Allah a Santa Sofia
Le proteste internazionali e la rabbia del mondo cristiano non fermano il sultano. Il Turco sconfigge i cristiani e la basilica di Santa Sofia a Istanbul torna moschea.
La Corte suprema turca ha annunciato che la decisione di trasformare Hagia Sophia in museo, adottata da Ataturk nel 1934, non è valida e quindi l’edificio religioso può riaprire al culto islamico. Il presidente turco Erdogan aveva promesso più volte che Santa Sofia, fatta costruire nel VI secolo dall’imperatore bizantino Giustiniano, sarebbe tornata moschea.
La conversione di Santa Sofia in moschea ribalta dunque la decisione con cui il governo turco aveva convertito in museo la millenaria basilica bizantina trasformata in moschea dopo la conquista ottomana di Costantinopoli nel 1453. Sarà questo un motivo per spingere i cristiani del mondo contro l’islam, come ha dichiarato il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I ? Torneranno le Crociate tra i cristiani e i musulmani? Si apre una nuova fase di scontro e di rottura tra Occidente e Oriente? “Giù le mani da Santa Sofia” avrebbe probabilmente esclamato oggi, appena appresa la notizia, il viaggiatore cronista Edmondo de Amicis che nel suo diario di viaggio “Costantinopoli” rimase abbagliato dallo splendore della basilica bizantina. Nell’estate del 1875, De Amicis, che trascorse gran parte della sua vita in Piemonte, arrivò dal mare, dopo dieci giorni di navigazione, nell’antica capitale, bizantina e ottomana. Esclamò e scrisse: “ecco Costantinopoli, sterminata, superba, sublime. Gloria alla creazione ed all’uomo! E’ una bellezza universale e sovrana, dinanzi alla quale il poeta e l’archeologo, l’ambasciatore e il negoziante, la principessa e il marinaio, tutti hanno emesso un grido di maraviglia, io non avevo sognato questa bellezza…” è folgorante il primo impatto di De Amicis con la Roma d’Oriente quando sbarca a Istanbul. Nato in Liguria, la sua famiglia si trasferì presto in Piemonte, a Cuneo, Pinerolo e a Torino nell’attuale piazza XVIII dicembre, di fronte alla vecchia stazione di Porta Susa, dove De Amicis scrisse il celebre “Cuore” e dove una targa lo ricorda ancora oggi. Ma qualcosa di più straordinario doveva ancora avvenire nel suo viaggio nella città sul Bosforo…“messo appena il piede nella navata (di Santa Sofia) rimanemmo tutti e due come inchiodati. Il primo effetto è grande e nuovo. Si abbraccia con uno sguardo un vuoto enorme, un’architettura ardita di mezze cupole che paion sospese nell’aria, di colonne colossali, di archi giganteschi, di gallerie, di tribune, di portici, su cui scende da mille grandi finestre un torrente di luce, un’ostentazione di grandezza e di forza, un’idea della basilica di San Pietro raccorciata e della basilica di San Marco ingigantita e deserta, una mescolanza mai veduta di tempio, di chiesa e di moschea”. Dopo 1500 anni non c’è pace per la Divina Sapienza. Santa Sofia è stata infatti una chiesa cristiana dedicata non a una santa, come potrebbe far credere il nome, ma alla saggezza divina, l’Haghia Sophia incarnata dai greci e qualcosa di incredibile sta di nuovo per interessare l’ex basilica. Il mondo cristiano insorge, la Grecia minaccia ferro e fuoco, eppure lui, il sultano turco, va avanti con i suoi piani di conquista, come se niente fosse. Il 29 maggio scorso, in occasione del 567 anniversario della conquista turca di Costantinopoli, ha fatto recitare da un imam, all’interno dell’edificio, una preghiera islamica, la sura della Conquista. Episodio che scatenò un diluvio di critiche tra i cristiani e soprattutto nella vicina Grecia. Secondo una fondazione religiosa, vicina a Erdogan, che si è presentata a favore della riapertura dell’edificio al culto islamico, la firma di Mustafa Kemal Ataturk sul documento che trasformava Santa Sofia in museo, sarebbe addirittura falsa. “Erdogan è un islamista e vuole che il Medio Oriente sia più islamizzato” afferma lo storico israeliano Benny Morris. “Santa Sofia è un grande simbolo della cristianità ed Erdogan lo sa bene. E come se ora con Santa Sofia volesse cancellare anche le ultime tracce della cristianità in Turchia”. Non tutto è però perduto per i cristiani e i turisti che probabilmente potranno ancora visitarla. Hagia Sophia dovrebbe infatti restare anche museo come la vicina Moschea Blu, anche se non si potrà entrare durante le preghiere.
Filippo Re
Hanno ripreso a risuonare le note nel Duomo di Torino dopo la forzata sosta per l’emergenza sanitaria, con l’esecuzione del concerto affidato ai Cameristi dell’Orchestra dei Virtuosi dell’Accademia di San Giovanni, il 4 luglio scorso
Appuntamento di vivo interesse culturale e alto livello artistico sabato 4 luglio scorso, organizzato dal Rotary Club Torino Duomo in collaborazione con l’Accademia della Cattedrale di San Giovanni, per festeggiare l’inaugurazione del nuovo anno rotariano del distretto 2031 con il neo Governatore, l’ingegner Michelangelo De Biasio, uomo di profonda cultura, amante dell’arte in ogni sua forma e lui stesso fotografo d’indubbio valore.
Arte e cultura costituiscono il binomio indissolubile che contraddistingue anche questo Club, la cui sede morale è situata all’interno del Museo Diocesano. Difatti i service di questo Club rotariano sono prevalentemente indirizzati a opere di ripristino inerenti al patrimonio artistico della Cattedrale e, come nel caso del recente restauro conservativo de “l’Ultima Cena” del Gagna, lo stesso Club ne segnalava la necessità all’allora governatore Giovanna Mastrotisi (titolare essa stessa d’una impresa di restauri) la quale, colto al volo il notevole impatto mediatico e filantropico del recupero che avrebbe impreziosito il suo mandato, ha provveduto al restauro del maestoso dipinto, lavorandoci anche in prima persona.
Il programma previsto per la serata, dal curioso titolo “Musica a sorpresa”, è stato suonato in maniera eccellente da “I Cameristi dell’Accademia”, ensemble sorto all’interno de “I Virtuosi dell’Accademia di San Giovanni”, orchestra in residence del Duomo, e composto dai violinisti Marcello Iaconetti ed Helga Ovale, dal violista Enzo Salzano e Dario Destefano al violoncello. Tutti i brani proposti, che spaziavano da Bach e Puccini per approdare addirittura a Gino Paoli e The Queen, sono stati introdotti da brevi e toccanti commenti di don Carlo Franco, parroco del Duomo e socio onorario da sempre del Club rotariano, che ha organizzato la piacevolissima serata, che ha anche testimoniato – e possiamo credere che non sia mai accaduto prima d’ora – la pubblica accettazione da parte del Governatore De Biasio di un nuovo socio del Torino Duomo, l’irlandese Paul Kearney, direttore del Castello di Casalborgone. Questo nuovo componente è stato proposto da una socia dello stesso Club, la dottoressa Emanuela Siani, restauratrice d’arte, pittrice e gallerista, che ha provveduto a tutti i restauri di questa splendida location, riportandola ad un nuovo splendore.
Dopo il bis, la prima assoluta di un tempo delle “Varianti H” del celebre Gian Piero Reverberi (Rondò Veneziano, tanto per intenderci…) e da lui offertaci, applausi scroscianti, con tanto di standing ovation, hanno concluso la serata lasciando nei cuori d’ognuno la speranza di un futuro senza più lockdown…
Mara Martellotta
Il dottore dei matti
Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce
Non tutte le storie vengono raccontate, anche se così non dovrebbe essere. Ci sono vicende che fanno paura agli autori stessi, che sono talmente brutte da non distinguersi dagli incubi notturni, eppure sono storie che vanno narrate, perché i protagonisti meritano di essere ricordati. I personaggi che popolano queste strane vicende sono “matti”, “matti veri”, c’è chi ha paura della guerra nucleare, chi si crede un Dio elettrico, chi impazzisce dalla troppa tristezza e chi, invece, perde il senno per un improvviso amore. Sono marionette grottesche di cartapesta che recitano in un piccolo teatrino chiuso al mondo, vivono bizzarre avventure rinchiusi nei manicomi che impediscono loro di osservare come la vita intanto vada avanti, lasciandoli spaventosamente indietro. I matti sono le nostre paure terrene, i nostri peccati capitali, i nostri peggiori difetti, li incolpiamo delle nostre sciagure e ci rifugiamo nel loro eccessivo gridare a squarcia gola, per non sentirci in colpa, per non averli capiti e nemmeno ascoltati. (ac)
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9. Il dottore dei matti
A difendere l’ingiusta condizione dei pazienti degli ospedali psichiatrici fu Franco Basaglia, “il dottore dei matti”, brillante psichiatra veneziano che, alla guida di giovani medici, realizzò una radicale riforma del manicomio. La piccola fiamma della speranza era stata accesa nel più improbabile, piccolo e periferico di tutti i manicomi italiani, quello di Gorizia. Nell’ospedale si trovavano 600 pazienti, la metà dei quali non parlava nemmeno italiano; il manicomio era diviso in due, come la stessa città, dalla cortina di ferro. Proprio di lì, tuttavia, partì la battaglia contro l’establishment accademico e politico. Il manicomio di Gorizia rimase uno dei simboli della rivoluzione, insieme al manicomio di Trieste, dove Basagliacompletò la sua opera, per l’intera generazione sessantottina. Franco Basaglia nacque a Venezia da una ricca famiglia; nel 1949 si laureò in medicina. Fece la staffetta partigiana durante la guerra e finì in carcere. Proprio questa esperienza gli servirà anni dopo, come termine di paragone per descrivere il suo primo impatto con il manicomio. Dopo aver ottenuto la libera docenza in Psichiatria, soggiornò per alcuni mesi in Inghilterra, per studiare le riforme introdotte nel sistema psichiatrico di quel paese. Al suo ritorno trovò lavoro all’interno del manicomio di Gorizia, dove non indossò mai il camice, e qui iniziò la sua lotta per ottenere un rapporto tra terapeuta e paziente basato sul dialogo e non sulla repressione. A Franco è sempre importato più del malato che della malattia. Persona buona e corretta non si è mai arricchito, non ha avuto encomi ufficiali, eppure il suo pensiero innovativo stravolse a tal punto la psichiatria che non si poté più tornare indietro. Grazie a lui molti ricoverati poterono, poco a poco, e con tanta fatica, sperimentare spiragli di libertà. Egli, inoltre, restituì ai malati un volto, adoperandosi affinché essi si riappropriassero di piccoli oggetti come specchi, pettini, spazzole, persino un comodino su cui appoggiare fotografie, qualche gioiellino, un qualsiasi ricordo della loro vita di prima. Il suo pensiero rivoluzionario venne etichettato come “privo di serietà e rispettabilità scientifica” dall’establishment psichiatrico, ma Franco non si arrese e continuò per la sua strada. Si spostò a Parma e poi a Trieste, dove portò a termine la sua opera. Lo stesso manicomio di Trieste venne chiuso proprio da Basaglia, e Trieste fu la prima città al mondo a compiere quel gesto così eroico e così estremo. Quello che successe nella città friulana dimostrò a tutti gli effetti che una psichiatria “altra” era nella realtà possibile. La rivoluzione di Gorizia arrivò anche a Torino, dove, fin dal 1958, erano stati costituiti i CENTRI DI IGIENE MENTALE (CIM), strutture extra-ospedaliere che non si ponevano in concorrenza con i manicomi ma miravano a integrarne l’attività agendo sulla prevenzione e sulla riabilitazione dei malati dimessi. A Torino l’agguerrito movimento studentesco si era fatto promotore, tra il 1967 e il ’68, di iniziative propagandistiche contro i manicomi con comizi e assemblee di sensibilizzazione e distribuzione di volantini nelle scuole, nei circoli culturali e nelle università. Tra le cosiddette
“istituzioni totali” il manicomio, ancora più della scuola, della fabbrica, della famiglia, della chiesa, del carcere o della caserma rappresentava per gli studenti il luogo-simbolo della emarginazione, della repressione che calpestava i diritti delle persone, soprattutto se povere. Andava perciò combattuto. Torino si divise in due fazioni, da una parte il movimento degli studenti, sicuri delle idee basagliane, capeggiati da Annibale Crosignani, Giorgio Luciano e Enrico Pascal, a cui si aggiungevano alcuni esponenti del Partito Comunista Italiano, qualche infermiere e gli attivisti dell’ ALMN, (. Tutti radunati attorno alla psicoterapeuta Piera Piatti, tutti uniti contro l’altra fazione composta dai baroni della psichiatria e dalle migliaia di dipendenti ancorati alla difesa del loro status. Il casus belli avvenne nei giorni 13,14,15 dicembre 1968, durante una assemblea pubblica organizzata dagli studenti di Architettura al castello del Valentino, dal titolo: “E’ un crimine progettare un nuovo ospedale psichiatrico.” A tale riunione presenziarono non solo lo stesso Franco Basaglia, ma anche altre personalità di spicco tra cui Pierpaolo Pasolini a fianco dell’ inseparabile Laura Betti. Il 14 dicembre gli studenti si spostarono prima nella clinica neuropsichiatrica dell’ospedale delle Molinette, poi, sempre dietro la guida di Franco Basaglia, si diressero verso il manicomio di Collegno. Una volta giunti davanti alle mura, i manifestanti alzarono striscioni provocatori con scritte del tipo:”Il figlio del ricco è esaurito, il figlio del povero è matto.” Il fatto colse alla sprovvista l’allora Direttore Generale Diego De Caro, che alla fine cedette alle pressioni e, dopo un drammatico scontro faccia a faccia con lo stesso Basaglia, aprì le porte del manicomio. Tale decisone gli costerà il posto. In seguito alla manifestazione vennero poi approvate due mozioni, nella prima veniva sancita la necessità di far sospendere i lavori di costruzione del nuovo ospedale psichiatrico di Grugliasco, e veniva richiesto di avviare una serie di dibattiti pubblici negli atenei, nelle fabbriche e presso gli enti pubblici comunali e provinciali; nella seconda mozione veniva deciso che gli studenti di Medicina, Psicologia e Sociologia potessero avere libero accesso negli ospedali psichiatrici, in modo da potere apprendere dal vivo il rapporto con il malato e le tecniche di lavoro di gruppo. Eppure c’è sempre chi nega l’evidenza. La Commissione di Vigilanza, il cui intervento era stato invocato dall’Opera Pia in seguito all’uscita di alcuni articoli, dopo diverse indagini concluse che “gli atti inconsulti compiuti sui degenti si erano rivelati infondati o frutto di mere supposizioni” e che in pochissimi casi erano apparsi “ inevitabiliconseguenze” dello stato “ di squallore, di estrema promiscuità e di sovraffollamento”. La relazione così si concludeva: “Pure le contenzioni a mezzo di fettucce erano risultate rare e soprattutto motivate da imprescindibili necessità di protezione, mentre era stata individuata una sola camicia di forza in un bambino autolesionista e coprofago”. Era la scontata reazione di una istituzione ormai giunta al punto di non ritorno. Passarono ancora diversi anni prima che la storia dei manicomi si chiudesse insieme ai pesanti cancelli di quelle strutture di oppressione e dimenticanza. Ma, infine, il 13 maggio del 1978, la Legge 180, anche conosciuta come Legge Basaglia, venne approvata dal Parlamento. Tale disposizione vietava la costruzione di nuovi manicomi e imponeva lo smantellamento di quelli esistenti. Stabiliva che le persone affette da disturbi mentali sarebbero state assistite nei servizi decentrati con un massimo di quindici letti e che il trattamento era volontario, riprendendo la legge del 1968, salvo casi eccezionali ed stremi, per i quali sarebbe scattato il TSO, (Trattamento Sanitario Obbligatorio). Sei mesi dopo, la Legge 180 venne assorbita nella “Legge di Riforma
sanitaria”. La psichiatria entrava di diritto nel servizio sanitario al pari di ogni altra branca della medicina e per conseguenza il cittadino malato mentale acquisiva gli stessi diritti di ogni altro cittadino malato. C’è l’altro lato della medaglia, subito sottolineato dagli oppositori: chi si occuperà ora dei malati mentali? Come potranno le famiglie impreparate fronteggiare questa nuova situazione limite? Lo stesso Basaglia era conscio dei limiti della 180, ma animato dalla speranza che con il tempo tutto si sarebbe aggiustato; per il momento sottolineava il risultato più importante infine raggiunto: il riconoscimento dei diritti dell’uomo, sano e malato. Nel 1979, anziano ma ancora desideroso di portare aiuto, si trasferì a Roma, per assumere l’incarico di coordinatore dei servizi psichi
atrici della Regione Lazio. Franco Basaglia morì nel 1980 a causa di un doloroso tumore al cervello che in pochi mesi lo portò via. “Il dottore dei matti” aveva combattuto con coraggio per difendere i diritti, non solo dei malati psichici, ma di tutti coloro che sono soggiogati da una società non sempre giusta, che divora i più deboli e che spesso emargina chi in realtà dovrebbe tutelare. Di lui non si parla tanto, perché fu un uomo scomodo, come scomoda è stata tutta la questione dei manicomi e della follia, e le cose scomode è meglio coprirle con una coperta che ne smussa la forma e che con il tempo ce le fa addirittura dimenticare. Eppure Franco, tra le tante cose giuste, ne ha detta una più giusta delle altre: “Non è vero che lo psichiatra ha due possibilità, una come cittadino e una come psichiatra. Ne ha una sola: come uomo”. In qualità di uomini, non abbiamo scusanti.
Alessia Cagnotto
Venerdì 10 luglio, all’Evergreen Fest al Parco della Tesoriera (corso Francia 186-192, Torino) – dopo la presentazione del libro Caccia all’omo. Viaggio nel paese dell’omofobia di Simone Alliva (Fandango Libri) alle 20.45 – Valdimir Luxuria sarà protagonista della serata Senza peli…sulla lingua – Fra parole e musica il coraggio di essere Vladimir (ore 21.30).
Sul palco Simone Schinocca, direttore del festival, intervisterà Vladimir Luxuria, direttrice del Lovers Film Festival, il più antico festival cinematografico LGBT di Italia, attivista, scrittrice, personaggio televisivo, drammaturga ed ex deputata della XV Legislatura, diventata la prima persona transgender a essere eletta al parlamento di uno Stato Europeo. Vladimir Luxuria interpreterà inoltre alcune canzoni accompagnata dal pianoforte del maestro Emanuele Francesconi. Sul palco, per l’occasione, Luxuria, sarà anche nella veste di cantante e proporrà al pubblico un repertorio musicale.
I due appuntamenti della serata sono in collaborazione con Coordinamento Torino Pride.
Il Festival
Potersi godersi la cultura, in tutta sicurezza. Evergreen Fest, con questo obbiettivo, torna a Torino al Parco della Tesoriera dal 4 luglio con 241 artisti coinvolti, 45 serate, 59 spettacoli, 6 spettacoli per bambini e famiglie, 5 concerti di musica classica, 10 presentazioni di libri, 30 presentazioni di progetti delle associazioni del territorio, 108 ore di laboratori per tutte le fasce di età.
Gli organizzatori hanno studiato un percorso di riavvicinamento del pubblico che superi la diffidenza generata dal periodo pandemico e che accompagni artisti, spettatori e associazioni che si occupano di bene comune, ad incontrarsi nuovamente. Partendo da una riflessione oggi imprescindibile: la sostenibilità della società contemporanea.
Giunto alla sua quinta edizione, il festival si svolge dal 4 luglio al 16 agosto 2020 presso il Parco della Tesoriera (corso Francia 186-192, Torino), con ingresso gratuito.
La programmazione alterna sul palco personalità e artisti fra cui, Drusilla Foer (sold out il 6 luglio), Maurizio Lobina (Eiffel 65), Supershok, Tournée da bar, Orchestra Terra Madre, BandaKadabra, Andrea Cerrato, Federico Sirianni, Fran e i pensieri molesti, Stefano Giussani, Simone Alliva, Chiara Sfregola e molte e molti altri.
Il calendario è scaricabile su www.evergreenfest.it.
Evergreen Fest è un progetto di Tedacà, con il sostegno di Città di Torino, Fondazione per la Cultura, Corto Circuito, Piemonte dal Vivo, Regione Piemonte e TAP; in collaborazione con Fertili Terreni Teatro, Associazione Coordinamento Musicale, Coordinamento Torino Pride; con il patrocinio della Quarta Circoscrizione e con la media partnership di Radio Energy.
Evergreen Fest è un progetto selezionato dal bando Corto Circuito 2020 – Piemonte dal Vivo.
Inseguendo l’aurora
Appuntamento l’8, il 9 ed il 10 luglio con l’inaugurazione della nuova mostra dell’artista torinese Roberto Demarchi dal titolo“Inseguendo l’aurora”, sul tema dell’alba, tanto amato dalla letteratura e dell‘arte e più che mai attuale
“Inseguendo l’aurora“ è il titolo della nuova mostra dell’artista torinese Roberto Demarchi, titolo che vuole essere esso stesso metafora non soltanto di una auspicata rinascita nel periodo storico che stiamo vivendo, ma anche del valore profondo dell’opera artistica e pittorica.
Con questa esposizione l’artista Roberto Demarchi dà appuntamento ai visitatori, collezionisti ed appassionati d’arte, per la sua prima mostra promossa dopo l’emergenza sanitaria che ha cambiato le nostre vite. E lo fa con tre serate artistiche distinte, in conformità alle norme vigenti, onde evitare affollamenti, mercoledì 8 luglio, giovedì 9 e venerdì 10 luglio prossimi, dalle 18.30 alle 21, nel suo spazio espositivo di corso Rosselli 11.
Il tema dell‘aurora ha ispirato l’opera ed il pensiero dell’artista torinese già in tempi antecedenti la pandemia, prendendo corpo e vita soprattutto nella produzione artistica di questi mesi dell’anno, contraddistinti dal lockdown e da una fase delicata che l’umanità si è trovata a vivere ed affrontare, sia dal punto di vista sanitario sia da quello psicologico. E le opere pittoriche di Roberto Demarchi in mostra, dedicate al tema dell‘aurora, declinano perfettamente questo tema sotto varie forme, alcune anche con riferimento ad opere liriche che presentano dei brani contenenti dei riferimenti ad essa.
Da sempre metafora della rinascita a nuova vita, l’aurora, che rappresenta la fase di passaggio tra la notte ed il giorno, si manifestacon il primo chiarore del mattino, ed è stata da sempre oggetto e fonte di ispirazione per la letteratura e l‘arte di tutti i tempi. Se già Shakespeare affermava “Dolce è l’alba che illumina gli amanti”, la poetessa inglese Emily Dickinson sottolineava che “a tutti è dovuto il mattino, ad alcuni la notte. A solo pochi eletti la luce dell’aurora”.
Le opere pittoriche di Roberto Demarchi ci illuminano metaforicamente in questo viaggio verso un’aurora che può benrappresentare un cammino di rinascita, da tutti auspicata in questa fase post Covid, in cui soltanto l‘unione virtuale di tutti, in nome di valori forti, e l’appellarsi ad un patrimonio collettivo di cultura e di arte potrà consentire di riprendere il cammino, rinnovati nello spirito.
MARA MARTELLOTTA
Prenotazione
Telefonicamente al numero 3480928218 o via mail all’indirizzo rb.demarchi@gmail.com
Indicando giorno scelto ed eventualmente fascia oraria.
Omaggio al grande Maestro scomparso / Che cosa sarebbero oggi i film di Sergio Leone se non fossero stati accompagnati dalle musiche di Ennio Morricone? Sicuramente mancherebbero del loro spirito autentico, perché la musica di questo compositore, che ci ha lasciato ieri, era soprattutto visiva e completava perfettamente le inquadrature dei film che accompagnava.
Cresciuto alla scuola di Goffredo Petrassi, che è stato capace di trasmettergli l’insegnamento e la filosofia della “musica assoluta”, Ennio Morricone è scomparso a novantadue anni, lasciandoci un’eredità straordinaria.
“Morricone – spiega il maestro e direttore d’orchestra Antonmario Semolini – forse per una forma di soggezione-ossessione nei confronti del maestro Goffredo Petrassi, uno dei grandi compositori del Novecento, serbo’ per tutta la vita il desiderio di essere valutato anche per le composizioni scaturite da scelte autonome, anziché solo sulla base di quelle richiestegli dal “mercato”. Tuttavia il destino gli riservo’ un ruolo unico e irripetibile in quella categoria dei geniali “sarti” della musica, di quei grandi “couturier” che sanno vestire i personaggi con gli abiti più belli, abiti che sopravvivono alle mode e all’incedere del tempo, rendendo osmotica immortalità sia a chi li indossa sia all’ “artefice”. Credo che nessuno possa dimenticare musiche straordinarie quali quelle che hanno vestito di pura emozione film come “Mission”, “C’era una volta in America”, “Giù la testa”.
Morricone era un artista riservato e la sua riservatezza sfociava in un carattere quasi spigoloso; forse la forma di esequie che ha richiesto può essere una dimostrazione di questo aspetto della sua personalità. Per la maggior parte degli amanti della musica questo compositore rimane internazionalmente noto per la realizzazione delle partiture di straordinarie colonne sonore, che hanno reso ancora più celebri film già noti, quali “C’era una volta l’America ” di Sergio Leone, del 1984, “Mission”…
In realtà Ennio Morricone ha sempre distinto la sua produzione musicale in quella per il cinema ( che considerava funzionale al suo mantenimento) ed in quella che lui stesso definiva “assoluta”, traendo questo aggettivo, così denso di significato, dal suo stesso maestro Goffredo Petrassi. La musica per il cinema, secondo Morricone, risultava di più semplice scrittura rispetto a quella “assoluta”, che incarnava per lui l’autentica elaborazione del pensiero, capace di richiedere fatica e meditazione.
Le prime colonne sonore le compose all’inizio degli anni Sessanta ( al ’62 risale quella per il film “La voglia matta”, per la regia di Luciano Salce). Nel ’63 realizzò la musica del film di Lina Wertmuller intitolato “I basilischi”, per poi comporre le straordinarie musiche del film “Uccellacci e uccellini”, per la regia dell’intellettuale friulano Pierpaolo Pasolini ( per il quale realizzò anche le musiche dell’episodio intitolato “La terra vista dalla Luna”, tratto da “Le streghe”). Come non ricordare poi le celebri colonne sonore composte per i film di Sergio Leone? In “C’era una volta l’America”, Morricone realizzò una musica onirica e struggente, capace di accompagnare sullo schermo le immagini del ricordo, con protagonista uno straordinario interprete quale Robert De Niro, che presto’ il volto al gangster di origini italiane.
Sono state composte sempre da Morricone le musiche del film di Tornatore “Nuovo cinema paradiso”, del 1988, che valse al regista l’Oscar come Miglior Film straniero. Si trattò di una colonna sonora indimenticabile, capace di accompagnare un racconto delicato e malinconico. Il maestro aggiunse al film, con la sua partitura, una grande delicatezza e seppe esprimere perfettamente l’antitesi tra il passato della fanciullezza e la consapevolezza dell’età adulta. Celebre anche la colonna sonora del film “Per un pugno di dollari “del 1964, in cui Morricone, senza orchestra, condenso’ in un fischio, in un’ombra, tutta l’intensità dell’epopea western.
Morricone ricevette, oltre all’Oscar onorario alla Carriera nel 2007, conferitogli “per i suoi magnifici contributi all’arte della musica da film”, anche la Medaglia d’Oro del Pontificato per il “suo straordinario impegno artistico, che ha avuto anche aspetti di natura religiosa”, nell’aprile 2019. L’appuntamento di un concerto sotto la sua direzione, in Aula Papa Paolo VI, in Vaticano, di fronte al Pontefice, fu differita dallo scorso anno a quest’anno e poi rimandata, questa primavera, a data da destinarsi, a causa del lockdown. Ora in Paradiso la sua musica risuonera’ in eterno, con note capaci di unire alle esatte caratteristiche formali una straordinaria forza emotiva.
Mara Martellotta
Dall’8 luglio al 27 settembre Musica, Danza, Teatro, spettacoli per bambini
SCENE riparte, dopo i mesi di più calda emergenza sanitaria, con SCENE_Recovery, un cartellone ricostruito ad hoc per “recuperare” il nostro tempo sospeso, insieme alla musica, al teatro, alla danza rimasti in stand-by da inizio marzo. “Una piccola rinascita per noi, con la certezza di restituire una parte di bellezza della quale tutti necessitiamo. Vi chiediamo un aiuto: la prenotazione è per noi essenziale, ai fine di garantire a voi la libertà di fruire delle nostre iniziative al massimo della sicurezza, secondo le norme vigenti”, dicono gli organizzatori.
Gli eventi della settimana:
MERCOLEDI 8 LUGLIO, ORE 18:00
FAMILY CONCERT: “IL BAULE DEGLI ANIMALI”/FABER TEATER (anni 3+)
Area Estiva Parco G.Salvemini, C.so Susa 128, Rivoli
con Francesco Micca, Lucia Giordano
regia Aldo Pasquero, Giuseppe Morrone
oggetti e burattini Faber Teater
liberamente ispirato a racconti di
A. Moravia, M. Corona, Esopo, W. Holzwarth-W. Erlbruch
PRENOTAZIONE NECESSARIA
rivolimusica@istitutomusicalerivoli.it / 0119564408
www.vivaticket.it
Torna anche lo spazio per i più piccoli, con il Ciclo Family Concert e uno scrigno di avventure mirabolanti pronto a condurre bambini e adulti in un viaggio attraverso terre lontane e vicine, montagne e savane, per conoscere animali meravigliosi e storie entusiasmanti. Al timone la poetica delicata e sognante di Faber Teater, che attraverso elementi concreti come la fisarmonica, un baule e disegni, oggetti e burattini, porta in scena un simbolico quanto palpabile “baule degli animali”, raccolta di storie dedicate ai sentimenti più profondi che scaturiscono dalla variopinta galleria di personaggi, dai quelli esotici ai più comuni.
GIOVEDI 9 LUGLIO ORE 21:30
CREATURE SELVAGGE, MACCHINE INUTILI
LASTANZADIGRETA CON LA PARTECIPAZIONE DI BALLETTO TEATRO DI TORINO
Area Estiva Parco G.Salvemini, C.so Susa 128, Rivoli
Lastanzadigreta
Alan Brunetta, percussioni, marimba, tastiere, bidoni
Leonardo Laviano, voce, chitarre
Umberto Poli, chitarre, cigar box
Flavio Rubatto, theremin, didjeridoo, sintetizzatori, voce
Jacopo Tomatis, mandolini, sintetizzatori, giocattoli, voce
Con la partecipazione di Balletto Teatro di Torino
Lisa Mariani, Nadja Guesewell, Viola Scaglione, Hillel Perlman, Emanuele Piras
PRENOTAZIONE NECESSARIA
rivolimusica@istitutomusicalerivoli.it / 0119564408
www.vivaticket.it
Se non può essere quel “Musica da Stanza”, previsto secondo cartellone al Circolo della Musica, allora sarà “Creature Selvegge” – targa Tenco per la miglior Opera prima 2017 – con un assaggio di “Macchine inutili”, nuovo disco de Lastanzadigreta (uscita posticipata al 1 Dicembre 2020). Questo il programma deciso dai cinque della musica “bambina e democratica” per il 9 luglio, quando Alan Brunetta, Leonardo Laviano, Umberto Poli, Flavio Rubatto e Jacopo Tomatis saliranno sul palco di SCENE_Recovery (8 luglio – 27 settembre 2020) per inaugurare, dopo Faber Teater, una piccola stagione culturale consacrata al tempo sospeso da “recuperare” dopo il trimestre di emergenza sanitaria.
Trait d’union e ponte tra i repertori sarà il singolo “Attenzione attenzione”, ispirato alla filastrocca che l’artista e designer Bruno Munari inserì in apertura del suo libro “Le macchine di Munari” (Corraini Editore), raccolta di macchine – da lui sviluppate tra gli anni Trenta e Cinquanta del Novecento – «inutili perché non fabbricano, non eliminano manodopera, non fanno economizzare tempo e denaro, non producono niente di commerciabile». Il brano, in uscita il 3 luglio su tutte le piattaforme digitali, vuole essere, come l’intero disco, un omaggio al lavoro di Munari e alla sua profetica constatazione: «il mondo, oggi, è delle macchine (…) fra pochi anni saremo i loro piccoli schiavi».
SABATO 11 LUGLIO, ORE 21:30
LA PASSIONE DI GIOVANNA D’ARCO
Sonorizzazione ed interpretazione live del film di C.T. Dreyer
Area Estiva Parco G.Salvemini, C.so Susa 128, Rivoli
Stefano Maccagno, pianoforte
Max Viale, sound design,
Eleonora Giovanardi, voce recitante
Una produzione Distretto Cinema
PRENOTAZIONE NECESSARIA
rivolimusica@istitutomusicalerivoli.it / 0119564408
A SCENE_Recovery il capolavoro di Carl Theodor Dreyer viene proposto nella versione originale – restaurata e senza censure – con didascalie interpretate dal vivo da Eleonora Giovanardi (“Quo vado?”, “Non uccidere”, “la vita promessa”).
Al pianoforte ad accompagnare dal vivo il film Stefano Maccagno, pianista e compositore ufficiale del Museo Nazionale del Cinema di Torino. Al sound design Max Viale (Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo, candidati finalisti ai Nastri d’Argento 2018).
IL FILM
La passione di Giovanna d’Arco (1928) è uno dei capolavori del cinema muto del regista Carl Theodor Dreyer. La sfortunata storia del film incomincia quando la censura dell’epoca lo riduce a un prodotto discontinuo e poco comprensibile. Nel tempo il film fu poi perduto. Negli anni ’80 una pellicola originale fu ritrovata nei magazzini di un ospedale psichiatrico di Oslo. Questa pellicola fu restaurata e riportata alla sua originale bellezza, come voluta dal regista.
Cent’anni fa governava Giolitti…
Di Pier Franco Quaglieni / Cent’anni fa iniziava l’esperienza dell’ultimo governo Giolitti, il quinto. Sembrava la rinascita dell’età giolittiana che si era chiusa con l’entrata in guerra dell’Italia il 24 maggio 1915

Le narrazioni di Torino Photo Tales
Le limitazioni imposte dall’emergenza Covid 19 hanno spinto gli organizzatori della Fiera fotografica torinese a lavorare a nuove proposte. Fino al 1agosto sarà possibile consultare l’album virtuale di Torino Photo Tales, che raccoglie le opere fotografiche presentate dalle gallerie invitate al progetto digitale
Ha preso il via il 25 giugno TORINO PHOTO TALES, un percorso di narrazione virtuale che raccoglie, in una piattaforma online, una vetrina dedicata alla creatività dell’immagine, con la presentazione di opere fotografiche di grandi maestri e giovani emergenti, corredate da video interviste a gallerie, musei, istituzioni culturali, editori, collezionisti, artisti e appassionati.
“L’emergenza Coronavirus – racconta Roberto Casiraghi ideatore di The Phair, insieme a Paola Rampini – ci ha stimolato a lavorare a nuove idee, sviluppando una delle funzioni della Fiera, il sostegno del sistema artistico territoriale e soprattutto la valorizzazione delle gallerie d’arte che dedicano particolare attenzione a progetti artistici legati al tema dell’immagine. Abbiamo ridefinito i luoghi di confronto tra i protagonisti del sistema dell’arte, con l’obiettivo di rendere la proposta culturale il più esaustiva possibile per collezionisti, appassionati e per tutte le tipologie di pubblico che seguono il panorama artistico italiano”.
La prima parte del progetto dal 25 giugno al 1° agosto raccoglie le opere selezionate da ciascuna galleria invitata a partecipare a Torino Photo Tales. Una raccolta collettiva che andrà a comporre un vasto ed eterogeneo album digitale, una preziosa e inedita finestra sul panorama artistico italiano e internazionale della cultura fotografica, ma soprattutto un’occasione di avvicinamento e confronto tra gallerie, collezionisti e appassionati.
Il progetto vedrà la partecipazione, a titolo gratuito, di 40 gallerie, ognuna delle quali presenterà tre opere, per un totale di 120 opere fotografiche: un puzzle di immagini che raccontano una storia, suggeriscono una visione.
Non una fiera on line dunque, con le consuete viewing rooms, ma un luogo dove poter incontrare maestri della fotografia e talenti emergenti, artisti che intervengono sull’immagine fotografica, che esprimono la loro poetica attraverso un volto umano o una forma astratta, che si perdono o ritrovano nella natura, nell’immensità del cielo, nell’intensità di un colore, nell’ambiguità di un’ombra. I visitatori troveranno Olaf Breuning, Fatma Bucak, Luigi Ghirri, Goldschmied & Chiari, Sam Falls, Alessandra Spranzi, Paolo Ventura, Massimo Vitali e tanti altri.
Per soddisfare la curiosità del pubblico e stimolare un interesse più consapevole, ogni serie di lavori sarà corredata da una video-intervista in cui il gallerista commenta le opere personalmente selezionate, rispondendo alle domande di un componente del board curatoriale.
Dal 1 ottobre 2020 Torino Photo Tales proseguirà, sempre on line, con l’apporto di numerosi contributi esterni, attraverso interviste a musei, curatori, gallerie, editori, collezionisti, per presentare e approfondire opere, mostre e produzioni artistiche.
La volontà di estendere il progetto di Torino Photo Tales nasce per rafforzare collaborazioni già esistenti e crearne di nuove, per costruire intorno a sé un sistema corale ed eterogeneo di interlocutori nazionali e internazionali – galleristi, collezionisti, istituzioni museali, protagonisti del mondo dell’arte contemporanea – per coinvolgere il pubblico con un programma culturale sempre più approfondito e vario.
The Phair si impegna a mantenere viva la stagione torinese della fotografia proiettandola in una dimensione virtuale, con una piattaforma che sia catalizzatore d’innovazione, produzione culturale e interazione sociale, in vista dell’edizione 2021 dal 21 al 23 maggio.
The Phair, che l’anno scorso è stata ospitata nell’ex Borsa Valori di Torino in Piazzale Valdo Fusi, e che quest’anno avrebbe dovuto svolgersi nel Padiglione 3 di Torino Esposizioni, è una fiera dedicata all’immagine. The Phair, un neologismo che è un manifesto, sintesi di Photography e Fair, è un appuntamento annuale riservato alla fotografia, all’immagine come evento concettuale prima che tecnico e descrittivo del reale.