CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 407

Sui pannelli la storia di Venaria

Si tratta dell’itinerario legato alla nostra storia recente, realizzato e donato alla Città dall’ Associazione Turistica Pro Loco Altessano – Venaria Reale. Nel tratto iniziale di viale Roma, dall’incrocio con corso Garibaldi sino all’area circostante la vicina stazione ferroviaria, sono stati posati sei pannelli multimediali, che raccontano la Venaria Reale di un tempo.

Dichiara il sindaco Fabio Giulivi: «Un piccolo, ma importante percorso turistico-culturale, sempre aperto e all’aperto, per scoprire parte della nostra storia, le nostre radici. Posizionato nel tratto che dalla stazione ferroviaria porta alla Reggia. Una linea diretta verso il nostro bene turistico più prezioso, che comprende la futura apertura dell’InfoPoint in via Mensa, ulteriore tessera di un puzzle che va a compiere il grande disegno di Venaria Reale città turistica. Lavoreremo per far sì che i pullman turistici lascino i graditi ospiti in viale Roma, davanti al Movicentro, in maniera tale che la passeggiata fino alla Reggia sia un cammino curioso e piacevole (come avviene già in altre città turistiche), alla scoperta della storia della città, sin da subito, grazie al contributo dei pannelli informativi come quelli che la Pro Loco ha voluto regalarci e a quelli già esistenti in via Andrea Mensa sino a piazza della Repubblica».

I titoli dei pannelli sono: l’Antico Borgo di Altessano (nei pressi della rotonda viale Roma-corso Garibaldi), il Torrente e il Canale Ceronda (fronte Movicentro), la Ferrovia Torino-Ceres (fronte stazione ferroviaria in viale Roma), la “Galopada” Reale (viale Roma/ingresso parco Corona Verde), la Snia Viscosa a Venaria Reale (parcheggio Movicentro), le Casermette di Altessano (presso chiesetta di San Marchese – via San Marchese).

Marta Santolin, assessore alla Cultura e ai Rapporti con la Reggia: «Insieme alle visite ad Altessano con il supporto delle guide patentate di Itineraria, si è avviato, tra la realtà della Pro Loco e l’Amministrazione, un lavoro davvero importante di riattivazione di processi culturali sul territorio, che sono convinta non potrà che crescere per il 2022, anche alla luce delle attività in programmazione con l’Atelier e con il Centro studi del Consorzio delle Residenze Reali Sabaude».

Su ogni pannello è presente un Qrcode che rimanda al sito della Pro Loco Altessano – Venaria Realewww.prolocoaltessanovenaria.eu, dove è possibile trovare ulteriori dettagli e informazioni.

Monica Federico, assessore al Turismo e Commercio: «Un progetto che aiuta a conoscere la città, aggiungendo un tassello della storia cittadina, fruibile ora in maniera semplice e intelligente, ai cittadini in primis, ma anche ai turisti che vogliono conoscere a fondo il territorio. Un’occasione di piacevole conoscenza, a disposizione gratuitamente di tutti. Una ulteriore opportunità per accompagnare i turisti a scoprire e usufruire del nostro commercio locale».

Il tutto è stato realizzato grazie al contributo del Liceo Juvarra di Venaria Reale. Il dirigente scolastico, prof. Luciano Mario Rignanese: «Siamo molto felici, come Liceo Juvarra, di collaborare con la Città di Venaria Reale. Un progetto che non è solo accademico, ma che rende più internazionale la città. Un prezioso esercizio sintattico che aiuta i ragazzi ad accrescere la loro formazione. Uno scambio in atto da tempo con la Città di Venaria Reale, che apprezziamo e vogliamo continuare a coltivare, restituendo alla comunità il nostro contributo. Anche questo è il compito della scuola».

Attiva la versione in italiano, a breve anche in lingua inglese, francese, spagnolo.

Giuseppe Palascino, professore di Lettere e referente Commissione PCTO e Progetto con la Pro Loco: «Il liceo linguistico si occupa, in questo progetto, della traduzione nelle lingue straniere già citate. La classe che sta portando avanti il lavoro è la 3^ N. Prossimo passo, la proposta, in collaborazione con la Pro Loco e grazie ai materiali da loro forniti, per la scrittura, con i ragazzi del liceo, della stesura della storia di Venaria Reale. Questa attività PCTO – Percorsi per le Competenze Trasversali e Orientamento (ex progetto Alternanza Scuola e Lavoro), si allinea con l’indirizzo di studi intrapreso dagli allievi e dalle allieve del nostro liceo».

Chiude il presidente dell’Associazione Turistica Pro Loco Altessano – Venaria Reale, Claudio Macario Ban: «Questo progetto è per noi un importante inizio di un percorso culturale dedicato al turismo. Fondamentale è stato l’apporto dei nostri associati. Cito Ettore Maschio e  Gianni Segato per il loro costante impegno, per la realizzazione dei testi e la veste grafica, a cui hanno Partecipato molti dei nostri associati. In specifico, voglio ricordare il lavoro di Alessio Picatti, il ragazzo del Servizio Civile Universale, che ha impostato il Qr code e il sito web, che man mano verrà aggiornato con le nuove traduzioni. Segnalo, infine, che è in programma anche una versione in russo».

L’Agenda poetica e l’importanza della parola

“La parola ha la virtù di stroncare la paura, di rimuovere la sofferenza, di infondere gioia, d’intensificare la commozione” (Gorgia) “Bisogna assomigliare alle parole che si dicono” (Stefano Benni) Oscar: La parola è tutto, è l’unica cosa che distingue le bestie dagli uomini. Elle: ma distingue anche le bestie tra gli uomini (dal film “Accadde una notte”), si legge nell’introduzione di Bruno Mohorovich, curatore dell’opera.

È al tema “LA PAROLA / LE PAROLE” edita dalla Bertoni editore /poesiaedizioni, (https://www.bertonieditore.com/shop/it/) che abbiamo voluto dedicare l’Agenda poetica 2022, raccogliendo le poesie di 160 autori, ha riferito.

Le parole hanno un senso profondo nella nostra vita, anche quelle che pronunciamo distrattamente. Le parole nel modo in cui escono dalla nostra bocca, dicono anche del nostro stato d’animo e si capiscono moltissime cose dell’umore di una persona solamente ascoltando come vengono dette le parole. Due persone possono, con una profonda convinzione, dire la stessa cosa ma con parole diverse, e discutere all’infinito senza sospettare che il loro pensiero è esattamente lo stesso. Oppure inversamente, possono usare le stesse parole e immaginare di essere d’accordo ecomprendersi, mentre in realtà dicono cose assolutamente diverse e non si comprendono affatto.

E continuando a leggere l’introduzione di Bruno Mohorovich, a cui lasciamo spazio di seguito, si colgono e si comprendono altri aspetti importanti sulle poesie riportate nell’agenda e sul tema della parola (con un accenno ai limiti del mondo social/global).

<<Parliamo tanto, cercando di farci capire, comprendere; parliamo per dare conforto e per esprimere i nostri sentimenti; usiamo a seconda dei casi parole semplici e difficili, contorte e complesse; definiamo il carattere delle persone, facciamo del bene e del male, concretizziamo idee; spesso non facciamo attenzione a quello che diciamo creando anche dei danni, inimicizie e dolore.

La parola ha in sé un grande potere perché ci aiuta non solo a capire chi abbiamo davanti ma a comprendere noi stessi; ci aiuta a intendere una nuova parte di mondo, oltre che noi stessi e la nostra vera natura: una comprensione che nasce dal nostro confrontarci col silenzio che nasce dalla parola e di questa il silenzio si avvale.

E quello di cui abbiamo bisogno, è della parola non parlata ma parlante che “è parola autentica perché è l’unica che riesce a ritrovare la possibilità dell’esperienza, l’unica ad avere la capacità di dire l’esperienza”, soprattutto in questi tempi in cui viviamo un’epoca, caratterizzata da futilità, volgarità e siamo tutti invasi e pervasi dal mondo social/global dove le parole hanno libera circolazione, dove chi scrive non sempre lo fa con le giuste motivazioni nel rispetto di una libertà di critica, di pensiero ma si lascia andare – protetto dallo schermo – anche a bieche e discutibili affermazioni.

Nulla infatti, crea conflitto come la parola, complice – ribadisco – l’ambiente digitale che è divenuto parte integrante della nostra esistenza, e dove ognuno può colpire emotivamente maneggiando e rivoltando le fragilità umane, ingannare, diffondere errate informazioni, confermare la propria ed altrui inadeguatezza nell’ impossibilità e incapacità di relazionarsi, dimentichi che sono le parole che fanno accedere le cose.

Non sarebbe stata necessaria questa prefazione, forse, data la “popolarità” del termine affrontato, ma è stata la lettura di un articolo di Eugenio Scalfari ad avermi stimolato ad una ulteriore riflessione: abbiamo mai pensato a cosa sarebbe stata la nostra vita senza le parole?

Il giornalista scrive: “Una volta le parole divennero solide, il freddo le aveva intirizzite e ingombrarono il cielo, un cielo fitto di parole rigide e secche, parole di ghiaccio, parole di bastone, parole ritorte col filo di ferro, parole scritte ma senza più suono né eco”.

Senza parole non potremmo più descrivere i nostri bisogni, i nostri desideri e le nostre ragioni; senza parole – che portano in sé una pluralità di significati ed assumono connotazioni diverse a seconda di chi le proferisce – e senza la loro esistenza verrebbero a mancare tutte le variazioni ch’essa offre nella lettura dispiegante senso e comprensione quali l’allusione, l’ironia, i sogni, le illusioni, le speranze e…la memoria e il pensiero.

Come potremmo, senza parole, padroni solo dei nostri gesti, sentir cambiare il nostro stato d’animo dopo aver ascoltato un discorso o anche semplicemente una notizia? O rimanere affascinati dalle belle parole di qualcuno? O ancora, grazie a un discorso venirne influenzati e cambiare opinione? Parlare è fondamentale e imprescindibile, giacché vuol dire – e faccio mio il pensiero del filosofo Maurice MerleauPonty – lasciarsi trasportare dal movimento del discorso, tessuto di detti e non detti, di linguaggio e di silenzio. Parlare è recuperare la parola viva.

Virginia Wolf ha scritto che “le parole che cerchiamo pendono accanto all’albero: con l’aurora le troviamo, dolci sotto le fronde”.

Chi meglio di un poeta può far uso della parola e trasmettere il suo sentito? Chi meglio di un poeta sa dare alla parola il senso compiuto di quello che vuole dire, di come interpreta la vita e quanto gli sta intorno?

Scriviamo sempre, scriviamo tanto, alla carta affidiamo le nostre emozioni e rendiamo la parola nostra compagna fedele; essa è una finestra da aprire dalla quale lasciamo entrare la sua potenza evocativa, la sua freschezza, la sua positività, il suo dischiudersi delle possibilità che si aprono “come gemme all’annunciarsi della primavera” (Gerard Marley Hopkins).

Gli autori di questa agenda antologica hanno incarnato la parola, l’hanno celebrata in quanto tale (“Dammi parole, parlami con meno rumore / Cura gli angoli e denudale da vesti…”; “Abito / le parole, / ovunque sorgano/ come il sole…”; “Lego parole / che fatico / a tenere a mente…”) o l’hanno decantata quando il loro linguaggio poetico ha guardato all’esterno con i suoni i colori e le complessità che gli sono propri (“Vorrei dettare al vento / parole di bellezza / affinché ne diffonda / i profumi e i sapori…”; “[…] / Scolpisco forme di sabbia / fragili come veli…”; “Le nostre ombre al tramonto, / oscurano suoni titubanti,/ che tradiscono parole…”; “..e poi ci sono parole nascoste / in angoli bui, / che riesumi a stento,…”).

I loro versi, hanno affidato ai lettori i quali, sottraendosi al ruolo di meri ascoltatori, si ritrovano nelle parole del poeta che così assolve alla sua funzione che è quella di entrare nel cuore dell’uomo.

Le parole di questa variegata raccolta non sono, ovviamente, identiche le une alle altre ma lasciano trasparire l’infinita gamma della realtà simili “a conchiglie dentro le quali risuona il vasto mare dell’infinità”.

E i significati intrinseci a queste composizioni fanno leva sui sentimenti ed emozioni, ma i significati sono prima di tutto al servizio della ragione e la ragione libera, non rende schiavi.

A conferma che la bellezza della poesia ci concede di volare oltre i confini del nostro animo ed è con la sua parola che si libera l’armonia della fantasia e ci sentiamo, così, liberi>>.

Vito Piepoli

Negli occhi di mia madre (Il Mammone) A teatro

NEGLI OCCHI DI MIA MADRE (IL MAMMONE)

commedia feroce di François-Xavier FRANTZ con Sara D’AMARIO Giulia CEARINI – Elia DE NITTIS

29 gennaio, ore 21.00, Teatro Civico Matteotti di Moncalieri

Quella matassa ingarbugliata che si chiama «famiglia» è al centro de Negli occhi di mia madre (Il Mammone), la nuova rappresentazione teatrale di François-Xavier Frantz, che andrà in scena sabato 29 gennaio alle 21.00 al Teatro Civico Matteotti di Moncalieri.

La «commedia feroce» sarà interpretata da Sara D’Amario, Giulia Cearini ed Elia De Nittis ed è prodotta da Associazione Ancora in collaborazione con Constellation Factory e con il patrocinio e il sostegno dell’Assessorato alla Cultura e alle Pari Opportunità del Comune di Moncalieri.

La sinossi

«Laura sta facendo i bagagli per andarsene da casa “per sempre”. Fausto va nel panico perché aspetta una persona, forse una cliente, che potrebbe arrivare da un momento all’altro».Comincia così Il mammone, che si affida ai personaggi di una Mamma, una Moglie (madre anche lei) e un figlio (che è anche marito e padre): 6 “ruoli” per 3 personaggi.

La pièce è un fuoco di artificio che si sviluppa in un “giocoso carnage famigliare in cui nervosismo e mal sopiti rancori deflagreranno in una parossistica esplosione di verità comichequasi scandalose, perché inconfessabili. Così, in una corsa folle dietro le apparenze, si sveleranno segreti di famiglia, giochi perversi ed esilaranti e altre complicità inaspettate, fino a non capire più chi sia il più dipendente dall’altro, al di di ogni evidenza.

La lettura

Quanto la nostra famiglia d’origine condiziona i nostri futuri rapporti affettivi? Quanto conta l’educazione che riceviamo da piccoli nella nostra formazione? Quanto è importante capire fin da piccoli che le differenze esistono e vanno assunte come un valore?E, infine, da genitori, quanto si è responsabili dei modelli proposti ai figli che a loro volta assorbono e imparano da essi? Con Il mammone, pièce «spietata» tra Yasmina Reza e Feydeau, tra il Boulevard, la Commedia dell’arte e il teatro «di parola», l’autore si propone di indagare sull’incapacità di accettare la fine di una storia d’amore, sul conseguente sentimento del «rifiuto» e sul perché i rapporti familiari possano sfociare in tragedia.

È in questo modo che una commedia con 3 personaggi si propone di osservare il fenomeno della «mammite»: con divertita ironia e sfiorando la tragicommedia, con la certezza che il miglior modo per riflettere sia concedersi una risata folle e liberatoria e abbandonarsi alla commozione. 

Le dichiarazioni di François-Xavier Frantz e Sara D’Amario

«Negli occhi di mia madre (Il Mammone) nascedall’osservazione dell’evoluzione contemporanea dei rapporti tradonne e uomini, tra cui sembra radicarsi un sentimento di crescente incomprensione. La commedia mette anche a fuoco le difficoltà di tanti giovani a diventare autonomi a livello emozionale: spesso perdono la testa fino a diventare violenti,perché non trovano una ragazza brava, attenta, «ossessionata» da loro, almeno quanto lo sia la loro mamma.

La pièce traccia con ironia la genesi dei «mammoni»,analizzandone ogni stadio, fino ad arrivare a una conclusione tanto sorprendente e comica quanto inevitabile e crudele».

François-Xavier Frantz e Sara D’Amario

Informazioni e prenotazioni

29 gennaio 2022

Teatro Civico Matteotti, via Giacomo Matteotti 1, Moncalieri

h. 21.00

prezzo 10

studenti liceali e universitari prezzo 5 €

per prenotazioni: prolocomoncalieri@gmail.com

tel. 011/6407428

richiesto Green Pass rafforzato e mascherina FFP2

In caso di chiusura dei teatri a causa dell’emergenza sanitaria, è prevista una versione video con diffusione in streaming dello spettacolo.

Gli italiani che hanno ridisegnato la pittura italiana del Novecento, Les Italiens de Paris

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Una mostra sugli artisti,  oltre a Giorgio De Chirico e Alberto Savinio, è ospitata al Museo Accorsi Ometto fino al 30 gennaio 2022

 

Parigi è la cornice entro la quale si muove la nuova esposizione ospitata nelle sale del Museo di Arti Decorative della Fondazione Accorsi Ometto, apertasi il 21 ottobre scorso e visitabile fino al 30 gennaio prossimo.
Giorgio De Chirico, Alberto Savinio, Massimo Campigli, Filippo De Pisis, Rene’ Paresce, Gino Severini e Mario Tozzi sono i protagonisti di una mostra che si incentra proprio su sette artisti che hanno ridisegnato le sorti della pittura italiana del Novecento, in quel quinquennio d’oro che va dal 1928 al 1933 e in cui si è compiuta l’avventura de Les Italiens de Paris.
Il titolo dell’esposizione si ispira a “Parigi era viva”, autobiografia di Gualtieri di San Lazzaro, noto scrittore, critico d’arte italiano e editore, emigrato a Parigi, in cui egli raccolse in terza persona la vita e le vicende lavorative di artisti quali Picasso, Matisse e Les Italiens.
La vicenda del gruppo dei Sette iniziò ufficialmente nel 1928, anche se da tempo questi esponenti erano attivi nella Ville Lumiere. De Chirico vi approdò una prima volta nel 1911 per tornarvi nel 1924; suo fratello Andrea, il futuro Alberto Savinio, vi soggiornò già nel 1910 e nel 1926. Paresce vi arrivò nel 1912, Tozzi e Campigli nel 1919 e De Pisis nel 1925.
Questi artisti mostrarono da subito un linguaggio comune, al di là delle differenze tematiche e stilistiche, orientandosi tutti verso una nuova forma di classicismo mediterraneo trasognato, con alcune inflessioni surreali e neometafisiche, sempre alla ricerca di un equilibrio tra reale e fantastico, storia e mito, tradizione e avanguardia.
Sette sono anche le sezioni in cui è suddiviso il percorso espositivo, ognuna delle quali è dedicata a un artista. In una saletta sono raccolti una dozzina di disegni eseguiti tra gli anni Venti e Trenta del Novecento da Giorgio De Chirico, Alberto Savinio, Gino Severini e Rene’ Paresce.
Il percorso espositivo prende avvio dalle opere di Giorgio De Chirico, tra cui quelle intitolate “ Le cabine misteriose” del ’34, “Le muse in villeggiatura” del ’27, che esprimono dei richiami metafisici, per proseguire ai richiami classici di “Pericle” del 1925, un’opera di intonazione misterica, o di “Grenades avec buste ancien 1923 c.”. Altre opere testimoniano il ritorno all’antico, perseguito a Parigi secondo uno stile estremamente personale che sfocerà, da una parte, nella creazione della tematica dei “Gladiatori” o La lutte” del 1929, dall’altra nella realizzazione di nudi femminili monumentali o in altri tattili e luminosi, quali i corpi che si richiamano alle Bagnanti di Renoir. Non mancano un “Autoritratto” del 1930, espressione del demiurgo artista, colto nel mistero del proprio atelier, e reminiscenze dell’antica Grecia.
Del fratello di De Chirico, Alberto Savinio, l’opera esposta, dal titolo “La fille de la statue”, risalente al 1926/27, mescola antico e moderno, ponendo a confronto il mondo borghese con la scultura classica.
Sono anche esposti alcuni ritratti, quali quello di Achille Funi, che compongono un genere sviluppato dall’artista tra gli anni Venti e Trenta e indirizzato a cogliere diverse personalità del mondo artistico e culturale. Dagli anni Trenta in poi Alberto Savinio avrebbe poi realizzato nuove ibridazioni metaforiche tra corpi umani e teste di animali, anche con riferimenti alla contemporaneità.
Il percorso dell’esposizione prosegue con l’artista Massimo Campigli e le sue opere ricche di riferimenti a modelli Etruschi, quali “Le educande” , o rupestri ( Le arciere del 1933). La figura femminile è al centro della sua arte e in alcune delle sue opere si ritrova un tema a lui caro, quello delle spiagge animate da fanciulle in costume, che hanno perso ogni connotazione fisiognomica, diventando allegoria della speranza.
La pittura frammentaria di Filippo De Pisis, ben definita da Eugenio Montale “a zampa di mosca”, domina la quarta sezione, in cui sono presenti nature morte, paesaggi veloci e scattanti, in cui alla luminosità del colore si accompagna e alterna l’uso sapiente di neri, grigi, azzurri polverosi, spesso trattati in narrazioni neometafisiche e audaci. La quinta sezione vede protagoniste le opere di Rene’ Paresce, tra cui l’intenso e malinconico Autoritratto 1917, in cui, attraverso lo smarrimento dello sguardo, emerge il disorientamento dovuto al drammatico transito storico vissuto dall’artista. Significativa anche la Natura morta 1926, in cui l’artista affronta la costruzione architettonica, originata dell’accorpamento di diversi elementi geometrici giocati su diversi piani, al modo di Georges Braque.
La sesta sezione è dominata dalle opere di Gino Severini che, tra il 1928 e il 1929, inserì in scenografie neopompeiane personaggi della Commedia dell’arte, tra cui Pulcinella, Arlecchino, Colombina, che diventavano inoltre protagonisti di temi amorosi, musicali e poetici.
A conclusione la mostra ospita opere di Mario Tozzi che, a partire dal 1924, maturava l’idea di divulgare la conoscenza dell’arte italiana in Francia, attraverso l’esposizione della nostra pittura e scultura contemporanea a Parigi, sostenendo l’universalismo dello spirito italiano nel più vasto orizzonte di una rigenerata “rinascita classica” dell’arte moderna.

Visite guidate alla mostra sabato e domenica ore 11 e 17.30; giovedì ore 19.
Orari : martedì, mercoledì e venerdì dalle 10 alle 18. Giovedì dalle 10 alle 21; sabato, domenica e festivi dalle 10 alle 19.
La biglietteria chiude mezz’ora prima.
Biglietto unico intero, comprensivo di visita alla mostra permanente 12 euro intero, ridotto 10 euro
Gratuito bambini fino ai 12 anni, possessori Abbonamento Musei e Torino + Piemonte card, diversamente abili + un accompagnatore e giornalisti.
Ridotto studenti fino a 26 anni, over 65, convenzioni insegnanti.
Il Museo Accorsi è rimasto aperto con ingresso gratuito lo scorso 25 ottobre, in ricordo del suo fondatore Pietro Accorsi, nato il 25 ottobre 1891, centotrenta anni fa.

Mara Martellotta

Museo Accorsi Ometto
Via Po 55, Torino
Tel 011837688 int. 3

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Paulina Bren “Barbizon Hotel” -Neri Pozza- euro 19,00
Le giovanissime Grace Kelly, Rita Hayworth, Sylvia Plath, Joan Didion, Nora Ephron, agli inizi delle loro carriere a New York vissero al Barbizon Hotel; «il posto dove andavano le ragazze che arrivavano da tutto il paese per dare una possibilità ai loro sogni».
Già solo questi nomi annunciano quanto sia interessante, emozionante e splendido questo libro dell’americana Paulina Bren, docente del famoso Vassar College. Si legge come un romanzo e racconta nascita, importanza, e declino del Barbizon Hotel di New York; “per donne sole”, porto sicuro, protetto e rigorosamente precluso agli uomini. Ma soprattutto racconta le storie delle sue ospiti.

L’hotel fu costruito nel 1927, epoca in cui le donne -che avevano ottenuto il diritto al voto nel 1920- iniziavano ad essere più indipendenti. Ma per una ragazza sola era ancora sconveniente affittare un appartamento, ed è allora che nell ‘Upper East Side apre il Barbizon. Raggiungerà l’apice della sua fama tra gli anni Quaranta e Cinquanta, quando l’agenzia Ford Models iniziò ad affittare stanze per le sue modelle, tra le quali Carmen dell’Orefice, diventata mitica top model.

Dove potevano alloggiare giovani di buona famiglia che dalla provincia planavano nella Big Apple sognando di costruirsi un futuro professionale nel mondo del cinema, dell’editoria, della letteratura e dell’arte? O semplicemente volevano intraprendere carriere alternative al ruolo di mogli, madri o al massimo insegnanti?
Di hotel per donne sole ce n’erano, ma nessuno mai eguagliò la fama del Barbizon, garanzia di sistemazione appropriata e sicura.
Tanto per dire, Grace Kelly arrivo nel 1947 dopo aver convinto il ricco padre che le concesse di frequentare l’American Academy of Dramatic Art, solo a patto che risiedesse al Barbizon.

Alcune di loro ce la faranno diventando famose attrici, scrittrici e firme di punta del giornalismo. Altre troveranno comunque la loro strada, come le studentesse della rinomata scuola per segretarie di Katie Gibbs. Tutte avranno grandi sogno di futuro; alcune anche solo quello di trovare il marito giusto nella Grande Mela.
Interessanti le storie delle giovani che avevano vinto un mese di stage presso la blasonata rivista “Mademoiselle” che sarà palestra e trampolino di lancio per giovani colte, preparate e ambiziose che volevano sfondare nel mondo del lavoro. Praticante nella redazione fu anche Ali MacGraw, che abitò al Barbizon nell’estate del 1958, conquistò la copertina e diventò l’indimenticabile protagonista di “Love Story”

Un vero monumento il Barbizon. Situato tra la Lexington e la 63esima strada, architettura neogotica, 23 piani, 700 stanze. Alcune ampie e con bagno in camera; la maggioranza piccole (circa 2 metri per 3) arredate tutte allo stesso identico modo con copriletto e tende a fiori e abbinati. Aveva anche piscina, bagno turco, palestra, solarium e un roof garden; luoghi di aggregazione in cui le ospiti si conoscevano e in molti casi diventavano amiche. Tutte dovevano rispettare rigorosamente un dress code che prevedeva gonne longuette e bandiva i pantaloni.
Mentre le più gettonate la sera uscivano con cavalieri, quelle che lo erano meno si adattavano a trascorrere tranquille serate insieme al Barbizon, diventata la loro casa comune. Poi c’era la lobby al primo piano con un palcoscenico e 300 posti a sedere per le attività di intrattenimento e culturali che l’hotel organizzava. L’unica area consentita agli uomini; le uniche eccezioni erano medici e manutentori ai quali era concesso superare quel confine.
E’ sul finire degli anni Sessanta che la funzione dell’hotel inizia ad essere anacronistica. Nel 1981 apre le porte agli uomini trasformandosi in un hotel come gli altri.
Dopo vari cambi di proprietà, nel 2005 è stato ristrutturato, diviso in appartamenti in vendita a 13 milioni di dollari l’uno e trasformato in un condominio di lusso, il Barbizon 63.

Una chicca nostalgica. Nello storico Hotel avevano vissuto anche donne adulte; tra le quali Molly Brown, sopravvissuta alla tragedia del Titanic e appartenente all’alta società, che morì nel 1932 nella sua stanza al Barbizon.
Lei era la più famosa, ma alla fine degli anni Novanta “le Donne” erano rimaste in 29, chiamate “The perms”, le permanenti, ed erano un mistero ancorato agli anni d’oro del Barbizon. Sopravvissute a tutti i cambiamenti, non si erano mai spostate; dal quarto all’undicesimo piano al fondo del corridoio c’era una porta che celava dove vivevano «…una macchina del tempo, con corridoi stretti, bagni in comune e stanze minuscole».
Fino al 2006 lì hanno vissuto 14 donne che pagavano un affitto calmierato in base agli accordi precedenti con l’hotel. Mandarle via era impossibile perché tutelate dalla legge. Ne sono rimaste 5 che hanno accettato di vivere al quarto piano del Barbizon/63, in piccoli appartamenti rifatti e in stile con il resto.

Sylvia Plath
Tra le giovani residenti del Barbizon c’era anche Sylvia Plath che vi giunse nel 1953, dopo aver vinto il concorso come praticante presso la rivista “Mademoiselle”. Era il primo magazine rivolto a giovani lettrici; diretto con piglio sicuro e visione geniale dalla leggendaria Betsy Talbot Blackwell, che pubblicava racconti di autori della levatura di Truman Capote.
Sylvia arriva con la carica dei suoi 20 anni, bella e piena di talento.
Al Barbizon alloggiava al quindicesimo piano in una «…graziosissima stanzetta con moquette, muri beige chiaro, copriletto verde scuro con increspature a forma di rosa, tende intonate, scrivania, cassettone…..». Traendo spunto proprio dai suoi giorni newyorkesi scrisse il romanzo semi-autobiografico “La campana di vetro” -Mondadori- euro 12,00
Protagonista e suo alter ego è Esther Greenwood, una ragazza che come lei lavora in una rivista femminile. Il Barbizon diventa Amazon ed è lì che la giovane risiede. Una studentessa molto brillante che però soffre di depressione durante il tirocinio presso una rivista di moda newyorkese.
La penna caustica della poetessa e scrittrice Sylvia Plath smitizza il luogo. Descrive come Esther si sentisse ingabbiata nell’albergo e durante un black down interiore finisse per scaraventare tutti i suoi vestiti dal tetto: cosa che la Plath aveva davvero fatto dopo una crisi depressiva e circa un decennio prima di scrivere il romanzo.
E’ decisamente graffiante nel descrivere le ospiti del Barbizon /Amazon oltre le aspiranti star e artiste. L’annoiavano in modo particolare le segretarie di dirigenti che si aggiravano per New York nella speranza di accalappiare ricchi uomini d’affari. Con sommo fastidio le vedeva «..sbadigliare e laccarsi le unghie nel solarium, cercando di mantenere l’abbronzatura delle Bermuda..» giusto per sottolineare che non c’erano solo aspiranti star o scrittrici.

Il libro uscì poco meno di un mese dal suo suicidio. Tormentata e divisa tra le spire della condizione femminile dell’epoca -in cui sulle donne incombeva ancora la tradizione che le voleva mogli e madri- e d’altro canto una profonda aspirazione a trovare la sua strada e il senso del suo esistere nella poesia, Sylvia non riuscì a reggere il peso della vita. Ad aggiungere dolore c’era anche il fallimento del suo matrimonio con lo scrittore Ted Hughes. E’ così che stanca di vivere, una mattina si sveglia, prepara la colazione per i due figli e spalanca la finestra della camera in cui dormono; poi sigilla per bene la cucina e infila la testa nel forno a gas. Aveva solo 30 anni.

 

Joan Didion
La letteratura mondiale ha perso una delle sue voci migliori con la recente scomparsa della scrittrice, giornalista e sceneggiatrice Joan Didion, a 87 anni il 23 dicembre 2021.
Da non perdere su Netflix è il magnifico e intenso documentario “Joan Didion il centro non reggerà” girato dal nipote Griffin Dunne; fondamentale excursus intimo e profondo sulla straordinaria carriera, le battaglie e le drammatiche vicissitudini personali della grande scrittrice.
Era nata a Sacramento,in California nel 1934 ed era transitata al Barbizon Hotel quando aveva 20 anni. Giovane, bellissima e talentuosa planò a New York in una pausa dagli studi al Berkeley College, giusto poco prima di iniziare la carriera che l’ha vista diventare una grande celebrità del mondo letterario, vincitrice nel 2005 del National Book award per la saggistica con il libro “L’anno del pensiero magico” -Il Saggiatore- E’ forse il libro più famoso dell’autrice che sminuzzza e analizza con una profondità di pensiero l’immenso dolore nel 2003 per l’improvvisa morte di infarto del marito, lo scrittore John Gregory Dunne col quale era sposata da 40 anni. Tragedia seguita a ruota dal lungo periodo di malattia e morte della figlia adottiva, Quintana, per coma cerebrale a soli 39 anni. Pagine struggenti in cui dialoga con la morte, il vuoto, la malattia, e mette a nudo i nervi più dolenti del suo lutto.

Durante il secondo anno di studi vinse un concorso di saggistica sponsorizzato dalla rivista di moda “Vogue” e divenne assistente alla ricerca. Lavorò lì per due anni passando da copywriter a redattrice, e in quel periodo scrisse il suo primo romanzo

“Run River” -Il Saggiatore- euro 20,00.

Ambientata in una California rurale e bruciata dal sole si narra la saga di una famiglia di discendenti di cercatori d’oro e pionieri e il loro declino.
“Da dove vengo” -Il Saggiatore- euro 24,00. E’ un libro altamente autobiografico in cui racconta non solo la storia dei suoi antenati e della famiglia, ma anche quella della California, tra pionieri, sogni, frontiera e latifondi.

“Verso Betlemme” -Il Saggiatore- euro 15,00.

E’ un ‘eterogenea raccolta di articoli e saggi scritti e pubblicati tra 1961 e 1968, in cui scandaglia a fondo il clima sociale degli Stati Uniti, in particolare della California negli anni 60.
E’ una miscellanea di reportage, analisi profonde e memorie personali.
L’ultimo capitolo “Bei tempi addio” è il resoconto del suo arrivo a New York, per la prima volta a 20 anni e in estate. Una magnifica dichiarazione di amore per La Grande Mela, così carica di promesse per una giovane piena di sogni: «….ero davvero innamorata della città, la amavo come si ama la prima persona che ti tocca e come non amerai più nessun altro…..Capii che ero venuta dall’Ovest e avevo trovato un miraggio..».

 

Terry Newman “Legendary authors and the clothes they wore” -Harper Design- USA & 29,99
Questo è un libro fotografico molto interessante perché colleziona una serie di autori famosi e il loro modo di vestirsi. Uno sguardo nei loro armadi e nei loro stili.
Ritroviamo così una giovane bellissima Joan Didion in copertina, con una lunga tunica e infradito ai piedi. Ma ci sono altre due istantanee di grande intensità: lei magnifica donna nel pieno del fulgore nel 1977, e un’altra dell’anno prima che la ritrae all’esterno della casa a Malibu insieme al marito Gregory Dunne e alla figlia ancora bambina Quintana.
C’è anche una giovanissima Sylvia Plath in due foto, una del 1950 mentre lavora alla macchina da scrivere e l’altra del 1957.
In tutto sono 49 i mostri sacri del mondo delle lettere riuniti nel libro, ognuno con uno scritto in inglese che è breve biografia. Tra i nomi inclusi: Samuel Beckett, George Sand, Gertrund Stein, Virginia Woolf, Proust, Susan Sontag, Hemingway per arrivare a Donna Tartt, Nancy Mitford e Tom Wolfe.

 

 

Alla scoperta dell’antico Pastiss della Cittadella

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IL PASTISS. STORIA E PROSPETTIVE

La costruzione del Pastiss fu voluta da Emanuele Filiberto e avviata nel 1572 come esteso progetto, poi non completato,di integrare la difesa dei tre bastioni della Cittadella piùesposti alle offese rispetto a quelle lato Dora e Po.

Il contratto  per l’esecuzione della casamatta, progettata daFerrante Vitelli dentro il fossato del bastione San Lazzaro,risale al 25 gennaio 1572. L’opera, conclusa nel 1574, risultòmolto complessa, tanto da meritare la denominazione di“Pastiss” (pasticcio).

Il suo fronte esterno a profilo trilobato  eraformato da una spessa muraglia nella cui fondazione eraricavata una galleria di contromina con funzione didispersione dell’onda d’urto di una mina lungo i suoi 140metri di sviluppo ed espulsione dei relativi prodotti gassosiattraverso 15 pozzi aperti nella volta. Presentava all’internovari ambienti operativi, posti su due livelli e autonomamentedifendibili, da cui eseguire le azioni di fuoco a 360°, con lastessa tecnica dei moderni capisaldi. Il fronte di gola era,inoltre, dotato di cannoniere per il tiro rovescio per la difesavicina del fossato e delle muraglie del bastione San Lazzaro,col quale comunicava per mezzo di un’ampia galleria cheintegrava la difesa del fossato con apposite feritoie per fuocodi fucileria.

Dopo la demolizione della Cittadella nel secondo Ottocento,il Pastiss è stato utilizzato come discarica per i materiali dirisulta dei cantieri edili dell’epoca. Fu riattivato nella parte piùprofonda durante la 2^ G.M. come rifugio di protezioneantiaerea per gli isolati di corso Matteotti compresi fra corsoGalileo Ferraris e via Amedeo Avogadro e nuovamenteabbandonato nel dopoguerra.

Riscoperto nel marzo 1958 da Guido Amoretti e CesarinoVolante, dal 1976, dopo i primi interventi di recupero di alcune parti in maniera autonoma da parte dell’allora capitano Amoretti e i primi volontari del gruppo ricerche e scavi, a seguito di autorizzazione del Comune di Torino èoggetto di un cantiere permanente di scavo e recuperogestito dall’Associazione Amici del Museo Pietro Micca,coordinato per oltre 30 anni dallo storino Piergiuseppe Menietti e dalla Direzione del Museo Pietro Micca.

Nel 2014 i principali settori recuperati e ripuliti sono stati restaurati su progetto dello studio di architettura Sonia Bigando e Roberto Nivolo a merito di contributo ministeriale favorito dal Consiglio regionale del Piemonte. Una buona parte degli ambienti recuperati sono stati messi in  sicurezza e dotati degli impianti adeguati alla visita.


Nel
2018 è stato realizzato un regolare ingresso  sul marciapiede di via Papacino 1 al posto dell’originario tombino precedentemente utilizzato come ingresso di fortuna. Dotata di una scala a chiocciola a norma disicurezza, contestualmente con altri complementari lavori dimessa in sicurezza di un delimitato percorso interno dotatodi pannelli didattici, la fortezza è oggi periodicamente apertaalla visita pubblica su diretta gestione dell’AssociazioneAmici del museo Pietro Micca su prenotazione presso il museo stesso ai recapiti info@museopietromicca.it e 011 01167580.

Attraverso un nuove contributo della Regione Piemonte in occasione del 450° anniversario di costruzione della cinquecentesca casamatta, è stato progettato un nuovo intervento di ricerca archeologica e di restauro funzionale che permetterà di valorizzare ulteriormente il percorso di visita sia inglobando un altro settore della galleria di contromina nella fondazione con uno dei pochi pozzi di aerazione ancora efficienti sia permettendo uno straordinario sguardo d’insieme delle gallerie di contromina del 1706 e, soprattutto, l’ingresso della camera di combattimento bassa dalla quale entrò per la prima volta nel marzo 1958 il generale Amoretti alla scoperta del Pastiss.

Un interessante e nuovo sguardo sul patrimonio archeologico sotterraneo di Torino e su una struttura unica al mondo nel suo genere, che merita di essere valorizzata e soprattutto di diventare area museale permanente rientrando a pieno titolo nel museo Pietro Micca e dell’assedio di torino del 1706 assieme all’altra area archeologica del Rivellino degli Invalidi venuta alla luce nel 2015 durante i lavori del nuovo parcheggio sotterraneo di corso Galileo Ferraris e unica parte salvaguardata del patrimonio sacrificato alle esigenze della modernità.

Per dare evidenza alla significativa ricorrenza del 450° anniversario di costruzione del Pastiss, il generale Franco Cravarezza, direttore del museo Pietro Micca, è orgoglioso di annunciare che quest’anno il museo Pietro Micca proporrà un nutrito programma di eventi a partire dal 25 gennaio per celebrare l’anniversario e valorizzare il patrimonio sotterraneo della Città con eventi, conferenze, progetti di restauro e tecnologici e, si spera, anche significativi passi per la istituzionalizzazione museale del Pastiss.

Tra i progetti già programmati, di seguito due particolari.

Il primo a inizio febbraio sarà la realizzazione di una speciale visita virtuale del Pastis nell’ambito del progetto VADUS, collaborazione tra Comune di Torino (Torino City Lab), ESA, TIM, ENEA e Università La Sapienza di Roma.

Il secondo progetto, relativo al recupero archeologico e funzionale del pozzo di aerazione all’interno del percorso di visita, andrà in porto entro aprile pv.

La prima attività, il 25 gennaio 2022.

Dopo una breve inaugurazione dell’anniversario, dalle ore 11 alle 17,30 la cinquecentesca fortezza del Pastiss sarà aperta alle visite gratuite.

Obbligatoria prenotazione a eventi@museopietromicca.it e 011 01167580 e necessario green pass rafforzato e mascherina indossata. Non idoneo per portatori di disabilità motoria.

IL DIRETTORE DEL MUSEOPIETRO MICCA

Gen. Franco Cravarezza

La “Casa della vita” di Rosario Tornatore, artista

La grande bella dimora sulle alture di Cerrina, avvolta nel verdeggiante giardino che declina sull’esaltante scenario di campi e vigneti del Suol D’Aleramo come Carducci definì il Monferrato, può essere considerata una vera e propria “Casa della vita”, se con questo termine si vuole indicare il luogo in cui si conserva ogni cosa concresciuta con chi vi abita.

L’artista siciliano, tra i più noti nel campo dell’arte contemporanea, che abita qui dal 2001, vi ha trasferito il ricordo della vita precedente ricreando l’atmosfera intima della casa natale di Acireale attraverso i mobili e gli oggetti che l’hanno visto crescere.Le vetrinette colme di variopinte e preziose ceramiche di Caltagirone, le rustiche anfore in terracotta, l’ammaliante pupo siciliano, il leggendario Orlando protagonista della Chanson de Roland trattato dai pupari, i giocattoli dell’infanzia e, appesi alle pareti, i primi dipinti figurativi e i bozzetti delle scenografie di cui è stato maestro, basti pensare ai lavori per “Le sedie” di Jonesco, “il vangelo secondo San Matteo” di Pasolini, il “Viaggio” di De Sica, parlano della formazione ricevuta in una famiglia amante della bellezza, della cultura, della musica e dell’arte figurativa.

Il nostalgico ricordo della sorella scomparsa prematuramente è confermato dalla cosa più cara, il pianoforte su cui suonava, posto in un angolo appartato conservato con religiosa dedizione accanto alle fotografie che la ritraggono giovane e bella.La sensibilità di Tornatore si riversa anche sulla natura e sugli animali, tra i tanti che possiede quelli ritenuti i più fedeli amici sono i 7 cani e i 4 cavalli che lo ripagano con momenti di spensieratezza.

Appagato dagli innumerevoli successi ottenuti in ogni parte del mondo, dai lunghi soggiorni in centri propulsivi come Roma, Venezia e soprattutto Parigi dove ha frequentato i più grandi maestri delle avanguardie e ha allestito uno studio ancora oggi esistente, traferendosi nel cuore del Monferrato ha assaporato la tranquillità della vita semplice senza il clamore e la mondanità che disturberebbero la sua predisposizione alla meditazione.

Per questo ha allestito lo studio in cui lavora senza sosta ogni giorno in un angolo tranquillo e appartato della casa in modo da non avere distrazioni e continuare il percorso artistico volto alla ricerca della luce attraverso la rappresentazione delle sue visioni interiori di mondi invisibili, eppure possibili se ha facoltà di immaginarli. Partendo dai cicli precedenti delle Cosmocromie, Archecromie e Topocromie caratterizzate dalla geometrizzazione astratta, senza dimenticare le Iconocromie, definite “Naturalismo astratto” dal critico veneziano Toni Toniato, il geniale artista sta sperimentando la nuova tecnica dell’aggiunta dell’oro ai colori per far brillare maggiormente il colore-luce anche al buio.

L’atelier dove costantemente Tornatore si dedica a pittura, scultura, incisione, è un vero e proprio laboratorio dove s’intrecciano intuizione, meditazione e sperimentazione non basata su basi scientifiche bensì su una sua personalissima percezione cosmologica della natura e dell’universo. Al di là della grande finestra si delineano l’incantevole visione del paesaggio monferrino e il giardino dove gareggiano il verde delle conifere, il giallo e l’arancio degli agrumi di Sicilia con l’esaltante rosso delle foglie dell’acero che si accende miracolosamente, dopo il riposo invernale, nella bella stagione. Tutto è di stimolo al personalissimo infinito viaggio nell’indagare i misteriosi fenomeni del creato attraverso opere che denotano uno stile unico e immediatamente riconoscibile.

Giuliana Romano Bussola

 

 

San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti e dei Salesiani: mostra e funzione religiosa a Torino

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“Non parlare di Dio a chi non te lo chiede ma vivi in modo tale che prima o poi te lo chieda”.
San Francesco di Sales scriveva e affiggeva sui muri delle case foglietti volanti per diffondere la fede cattolica invitando la gente a leggerli, si rivolgeva principalmente ai giovani e alle donne testimoniando un infinito amore verso Dio e verso l’umanità. Per questo motivo è diventato il patrono dei giornalisti e degli scrittori, un po’ di tutti noi che scriviamo su questo giornale, il nostro patrono la cui festa ricorre il 24 gennaio ma quest’anno la festa è ancora più importante perché ricorrono i 400 anni dalla sua morte e Torino lo ricorda con una grande mostra al Valdocco. Nato in Savoia nel 1567 Francesco studiò teologia ad Annecy e divenne vescovo di Ginevra. Morì a Lione a soli 55 anni nel 1622. In occasione del quarto centenario della morte il Museo Casa don Bosco ha allestito la mostra “Francesco di Sales 400”, un percorso espositivo che narra la vita, la fede e la spiritualità del patrono dei Salesiani di don Bosco. Una rassegna che vuole celebrare il Santo di cui i salesiani portano il nome. Nei saloni del Teatro Grande di Valdocco in via Maria Ausiliatrice 32 si vedono gli scritti liturgici del Santo, lettere olografe, documenti sulle vite dei Santi, croci argentate e un paramento di fine Cinquecento indossato da Francesco di Sales durante una messa al Santuario della Consolata di Torino. È possibile ammirare un ritratto di San Francesco di Sales del 1618, una lettera autografa del 1608, stampe, dipinti, libri e oggetti particolari come un medaglione in osso di manifattura piemontese su cui è raffigurata l’ostensione della Sindone del 4 maggio 1613 in piazza Castello in cui compare anche Francesco di Sales. L’opera più importante scritta dal Santo è La Filotea, brevi scritti che Francesco inviava alla cugina Louise du Chastel diventata sua figlia spirituale. Imitando San Luca che nel suo Vangelo si rivolge a Teofilo (amico di Dio) san Francesco di Sales si rivolge a Filotea (amica di Dio), cioè ad ogni persona che vuole amare Dio sopra ogni cosa. La mostra è anche l’occasione per visitare i numerosi spazi espositivi che compongono il nuovo Museo Casa don Bosco aperto due anni fa. A fine gennaio la Basilica di Maria Ausiliatrice festeggerà come ogni anno don Bosco. Domenica 30 alle 11 la messa sarà celebrata dal rettore maggiore dei salesiani don Angel Fernandez Artime e lunedì 31 alla stessa ora la funzione sarà presieduta da monsignor Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino. La mostra su san Francesco di Sales è aperta al pubblico fino al 15 gennaio 2023, martedì e giovedì 9,30-12,30, mercoledì e venerdì 14,30-17,30, sabato e domenica 9,30-12,30, 14,30-17,30, lunedì chiuso.
                         Filippo Re

Il fischio d’inizio dei Giochi senza Frontiere

“Attention..Trois, deux,un..”. Chi non ha atteso con trepidazione nelle serate dei mercoledì queste parole pronunciate con inconfondibile accento svizzero dai giudici Gennaro Olivieri e Guido Pancaldi, seguite dal fischio d’inizio delle gare dei Giochi senza frontiere?

Un evento popolare al quale, nel corso delle trenta  edizioni svoltesi tra il 1965 e il 1999 ( con una breve pausa a metà degli anni ’80),grazie all’Eurovisione, assistettero centinaia di milioni di telespettatori con degli share altissimi (il 32% in Italia e il 48% in Grecia, addirittura il 78% in Ungheria). L’ascolto più alto venne registrato negli anni ’70.Nel ’78, con la telecronaca di Ettore Andenna e Milly Carlucci la media fu di 17,8 milioni di telespettatori a serata mentre l’’anno precedente, con la conduzione di Rosanna Vaudetti e Giulio Marchetti, fu raggiunto il record di 18,5 milioni a puntata, addirittura più delle Olimpiadi di Monaco. A prestare voce a volto alle telecronache italiane, oltre ai già citati conduttori, vi furono tra i tanti anche Enzo Tortora e Claudio Lippi. La finalissima del ’78 incollo davanti ai televisori duecento milioni di telespettatori in Europa (e l’Italia vinse l’edizione con la squadra di Abano Terme). Si narra che la prima edizione dell’evento, a metà degli anni ’60, venne fortemente voluta dal presidente francese Charles de Gaulle, desideroso di far incontrare i giovani d’Europa in una competizione che rappresentasse anche un momento di gioia e divertimento. Parallelamente nacque la trasmissione più longeva nella storia delle coproduzioni che accompagnò almeno due generazioni di telespettatori europei. Dalle iniziali quattro nazioni che si sfidarono nella prima edizione (Italia, Germania, Francia e Belgio) si allargò la platea dei contendenti al punto che furono diciotto i paesi che offrirono le più diverse e originali ambientazioni con circa 2500 città partecipanti, compresa una puntata invernale nella colonia portoghese di Macao, nel 1990. I giochi di ogni puntata erano generalmente legati a un tema collegato alle peculiarità della città che li ospitava. Ogni squadra era composta da otto atleti, quattro uomini e quattro donne che venivano estratti a  sorte per ogni gioco.

Le edizioni più classiche prevedevano nove manches:  la prima e l’ultima impegnavano tutte le squadre, senza possibilità di giocare il Jolly e di raddoppiare il punteggio ottenuto in quel gioco, mentre le restanti sette erano disputate da tutte le squadre meno una, a rotazione. I punti venivano  assegnati a scalare dalla prima all’ultima classificata e la squadra che non disputava il gioco di gruppo doveva cimentarsi nella prova singola su un percorso a tempo: il famoso e temutissimo fil rouge. Tra gli anni ’80 e ’90 si tennero anche venti edizioni invernali dei giochi (14 come Giochi sotto l’albero e le restanti 6 denominate Questa pazza, pazza neve). In Piemonte ai Jeux sans Frontieres parteciparono 14 località (Acqui Terme, Alba, Arona, Biella, Borgosesia, Canelli, Casale Monferrato, Cesana, Chieri, Limone Piemonte, Sestriere, Stupinigi, Torino e Verbania). Cesana San Sicario fu l’unica a partecipare nel 1981 all’edizione invernale di Questa pazza, pazza neve aggiudicandosi la vittoria nella seconda puntata che venne ospitata l’8 febbraio sui Pirenei francesi, a La Mongie. Nelle memorie di generazioni di telespettatori restano quelle immagini disincantate e serene che avvicinavano tutti, attraverso quelle gare dove si mescolavano sport e allegria, all’idea di una Europa unita, comunitaria. Un ricordo che provoca istintivamente un lieve, sano sentimento di nostalgia per quei Giochi Senza Frontiere ai quali vorremmo ancora assistere.

Marco Travaglini

Non solo mostre ai Musei Reali Percorsi speciali e attività per i più piccoli animano la settimana

Continuano gli appuntamenti settimanali dei Musei Reali: nei prossimi giorni non solo mostre e visite speciali per residenti e turisti, ma anche attività dedicate a grandi e piccini, per imparare divertendosi.

 

Attività per famiglie e bambini

Sabato 22 gennaio, alle 15, alle 16 e alle 17, è il momento di Animali dalle mani. In un pomeriggio tra arte e gioco, invitiamo i piccoli visitatori a scoprire la mostra Animali dalla A alla Z, a loro dedicata nello Spazio Scoperte della Galleria Sabauda. Dopo aver indovinato quali animali si nascondono nelle opere d’arte esposte, potremo disegnarle insieme, partendo dalla forma delle nostre mani.

Attività gratuita per bambine e bambini dai 3 agli 8 anni, con prenotazione obbligatoria. Per i familiari, tariffa d’ingresso speciale a € 10 (ingresso gratuito con Abbonamento Musei).

Info e prenotazioni: 011 19560449 e info.torino@coopculture.it

 

Il calendario delle attività per i tesserati dei Giardini Reali

È disponibile sul sito il calendario delle attività speciali dedicate al tema dei Giardini Reali, riservate ai possessori di una delle tessere solidali. Fino a marzo 2022 è possibile prendere parte a percorsi e visite in esclusiva con le curatrici, i curatori e le restauratrici dei Musei Reali. Sono previsti incontri a tema green anche per tutto il pubblico, con tariffe agevolate per i sottoscrittori della tessera. Le tessere sono acquistabili nel bookshop dei Musei Reali o scrivendo all’indirizzo: mr-to.sostienici@beniculturali.it

Si inizia lunedì 24 gennaio alle ore 11 e alle ore 15 con la visita Breve storia dei Giardini Reali nell’ambito dei Lunedì Green, che fino a marzo faranno vivere ai tesserati e al resto del pubblico ogni lunedì la magia dei Giardini Reali a porte chiuse. Un ciclo di visite esclusive alla scoperta della storia dei Giardini, delle stratificazioni nei secoli e delle loro specie vegetali. Prenotazione obbligatoria. Info e prenotazioni: mr-to.sostienici@beniculturali.it

 

I Martedì dell’Abbonato

Martedì 25 gennaio alle ore 17 continuano i Martedì dell’Abbonato. L’appuntamento di questa settimana è dedicato alle figure di Riccardo Gualino e del Principe Eugenio di Savoia-Soissons. Un ricco percorso alla scoperta di due grandi personaggi accomunati dalla passione per l’arte, un itinerario affascinante tra il secondo e il terzo piano della Galleria Sabauda tra capolavori indiscussi per comprendere meglio l’evoluzione del collezionismo tra Settecento e Novecento.

Costo dell’attività € 10. Riservata ai titolari dell’Abbonamento Musei.

Per informazioni e prenotazioni https://piemonte.abbonamentomusei.it/

 

Le attività con CoopCulture

Sabato 22 gennaio alle ore 15.30 e domenica 23 gennaio alle ore 11, le guide e gli storici dell’arte di CoopCulture conducono la visita Benvenuto a Palazzo lungo le sale di rappresentanza del primo piano di Palazzo Reale e dell’Armeria, per scoprire o riscoprire la storia e la magnificenza della prima reggia d’Italia.

Il costo della visita è di € 7, oltre al biglietto di ingresso ridotto ai Musei Reali (€ 13 ordinario, € 2 da 18 a 25 anni, gratuito under 18). Biglietti online su Musei Reali di Torino | CoopCulture – e-mail info.torino@coopculture.it

 

Fino al 31 marzo 2022 è possibile prenotare una visita ai percorsi speciali dei Musei Reali.

Ogni venerdì alle ore 15.30, il pubblico può visitare i magnifici appartamenti della regina Maria Teresa al primo piano di Palazzo Reale, il Gabinetto del Segreto Maneggio e le suggestive Cucine Reali per rivivere gli antichi usi di Corte.
Ogni sabato alle ore 15.30, Collezionisti a Confronto: Riccardo Gualino e il Principe Eugenio di Savoia-Soissons, un ricco percorso alla scoperta di due grandi personaggi accomunati dalla passione per l’arte, per comprendere meglio l’evoluzione del collezionismo tra Settecento e Novecento.

Ogni domenica alle ore 15.30 è possibile approfondire le vicende storico-artistiche legate alla costruzione della Cappella della Sindone e ammirare i tesori conservati nella Sacrestia e nella Cappella Regia.

Costo delle attività: € 20 (€ 13 per Abbonamento Musei).

Biglietti online su Musei Reali di Torino | CoopCulture – e-mail info.torino@coopculture.it

 

Ciprotour. Oltre il confine

Fino al 3 marzo 2022 il pubblico può godere di una mostra diffusa che unisce i Musei Reali e le Biblioteche civiche di Torino. Il progetto mira a promuovere sul territorio la mostra internazionale Cipro. Crocevia delle civiltà, terminata il 9 gennaio. Il progetto prevede una serie di piccole esposizioni in alcune biblioteche torinesi: narrazioni da Cipro e su Cipro nelle sale della Biblioteca Civica Centrale, alla Biblioteca civica Musicale Della Corte si parla di musica cipriota, al Mausoleo della Bela Rosin e alla Biblioteca civica Villa Amoretti si racconta dell’isola sacra ad Afrodite e dei profumi della dea, alla Biblioteca civica Cesare Pavese di commerci e genti, di lingue e culture alla Biblioteca civica Primo Levi. E ancora, alla Biblioteca civica Don Milani, si tengono incontri su Cipro, porto e ponte del Mediterraneo. Il Bibliobus, inoltre, diffonde in città le informazioni sugli eventi in programma.

 

Le mostre in corso ai Musei Reali

Prorogata fino a domenica 13 febbraio 2022In Between è la prima mostra a Torino dedicata allo scultore piemontese Fabio Viale, che ha conquistato notorietà internazionale grazie alle sue statue tatuate e alle straordinarie finzioni in marmo. Cinque opere monumentali allestite in Piazzetta Reale e un percorso curato da Filippo Masino e Roberto Mastroianni all’interno di Palazzo Reale testimoniano i campi di ricerca e presentano opere inedite, svelate al pubblico negli spazi della residenza sabauda. Realizzata in collaborazione con la Galleria Poggiali di Firenze, la mostra è visitabile con il biglietto dei Musei Reali.

 

Nell’ambito dei progetti di collaborazione tra musei italiani e stranieri, i Musei Reali ospitano nelle Sale dei Maestri Caravaggeschi, al primo piano della Galleria Sabauda, l’opera di Orazio Gentileschi Santa Cecilia che suona la spinetta e un angelo, in prestito dalla Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia. L’evento espositivo, prorogato fino a domenica 20 febbraio, è una straordinaria opportunità di confronto con l’Annunciazione, capolavoro dello stesso artista, celebre seguace di Caravaggio, custodito dai Musei Reali. Il confronto tra queste due opere permette di accostarsi al metodo di lavoro del pittore, che consiste nel riutilizzo di cartoni o di lucidi per comporre singole figure o intere scene.  Il volto di Santa Cecilia che suona la spinetta e un angelo, dipinto tra il 1615 e 1620 ritorna con attitudine simile in quello della Vergine nell’Annunciazione di Torino, donata dallo stesso Gentileschi al duca Carlo Emanuele I di Savoia nel 1623 e oggi esposta nella Galleria Sabauda. La visita alla mostra è compresa nel biglietto dei Musei Reali.

 

Animali dalla A alla Z. Una mostra dedicata ai bambini è l’esposizione allestita nello Spazio Scoperte della Galleria Sabauda fino al 3 aprile 2022. Il progetto, curato da Rosario Maria Anzalone ed Enrica Pagella, è concepito per bambini e famiglie, dall’altezza delle vetrine alle soluzioni grafiche: tra dipinti, disegni, incisioni, reperti archeologici e oggetti d’arte decorativa, quaranta opere dei Musei Reali sono accomunate dalla raffigurazione di animali, da indovinare in una modalità di fruizione partecipata. La visita alla mostra è compresa nel biglietto dei Musei Reali.

 

La Biblioteca Reale

La Sala Lettura della Biblioteca Reale è aperta dal lunedì al venerdì dalle 8.30 alle 15.15 ed è chiusa il sabato. Le consultazioni dovranno essere prenotate con almeno 24 ore di anticipo scrivendo all’indirizzo mr-to.bibliotecareale@beniculturali.it, indicando tutte le informazioni disponibili per la richiesta.

Per conoscere le modalità di accesso e registrazione consultare la pagina Orari e modalità di apertura della Biblioteca Reale – Musei Reali Torino (beniculturali.it)

 

Caffè Reale

Nella suggestiva Corte d’Onore di Palazzo Reale è possibile rigenerarsi con una pausa al Caffè Reale Torino, ospitato in una ambientazione unica ed elegante, impreziosita da suppellettili in porcellana e argento provenienti dalle collezioni sabaude. Informazioni e prenotazioni al numero 335 8140537 o via e-mail all’indirizzo segreteria@ilcatering.net.

 

Museum Shop

Per rimanere aggiornati sulle pubblicazioni dei Musei Reali e per dedicarvi un pensiero, il Museum Shop è aperto.

È disponibile anche online Musei Reali (shopculture.it).

 

L’accesso ai Musei Reali e alle mostre è consentito unicamente esibendo il Super Green Pass (Green Pass rafforzato ad esito di vaccinazione o guarigione da Covid-19) e indossando la mascherina chirurgica, secondo le norme di sicurezza previste dal Decreto-legge del 24 dicembre 2021, n. 221.