“Parigi era viva. De Chirico, Savinio e les Italiens de Paris”: questo è il titolo della mostra che si è aperta il 21 ottobre scorso presso il Museo di Arti Decorative Accorsi-Ometto.
Attraverso settanta opere viene raccontata l’avventura di sette artisti italiani che, arrivati nella Ville Lumière, in momenti diversi, per vivere, lavorare e fondersi in quell’atmosfera artistica di grandi movimenti e di immensi pittori, espongono insieme per la prima volta nel 1928: Giorgio De Chirico, Alberto Savinio, Massimo Campigli, Filippo De Pisis, Renè Paresce e Gino Severini. Parigi, in quegli anni, mantiene intatto il proprio fascino e si conferma capitale dell’arte e delle arti. Montparnasse ha, ormai, definitivamente sostituito Montmartre quale cuore pulsante della vita culturale parigina. Picasso, Braque, Soutine, Pascin, Aragon, Cocteau, Dalì, Man Ray vivono e lavorano nel quartiere, animano le notti alla Cupole e stravolgono l’arte. Modigliani è morto nel gennaio 1920, ma la sua straordinaria leggenda e la forza espressiva delle sue opere continuano a influenzare il mondo culturale parigino. E’ in questo luogo meraviglioso, come definirà Breton la Parigi di quegli anni che les italiens dipingono alla ricerca di conferme e aperti a nuove influenze.
La mostra, divisa in sette sezioni, ci regala, attraverso le tele, gli sguardi diversi e complementari di questi pittori. Les italiens, ciascuno secondo il proprio “sentire” e la propria tecnica e il proprio stile, evocano nei quadri atmosfere classiciste, influenzate dal surrealismo con il quale vengono a contatto a Parigi.
Accompagnato dalle fotografie e dalla musica di quegli anni spensierati, lo spettatore si immerge in un percorso espositivo multiforme che desta in lui emozioni e sensazioni diverse, trasportandolo in mondi lontani, immoti e quasi pietrificati, in vie brucianti di vita, in paesaggi assolati, in ambienti dove il tempo sembra essersi fermato. Stanza dopo stanza, sezione dopo sezione, si incontrano l’ossessiva ricerca e reinterpretazione del mito classico di De Chirico, le immagini surreali e inquietanti di Savinio, le donne dagli occhi grandi che riemergono da qualche dipinto parietale di micenea memoria di Campigli, le pennellate calligrafiche, avvolgenti e malinconiche di De Pisis, le forme cubiste di Paresce, i dolenti Pulcinella di Severini che tanto ricordano gli arlecchini e gli acrobati del Picasso del periodo blu e rosa e le tensioni plastiche di Mario Tozzi.
La parabola de les italiens dura pochi anni. I sette artisti proseguono singolarmente il loro percorso pittorico, seguendo ciascuno una strada diversa. Tuttavia, questo sodalizio segna profondamente la storia dell’arte europea tra le due guerre e rappresenta una testimonianza importante di come gli artisti italiani riuscirono a conquistare Parigi.
Barbara Castellaro
PARIGI ERA VIVA DE CHIRICO, SAVINIO E LES ITALIENS DE PARIS (1928-1933) Museo di Arti Decorative Accorsi -Ometto | Torino 21 ottobre 2021 – 30 gennaio 2022
ORARI Martedì, mercoledì e venerdì 10.00-18.00 │ Giovedì 10.00-21.00 │ Sabato, domenica e festivi 10.00-19.00 │ La biglietteria chiude mezz’ora prima │ Lunedì chiuso
INFORMAZIONI PER IL PUBBLICO: Museo di Arti Decorative Accorsi-Ometto Via Po 55 | Torino | 011 837 688 int. 3 www.fondazioneaccorsi-ometto.it info@fondazioneaccorsi-ometto.it
Due donne, due tra le tante madri a cui Pedro Almodòvar ci ha abituato nel corso degli anni, dentro quel suo cinema pieno di colori, melodrammatico sino all’eccesso, di scritture e di storie al limite dell’improbabile, di anfratti a tratti difficili da superare, di giravolte non sempre limpide. Un cinema fatto bensì di capolavori, ognuno di noi ha nella memoria i “propri” titoli. Oggi, dopo l’affresco autobiografico di “Dolor y gloria”, ci offre questo “Madres paralelas” che ha avuto il compito di aprire la recente Mostra di Venezia e che è valso a Penelope Cruz la Coppa Volpi quale migliore attrice. Due donne, Janis e Ana, ha raggiunto i quaranta la prima ed è un’affermata fotografa, piena di vita e di felicità, pronta a chiudere con l’affascinante antropologo forense che le ha dato una figlia, quando questi mette in dubbio la propria paternità; poco meno che ventenne la seconda (Milena Smit, da tenere d’occhio), ma già sballottata tra le tempeste della vita, anch’essa una figlia in arrivo, con un padre non meglio identificato, un avvenire che non esiste, la tristezza perennemente negli occhi. Si ritrovano nello stesso ospedale, nella stessa stanza, Janis pronta in ogni istante a rendere meno complicate le giornate della giovane amica. Poi il parto, poi il Fato, là dove già non sempre ogni passo della storia è calibrato: a rendere le settimane e i mesi a venire pieni di interrogativi, di abbandoni e di lacrime, di menzogne e di parole taciute, di dolcissimi primi piani di bimbi che il regista si diverte a mettere sullo schermo, di certezze subito cancellate, di lavori precari e di ospitalità naufragate, in un susseguirsi continuo di porte che si spalancano e si chiudono, che accolgono persone e le respingono, di legami che si formano e si sciolgono e si riaffermano, di amiche affettuose e collaborative e di madri chiuse nel loro egoismo e pronte a fuggire immediatamente da casa, inseguendo una carriera d’attrice che le porta a debutti e tournée, che le spinge ad affermarsi con Garcia Lorca e O’Neill.

IL LIBRO – Roma, 1928. Ruth Draper, attrice newyorkese, è una donna colta, indipendente, schiva. Si è votata al teatro come una vestale al tempio e non ha mai ceduto alle lusinghe dell’amore. Fino a quando, nella Città Eterna per una tournée, non incontra il giovane e fascinoso Lauro De Bosis. Dandy per eccellenza, poeta per vocazione, antifascista per scelta, aviatore per necessità, Lauro è un visionario ma è anche un uomo coraggioso capace di passare all’azione: con due amici infatti ha fondato un’organizzazione segreta che diffonde messaggi clandestini di propaganda contro il regime. Tra il giovanissimo Lauro e la matura Ruth, nonostante diciassette anni di differenza, scoppia un amore travolgente e tragico, che si cementa nella lotta al fascismo. Sullo sfondo, l’Italietta del regime, ma anche l’inquieto mondo dell’antifascismo in esilio,
tra Parigi, Londra e Bruxelles e l’America divisa tra i fremiti del jazz, la cappa del Proibizionismo e la Grande depressione. Dopo Il caso Kaufmann, Giovanni Grasso torna a mescolare storia e invenzione, ricostruendo nei dettagli l’epopea e il ricco mondo di relazioni di un eroe dimenticato che fece tremare la dittatura: la sera del 2 ottobre 1931, a bordo di un piccolo monoplano, Lauro De Bosis sorvolò Roma, beffando clamorosamente il regime, prima di scomparire nel Tirreno al termine di un volo fatale compiuto in nome della libertà.