CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 543

Una donna libera

“Rita Levi– Montalcini, una donna libera” è il titolo del libro della giornalista Carola Vai (Rubbettino editore) che viene presentato martedi’ 28 maggio alle ore 18.00 a Palazzo Ceriana-Mayneri – Circolo della Stampa, in Corso Stati Uniti 27 a Torino. Partecipano all’evento: Marco Francalanci, Giornalista, vicepresidente del Circolo della Stampa Dario Giobbe, Neurologo, Presidente ALICE Piemonte, Sergio Scamuzzi, Vice Rettore dell’Università di Torino.  Rita Levi-Montalcini, torinese, unica donna italiana Premio Nobel per la medicina, nonostante la grande notorietà resta un personaggio misterioso. Per scoprire cosa ha condotto questa straordinaria figura a contrastare con successo dogmi ritenuti insuperabili, la giornalista e scrittrice Carola Vai si è cimentata in una biografia dettagliata. Nel volume, trecento pagine, in vendita a 18 euro, l’autrice che nel suo ruolo professionale ha avuto l’opportunità di conoscere la scienziata, analizza le principali caratteristiche motrici di un successo mondiale non solo scientifico, ma pure di immagine. Rita Levi Montalcini dopo la tragica esperienza vissuta nella seconda guerra mondiale ha voluto dare una totale svolta alla propria vita emigrando in America. Lei che già aveva cambiato in parte la propria esistenza con la decisione di laurearsi in medicina, ha scelto di sfidare l’ignoto per costruirsi una realtà più vicina ai propri desideri. Carola Vai nel volume narra dalla “culla alla morte” la vita della scienziata immersa nella trasformazione di una società che nel 1909 nulla aveva a che fare con quella del 30 dicembre 2012, ultimo giorno della lunga esistenza di Rita Levi-Montalcini. Si scopre così che nella sua battaglia contro “principi indiscutibili” la Levi Montalcini ha cominciato pretendendo di andare all’università, facoltà di medicina, quando alle donne italiane era consentita al massimo un’educazione superiore per essere brave mogli, mamme, nonne. Diventata medico e poi ricercatrice scientifica, ha lottato per dimostrare che nulla è statico nel corpo umano, fino vincere il Premio Nobel per la medicina. Ha anche dimostrato che una donna impegnata nello studio e nella scienza può, anzi deve, coltivare la propria vanità femminile per essere il più possibile elegante, soprattutto per se stessa. Nel libro ci sono pagine dedicate ai famigliari, agli amici, agli amori, ai conoscenti e alle polemiche.

Un'analisi storica, non ideologica, sul fascismo. Ma ignora De Felice

Di Pier Franco Quaglieni
Milano è stata al centro delle più importanti vicende politiche italiane del secolo breve
Ha fatto bene il “Corriere della Sera” a riproporre il volume  di Pierre Milza e di Serge Bernstein “Storia del fascismo” edita in Italia nel 1980 E’ un ‘opera che mantiene una sua validità perché soprattutto Milza e’ stato uno storico importante, anche se pochissimo conosciuto in Italia.  Lo storico italo- francese non è assimilabile alla storiografia  gobettian- gramsciana che vide nel fascismo l’autobiografia della nazione e una dittatura di classe che stroncò la classe operaia.  Milza ha visto nel fascismo una complessità che sfugge ai grossolani manicheismi di cui molta parte della storiografia italiana si fece  invece portavoce. Milza non amava le semplificazioni e l’opera riproposta consente un’analisi storica non ideologica, distante dalle vulgate italiane, tanto fastidiose quanto incapaci di riflettere in termini storici,  e  non solo meramente  politici in senso stretto, sul fascismo. Il volume analizza il fascismo dal suo atto di nascita del 1919 in piazza San Sepolcro  a Milano alla sua fine – vergognosa soprattutto per gli antifascisti – a piazzale Loreto sempre a Milano nel 1945 . L’inizio e la fine coincidono con la stessa città e questo è un dato che meriterebbe  un approfondimento perché Milano è stata al centro delle più importanti vicende politiche italiane del secolo breve . Tuttavia l’opera di Milza  e Bernstein si rivela anche datata ed abbastanza di parte  perché cita una sola volta Renzo De Felice ,lo storico del fascismo più importante in assoluto che fu oggetto di infami  ed astiose polemiche da parte di certa storiografia. E lo cita per l’” Intervista  sul fascismo” e non per la colossale opera  su Mussolini iniziata nel 1965 ed ultimata con la pubblicazione postuma e incompleta dell’ultimo volume  nel 1997 .
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Nel volume l’opera defeliciana  è citata nella bibliografia ,ma viene ignorata del tutto, anche eventualmente per confutarla , nei capitoli  del lavoro, pur pregevolissimo, ripubblicato. Io avevo saputo direttamente da Felice dei non buoni rapporti con Milza che pure non si  deve assolutamente collegare  alla storiografia marxisteggiante. So  bene che due storici che si occupano dello stesso tema sono rivali  difficilmente sono disposti a dialogare tra i loro. Nel campo storico ,come in tutti gli altri campi, ci sono antipatie e rivalità e questo è un tipico caso nel quale si evidenzia il rifiuto quasi aprioristico del grande storico  italiano del fascismo. Il volume riproposto dal “Corriere “ e’ comunque sicuramente ancora molto  fruibile dal grosso pubblico che non l’ha letto o sentito, malgrado sia  uscito quasi quarant’anni fa. L’iniziativa editoriale del “Corriere” merita comunque un plauso perché affronta il tema del totalitarismo ,dedicando volumi a Fidel Castro ,a Pol Pot ed altri dittatori di sinistra.  L’unico ragionamento storico sostenibile e’ infatti quello che riguarda i regimi totalitari ed autoritari del secolo scorso, senza limitarsi al fascismo e al nazismo, come troppo spesso si è fatto in passato. Sarà  decisivo ,per valutare a pieno  l’opera ,leggere i volumi su Lenin e Stalin che ci auguriamo escano presto e che siano stati affidati a storici di valore e non sia riproposizioni di vecchi libri. Soprattutto sarà decisivo, se ci sarà,quello dedicato a Lenin il cui furore giacobino, sanguinario e liberticida non fu meno forte di quello staliniano. Anche Trotsky meriterebbe un volume, perché la sua idea di rivoluzione permanente era  altrettanto terribile ,forse persino peggiore di quella di Stalin di cui pure  Trotsky fu vittima . Se confrontiamo le iniziative editoriali con quelle di altri giornali, non possiamo non apprezzare il lavoro che sta facendo il gruppo Cairo rispetto alle corte vedute e al fiato cortissimo del gruppo De Benedetti che si diletta a pubblicare  libretti sui proverbi piemontesi, in verità abbastanza  provinciali.
 

scrivere a quaglieni@gmail.com

L'isola del libro

Rubrica settimanale sulle novità in libreria

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Ed Sanders “La famiglia” – Feltrinelli – euro 25,00
 
Fu una notte maledetta quella tra 8-9 agosto 1969 in cui la moglie di Roman Polanski, l’attrice Sharon Tate, incinta di oltre 8 mesi, ed altre 4 persone furono massacrate dai seguaci della setta satanica di Charles Manson, in una villa di Cielo Drive, a Bel Air (Olimpo delle star hollywoodiane). La carneficina è ricordata non solo nel film “Once upon a time in Hollywood” (“C’era una volta a Hollywood”) che Quentin Trantino ha portato al Festival di Cannes, ma è anche al centro del libro di Ed Sanders “La famiglia”, pubblicato un anno fa ed ora più attuale che mai. Se volete saperne di più è nelle oltre 600 pagine del volume che trovate la ricostruzione perfetta e particolareggiata della vita e degli orrori di Charles Manson, di come stregò e manipolò i suoi seguaci. Avvertenza per l’uso: maneggiare con cura perché è decisamente crudo, diretto e non tralascia nulla. Ma è forse il modo migliore per sapere come andarono le cose. Sanders per anni ha fatto approfondite ricerche, intervistato persone e consultato monumentali documenti giudiziari per ricostruire i drammatici fatti che gettarono nel panico la California. Il clima è quello di fine anni 60, con “figli dei fiori”, droghe, freedom, peace and love; ma cosa ha trasformato una banda di hippie squinternati in un’orda di assassini assatanati e privi di rimorsi? Dietro a tutto c’è’ il mefistofelico Charles Manson: criminale perverso e fuori di testa che si credeva un grande cantautore, viveva di espedienti, rapine, razzie dei patrimoni dei suoi discepoli, e si autoproclamava “l’incarnazione di Gesù e Satana”. In realtà, era il male allo stato puro. Occhi demoniaci e strafatto di droghe iniziò quasi adolescente ad entrare ed uscire di prigione: è proprio dietro le sbarre che inizia ad interessarsi di magia, Scientology, negromanzia e tutto quanto di più nero, oscuro e buio può annidarsi nella mente di un uomo. Sanders ricostruisce le modalità con cui Manson adescava e irretiva i suoi seguaci, e li manovrava all’interno della cosiddetta “famiglia” nel Topanga Canyon. Erano per lo più giovani vagabondi, uno più sbandato dell’altro, molto più che borderline, che si dilettavano tra orge, festini e sette sataniche. Il peggio del peggio. Ricostruisce anche passo per passo i loro più efferati omicidi, soffermandosi sulla mattanza di Bel Air, compiuta da 4 seguaci di Manson; lui non partecipò ma fu l’ispiratore e il perverso mandante. Rimase in attesa che gli assassini tornassero grondanti di sangue e poi andò a fare il sopralluogo del macello. Il piano prevedeva che le vittime venissero appese alle travi, poi sventrate e squartate, però nella fretta non tutto andò secondo i piani. Sanders ricompone frammento per frammento l’orrore. Il commando degli spietati carnefici inseguì, braccò e dilaniò le 5 vittime con un totale di 102 coltellate in 30 minuti: una ogni 20 secondi. Una delle fantasie di Manson era uccidere qualcuno sotto gli occhi di qualcun altro e toccò a Sharon Tate morire per ultima, dopo aver implorato inutilmente pietà per la creatura che portava in grembo. I membri della famiglia furono arrestati dopo tre mesi di indagini serrate e condannati per la strage Tate e altri 2 delitti commessi in seguito. Nel 1971 furono condannati a morte, pena poi commutata in ergastolo dopo che la Corte Suprema della California abolì la legge sulla pena di morte. Il mostro Charles Manson è morto in prigione nel 2017.La bellissima Sharon Tate, interprete di “Per favore non mordermi sul collo” e “La valle delle bambole”, aveva solo 26 anni quando fu uccisa; oggi ne avrebbe 76. Non ha fatto in tempo a sapere che aspettava un maschietto, ma ora riposa con lui tra le braccia, nella Holy Cross Cemetery. A Culver City, in California.
 
 
Ivy Compton Barnett   “Più donne che uomini” – Fazi Editore – euro 19,00
 
Bravissimo l’editore Fazi che ripubblica questo romanzo di una delle voci più interessanti della letteratura degli anni 30 del 900. La scrittrice inglese Ivy Compton Barnett, nata a Londra nel 1884 e morta nel 1969, sesta di dodici figli di un medico omeopata -2 sorelle si suicidarono, un fratello morì giovane-, ebbe trascorsi familiari infelici che diventarono spunti per i suoi libri. 20 romanzi, tutti di matrice autobiografica, nei quali mette a nudo i complicati legami tra uomini e donne, le dinamiche complesse e il dispotismo familiare, prendendo chiaramente posizione a favore del mondo femminile. Molto apprezzata da Virginia Woolf, anche la Barnett era lesbica: non lo sbandierò, ma visse 32 anni con una donna e si divertì non poco a “scioccare” i benpensanti dell’epoca attraverso i suoi romanzi. Le sue pagine sono piene di sense of humour, di lucida e a tratti spietata analisi dei rapporti umani. “Più donne che uomini” è ambientato in una scuola femminile dove la sproporzione tra allieve e insegnanti in gonnella da un lato e presenze maschili dall’altro è lampante, come annunciato dal titolo. E’ stata fondata in una ricca cittadina inglese, a inizi 900 dall’austera Josephine Napier che ne è la direttrice. Ha 54 anni “…qualche ciocca grigia tra i capelli ramati, un viso regale, alta e con le mani sorprendentemente ingioiellate, vestita e pettinata in modo da esibire i suoi anni, anziché nasconderli…” E’ sposata con Simon, uomo dimesso e silenzioso che lavora nella scuola: non hanno avuto figli, ma hanno cresciuto il nipote Gabriel, figlio del fratello di Josephine, Jonathan, indolente omosessuale rimasto vedovo ed ora innamorato del giovane sfaccendato Felix. Poi ci sono altri personaggi femminili di rilievo: a partire da Elisabeth Giffard (in gioventù è stata con Simon ed ora è amica di Josephine) che viene assunta come governante ed arriva con la figlia Ruth. Sullo sfondo di un apparentemente tranquillo tran tran quotidiano, scandito da rituali tipici dell’epoca, meticolosamente organizzati, si scatenano antichi rancori, amori contrastati, gelosia possessiva, morte e malattia. Irrompono e sono tanti colpi di scena, perché dietro la patina perbenista di epoca vittoriana …nessuno è davvero chi dice di essere e i segreti sono tanti ….tra pettegolezzi, silenzi e sospetti.
 
 
Maurizio De Giovanni “Le parole di Sara” – Nero Rizzoli – euro 19,00
 
E’ destinata a diventare una fiction televisiva la seconda avventura della poliziotta “invisibile” (ha lavorato per i Servizi Segreti) Sara Morozzi, uscita dalla penna e dalla dirompente fantasia dello scrittore napoletano Maurizio De Giovanni. Lui è uno dei più quotati giallisti del momento, autore delle serie best seller del commissario Ricciardi e dei Bastardi di Pizzofalcone, che ha riscosso successo anche nella fiction tv con Alessandro Gassman. Dopo la precedente avventura in “Sara al tramonto”, ora ritroviamo la protagonista alle prese con una trama noir che le impone anche di fare i conti col suo passato difficile. Sara era stata un abilissimo elemento di un’unità segretissima dei Servizi segreti, esperta in linguaggio non verbale, un talento prodigioso. Aveva lavorato insieme a Teresa Pandolfi, detta la bionda, e le due erano state più che colleghe: avversarie leali che avevano condiviso giorni e notti alle prese con le indagini sotto traccia. Se mai poteva esserci amicizia nella sezione, loro due erano amiche, anzi Teresa era l’unica amica che Sara aveva avuto nella sua vita. Due donne diverse, entrambe affascinanti, per certi aspetti complementari, bravissime nel loro lavoro. Sara è la mora, con i capelli precocemente striati di grigio, corpo morbido ed occhi profondi, decisamente refrattaria a gioielli e trucco. Ha abbandonato tutto per amore – lavoro, un marito e un figlio- per vivere insieme al capo della sezione Massimiliano e curarlo durante la malattia che lo porterà nella tomba. Teresa è la bionda stupenda, capelli d’oro, occhi azzurri segnati da qualche ruga, figura snella; zero mariti e zero figli, in compenso sesso a volontà, ma sempre rigorosamente occasionale. Ha messo la carriera innanzi a tutto ed ora è la prima donna a capo di un’unità per la sicurezza dello Stato. Però ha commesso un errore: si è innamorata di Sergio, un giovane ricercatore che è improvvisamente scomparso. La vicenda inizia quando in gran segreto ricontatta l’ex collega Sara per farsi aiutare a ritrovare il ragazzo. Senza raccontarvi troppo …..preparatevi a colpi di scena, ritrovamenti di cadaveri, e un corollario di altri personaggi, a partire dalla giovane Viola che cresce da sola il suo piccolo bimbo e in qualche modo è collegata al passato di Sara che scoprirete leggendo a suon di flash back.
 

Elisa e l’indie rock delle Shonen Knife

Gli appuntamenti musicali della settimana
 
Lunedì. All’auditorium del Lingotto arriva Elisa già “sold out”. Al Bongioanni di Sommariva Bosco, suona il folksinger Jonny Kaplan. Al Jazz Club è di scena il quartetto SLWJM.
Martedì. Al Jazz Club si esibisce Gionata. Al Blah Blah suona l’arpista Kety Fusco.
Mercoledì. Per “Novara Jazz” al circolo xxv aprile si esibisce il quartetto del pianista Mario Zara. Al Blah Blah sono di scena le giapponesi Shonen Knife.
Giovedì. Al Cafè Neruda si esibisce il Jazzonia Ltd Sextet. Al Blah Blah suona Hugo Race. Per “Novara Jazz” al Broletto si esibisce il trio Libero Motu e il duo Elephank Project.
Venerdì. Al Pala Alpitour è di scena Ultimo. Per “Novara Jazz” al birrificio Croce di Malto, suona il contrabbassista Luca Pissavini e il trio III Considered. Al Caffè Neruda si esibisce il quartetto Il Sogno di Pablo.
Sabato. Al Blah Blah suonano i Glitter Wizard. Per la rassegna “Mods MayDay” all’OffTopic, sono di scena i nostrani Statuto, i Mads e Rudi, i Five Faces, i Made e i Coys. Per “Novara Jazz” alla basilica di San Gaudenzio si esibisce il sassofonista Francesco Bigoni, a casa Bossi l’Italian String Trio, al Broletto gli Animanz insieme a Juanita Euka.
Domenica. Al Civico di Chivasso per la rassegna “Jazz Around You”, suona il trio del batterista Tony Match con il sassofonista Scott Hanilton. Per “Novara Jazz” nella Sala del Compasso si esibisce la cantante Sane Huijbregts e il trombonista Michael Steinman, ospite al Broletto della Erios Junior Jazz Orchestra.

Arte nel giardino segreto

E’ nato a Torino ma vive e lavora da sempre a Saluggia in provincia di
Vercelli. Giovanni Tamburelli è il protagonista dell’ultimo episodio della
prima serie di ‘Vestiti d’artista’, l’iniziativa nata da un’idea della fashion
designer casalese Cinzia Sassone in collaborazione con il critico d’arte
Piergiorgio Panelli e di un gruppo di artisti locali e non. Sabato nello spazio
espositivo di Arte e moda in viale Morozzo di San Michele 5 a Casale Monferrato  (con una
suggestiva appendice nel giardino esterno) è stata inaugurata la mostra-
evento ‘Secret Garden. Tamburelli, come ha ricordato Panelli nella sua
breve introduzione al maestro è un artista di livello internazionale, avendo
esposto nel Padiglione Italia, essendo stato invitato nel 2011 alla Biennale
di Venezia, all’epoca diretta da Vittorio Sgarbi., invitato 2 011 alla Biennale
di Venezia . Ha esposto in molte città italiane (Torino, Milano, Pisa,
Genova, Roma…) ed estere (Parigi, Barcellona, Zurigo, Città del Messico,
Lugano, Colonia…). E tra le sue amicizie, che spaziano in altri campi della
cultura, ci sono quelle, in ambito letterario, con scrittori come Nico Orengo
e Sebastiano Vassalli. E Giovanni Tamburelli, con la sua presenza
prestigiosa, ha commentato Cinzia Sassone, sarà il momento del punto di
partenza della seconda parte di ‘Vestiti d’artista’, che quindi proseguirà
anche nell’immediato futuro, arricchito dalla partecipazione di nuovi artisti.
E come è accaduto con gli altri artisti, anche le opere di Tamburelli hanno
ispirato il confezionamento di alcuni abiti ad esse strettamente collegate. E’
intervenuto anche il vice presidente della Provincia di Alessandria Federico
Riboldi che ha portato un breve cenno di saluto. A chiudere è stata l’artista
poliforme Iris Devasini che ha letto alcune poesie in sintonia con il
suggestivo ambiente creatosi. ‘Secret garden’ è, quindi, un giardino segreto,
fantastico, abitato da creature immaginarie che dialogano con gli abiti in
una favola che prende vita, il tutto grazie all’ambientazione suggestiva,
come poc’anzi ricordato, con le opere del maestro posizionate all’interno e
all’esterno.
Massimo Iaretti

Metti un sabato… in Biblioteca e Archivio!

Il programma degli eventi 
sabato 25 maggio ore 9-12 Sala Studio Roccati (poi sabato 8 e 22 giugno)
Giocando s’impara
L’associazione LudiChieri aspetta adulti e bambini dai 7 anni in su per scoprire com’è facile imparare cose nuove….giocando!

 

sabato 25 maggio dalle ore 10
La Città di Carta e Tesori della Biblioteca
Dalle 10, appuntamento prima in Archivio Storico per seguire il percorso  Orti giardini e gerbidi: il verde a Chieri nei secoli
a seguire, viaggio alla scoperta dei Tesori della Biblioteca nella Sala Francone, aperta straordinariamente per farci scoprire i volumi di pregio del fondo storico

 

sabato 25 maggio ore 10.30 Sezione Ragazzi (altri appuntamenti in altre lingue sabato 1 e 8 giugno, lunedì 17, sabato 22)
Storie dal mondo senza confini 
…per mamme e papà, nonne e nonni, bambine e bambini, per scoprire insieme lingue e paesi…senza confini…
Primo appuntamento con letture dalla Romania con Laura ed Emilia Rotari
https://www.comune.chieri.to.it/biblioteca/storie-mondo-2019

 

mercoledì 29 maggio ore 17 (poi 12 e 26 giugno)
Gruppo Mamme 
In sezione Ragazzi, spazio e momento di confronto per neo o future mamme

 

giovedì 30 maggio ore 17 Parco Tepice del Pellegrino (poi 6, 13, 20, 27 giugno)
Letture nei Parchi
in occasione del ventennale di Nati per Leggere, appuntamento al parco con Eva Gomiero e i ragazzi del Liceo Monti per letture all’ombra del Tepice. In caso di maltempo, ci vediamo in Biblioteca!
venerdì 7 giugno ore 10-12 Archivio Storico
Carte in Regola 
Rassegna di documenti antichi in occasione della Settimana Internazionale degli Archivi

 

Aggiornamenti, bibliografie, consigli di lettura e curiosità su FACEBOOK @BibliotecaArchivioChieri e sul sito www.comune.chieri.to.it/biblioteca

Il “noir” spiegato ai più piccoli

Fondazione Cosso: al Castello di Miradolo domenica 26 maggio. San Secondo di Pinerolo (Torino)

L’appuntamento è per tutta la famiglia. Per grandi e piccini. Per questi ultimi soprattutto che saranno introdotti al brivido – ovviamente contenuto – del “noir” nella giornata promossa dalla Fondazione Cosso presso la sua sede al Castello di Miradolo (via Cardonata 2, a San Secondo di Pinerolo), dove, domenica prossima 26 maggio, si terrà “Castelli in Giallo Kids”. Sezione speciale, dedicata per l’appunto ai bambini e alle loro famiglie, l’evento rappresenta una delle tappe della prima edizione di “Castelli in Giallo”, il festival di “Letteratura Noir” organizzato dall’Associazione Amici di Castelli Aperti (con un programma che prevede oltre 20 appuntamenti a tema in 11 dimore storiche piemontesi e in una valdostana), con il sostegno della Regione Piemonte e dell’Associazione delle Fondazioni di origine bancaria del Piemonte. Ecco dunque gli appuntanti di domenica 26, al Castello di Miradolo: alle ore 11, saranno due le presentazioni di libri per i più piccoli, rivolte a differenti fasce d’età. Lo scrittore Davide Calì presenterà ai bambini, dai 7 anni, il suo ultimo libro “Comelius Holmes” (Editrice “Biancoenero), mentre Pierdomenico Baccalario, finalista del “Premio Strega 2019”, farà rivivere ai più grandicelli, dai 9 anni in su, le pagine del suo romanzo “Gli intrigue. Una lettera rosso sangue” (Editrice “Il Battello a Vapore”), scritto a quattro mani con Alessandro Gatti. L’agenda degli incontri prosegue nel pomeriggio: alle 14,30 Daniele Nicastro svelerà ai bimbi, dai 6 agli 8 anni, gli ingredienti essenziali del racconto giallo, per imparare a scrivere in quest’ottica una storia personale. Alle 16, la “Compagnia Storytelling” di Torino guiderà le famiglie nel Parco del Castello, regalando storie avvincenti, condividendone insieme i più nascosti segreti e gli intriganti misteri. La partecipazione agli eventi di “Castelli in Giallo Kids” sarà inclusa nel biglietto di ingresso al Parco e su prenotazione, all’indirizzo segreteria@castelliaperti.itLe famiglie che aderiranno alle attività avranno diritto al biglietto ridotto per l’ingresso al Parco.
Dalle 12.30, su prenotazione, Pic Nic con i cestini dell’Antica Pasticceria Castino di Pinerolo. Per i bambini, menù dedicato. Prenotazione obbligatoria allo 0121/502761 o prenotazioni@fondazionecosso.it

g.m.

SolidArte 2019 per dare “vita ai bambini”

Al MEF di Torino mostra di beneficenza 

Arte e solidarietà. Un binomio non nuovo, che diventa gesto ancor più straordinario e lodevole quando il cuore dell’arte si apre per dare aiuto al mondo dell’infanzia. E’ quanto capita, ancora una volta, con “SolidArte”, evento giunto quest’anno alla sua sesta edizione, promosso da OAF-I (Organizzazione di Aiuto Fraterno – Italia), in collaborazione con il torinese Museo Ettore Fico, il patrocinio del Consiglio Regionale del Piemonte e della Città di Torino, e finalizzato a sostenere “Vita ai bambini”, un progetto del Sermig di Ernesto Olivero teso ad offrire un’accoglienza residenziale, presso l’Eremo di Pecetto, a bambini stranieri (e alle loro famiglie) affetti da gravi patologie, che vivono nei Paesi più poveri dell’Europa dell’Est, dell’Asia Centrale e del Sud America, in zone dove non esistono strutture ospedaliere in grado di curare la loro malattia. A questi bambini –   seguiti da associazioni internazionali che lavorano nell’ambito della tutela dei loro diritti e dai Servizi Sociali degli Ospedali, in particolare del “Regina Margherita” di Torino – si è pensato, organizzando presso il MEF – Museo Ettore Fico di via Cigna una mostra d’arte di beneficenza, che vede esposte le opere di 25 importanti artisti, fra i più rappresentativi dell’arte contemporanea italiana e internazionale, a partire da sabato 25 fino a giovedì 30 maggio, giorno in cui, a partire dalle ore 18, si svolgerà la vendita al pubblico dei lavori esposti. Curata da Michela Frittola, la rassegna ospita opere di grande interesse, sotto l’aspetto artistico e storico, a firma di nomi assolutamente prestigiosi che vanno da Arnaldo Pomodoro (fratello maggiore di Giò Pomodoro e fra i grandi della scultura contemporanea internazionale), ad Alessandro Mendini, recentemente scomparso e nella cerchia dei rinnovatori a partire dagli anni Settanta del design italiano, via via fino ad Ettore Fico con un’opera donata dallo stesso Museo a lui dedicato e a due protagonisti (entrambi torinesi) della ricerca pittorica d’avanguardia degli anni Sessanta come Piero Gilardi (con i suoi iperrealistici “tappeti natura” in poliuretano espanso) e Giorgio Griffa (con i suoi astratti fantasiosi “segni primari”). A seguire opere di Riccardo Guarneri, maestro della “pittura analitica”, di Mario Airò, Marco Bagnoli e Massimo Bartolini, accanto alla surrealistica icona dell’effimero come la “Colazione” in ceramica policroma del duo romagnolo Bertozzi & Casoni e al “visionario concettualismo” dell’accoppiata irpina Perino & Vele. Tutti artisti presenti nelle collezioni di importanti musei pubblici e privati; cui s’aggiungono altri (e il tasso di valore è sempre assolutamente alto) che vanno da Franco Guerzoni, a Ugo La Pietra, a Nino Longobardi, a Eva Marisaldi e ad Alfredo Pirri. In parete troviamo anche un’opera di Nunzio (al secolo, Nunzio Di Stefano, aquilano operante a Torino), che racconta la rigorosa geometria di immagini forti, matematiche tracce di un nero assoluto, contrapposto alla “scultura luminosa” – giocosa installazione fra arte figurativa e design – di Marco Lodola. A chiudere la rassegna, sono infine alcuni dei protagonisti dell’attuale scena artistica subalpina, come il segusino Francesco Barocco ( con la sua innovativa “indefinita” ritrattistica ), Enrico T. De Paris e il fumettista Massimiliano Frezzato, insieme alle nuove generazioni che portano i nomi di Paolo Bini, Rebecca Moccia, Serena Vestrucci ( vincitrice a Milano del “XVIII Premio Cairo”) e l’albese Eugenio Tibaldi, già presente due anni fa al MEF con una suggestiva installazione dal titolo “Seconda Chance”, frutto di una lunga e attenta permanenza dell’artista nella periferica Barriera di Milano, esplorata e raccontata nelle sue molteplici sfaccettature, in un percorso creativo dove il cambiamento porta i segni di “tutti i passati e tutte le culture”.

Gianni Milani

 
“SolidArte 2019”
MEF – Museo Ettore Fico, via Cigna 114, Torino; tel. 011/853065 o www.museofico.it
Da sabato 25 maggio a giovedì 30 maggio
Orari: dal merc. alla dom. 11/19
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Nelle foto, opere di: Arnaldo Pomodoro, Piero Gilardi, Bertozzi & Casoni, Nunzio, Marco Lodola e Francesco Barocco

La sincerità di una confessione, tra passato e presente

Pianeta Cinema a cura di Elio Rabbione

 

Una lunga cicatrice rossastra attraversa nelle scene iniziali la schiena di Salvador Mallo, regista che ha visto spegnersi ogni velleità artistica, personaggio centrale di Dolor y gloria

 L’incubo della malattia, le visite in ospedale, le diagnosi dei medici. Il risultato di un intervento chirurgico, l’inizio di un dramma, della depressione, dell’imperativo a lasciarsi andare, a vedersi vivere, probabilmente un punto centrale pronto a coinvolgere altre patologie di cui anche un chiarificatore disegno animato vuol mettere a conoscenza lo spettatore. Nell’ultima sua prova (è arrivato felicemente alla 22ma, seppur i bassi e gli altissimi non siano mancati), Pedro Almodòvar è lì, nella vita e sullo schermo, a mettersi a nudo, a rivelarsi appieno nelle sue paure, nei suoi stati d’animo, nella suo corpo intristito. Strade già percorse, ma forse mai con la sincerità di oggi, piena di calore, autentica, di una nuova esplorazione che svela aspetti sconosciuti e porta ad un rappacificarsi calmo, quasi fosse un abbraccio, con se stesso che prende il posto di una antica quanto rabbiosa ironia. Con una prova interpretativa eccellente, di rara immedesimazione (che va ben oltre le camicie coloratissime e i capelli arruffati del suo antico mentore), Antonio Banderas ripercorre gli spazi dell’alter ego – pure lui con i suoi timori e la morte in faccia dopo l’infarto di due anni fa -, regista e attore si ritrovano dopo La pelle che abito e Gli amanti passeggeri, si guardano e si confrontano ancora una volta, giocano pirandellianamente tra realtà e finzione, si specchiano con qualche eccessiva bugia in Fellini e Mastroianni e in 8 e mezzo (perché qui siamo di parecchi metri sotto quel capolavoro indiscusso), mescolano il detto e il non detto, il passato e il presente, gli amori e le perdite, gli abbandoni dolorosi come il piacere del ritrovarsi, camuffano in bocca ad altri che occupano le loro vite episodi personali, riformano gli intrecci di due belle esistenze, perse e rinnovate. Oltre i timori e le malattie, è la riproposta di un suo vecchio successo, Sabor, pronto per essere immesso ancora, a trentadue anni dall’uscita, in discussioni e incontri pubblici, a togliere Salvador dalla depressione, un’occasione per incontrare di nuovo Alberto, l’attore che ne fu il protagonista, un incontro lento e travagliato, fatto ancora di rappacificazioni e di scontri, di abbracci e di eroina, cui tuttavia affida un proprio monologo (e in quel “il cinema mi ha salvato” si comprende quanto vi sia di autobiografico: e in quel monologo sta una delle scene più belle del film, come denuncia tutta la sua umana autenticità quella della visita/confessione nello studio del medico) che sarà un successo. Con commozione salvifica al seguito. Come quella di ricevere la visita di Federico, il grande amore degli anni Ottanta (“Madrid era nostra”), “scappato” in sud America a riformarsi una famiglia con tanto di moglie e figli cui ha detto e non ha detto, che sanno e non sanno. Del passato – e sono scene davvero suggestive, che culminano nella presenza di Penelope Cruz, assolate anche se chiuse nelle caverne bianche che fanno da abitazione; suggestive come quelle iniziali, che ci ricollegano all’inizio di Volver, là le donne a sistemare le tombe del cimitero, qui a lavare e stendere i panni in riva al fiume, sempre cantando – fa parte l’infanzia del regista, il rapporto con la madre, le prime scoperte d’amore che arrivano a far svenire (forse un piccolo neo della narrazione, non è forse eccessivo quel momento di perdizione improvvisa nel ragazzino non ancora decenne?), con le note di Come sinfonia e con la voce di Mina. Ricordi, che sfoceranno dritti dritti all’interno del film nel film, con la scena finale. Non sappiamo ancora se la giuria di Cannes presieduta da Inarritu guarderà con occhio benevolo e premiante a Dolor y gloria; ma è vero che Almodòvar oggi affascina e commuove, lascia il giusto segno non apparendo debordante in una scrittura che altre volte ha preso troppe strade secondarie ma racchiudendo amorosamente, senza alcun tentennamento e senza la tentazione di nascondere chissà che, l’intera storia in se stesso, nei giorni che ha vissuto e che sta vivendo, tra i colori e tutto il pop che dissemina qua e là e le ombre che attraversano di tanto in tanto le sue giornate di regista e di uomo.

Le gallerie di Torino, passaggi eleganti e preziosi

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Sono raffinate, di pregio e funzionali le gallerie coperte di Torino. Storiche e ricche di fascino raccontano, insieme ai portici, lo splendore della prima capitale d’Italia, la sua unicità e la sua personalità regale
Non sono solo belle da vedere, ma anche utili e confortevoli nel caso in cui non si voglia rinunciare ad un caffè o allo shopping in un giorno di pioggia o di caldo afoso. Le tre più importanti sono frequentatissime dagli abitanti di Torino ma anche da turisti e visitatori appassionati di questa città, cultori di un patrimonio architettonico indiscusso. La Galleria San Federico , la più grande e imponente, è stata inaugurata nel 1933. Originariamente collegava solo Via Roma a Via Santa Teresa, successivamente il suo ampliamento a forma di T, grazie ad un progetto di Federico Cavova e Vittorio Bonadé, ha visto l’apertura anche su Via Bertola. All’interno troviamo negozi eleganti e di stile, ristoranti, bar e uno dei cinema più antichi di Torino: il Lux. Una particolarità di questa galleria, che attira ancor di più curiosi e ammiratori, è il suo trasformarsi in palcoscenico, spessissimo infatti vengono improvvisati concerti di musica classica molto seguiti e apprezzati. Un altro spazio importante, riconosciuto come simbolo di Torino per la sua vocazione reale e il suo stile sfarzoso, è la Galleria Industriale Subalpina che fa da collegamento tra Piazza Castello a Via
Cesare Battisti. inaugurata nel 1874 su progetto di Pietro Carrera, possiede un deciso stile ottocentesco alternato ad elementi più moderni come la volta, ornata in ferro battuto. Anch’essa ospita locali storici e negozi ricercati ed è stata diverse volte anche un set cinematografico, sono infatti state girate alcune scene di importanti film come La donna della domenica di Luigi Comencini e Quattro mosche di velluto grigio di Dario Argento. Il nome è quello del suo sponsor, ovvero la banca che pagò per la sua costruzione. Infine la Galleria Umberto I , collegamento tra Piazza della Repubblica, sede del mercato più grande d’Europa, e Via della Basilica. Aperta al pubblico nel 1890, ha in realtà una storia ben più lunga risalente alla fine del 1400, come facente parte di Palazzo Cavalieri, ed a fine 1500, come sede dell’ospedale Mauriziano poi spostato in un’altra parte della città, l’omonima farmacia, invece, è ancor oggi all’interno della galleria. Il suo restauro, nel 1888, fu affidato all’ing. Rivetti e il suo nome è un omaggio al monarca di quel periodo: Re Umberto I. Semplice ed essenziale nella sua struttura é decorata in ferro e metallo, materiali tipici del XIX secolo. Luminosa e dai soffitti altissimi, ospita ristoranti e locali commerciali interessanti ed è un’ oasi di pace in contrasto col vivacissimo mercato adiacente.