Le opere scultoree dell’artista Osvaldo Moi sbarcano in Sicilia il 18 luglio, con un Charity event indetto dalla GLT Foundation. Si tratta di un’opera composita costituita da Sei Ninfee Leggiadre. La donazione fatta per una buona causa rappresenta una propensione cui questo eclettico artista non si sottrae mai. Per decenni ha, infatti, aderito alle iniziative di beneficenza del principe Alberto di Monaco.
Il nuovo gruppo scultoreo approda a Palermo lunedì 18 luglio presso Florio Contemporary Hub, in via Messina Marine 40. È stato selezionato dalla Global Thinking Foundation presieduta da Claudia Segre , per un nuovo appuntamento a carattere umanitario culturale, patrocinato dalla Fondazione Selina Azzoaglio.
Lo scultore, che ha la sua fucina a Limone Piemonte, in occasionedell’appuntamento siciliano, insieme all’artista russo/americana Tessa Rosefeld Calenda, illustrerà al pubblico il proprio lavoro, scelto per le alte valenze dei suoi contenuti. In questo caso ruolo dell’artista è quello di essere uno strumento fondante per la cultura e la rigenerazione urbana, oltre che umana. L’evento si svolgerà in uno spazio che rappresenta una struttura originaria in stile liberty risalente al 1905, recuperata dalla città e dedicata a esposizioni di opere di artisti contemporanee.
“Sono molto entusiasta – ha dichiarato l’artista Osvaldo Moi – ; attraverso le mie opere e, in queste case le mie Ninfe, trasformo il concetto di scultura implicitamente statica in opera in movimento. Ma non solo. Faccio danzare gioiosamente nell’etere queste bambine e bambini e dono, in questo modo, respiro di felicità a chi le osserva, esorcizzando qualsiasi impedimento verso il diritto inalienabile di ogni individuo alla sua libertà personale”.
La serata di beneficenza avrà il suo clou alle 19, con la presenza di una tavola rotonda dal titolo “Proiezione di futuro: arte sociale per la rigenerazione del territorio” e l’esposizione delle tematiche dei due artisti. Il panel, aperto a tutti, avrà al centro una particolare attenzione al ruolo dell’arte come terapia per la propria vita, e vedrà l’intervento delle due principali figure delleFondazioni coinvolte nel progetto. L’incontro sarà moderato da Maria Letizia Cassata.
MARA MARTELLOTTA
Circa settant’anni di storia del disegno italiano, la scelta di ventisei capolavori (ri)sorti come per incanto dai depositi della Biblioteca Reale e presentati oggi in un elegante allestimento, disegni che testimoniano studi o preamboli di maggiori tele o affreschi, un percorso in terra umbra e romana, sotto i papati di Giulio II e Clemente VII, ponendo al centro la figura somma di Raffaello, tra l’apprendimento da parte di un maestro che fu Pietro Vannucci detto il Perugino, e i tanti allievi di cui si circondò nella piena maturità e che seppero affermare e rinfoltire un ambiente ricco di fervente clima artistico. “Nel segno di Raffaello” è il risultato di un progetto nato nel 2020, in occasione del 500mo anniversario della morte del pittore (era nato a Urbino nel 1483, morì a Roma appena trentasettenne per cause mai del tutto chiarite), con l’intento di selezionare, studiare e catalogare un vasto gruppo di opere che con la fine della mostra (si protrarrà sino al 17 luglio) torneranno negli archivi per maggiore salvaguardia: il lavoro, realizzato in partnership con Intesa Sanpaolo – Gallerie d’Italia, è stato affidato alla competenza di Angelamaria Aceto, ricercatrice presso l’Ashmolean Museum di Oxford, Istituto che conserva la più importante raccolta di disegni di Raffaello al mondo.
Un percorso suddiviso in tre sezioni. Nella prima s’ammirano i disegni del Perugino (“il meglio maestro d’Italia”, ebbe a definirlo Agostino Chigi, banchiere, grande mecenate e protettore d’artisti tra i più importanti della sua epoca), cresciuto alla bottega fiorentina del Verrocchio, in compagnia di Leonardo e Sandro Botticelli e Domenico Ghirlandaio tra gli altri, che trasmette al giovane e talentuoso Sanzio con il valore della pratica disegnativa lo stile classico e rigoroso, l’equilibrio e lo studio matematico delle proporzioni e della prospettiva. Al Perugino, in occasione della mostra, è stato restituito il “Giovane che suona il liuto e particolari dello studio delle sue mani” (1490-1500 circa), sinora accostato al nome di Raffaello, un pregevole disegno a punta metallica ripreso dal vero, il cui personaggio è con tutta probabilità uno dei tanti garzoni della bottega preso a modello. “L’artista si avvale di una tecnica arcaica – è sottolineato nella presentazione del disegno -, di difficile utilizzo perché non ammette ripensamenti dal momento che il tratto lasciato dallo stilo metallico sulla carta preparata, rosa, non è cancellabile. Il disegnatore abbozza prima la figura con rapidi tratti per poi, con passaggi successivi dello stilo, dare forma plastica al soggetto rappresentato, utilizzando anche inchiostro acquerellato e tocchi di biacca per accentuarne il rilievo scultoreo.” Ancora di Perugino (o di bottega) in mostra “Due uomini in conversazione” (1480 circa), una probabile prova avvicinabile alle due simili figure che fanno parte del “Battesimo di Gesù” della Cappella Sistina.
figura di Giulio Romano, capace di prendere in mano molte di quelle commissioni (si veda tra gli altri il “Matrimonio mistico di Santa Caterina con Santi”, 1530-1536 circa, prezioso insieme con al centro il Bambino, poggiato alle ginocchia della Madre, mentre offre alla santa, che ha ai piedi la ruota spezzata simbolo del proprio martirio, un anello nuziale, a testimoniare castità e comunione con Dio); ma non si possono dimenticare i nomi già affermati di Polidoro da Caravaggio, Perino del Vaga (per lo storico Giuliano Briganti egli si differenzia “dai colleghi della cerchia raffaellesca per una fantasia più accesa, per un fare più estroso e bizzarro, per quel suo stile corsivo, deformato entro moduli di un’esasperata eleganza che ben presto si allontana dal raffaellismo più statico e classicheggiante”) e Baldassarre Peruzzi e quelli di personaggi un po’ meno noti ma comunque interessanti come Vincenzo Tamagni.
(con lui, Biagio Pupini, Polidoro da Caravaggio, Baccio Bandinelli), ventenne dalla smoderata ed irruente voglia di apprendere e far proprio il lascito di un artista che ha davvero segnato un’epoca. Una nuova concezione, l’impostazione della scena al di fuori di canoni prestabiliti, la si nota nella ”Sacra Famiglia con San Giovannino” (1530-1540 circa), penna e inchiostro bruno e nero su carta, un tema riproposto spesso dagli artisti nel corso del Rinascimento, qui visto in una nuova luce ed in un ordine gerarchico forse mai affrontato: il ruolo primario viene offerto alla figura di san Giuseppe, con accanto san Giovannino, mentre la Vergine, in posizione che potremmo definire subalterna, il viso posato con languore sul dorso della mano, li osserva: il Bambino, centrale ma pure per una volta comprimario, le gambe incrociate, si volta con uno scatto della testa all’indietro. Un momento di autentica quanto semplice umanità, cui forse Raffaello, con l’affrontare in maniera più incisiva l’elemento di maestosa e sovrana religiosità, non aveva mostrato appieno.




