il bambino. Maria ha un vestito rosso e, ancora una volta, indossa un mantello nero, portato su una spalla sola a ricordo della sua purezza. Il cedere e il sostenere di Sant’Anna è un gesto antico che Gaudenzio Ferrari sapientemente ci mostra, così come ci mostra l’abbraccio che dà sollievo nella parte di destra e la fuga, a sinistra, mentre il Salvator Mundi sovrasta- nella realtà fisica del polittico così come nella simbologia- le azioni e le scelte umane. Ma scegliamo la scena centrale come la più significativa per il polittico perché la tensione dell’avvicinamento è così evidente -nel mentre in cui Santa Maria si congiunge al piccolo- che sembra di sentire il contatto delle mani e lo sfiorarsi delle teste.  Nella precedente uscita della serie donne (in nero) abbiamo detto qualcosa sul polittico, è stato anticipato come un’opera plurale e fin qui abbiamo visto il perché, le scene che si svolgono sotto la paziente attesa, potremmo dire sotto l’Eternità del Salvator Mundi sono molteplici, ritraggono Gioacchino Cacciato dal Tempio e l’incontro tra Gioacchino e Sant’Anna presso la Porta Aurea, ma abbiamo anche detto di una musicalità che il polittico porta con sé, cioè la melodia suggerita dai due angeli musicanti alle spalle delle due sante. La scena centrale è la più significativa per riconoscere all’italiano Gaudenzio Ferrari una delle sue più belle caratteristiche, quella del riempimento, dello scorcio, della prospettiva; come non soffermare lo sguardo sull’orizzonte del quadro per riconoscervi il blu oltremare che nelle giornate buone si vede nell’aldilà degli alberi di un remoto bosco alpino, lo stesso tratteggiato nella seconda tavola Gioacchino che abbraccia Sant’Anna alle spalle di Gioacchino, come per raccontarci qualcosa del suo passato; lo stesso che si intravede in un punto insignificante sui tetti, là sulla casa oltre l’arco, alla fine dello scorcio prima che sia di nuovo cielo, nella scena di Gioacchino cacciato dal tempio, lo stesso blu da cui il Salvator Mundi sembra emergere rasserenandosi.  Gaudenzio Ferrari -di cui parleremo ancora per la serie donne (in nero)- è stato un pittore molto prolifico, per questo le sue opere sono catalogate su base decennale. Il Polittico di Sant’Anna è del 1508, si trova dunque, per chiunque volesse approfondire, tra le opere del primo decennio del XVI secolo, periodo in cui seppur in una fase iniziale della sua carriera, è già considerato magister e lavora su commissione. Il polittico, realizzato per la chiesa di Vercelli, conta altri due pezzi oltre a quelli dei Musei Reali di Torino, le due tavole sono alla National Gallery di Londra, raccontano dell’annunciazione dell’arcangelo Gabriele e di Santa Maria vergine. 

Elettra -ellie- Nicodemi

 
 
https://www.museireali.beniculturali.it/opere/polittico-di-santanna/