CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 403

“Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori”, libri medievali a Saluzzo

“Festa del libro medievale e antico di Saluzzo”. Prima Edizione

“Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori”

Da venerdì 22 a mercoledì 27 ottobre

Saluzzo (Cuneo)

L’immagine guida è un particolare dell’affresco “San Giorgio e la principessa”, presente nella  “Cappella di San Ponzio” a Castellar, nel Saluzzese, opera di Pietro Pocapaglia (meglio noto come Pietro da Saluzzo) risalente alla metà del XV secolo. E il sottotitolo richiama i primi versi de “L’Orlando Furioso” di Ludovico Ariosto – “Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori” – che portano subito il lettore all’immaginario medievale intessuto di eroismi, sfide, viaggi, guerre, amori e magie. La prima edizione della “Festa del libro medievale e antico di Saluzzo” si presenta come nuova manifestazione libraria dedicata alla cultura e storia medievale, lette e approfondite attraverso romanzi, saggi, fantasy, lezioni, musiche e performance, promossa dalla “Fondazione Cassa di Risparmio” di Saluzzo e dalla Città di Saluzzo, in collaborazione con il “Salone Internazionale del Libro” di Torino e la “Fondazione Amleto Bertoni”. Obiettivo: portare all’attenzione del grande pubblico un periodo storico, dal V al XIV secolo, che da sempre esercita una forte fascinazione sull’immaginario collettivo (come dimostra l’attuale successo di romanzi, serie televisive, film e videogiochi che a quelle atmosfere ancor oggi si ispirano) e che fu un laboratorio culturale straordinario da cui nacque l’ “idea europea”, anche se troppo spesso la cosiddetta “Età di mezzo” viene minimizzata come storico “momento oscuro” in opposizione al Rinascimento. L’iniziativa si svolgerà da venerdì 22 a mercoledì 27 ottobre, e trova nella città di Saluzzo, che fu capitale dell’omonimo Marchesato, il suo luogo ideale di espressione. “Evento unico nel suo genere in Italia– spiegano i curatori Marco Piccat, professore di Filologia Romanza all’Università di Trieste e presidente della Fondazione CRS, e Marco Pautasso del Salone Internazionale del Libro di Torino – la Festa del libro medievale e antico intende rivalutare, in antitesi alla vulgata dominante, un’epoca che fu laboratorio culturale straordinario, nonché incubatore dell’idea europea. Il Medioevo contribuì, infatti, alla circolazione delle lingue e dei saperi, favorì non solo gli scambi commerciali, ma soprattutto le contaminazioni e gli intrecci artistici, culturali e politici tra i vari paesi europei”. Molteplici gli appuntamenti in programma: dagli incontri con storici e scrittori alle lezioni magistrali, via via fino ad animazioni e laboratori per bambini e adulti, reading, mostre, ma anche concerti, proiezioni di film,  spettacoli teatrali, rappresentazioni storiche e altro ancora. Previsti addirittura spettacoli di falconeria (lungo la salita al Castello) e laboratori di calligrafia e miniatura. Si inizia sabato 22 ottobre, alle  ore 18, al Cinema Teatro “Magda Olivero”.  Tra gli ospiti, solo alcuni nomi: il 22, il giornalista e scrittore Aldo Cazzullo, con una “lectio magistralis” ispirata al suo nuovo libro “Il posto degli uomini. Dante in Purgatorio dove andremo tutti” (Mondadori) e, a seguire, il 23, il cantautore Angelo Branduardi, il “Menestrello” che ha saputo unire la musica medievale e rinascimentale con la musica folk tradizionale, in concerto acustico con Fabio Valdemarin.

E ancora dal 24 in poi una nutrita serie di storici, letterati e scrittori, per chiudere, il 27 ottobre, con Franco Cardini, noto storico e saggista specializzato nello studio del Medioevo, che terrà una “lectio magistralis” tratta dai temi del volume “Le cento novelle contro la morte” (Salerno Editore). Al programma si affiancherà anche una parte espositiva, dove il pubblico sarà accolto da editori, librerie ed enti culturali con le loro proposte di catalogo, le novità sul tema e la presenza di copie di libri esclusivi, sia manoscritti che a stampa. Inoltre gli esercizi commerciali (in una città che per l’occasione sarà tutta  vestita a festa e ricca di proposte culturali ed enogastronomiche a tema) ospiteranno titoli di libri selezionati sul tema, dalla saggistica alla narrativa, dal fantasy ai libri antichi, che a fine manifestazione confluiranno in un nuovo “Fondo del Libro Medievale” da destinare alla Biblioteca civica di Saluzzo “Lidia Beccaria Rolfi”.

Per info e informazioni dettagliate su programma, date e luoghi destinati all’evento: www.salonelibro.it-visitsaluzzo.i

g.m.

Nelle foto

–         Pietro Pocapaglia: “San Giorgio e la principessa”, metà XV secolo, Photo Giorgio Olivero – Ufficio BCE Diocesi di Saluzzo

–         Angelo Branduardi

–         Spettacolo di falconeria

Cuneo Provincia Futura

Grande mostra di “luci a cielo aperto” firmata CRC

Venerdì 22 ottobre a Cuneo/Sabato 23 ad Alba, Bra e Mondovì

Cuneo

Il titolo guarda lontano. E lo fa in modo ambizioso. Coniugando insieme speranza e futuro. “Cuneo Provincia Futura” è “la più grande mostra a cielo aperto” dedicata alle sfide del futuro e composta da dieci videoinstallazioni luminose e sonore – uniche suggestive e singolari – organizzata a Cuneo (venerdì 22 ottobre) ad Alba, a Bra e a Mondovì (sabato 23 ottobre) dalla “Fondazione CRC”. La regia e la realizzazione portano la firma di Alessandro Marrazzo, fra i nostri più prestigiosi esperti di show designingVenerdì 22, dopo l’inaugurazione ufficiale a Cuneo dell’evento espositivo in piazzetta del Grano (via Roma, a lato del Municipio) alle ore 19, saranno accese in sequenza le installazioni del capoluogo provinciale: si inizierà dalle due di via Roma (ore 19,30 e 20) per passare poi in piazza Virginio (ore 20,30), al Complesso di Santa Croce (ore 21), in piazza Europa (ore 21,30) e in piazza Galimberti (ore 22). Sabato 23 alle ore 19 verranno accese anche le installazioni di Mondovì (rione Piazza), alle 20.30 quella di Bra (piazza Caduti della Libertà) e alle 21.30 quelle di Alba (piazza Risorgimento e piazza Ferrero). Le proiezioni luminose saranno attive e fruibili liberamente dal giovedì alla domenica dalle ore 19 alle 22,30, nel periodo dal 23 ottobre al 21 novembre. Per maggiori informazioni telefonare allo 0171/452711 o scrivere a info@fondazionecrc.it.

“Ho cominciato a pensare al progetto di ‘Cuneo Provincia Futura’ – afferma Alessandro Marrazzo – nei giorni di inquietante irrealtà che hanno caratterizzato il 2020. Ripensare il futuro era il tema sul quale volevo coinvolgere il pubblico. Volevo rendere quelle facciate, quelle strade, quelle piazze protagoniste di una nuova vita: per questo la luce e tutte le tecnologie più all’avanguardia sono le protagoniste di questa mostra ed è così che ho realizzato le dieci installazioni come una grande orchestra, in cui gli strumenti musicali sono diventati luci, videoproiezioni, laser, scenografie, suoni”. E aggiunge Ezio Raviola, vicepresidente della “Fondazione CRC”: “I temi al centro delle 10 installazioni, le modalità e i luoghi scelti sono connessi alle attività della Fondazione e alle tre sfide individuate dal nostro Piano Pluriennale 2021-24: +Sostenibilità, +Comunità, +Competenze”.

Cuneo le videoinstallazioni saranno sei. Sulla facciata di Palazzo Vitale, sede della “Fondazione CRC” in via Roma, verrà indagato il rapporto tra uomo, macchine e natura grazie a un cucciolo di robot, protagonista di videoproiezioni dinamiche in grado di muoversi liberamente nello spazio ed emblema di una presenza sempre più massiccia delle macchine nella nostra vita quotidiana. L’asse di via Roma, con un fulcro nella piazzetta del Grano, sarà trasformato in un fiume in piena per riflettere sulle conseguenze dello scioglimento dei ghiacciai e dell’innalzamento degli oceani. In piazza Virginio si ragionerà sulla conquista dell’immortalità, sogno ricorrente del genere umano incarnato da ologrammi tridimensionali sospesi nel vuoto tra luci al neon e specchi d’acqua vera. Nel cortile del Complesso di Santa Croce, una porzione di foresta pluviale ricreata in un caleidoscopico cubo porterà a ragionare sulla deforestazione, mentre in piazza Galimberti un monumentale laser mapping affronterà il tema dell’intelligenza artificiale e della quarta rivoluzione industriale. In piazza Europa le videoproiezioni, realizzate con una tecnica dinamica pressoché sconosciuta in Italia, saranno dedicate alla natura e alle specie in via di estinzione.

Ad Alba le videoinstallazioni saranno due. In piazza Risorgimento il tema è quello delle arti, prerogativa della creatività umana la cui esclusività è oggi messa in dubbio dallo sviluppo dell’intelligenza artificiale mentre in piazza Ferrero verrà proposta una riflessione sul futuro con un’installazione monumentale nella quale un bambino guarda la parola “Futuro” scritta di luce, cercando senza successo di toccarla.

La facciata di Palazzo Garrone farà invece da supporto alla videoinstallazione di Bra, in piazza Caduti della Libertà, e sarà dedicata al tema delle conquiste spaziali, da Galileo a Marte.

Mondovì la videoinstallazione sarà collocata sulle pareti della Torre Civica del Belvedere, nel rione Piazza, e sarà dedicata al tema del tempo, sviluppato con un’illusoria videoproiezione 3D per indagarne segreti e meccanismi. Un poetico racconto visivo sul rapporto che da sempre l’uomo ha avuto con la misurazione e la percezione del tempo.

g.m.

Nelle foto

–         “La quarta rivoluzione industriale”, piazza Galimberti, Cuneo

–         “ArtEficiale”, piazza Risorgimento, Alba

–         “Verso Marte, da Galileo alle nuove conquiste spaziali”, Palazzo Garrone, Bra

–         “Un futuro lungo 10.000 anni”, Torre Civica del Belvedere, Mondovì

Al Tempio valdese l’Accademia Stefano Tempia apre la stagione il 23 ottobre

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IN COLLABORAZIONE CON

L’ACCADEMIA DEL RICERCARE

Il 23 ottobre alle ore 21

Presso il Tempio Valdese di Torino

in Corso Vittorio Emanuele II, 23

Ore 21

presenta

“La prima Musica da Ascoltare”

Per informazioni dal lunedì al venerdì ore 9-12.30:
segreteria@stefanotempia.it

Tel. 011 020 98 82

Concerto a pagamento : Costo 7 euro

Biglietti in prevendita su Ticket.it:
https://www.ticket.it/

Il 23 ottobre, alle ore 21, a Torino, presso il Tempio Valdese, in Corso Vittorio Emanuele II , 23, l’ACCADEMIA CORALE STEFANO TEMPIA 1875, in collaborazione con lACCADEMIA DEL RICERCARE , presenta

“La prima Musica da Ascoltare”. Ingresso con Green Pass e nel rispetto delle normative anti covid.

Il concerto apre ufficialmente la stagione autunnale dell’Accademia Corale Stefano Tempia.  

L’ingresso è di 7euro. Per informazioni dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12.30, scrivere a segreteria@stefanotempia.it oppure telefonare 011 020 98 82

Biglietti in prevendita su Ticket.it:
https://www.ticket.it/

La prima Musica da Ascoltare

Il primo compositore inglese a dedicarsi con intenti esplicitamente artistici al repertorio strumentale fu William Byrd, autore oggi conosciuto soprattutto per la sua raffinata produzione sacra, concepita sia per il rito cattolico sia per la nuova chiesa anglicana fondata da Enrico VIII. Byrd seppe spingersi oltre l’eclettica tradizione di danze popolari in gran parte improvvisate che era fiorita sull’isola fino a quel momento, sia nelle sue opere per organo e clavicembalo sia nelle sue splendide fantasie per consort di viole da gamba, il cui stile riecheggia spesso modelli francesi e italiani, con una agile scrittura imitativa che venne adottata da molti compositori delle due generazioni successive, tra cui il grande John Dowland.

A differenza di Byrd, compositore cattolico tollerato dall’anglicana Elisabetta I per eccezionali meriti artistici, tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo molti musicisti inglesi furono costretti a lasciare la patria per sfuggire alle persecuzioni religiose o , più semplicemente, per cercare un’occupazione più remunerativa. Tra di essi vi era William Brade, che approdò in Germania intorno al 1590 e passò da una corte all’altra spinto da un carattere inquieto e un’indole dissoluta, come ci è stato testimoniato da una lettera del conte di Bückeburg, che lo descrive come «un frequentatore di cattive compagnie».

John Adson (ca.1585 – 29 giu 1640)

Courtly Masquing Ayres -1,2,3,4.

Johann Hermann Schein (1586 -1630)

Suite n. 13 il sol minore (Il Banchetto musicale)

Suite n.15 in sol maggiore (Il Banchetto musicale)

William Brade (1560 -1630)

Canzone

Paduana e Galliarda 8-a,b

Paduana e Galliarda 12-a,b

Johann Rosenmüller (1619 -1684)

Sonata da camera n. 4

Sinfonia – Allemanda – Corrente – Ballo – Sarabanda

Sonata da camera n. 6

Allegro – Adagio – AllemandeCorrenta – Ballo – Sarabanda

Silvia Colli, Aki Takahashi, violini

Luca Taccardi, Eleonora Ghiringhelli, viole da gamba

Antonio Fantinuoli, violoncello

Massimo Sartori, violone

Luisa Busca, Lorenzo Cavasanti, flauti dolci

Manuel Staropoli, traversa e cornamuse rinascimentali

Gianfranco Saponaro, Roberto Terzolo, cornamuse

Claudia Ferrero, clavicembalo

Luca Casalegno, percussioni

Pietro Busca, direttore e concertatore

Che mai sarà per noi il 1821? Una mostra per raccontare la Storia

I Moti per la libertà nell’Europa di Santorre di Santa Rosa

Chissà se all’imperatore Napoleone, ormai al termine della vita, prigioniero a Sant’Elena, giungono gli echi della rivoluzione liberale iniziata in Spagna il primo gennaio 1820, subito attecchita a Napoli e in Sicilia, e riacutizzata in Piemonte nel marzo del 1821?

In fondo, le istanze di liberazione devono molto alle idee della Rivoluzione
francese, esportate con le armi in tutta Europa venticinque anni prima da
Napoleone, ancora giovane ufficiale. Per l’Italia, si tratta dell’inizio del
Risorgimento. Per il mondo, è il tempo delle rivoluzioni globali. Per la prima
volta sventola la bandiera tricolore e gli insorti chiedono la costituzione, le
libertà fondamentali di associazione, di culto e di stampa. Ma si tratta anche
della prima “rivoluzione tradita”, con Carlo Alberto, l’erede al trono che prima
illude i cospiratori, per poi allinearsi alla fedeltà dinastica. La sconfitta dei
Moti, fa emergere la figura di Santorre di Santa Rosa, nobile sabaudo che,
costretto all’esilio, diverrà “rivoluzionario di professione”, partecipando con
Lord Byron alla guerra per l’indipendenza della Grecia dal dominio ottomano,
e morendo nella difesa dell’isola di Sfacteria. È dunque anche grazie alla
figura risorgimentale di Santorre di Santa Rosa, che nasce il mito romantico
dell’“eroe rivoluzionario” che passerà da Garibaldi a Che Guevara.
La mostra Che mai sarà per noi il 1821? I Moti per la libertà nell’Europa
di Santorre di Santa Rosa, organizzata dalla Città di Savigliano, inaugura
domenica 24 ottobre a Palazzo Muratori Cravetta, città natale di Santorre di
Santa Rosa.

Si realizza grazie alla collaborazione con il Museo Nazionale del
Risorgimento Italiano che ha messo a disposizione numerose opere custodite
nelle sue collezioni: documenti, manifesti, stampe, manoscritti e dipinti.
Si parte da una suggestiva ricostruzione del rientro del Re Vittorio Emanuele
I a Torino nel 1814, dopo oltre 15 anni di esilio. A Vienna risuonano le note
della cantata Der glorreiche Augenblick (il momento glorioso) di Beethoven: è
la restaurazione dell’Ancien Régime. Mentre già serpeggia la voglia di “fare
un quarantotto”, un’espressione proverbiale che ha origine proprio nelle
insurrezioni generalizzate in tutt’Europa che arriveranno nel 1848 e di cui i
Moti del 1821 sono una sorta di “ouverture”
Una sala dell’esposizione è interamente dedicata alla figura di Santorre di
Santa Rosa, ripercorrendone l’iconografia (dalle stampe d’epoca al quadro di
Daniele Fissore) e raccontandone le vicende personali e politiche.
La rivolta del 1821 dura poco più di un mese, ma è destinata a lasciare una
traccia profonda nella storia del movimento democratico e liberale non solo
piemontese. Il percorso espositivo, si chiude con la narrazione della
repressione. 71 sono le condanne a morte, mentre a centinaia, gli insorti
sconfitti prendono la via dell’esilio: tra loro, alcuni figli della più illustre nobiltà
del regno, militari formati nelle guerre napoleoniche, e borghesi che, in molti
casi, tenteranno di raggiungere la Spagna per difendere la libertà contro le
armate della Santa Alleanza. E di nuovo, i Moti del 1821 sembrano
prefigurare uno degli episodi centrali della lotta per la libertà nel secolo
successivo, quel Novecento che vedrà le Brigate internazionali, tra cui molti
italiani, difendere la Spagna libera dall’aggressione fascista e nazista.
Il progetto storico-scientifico dell’esposizione, a cura del prof. Pierangelo
Gentile dell’Università di Torino, prende vita grazie all’articolarsi di una
pluralità di linguaggi, che intrecciano la parola scritta con immagini, grafiche,
stampe, mappe, virtualità multimediale e percorsi sonori, privilegiando la
narrazione rispetto all’esibizione di oggetti e collezioni. L’obiettivo di Punto
Rec Studios, che ha curato e realizzato l’allestimento, è infatti quello di
mettere al centro del percorso espositivo il coinvolgimento, anche emozionale
dei visitatori, portati a rivivere direttamente l’esperienza di un episodio
avvincente di storia del Piemonte e dell’Italia
Che mai sarà per noi il 1821? non soltanto racconta la storia mettendola
in scena, ma va alla ricerca dei riflessi che i fatti storici hanno avuto
sull’immaginario collettivo.

La mostra si sviluppa in sei sale, e comprende due multivisioni. La prima
dedicata al racconto degli anni che precedono i Moti fin dal 1814, seguendo
come filo conduttore le parole di Santorre di Santa Rosa; l’altra, focalizzata
sui 30 giorni dell’insurrezione, ricostruisce gli eventi a partire dalla
testimonianza diretta di uno dei “congiurati”, illustrata da una rara raccolta
delle mitiche Figurine Lavazza, distribuite negli anni 50 – 60 con le confezioni
di caffè e oggi divenute vere e proprie rarità da collezionisti, che consentono
di ritrovare il sapore visivo di vere e proprie “icone pop” della tradizione
iconografica italiana.

CHE MAI SARÀ PER NOI IL 1821?
I Moti per la libertà nell’Europa di Santorre di Santa Rosa
È organizzata dalla
Città di Savigliano
in collaborazione con il Museo Nazionale del Risorgimento Italiano di Torino


Con il contributo di
Provincia di Cuneo
Regione Piemonte

In collaborazione con
Università degli Studi di Torino
Consulta Cultura e Promozione del territorio di Savigliano

Con il sostegno di
Fondazione Compagnia di San Paolo
Fondazione CRC
Fondazione CRS
Banca CRS
Fondazione Ente Manifestazione

Si ringrazia l’Archivio Storico Lavazza

Progetto della mostra, allestimento e multimedia Punto Rec Studios
Curatore Scientifico Pierangelo Gentile
Direttore creativo Marco Barberis
Progetto grafico Leandro Agostini
Contenuti e realizzazione: Cristina Tedesco, Giovanna Raucci, Mattia Boero, Emanuele
Mercadante, Andrea Bo
Coordinamento: Anna Martina

www.puntorec.xyz

Al borgo di Revello con il Fai

È il classico borgo dove, con un po’ di fantasia, il tempo sembra essersi fermato all’epoca gloriosa del Marchesato di Saluzzo.

E con tanta fantasia possiamo immaginare anche il poderoso castello che dominava dall’alto l’abitato, come si vede nella fotografia che ricostruisce il maniero, esattamente com’era, tanto tempo fa. Siamo a Revello, piccolo borgo medioevale di 4200 abitanti alle porte della Valle Po, a pochi chilometri da Saluzzo e a circa un’ora di auto da Torino. Nell’Alto Medioevo il castello difendeva il borgo e il territorio ma oggi di quella fortificazione non resta nulla, solo qualche rudere. Possiamo immaginarlo lassù dove indubbiamente abbelliva il paesaggio, forse costruito già nel IX secolo per arginare l’avanzata dei saraceni e poi da essi fortificato per controllare i territori conquistati. Alcuni secoli più tardi sarebbe diventato il perno del sistema difensivo del Marchesato di Saluzzo. Strada facendo, percorrendo le viuzze interne si incontrano diversi edifici sia civili che religiosi che sono la storia di Revello. Visitiamo il Palazzo Marchionale che al piano nobile si apre sulla famosa cappella e poi la Collegiata di Santa Maria, mentre del castello, distrutto dalla batterie sabaude durante l’assedio del 1588, non rimane nulla. Grande successo ha riscosso l’itinerario del FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano) alla scoperta del borgo di Revello e dei suoi monumenti con banchetti e gazebo affollati di turisti pronti a seguire i volontari e le guide del FAI. Mille anni fa era di proprietà del marchese di Torino e Susa, poi nel 1215 entrò a far parte dei territori del Marchesato di Saluzzo diventando uno dei borghi principali. Ed è proprio in questo periodo che nascono gli edifici più importanti, quelli che vediamo oggi tra cui la Cappella Marchionale, un ambiente tardo-gotico collocato in una torre a lato dell’attuale Municipio fatta affrescare dai marchesi di Saluzzo con i santi protettori del Marchesato tra cui Luigi IX, il re santo di Francia che promosse diverse Crociate nel Duecento. Nel centro storico si trova la Collegiata del Quattrocento concessa da Papa Sisto IV su richiesta dei revellesi e del Marchese Ludovico II. Sulla facciata un portale rinascimentale in marmo bianco e preziose pale d’altare all’interno. Durante il Marchesato di Ludovico II (1475-1504) e Giovanna del Monferrato il borgo di Revello fu eletto come sede preferita. A metà del Cinquecento fu occupato dai francesi ma nel 1588 Carlo Emanuele I di Savoia li sconfisse e occupò militarmente il Marchesato. Fu in questa occasione che andò distrutto il castello. Si combatté ancora a Revello nel 1693 quando il borgo fu saccheggiato dalle truppe del generale Catinat. Dopo la visita a Revello tappa obbligata (senza il FAI) all’Abbazia di Staffarda, a nove chilometri dal borgo, fondata nel 1135 dai monaci cistercensi giunti dalla Francia. Da vedere la grande chiesa e lo splendido chiostro. I monaci non ci sono più, in compenso sono arrivati i pipistrelli, centinaia di volatili che trascorrono lunghi periodi dell’anno nell’Abbazia, sotto il controllo del WWF. Nei terreni circostanti l’Abbazia nel 1690 si svolse la battaglia di Staffarda in cui l’esercito austro-piemontese di Vittorio Amedeo II, duca di Savoia, appoggiato dagli spagnoli e dal cugino Eugenio di Savoia fu sconfitto dai francesi di Luigi XIV.
Filippo Re

Stoccolma

Antonio Mocciola ritorna sulle scene dopo la pandemia con un nuovo atto unico, “Stoccolma”, che rivisita lapalissianamente il mito della Sindrome di Stoccolma.

Finalista al premio Annoni, dedicato ai testi a tematica LGBTI, i protagonisti sappiamo già che sono gay o esploreranno questa corporeità e questa affettività, anche solo perché, adolescente negli anni ’90, Mocciola scrive di questo nei suoi libri, articoli ed opere teatrali.

Gli anni ’90, l’apocalisse dell’AIDS, la nascita delle associazioni LGBTI in Italia, dopo la falsa partenza negli anni ’70, la visibilità di un mondo che in Italia è sempre vissuto in modo scisso, nascosto o espresso, a Napoli, da figure effeminate e stereotipate, come i femminielli.

Ed è fondamentalmente un giovane degli anni ‘90 che viene rappresentato, con una consapevolezza matura, un orgoglio portato all’eccesso, che diventa violento in una trama misteriosa, che parte da un colpo di scena e termina con una luce Caravaggesca che avvolge per un istante i protagonisti finalmente riconciliati.

Stoccolma, sapranno i lettori, è la sindrome che crea un legame d’affetto tra la vittima e il suo carnefice. Ne abbiamo vista una rappresentazione in casi di cronaca esasperanti quando il recupero di una cooperante alta bionda e con gli occhi azzurri ci ha fatto scoprire che era diventata modesta, velata e profondamente islamica.

In questo caso osserviamo nel dettaglio la violenza che, nei tempi teatrali, colpisce attraverso le sue nudità in scena ed i corpi assenti di due personaggi di contorno, nelle parole e nei gesti usati e nei significanti tra le righe, non detti, o nelle azioni presenti o passate, dette, ma avvenute rigorosamente fuori scena.

Stoccolma tra uomini, dove l’età della vittima è la protagonista, perché crea una seconda tensione, quella del legame padre figlio e la esplora attraverso tutti e quattro i personaggi citati, attraverso tutte le possibili sfumature, secondo linee emotive e comportamentali tipiche, anche in questo caso, degli anni ‘90.

I movimenti di liberazione LGBTI hanno prodotto mutazioni notevoli, anche in Italia, nelle relazioni dei giovani con i propri genitori e con le figure adulte di riferimento, nel loro farsi presto accettare o meno da amici, partner e familiari. La generazione degli anni Novanta, come quella mia e di Mocciola, quella rivissuta dal giovane protagonista, è quella, invece, che ha avuto bisogno di superare i vent’anni per essere libera di esprimersi.

I legami padre figlio sono cambiati da allora, moltiplicandosi le esperienze possibili ed anticipandosi alla prima adolescenza il Coming Out, mentre in scena si esplora, grazie al testo di Mocciola, una profondità scomoda e dolorosa, che speriamo sia divenuta rara.

Mocciola non ammette di averlo studiato, ma se da bravi psicoterapeuti voleste leggere Isay “Essere Omosessuali” vi scoprireste, nelle estensioni di una disamina psicanalitica rigorosa, tutte quelle sfumature della relazione padre figlio che “Stoccolma”esplora e lentamente scioglie.

La bravura degli attori e della regia nel rendere un testo breve ma così profondo, sono ovviamente essenziali, come la pazienza di aspettare che arrivi in qualche piccolo teatro di essay nella vostra città o magari richiederlo direttamente alla compagnia di Antonio Mocciola.

Manlio Converti

I capolavori della Classicità di Fabio Viale si rivestono dei tatuaggi di oggi

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Sino al 9 gennaio, in Piazzetta e all’interno di Palazzo Reale

 

Tra la cancellata dei Dioscuri e la facciata del Castellamonte, si respira a Torino, in Piazzetta Reale – e si respirerà sino al 9 gennaio prossimo -, un’inattesa atmosfera condivisa tra classicismo e contemporaneità. Il mondo antico intriso della provocazione di oggi. Fabio Viale, cuneese di nascita, uno degli artisti più interessanti e acclamati del panorama odierno dell’arte – personale al Glyptothek Museum di Monaco di Baviera, la partecipazione al Padiglione Venezia della Biennale 2019, l’esposizione al Pushkin Museum di Mosca e “Truly”, mostra diffusa nei luoghi simbolo della città di Pietrasanta nell’estate 2020: ad accrescerne il successo, ci penserà l’anno prossimo la città di Arezzo che gli metterà a disposizione strade e piazze perché le riempia delle sue opere -, presenta con “In Between” un suggestivo percorso marmoreo, con la collaborazione della Galleria Poggiali e con la cura di Filippo Masino e Roberto Mastroianni, percorso che si amplia in altri luoghi all’interno del vasto complesso di Palazzo Reale.

“Reinterpretare in chiave contemporanea le forme e i temi dell’arte classica”, ovvero creare e ri-creare certi capolavori dell’antichità, dalle opere dell’Ellenismo a quelle di Michelangelo e Canova, con una “forza” nuova, un effetto straniante, un segno personale come è il tatuaggio oggi. Le immagini, i capolavori come da sempre li abbiamo davanti agli occhi, i canoni della bellezza e della perfezione, “magicamente alterati” (quanti penseranno “sporcati”?) in una immersione di contemporaneo, fatta di ricerca e di tecnologia. “Attraverso le chiavi della meraviglia, del virtuosismo tecnico e della reinterpretazione creativa – dichiara Enrica Pagella, Direttrice dei Musei Reali -, l’arte di Fabio Viale ci spinge a guardare con occhi nuovi ai capolavori di scultura che popolano i nostri musei e il nostro immaginario: un arco teso tra passato e futuro, fra tradizione e sperimentazione presente, un omaggio alle multiformi potenzialità del patrimonio culturale e un invito a conoscerlo e a sfidarlo senza pregiudizi”.

Una scenografia nuova, un colloquio in piena luce con le architetture circostanti, una parte della mostra immediatamente fruibile da torinesi e turisti. Sono “Kouros”, il potente e tragico “Laocoonte” che si specchia nel confratello dei Musei Vaticani, “Torso Belvedere”, “Venus” e “Souvenir David”. Nel Salone delle Guardie Svizzere, all’interno del Palazzo, “Amore e Psiche”, opera inedita, riecheggia il capolavoro neoclassico di Canova e vi imprime il momento che stiamo vivendo con una riflessione, profonda e drammatica, attraverso la tatuatura del corpo femminile con i motivi nuziali delle spose mediorientali, la disperazione della condizione della donna, l’asservimento, la cultura negata, gli insegnamenti nascosti. Un progetto che era nato alcuni mesi con intenti diversi: “Avevo immaginato dei meravigliosi tatuaggi giapponesi – confessa lo scultore – ma alla luce dei recenti fatti in Afghanistan ho sentito che il mio progetto doveva cambiare radicalmente per provare invece a gettare un ponte culturale tra Occidente e Medioriente”.

Nella Cappella della Sindone, Fabio Viale, non credente, ha voluto deporre “Souvenir Pietà (Cristo)” del 2006, metterlo al centro dell’architettura del Guarini e di fronte ad una delle più importanti e misteriose icone del Cristianesimo, solo, inerme nella tragedia della morte, privato dell’abbraccio della Madre. Nell’Armeria Reale, tra lance alabarde ed elmi, trova spazio “Lorica”, ovvero la riscrittura di una parte di un’armatura antica, in marmo rosa, a cui Viale ha dato vita attraverso una scansione tridimensionale ad alta risoluzione del corpo di Fedez, sì il rapper: lorica, grazie a piccole cinghie, perfettamente indossabile e Fedez, in un giorno non ancora precisato, entro la fine della mostra scenderà a Torino per la mitica prova. I fan sono avvisati.

Nel dicembre prossimo, infine, prenderà forma una seconda tappa della mostra all’interno delle nuove sale delle Antichità Reali, dedicata alla serie delle finzioni dei materiali: il marmo diventa legno, plastica, gomma, polistirolo, carta, si tramuta in copertoni delle auto o cassette della frutta. Un confronto/ossimoro tra la statuaria greco-romana raccolta dai Savoia e le sperimentazioni che hanno consolidato la fama di Fabio Viale a livello globale.

 

Elio Rabbione

 

Photo Credits: Nicolo Campo / DB Studio

 

Nelle immagini: “Laocoonte” 2020, marmo bianco e pigmenti;

“Amore e Psiche”, 2021, marmo bianco e pigmenti;

“Venus”, 2021, marmo bianco e pigmenti;

“Lorica”, 2021, marmo rosa e pigmenti

Mario Giansone all’Hub Vaccinale Castello di Moncalieri dell’ASL Città di Torino

Dopo la mostra di Eugenio Bolley, lHub Vaccinale Castello di Moncalieri dell’ASL Città di Torino, vede l’allestimento delle opere grafiche e pittoriche di Mario Giansone dedicate al jazz e alle donne.


L’
iniziativa rientra nel progetto “Operarte. Farmaco emozionale”, che la direzione artistica di Banca Patrimoni Sella & C. propone da più di 2 anni, rispondendo ai principi dellOMS che nel suo report del 2019 ha riconosciuto limportanza dellarte a beneficio dei luoghi di cura.

Come farmaco emozionale” l’arte viene somministrata attraverso la magia delle forme e dei colori, perché capace di far vibrare le corde della nostra sensibilità, ed è necessario sia per il personale sanitario, che lo assumeal di fuori dal contesto professionale, sia per i pazienti per i quali è fonte di distrazione e sollievo.

Il progetto Operarte. Farmaco emozionale, curato dalla dott.ssa Daniela Magnetti, direttrice artistica di Banca Patrimoni Sella & C., nasce dalla collaborazione tra Banca Patrimoni Sella & C. e la ASL Città di Torino nel marzo del 2020, con la presentazione, allinterno del Covid Hospital OGR dellASL Città di Torino, di un quadro al mese. Durante la pandemia la collaborazione si è estesa con il coinvolgimento di nuovi spazi espositivi: il D.I.R.M.E.I. (Dipartimento Interaziendale di Malattie ed Emergenze Infettive), il Centro Vaccinale del Castello di Moncalieri e la Sala di Attesa del Pronto Soccorso dellOspedale Martini, dove sono state allestite mostre di Francesco Tabusso, Eugenio Bolley e Carlo Gloria.

Le sale di attesa delle aree sanitarie diventano dunque uno spazio di vera accoglienza, utile sia al personale che ci lavora, sia alle persone che vi si recano per necessità che trascorrono il tempo obbligato del lavoro e dellattesa, circondati da arte e bellezza.

 

“L’allestimento di vere e proprie mostre allinterno dei luoghi di curasostiene Daniela Magnetti è un’operazione che soddisfa pienamente sia gli operatori sanitari che i cittadini, perché arricchisce non solo esteticamente, ma anche spiritualmente le persone che frequentano e vivono questi spazi con differenti scopi.

Un modo diverso di fare culturaafferma Federico Sella, Amministratore Delegato e Direttore Generale di Banca Patrimoni Sella & C. che sostiene fattivamente il valore del patrimonio artistico, rendendolo fruibile in contesti che in teoria non gli sono propri, ma che sono certamente utili”.

L’Hub Vaccinale Castello di Moncalieri è un gioiello messo a disposizione dallArma dei Carabinieri, che grazie a Banca Patrimoni Sella è stato arricchito di una mostra di grande valore artisticosottolinea Carlo Picco, Direttore Generale dell’ASLCittà di Torino – I cittadini possono così ritrovare, allinterno del Centro Vaccinale, anche un momento di riflessione per osservare una mostra darte di grande valore. LHub Vaccinale raggruppa quindi tutte le componenti: il fascino del Castello di Moncalieri, lefficienza organizzativa dellattività sanitaria e la bellezza delle opere d’arte”. 

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Karmen Korn “Quando il mondo era giovane” -Fazi Editore- euro 20,00

Questo è il primo capitolo di un’altra saga familiare (in due volumi) della scrittrice e giornalista tedesca Karmen Korn, che ha riscosso enorme successo con la trilogia formata dai romanzi “Figlie di una nuova era”, “E’ tempo di ricominciare” e “Aria di novità”.
Ancora una volta, al centro della narrazione, c’è il quotidiano di tre famiglie in tre ambientazioni diverse collocate nel 1950, anno della rinascita dopo le devastazioni della seconda guerra mondiale. E per orientarvi meglio tra i tanti personaggi è utile la mappa iniziale che fissa il quadro generale.
A Colonia vivono Heinrich Aldenhoven che, a fatica e con scarsi guadagni, dirige una galleria d’arte, e sua moglie Gerda . La loro casa è stata distrutta durante la guerra e la galleria non riesce a far tirare avanti la famiglia, se non con rinunce e difficoltà. Con loro vivono i figli Ursula e Ulrich, con le cugine Billa e Lucy che hanno perso la casa sotto i bombardamenti.

Ad Amburgo ci sono l’amica di Gerda, Elisabeth e suo marito Kurt Borgfeld. Lui è il manager pubblicitario di una cassa di risparmio e hanno meno preoccupazioni economiche, ma altri tipi di grane. Avvincente è soprattutto la vita della loro figlia Nina che si ritrova a crescere da sola Jan, dal momento che il marito Joachim è disperso in Russia e ormai le speranze di un suo ritorno dalla guerra sono ridotte al lumicino.

Infine, a Sanremo troviamo la sorella di Henrich Aldenhoven, Margharete che per amore si è trasferita da Colonia nella riviera ligure. La vita con il marito italiano -storico dell’arte, rampollo di una ricca famiglia della buona borghesia sanremese, – potrebbe essere più felice e spensierata se non fosse che purtroppo deve fare i conti –difficili e amari- con le angherie continue della insopportabile e onnipresente suocera Agnese, dispotica matriarca.

Le storie di questi tre nuclei familiari si intrecciano nell’arco di un decennio, a partire dalla notte di capodanno del primo gennaio 1950. E il romanzo diventa un affresco corale e storico in cui ai protagonisti accadono molteplici cose che appartengono al normale dipanarsi della vita, alle prese con un ingombrante passato di guerra e morte, disgrazie varie e ferite da sanare. Tutti i personaggi guardano a un futuro di rinascita e grandi speranze.

 

Marta Dillon “Aparecida” -Gran Via- euro 16,00

Marta Dillon è nata a Buenos Aires nel 1966; è giornalista, scrittrice, sceneggiatrice e autrice di programmi e documentari televisivi, e questa storia è una cronaca personale e politica di enorme rilievo. Il libro è autobiografico e racconta la ricerca del corpo della madre desaparecida.
Una vicenda inversa a quella dei desaparecidos, perché qui quello che resta del corpo trucidato e sepolto frettolosamente della madre, riappare.
Nel 2010, Marta è all’estero con la compagna e il figlio quando una telefonata le comunica che l’Equipe Argentina di Antropologia Forense ha trovato resti umani in una fossa comune e dall’analisi delle ossa repertate risulta che alcune sono della madre, Marta Taboada.
Ed ecco la sua storia raccontata nelle pagine della figlia.
Marta era avvocato e militante impegnata in prima linea contro la dittatura militare. Era stata sequestrata nella sua casa il 28 ottobre del 1976, di fronte ai quattro figli ancora piccoli. Da allora di lei non si era saputo più nulla, solo che era stata fucilata insieme ad altri compagni e compagne.
Ora 34 anni dopo il suo sequestro, varie e infruttuose ricerche della figlia, eccola riapparire, o meglio vengono riportate in superficie le sue povere ossa.
Tutto il libro si muove intorno a un’assenza; quella di un corpo del quale ai figli resta il ricordo di un abbraccio, un’assenza ingombrante perché il vuoto di quella scomparsa ha segnato per sempre le loro vite.
Il ritrovamento di una manciata di ossa dello scheletro materno diventa spunto per raccontare la vita di Marta, attraverso ricordi e flash back, momenti passati e presenti, descrizioni di fotografie e dossier ufficiali che grondano bugie raccontate dagli aguzzini per coprire l’orrore di quello che hanno fatto.
Una sorta di memoir, tra biografia familiare, auto-fiction, collage e reportage giornalistico; pagine che non vi lasceranno certo indifferenti perché la tragedia che ha sconvolto la vita di Marta Dillon è comune a tante altre famiglie falciate dalla dittatura argentina dei colonnelli.

 

Kaho Nashiki “Le bugie del mare” -Feltrinelli- euro 16,00

La passione della scrittrice giapponese Kaho Nashiki (nata nel 1959 sull’isola di Kyūshū) per la botanica, i viaggi e la storia delle religioni traspare appieno in questo suo romanzo che narra la scoperta di se stesso del giovane protagonista.
A metà degli anni 30 il geografo Akino si reca sull’isola -immaginaria- Osojima che nella fantasia dell’autrice ha la curiosa forma di un cavalluccio marino e si troverebbe al largo della più meridionale delle isole giapponesi, Kyushu –che esiste davvero-. Il giovane studioso e appassionato di geografia è lì per svolgere delle ricerche sul campo lasciate incompiute dal suo maestro.
E’ l’inizio di un tragitto naturalistico, certo, ma soprattutto interiore e alla scoperta del sé più profondo.
Akino si porta dentro il dolore di 3 lutti strazianti avvenuti in pochissimo tempo: la morte dei genitori e della fidanzata. Tre buchi nell’anima che hanno accentuato il suo carattere già di per sé solitario.
Sull’isola si immerge nella natura che tutto domina, nota e annota ogni cosa, osserva con meraviglia e occhi esperti il rigoglio che lo circonda.
Farà anche incontri importanti, tra i quali una coppia di contadini e il proprietario dell’unica casa dell’isola su due piani. Sarà proprio questo figlio di un monaco nato a Osojima che, dopo una vita sulle navi da crociera, è ritornato alla base e farà da preziosa guida ad Akino.

Il viaggio non sarà solo tra felci, alberi e flora subtropicale incontaminata; ma anche, se non soprattutto, in quella ricerca del senso della vita insito nelle credenze che vanno dallo sciamanesimo al buddhismo e allo shintoismo. L’isola con le sue stranezze e meraviglie naturalistiche è una sorta di scrigno di tesori vivente in cui Akito finisce per trovare risposte al senso della vita e a lenire il bruciore delle ferite della sua anima.

Poi, dopo uno stacco di quasi mezzo secolo lo ritroviamo ormai anziano, sposato, con due figli e alle spalle una carriera accademica, nel corso della quale non aveva mai raccontato la sua esperienza nell’Eden di Osojima.
Il Giappone ha vissuto un incredibile progresso dopo la guerra, e la modernizzazione selvaggia non ha risparmiato neanche la lontana isola della giovinezza di Akino. Anzi scoprirà che proprio uno dei suoi figli è responsabile dell’imponente e devastante sviluppo turistico di quella terra.

 

Nicholas Sparks “Quando si avvera un desiderio” – Sperling & Kupfer – euro 19,90

Sparks è uno degli autori più amati dal pubblico, i suoi romanzi pubblicati in oltre 50 paesi sono quasi tutti dei best seller e molti hanno ispirato film di successo. Qui ancora una volta imbastisce una storia che va dritta al cuore, tocca buoni sentimenti, dolori, sconfitte e speranze rinnovate.
Protagonista è l’affermata fotografa che ha girato il mondo in lungo e in largo, ha immortalato innumerevoli situazioni in reportage di viaggio e di grande successo. Nel 2019 la troviamo a New York dove con un socio ha aperto una rinomata galleria in cui espone le sue foto più belle. E’ una donna matura e realizzata, ma la vita le ha riservato una brutta sorpresa. A 36 anni le viene diagnosticato un melanoma al quarto stadio e la sua vita subirà una battuta di arresto.
Ma lei è una combattente, ed è troppo giovane per arrendersi alla malattia. Così inizia il calvario delle pesantissime cure e decide di raccontare quello che sta vivendo sul suo canale Youtube. Questo diario per immagini e parole diventa ben presto virale, e lei non molla nemmeno quando l’oncologa le consiglia di pensare solo più alla qualità del poco tempo che le resta.

Nella sua vita entra un giovane entusiasta collaboratore che l’aiuta a mandare avanti la galleria, e il loro diventerà un legame importantissimo e profondo.
Maggie ha ancora tantissimi sogni nel cassetto da realizzare e allo stesso tempo un passato pesante alle spalle.

Nel lontano 1996 era stata una sedicenne rimasta incinta dopo una notte sbagliata con un giovane sconosciuto che non rivedrà mai più e che neanche si ricorda il suo nome e il suo viso.
Ma le conseguenze per lei saranno gravissime.
I genitori la allontanano per evitare lo scandalo. Lei smarrita e sola viene spedita da una lontana zia con la quale la convivenza, almeno all’inizio, non sarà facilissima.
Si ritrova nel North Carolina (location prediletta di Nicholas Spark che lì ha ambientato molti suoi romanzi) con un pancione che lievita e in attesa di mettere al mondo la creatura che dovrà dare in adozione.

Ma è anche il momento in cui incontra il grande amore della sua vita.
E’ il dolcissimo Bryce, poco più grande di lei e tanto maturo ed equilibrato da non essere minimamente scandalizzato dalla sua gravidanza. Il loro sarà un amore unico e Bruce darà anche il via alla passione di Maggie, perché le insegnerà tutto sulla fotografia che diventerà la sua carriera di successo…

 

Dalle Ande al Monferrato

DALLE ANDE AL PIEMONTE ED ALLA VALCERRINA IL CAMMINO ARTISTICO ED UMANO DI MONO CARRASCO

In Valcerrina vive un artista di caratura internazionale, la cui vita è da sola un poema, che ha sviluppato nel corso degli anni un forte legame con il Monferrato ed il Piemonte, pur essendo nato a migliaia di chilometri.

Eduardo ‘Mono’ Carrasco è il nome clandestino e provvisorio – ma tutto ormai lo chiamano così – di Hector Carrasco, nato a Santiago del Cile nel 1954, grafico, muralista, promotore culturale della ‘Brigada Ramona Parra’, vive in Italia dal 1974 anno in cui vi giunse come rifugiato politico dopo il golpe militare che rovesciò il governo democraticamente eletto di Salvador Allende per portare al potere Augusto Pinochet.

Operatore culturale, curatore di mostre tematiche e realizzatore di progetti per grandi eventi come fiere di settore e mostre multimediali, nel Luglio del 2004 l’Ambasciata del Cile a Roma gli conferisce la Medaglia Pablo Neruda, onorificenza governativa promossa dalla Fundación Pablo Neruda.

Ha anche scritto alcuni libri: Il ragazzo che colorava i muri, Edizioni Punto Rosso, Milano, 1998; Il sogno dipinto, Hobby&Works, 2003; Cile, 11 settembre, 2003. Franco Angeli Editore, Milano; Inti Illimani, Storia e mito, Ricordi di un muralista, Il Margine, Trento, 2010.

Attualmente vive a Cantavenna, frazione di Gabiano Monferrato, dalla quale si gode un’ottima vista panoramica sulla Valle del Po ed il ‘mare a quadretti’ delle risaie del Vercellese. E proprio qui, nella sala polifunzionale, ha proposto in una interessante mostra personale il suo percorso ‘Dalle Ande al Monferrato’, quasi un percorso a ritroso del racconto ‘Dagli Appennini alle Ande’ di deamicisiana memoria.

Lo abbiamo incontrato in quell’occasione e ne è nata una lunga chiacchierata, ricca di spunti su un’arte ed fatti storici che, pur avvenuti ‘alla fine del mondo’ ebbero una notevole eco in Europa e, particolarmente, in Italia.

Lei è considerato uno dei fondatori dell’arte dei murales che contraddistinse un particolare periodo della storia cilena ….

Nella seconda metà degli anni Sessanta c’era la guerra in Vietnam e in tutto il mondo gli studenti facevano manifestazioni contro questa guerra. Anche in Cile ci fu una marcia che toccava ogni piccolo paese e coinvolgeva diversi tipi di artisti come ballerini, poeti, cantanti. E c’era un gruppo di sette ragazzi e ragazze che dipingeva sui muri e sulle pietre la parola d’ordine ‘No alla guerra in Vietnam’. Questo è stato l’inizio del muralismo cileno, nato anche per sostenere la campagna elettorale di Salvador Allende. Siamo diventati novanta gruppi che riempivano le strade con la parola ‘Allende’ ed il numero ‘3’ che era quello che lo contraddistingueva sulla scheda per le presidenziali.

La domanda a questo punto è d’obbligo: ha conosciuto Allende ?

L’ho visto durante il suo mandato presidenziale ma l’avevo conosciuto prima perché era amico della mia famiglia. L’ho visto 4/5 volte a casa della mia famiglia. Un parente aveva creato l’Istituto del teatro universitario studentesco cileno.

Come ricorda il presidente Allende ?

Era una persona dotata di un carisma incredibile, irradiava allegria, sapienza, trattava tutte le persone da uguali. In precedenza era stato ministro della salute di Pedro Aguirre Serda e aveva fatto proprio il motto ‘Gobernar es educar’.

Ma torniamo a voi giovani che ne sosteneste la canddatura …..

Dopo le elezioni ‘l’esercito’ di giovani che eravamo si è domandato “E adesso cosa facciamo ?”. Così abbiamo iniziato a realizzare dipinti sui muri con disegni. In Cile, però, non c’era nessuna tradizione muralistica come in Messico, anche perché gli Arancanas, i nostri antenati erano un popolo guerriero e noi eravamo lontani dall’avere un precedente nelle bellezze dell’arta Inca o Azteca.

A quel punto che soluzione avete cercato ?

Abbiamo ‘rubato’ tecniche, simbologie. La nostra idea era quella di fare disegni che potessero essere dipinti da tutti. Di qui la decisione di prendere spunto da artisti che non usassero colori piatti, il nero aveva due utilizzi (colore che viene dato alla fine dell’opera, serve per coprire eventuali imprecisioni e a dare una dimensione all’opera).

I vostri lavori servivano a veicolare un messaggio politico ?

Nei tre anni di Governo Allende i dipinti non sempre avevano una simbologia politica. Molti servivano a dare un altro volto a quartieri marginali. Ad esempio c’era un campo giochi per bambini e vicino vennero fatti dei disegni colorati che si politico non avevano niente. Nessuno negli anni ha mai fatto il conto di quanti murales vennero realizzati.

Eravate riuniti in brigadas. Perché ?

I gruppi erano chiamati brigadas ma erano formati da ragazzi. La Brigadas Ramona Parra era così chiamata perché intitolata in onore di una ragazzadi 18 anni che nel 1947 venne ucciso dalla polizia durante uno sciopero generale.

Cosa è rimasto di questi murales ?

Tutto quanto è stato dipinto, tutta quell’arte di strada è stata totalmente cancellata, c’è pochissima documentazione fotografica. E’ rimasto solo il murales di un grande pittore Roberto Sebastian Matta. Lui, che viveva a Roma, essendo progressista, aveva scritto ad Allende offrendosi di realizzare un murales e Allende diede il suo assenso a che l’opera venisse realizzata in un quartiere periferico, molto povero, ‘La Granja’, nella piscina comunale. Successivamente con la dittatura venne coperto complessivamente da 16 mani di pittura. Il caso volle che uno dei ragazzi che faceva in bagno di quella piscina diventasse sindaco e attraverso l’intervento di restauratori si potesse riportarlo alla luce e recuperarlo con un lavoro veramente certosino. Sono andato a vederlo con la mia compagna ed è stato recuperato all’85% . Intorno a quel murale, poi, è stata eretta la ‘Casa della cultura, dove una decina di anni fa ho tenuto una conferenza.

Ma veniamo ad un giorno cruciale per il Cile, l’11 settembre 1973, il giorno del colpo di stato militare, il ‘Golpe’. Come lo ha vissuto ?

Frequentavo il penultimo anno dell’Istituto superiore di Commercio e studiavo vendita e pubblicità. Al mattino c’era lezione di ginnastica, mi stavo cambiano e uno dei custodi mi ha detto: “Vai a casa, c’è il colpo di stato”. Nessuno, però, in quel momento poteva immaginarsi la dimensione di quanto stava accadendo, di quello che sarebbe accaduto. Per strade vedevi i militari e ti chiedevi chi era a favore e chi era contro. Sono andato alla sede della gioventù comunista del Cile. Lì mi hanno detto di andare verso Sud e sono partito a bordo di una Fiat 600 con i fogli degli iscritti, raggiungendo un quartiere periferico dove sono stato per alcuni giorni.

Dunque non è entrato subito in clandestinità sino a giungere all’espatrio ?

Mi sono reso conto che poteva diventare una mattanza soltanto nel giugno dell’anno successivo, il 1974. In un primo momento non ho avuto grossi problemi, ho fatto l’ultimo anno di scuola in un altro istituto. A giugno, sono entrato in clandestinità e questa fu la mia fortuna. Ero andato al cinema a vedere ‘Il fascino discreto della borghesia’ di Bunuel con una mia cugina che accompagnai a casa sua. Qui venni raggiunto da una telefonata  di mio padre che mi disse di non tornare. Nei mesi che seguirono conobbi tutte le case e tutte le classi sociali del Cile e, attraverso una organizzazione di solidarietà la Chiesa cilena prese contatto con l’Ambasciata italiana in Cile. Vennero create le condizioni perché saltassi letteralmente il muro. L’ho rivisto dopo 40 anni e mi sono chiesto: ma come ho fatto a saltarlo ? Di là però c’era la libertà. Poi mi vennero forniti i documenti e venni portato in aeroporto. Sono arrivato a Roma con un volo che è passato da Lima, New York e Francoforte. Sulla clandestinità vorrei aggiungere ancora che è una condizione terribile perché “Tu sei un essere umano inutile e dipendi economicamente dagli altri”.

Quando è tornato in Cile ?

Dopo il plebiscito del 1988.

Prima parlava del Partito Comunista Cileno. Ma è vera l’impressione che il segretario Luis Corvalan fosse più concreto, meno idealista di Allende nel portare avanti il programma di Unidad Popular ?

Corvalan, una delle sue figlie dipingeva con me. Era di origini contadine, un insegnante, persona molto a modo. Il Partito Comunista del Cile non frenava sul programma, ha sempre seguito il programma ed Allende sino all’ultimo giorno. Piuttosto si può davvero dire che Allende è nato troppo in anticipo. Lui parlava di una via pacifica al socialismo diversa dalla rivoluzione cubana. Ed è andato a toccare gli interessi della borghesia cilena che ha un potere economico immenso.

Come è stata la sua vita in Italia ?

Sono stato a Bologna, ho lavorato come operaro – rotativista alla Rusconi Editore, nei laboratori che effettuavano i rivestimenti per la Fiera di Milano quando era nella sua precedente collocazione in zona San Siro. E ho sempre continuato a fare murales in Italia, in Europa, in America Latina.

Adesso è cittadino italiano ?

Si. La cittadinanza l’ho presa tardi, anche se vivo qui da moltissimi anni. Ho aspettato che finisse la dittatura della giunta militare e dieci anni sono diventato cittadino italiano con la consegna dell’attestazione al Comune di Torino, dove vivevo. Poi, per varie ragioni ho scoperto Cantavenna, Gabiano e la Valcerrina, dove ho messo radici.

A proposito di rapporti tra Monferrato ed Ande, che rapporto ha con gli Inti Illimani ?

Sono rappresentante in Italia del gruppo musicale Inti Illimani Histórico. Nel 2022 torneranno in Italia, in particolare in Sardegna.

Per loro ha realizzato qualcosa ?

Ho contribuito con il disegno e parte della colorazione, insieme ad altri, alla copertina del loro quarto album, ‘Hacia la libertad’.

Ha conosciuto Victor Jara uno dei massimi esponenti della nueva cancion chilena, ucciso durante il Golpe ?

Victor lo conoscevo perché andava a mangiare dove c’era la sede della Brigada Ramona Parra. Era un uomo alto, gentile, di grande disponibilità verso gli altri.  Veniva preso in giro perché aveva sempre delle pulsantiere. SI pensava fosse un vezzo, invece era perché soffriva di reumatismi e le portava in lana cruda, ed anche in rame, perché eliminavano l’umidità.

Qual è il filo conduttore della mostra ‘Dalle Ande al Monferrato’ ?

Il connubio tra i due territori, le viti ed il vino, le montagne, i fiori. In Valcerrina ho anche realizzato alcuni pannelli che sono nel salone polifunzionale di Gabiano ed un murales a Mombello Monferrato.

Segno di un legame ormai fortissimo tra un artista di notevole caratura internazionale, la Valcerrina ed il Piemonte.

Massimo Iaretti