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CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 379

L’offerta culturale dei Musei Reali nel fine settimana. Mostre, visite guidate e nuove tecnologie

Prosegue l’attività dei Musei Reali, sempre più apprezzata da residenti e turisti che in questi giorni hanno affollato la città.

 

Da venerdì 29 aprile sarà possibile visitare la mostra Nel segno di Raffaello in Biblioteca Reale. Frutto di un approfondito lavoro di studio e progettata in occasione del cinquecentesimo anniversario della morte del pittore e architetto marchigiano, l’esposizione è volta a individuare all’interno del nucleo dei disegni italiani del ‘500 posseduti dalla Biblioteca, quelli riconducibili alla cerchia di Raffaello. Grazie ad un ricco apparato didascalico, contenente anche immagini di confronto, questa mostra conduce il visitatore alla scoperta dell’articolato mondo della tradizione disegnativa rinascimentale, fatta di citazioni, di copie e di lavori preparatori o studi per altre opere.

Informazioni: Nel segno di Raffaello – Musei Reali Torino (beniculturali.it)

 

Domenica 1° maggio torna l’iniziativa del Ministero della cultura Domenica al museo che offre l’ingresso gratuito ai luoghi della cultura statali ogni prima domenica del mese.

L’ingresso gratuito ai Musei Reali sarà concesso esclusivamente con prenotazione online all’indirizzo https://www.coopculture.it/it/poi/musei-reali-di-torino, a partire da mercoledì 27 aprile.

Le mostre Nel segno di Raffaello in Biblioteca Reale e Vivian Maier Inedita nelle Sale Chiablese saranno visitabili a pagamento, secondo le tariffe abituali.

 

Tra le principali novità, è visitabile la Galleria Archeologica, sezione permanente del Museo di Antichità dedicata alle civiltà del Mediterraneo antico, dove sono esposti oltre mille reperti di rara bellezza e inestimabile valore storico, raccolti in oltre quattrocento anni di collezionismo sabaudo. Un viaggio a ritroso nella Storia grazie a un affascinante percorso espositivo, suddiviso in cinque sezioni, articolato lungo dieci sale e allestito attraverso forme espressive contemporanee. L’ingresso al percorso è compreso nel biglietto ordinario dei Musei Reali.

 

Le novità digitali

Tra le novità che accompagnano la visita ai Musei Reali, l’inedita applicazione di gamification “MRT Play” è disponibile gratuitamente sui principali store. Ideata dai Musei Reali in collaborazione con Visivalab SL e il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo, nell’ambito del bando SWITCH_Strategie e strumenti per la digital transformation nella cultura, l’applicazione di realtà aumentata offre una nuova esperienza di fruizione innovativa e accattivante, per approfondire la conoscenza delle opere attraverso giochi e indovinelli, in compagnia di personaggi storici e professionisti della cultura.

 

Per visitare Palazzo Reale, la Galleria Sabauda e il Museo di Antichità con curiosi personaggi pronti a raccontare le loro coinvolgenti storie è disponibile l’Audioguida Kids, realizzata dai Servizi Educativi dei Musei Reali in collaborazione con CoopCulture. Lungo il percorso sono presenti dei QR-code da scansionare per ascoltare gratuitamente le tracce audio pensate per i giovanissimi visitatori, per un’esperienza di visita coinvolgente e divertente (età consigliata: 5/12 anni).

 

Le attività con CoopCulture

Sabato 30 aprile alle ore 11.00 e alle ore 15.30 appuntamento con Benvenuto a Palazzo. Le guide e gli storici dell’arte CoopCulture vi aspettano per accompagnarvi in una visita guidata alla scoperta delle sale di rappresentanza del primo piano di Palazzo Reale e dell’Armeria, un itinerario per scoprire o riscoprire la storia e la magnificenza di questo luogo.

Costo dell’attività: € 7 oltre al biglietto di ingresso ridotto ai Musei Reali (€ 13 ordinario, € 2 da 18 a 25 anni, gratuito under 18).

Biglietti online su Musei Reali di Torino | CoopCulture – e-mail info.torino@coopculture.it

 

Sabato 30 aprile alle ore 11.30 proseguono le visite dedicate ai possessori dell’Abbonamento Musei con la visita Tavole imbandite, un tour alla scoperta delle collezioni dei Musei Reali tra argenti, porcellane e cristalli per ricreare l’atmosfera di un tempo nelle splendenti sale di Palazzo Reale. Per informazioni e prenotazioni https://piemonte.abbonamentomusei.it/

 

È inoltre possibile prenotare una visita ai percorsi speciali dei Musei Reali:

– Venerdì 29 aprile alle ore 16 il pubblico potrà visitare i magnifici appartamenti della regina Maria Teresa al primo piano di Palazzo Reale, il Gabinetto del Segreto Maneggio e le suggestive Cucine Reali per rivivere gli antichi usi di Corte.

– Sabato 30 aprile alle ore 16: visita guidata al secondo piano di Palazzo Reale.

– Mercoledì 3 maggio alle ore 16: visita speciale al percorso Tavole imbandite.

Costo delle visite speciali: € 20 ordinario (€ 13 per Abbonamento Musei).

Biglietti online su Musei Reali di Torino | CoopCulture – e-mail info.torino@coopculture.it

 

Le mostre in corso ai Musei Reali

Dal 17 marzo al 17 luglio la Sala da Pranzo del Palazzo Reale ospita Splendori della tavola, inedito allestimento curato da Franco Gualano e Lorenza Santa, incentrato sul fastoso corredo da tavola in argento realizzato a Parigi da Charles-Nicolas Odiot per re Carlo Alberto. Commissionato nel 1833 e trasferito al Quirinale tra il 1873 e il 1874, comprende oggi 1832 elementi ed è annoverato tra le maggiori committenze delle Corti europee dell’epoca. I Musei Reali hanno inaugurato questo nuovo allestimento per celebrare i 161 anni dell’Unità d’Italia.

Il nuovo allestimento Splendori della tavola è compreso nel biglietto ordinario dei Musei Reali.

Oltre alla visita della Sala da Pranzo, inclusa nel normale percorso, è possibile ammirare altre suggestive tavole apparecchiate, con visite guidate su prenotazione.

Il percorso speciale Tavole imbandite è visitabile con CoopCulture.

Info e prenotazioni: Tavole imbandite | CoopCulture; 011 19560449; info.torino@coopculture.it

 

Fino al 26 giugno, le Sale Chiablese ospitano l’esposizione Vivian Maier Inedita con oltre 250 scatti, tra cui molti inediti, video Super 8 e oggetti personali della fotografa americana. Curata da Anne Morin, la mostra presenta anche una sezione dedicata alle fotografie che Vivian Maier realizzò nel 1959 durante il suo viaggio in Italia, in particolare a Torino e Genova. Dopo una prima tappa al Musée du Luxembourg di Parigi, l’esposizione arriva in Italia e ha come obiettivo quello di raccontare aspetti sconosciuti o poco noti della misteriosa vicenda umana e artistica della fotografaVivian Maier Inedita è organizzata da diChroma Photography e dalla Réunion des Musées Nationaux – Grand Palais ed è prodotta dalla Società Ares srl con i Musei Reali, con il patrocinio del Comune di Torino. L’esposizione è sostenuta da Women In Motion, un progetto ideato da Kering per valorizzare il talento delle donne in campo artistico e culturale.

Per informazioni: www.vivianmaier.it – 338 169 1652 – info@vivianmaier.it

 

La Biblioteca Reale

La Sala Lettura della Biblioteca Reale è aperta per le consultazioni dal lunedì al venerdì dalle 8.30 alle 15.15 ed è chiusa il sabato: dovranno essere prenotate con almeno 24 ore di anticipo scrivendo all’indirizzo mr-to.bibliotecareale@beniculturali.it, indicando tutte le informazioni disponibili per la richiesta. Per conoscere le modalità di accesso e registrazione consultare la pagina Orari e modalità di apertura della Biblioteca Reale – Musei Reali Torino (beniculturali.it).

 

Caffè Reale

Nella suggestiva Corte d’Onore di Palazzo Reale è possibile rigenerarsi con una pausa al Caffè Reale Torino, ospitato in una ambientazione unica ed elegante, impreziosita da suppellettili in porcellana e argento provenienti dalle collezioni sabaude. Informazioni e prenotazioni al numero 335 8140537 o via e-mail all’indirizzo segreteria@ilcatering.net.

 

Museum Shop

Per rimanere aggiornati sulle pubblicazioni dei Musei Reali e per dedicarvi un pensiero, il Museum Shop è aperto.

È disponibile anche online Musei Reali (shopculture.it).

 

Dal 1° aprile 2022 per l’accesso ai percorsi museali non è più richiesto il Green Pass (D.L. 24/03/2022 n. 24, art. 7).

 

“World Press Photo Exhibition 2022” Alla GAM di Torino l’anteprima italiana

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Il  più importante concorso di fotogiornalismo al mondo

Fino al 18 settembre

Abiti rossi dismessi e appesi a croci di legno, lungo una strada senza confini ingoiata da lugubri sterpaglie, appiattita sotto un cielo plumbeo e terrifico che recupera un briciolo di umanità nell’appena accennata parvenza di una timida forma di arcobaleno: è questo lo scatto realizzato dalla fotografa canadese Amber Bracken per il “New York Times” vincitore assoluto (i nomi dei premiati sono stati annunciati nel marzo scorso) della 66^ edizione della “World Press Photo Exhibition 2022”, il più importante concorso di fotogiornalismo a livello internazionale, nato ad Amsterdam nel ‘55. Foto dell’anno, l’opera vuole ricordare i bambini morti alla “Kamloops Indian Residential School” nella Columbia Britannica, chiusa nel 1978 e facente parte della rete di collegi per aborigeni in Canada, dove nel maggio del 2021 scavi effettuati con radar portarono alla luce i resti di 215 bambini, piccoli indigeni sottratti alle loro comunità, torturati fino alla morte e ignobilmente sepolti in tombe anonime.

 

Sorte comune per migliaia e  migliaia di bimbi, vittime innocenti (fra gli anni ’60 e ’80) del capitolo oscuro e vergognoso della storia e della politica coloniale del Canada. Nella foto scattata dalla Bracken “potevo quasi sentire la quiete, un momento tranquillo di resa dei conti globale per la storia della colonizzazione, non solo in Canada ma in tutto il mondo”. Queste le parole, a commento dello scatto “of the year” da parte della presidente della Giuria globale (dopo un primo lavoro di selezione fatto dalle giurie regionali), l’azerbaijana Rena Effendi. Compito arduo, quest’anno, quello dei giurati se si considera l’elevato numero di lavori, foto e open format, loro pervenuti: 64.823 i candidati, le opere da premiare sono state scelte fra 4.066 fotografi provenienti da 130 Paesi. E ben 134 sono quelle raccolte in mostra, in anteprima italiana, alla “GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea” di via Magenta 31 a Torino, fino al 18 settembre prossimo. Per il sesto anno consecutivo sotto la Mole, l’evento si deve all’impegno della start up pugliese “Cime”, partner della “World Press Photo Foundation” di Amsterdam e della “Fondazione Torino Musei”. Fra le foto esposte alla “GAM”, ovviamente le quattro vincitrici mondiali. Accanto alla succitata della canadese Bracken, troviamo il Premio “World Press Photo Story of the Year” andato a “Salvare le foreste con il fuoco” di Matthew Abbott, Australia, un lavoro realizzato per “National Geographic/Panos Pictures”.

Al centro del racconto, un rito degli indigeni australiani che bruciano strategicamente la terra in una pratica nota come “combustione a freddo”: i fuochi si muovono lentamente, bruciano solo il sottobosco e rimuovono l’accumulo di residui vegetali che possono alimentare incendi più grandi. Vincitore del premio “World Press Photo long-term project award”, invece, “Distopia amazzonica” di Lalo de Almeida, Brasile, per “Folha de São Paulo/Panos Pictures”. Mostra come la foresta pluviale amazzonica sia gravemente minacciata dalla deforestazione, dall’estrazione mineraria, dallo sviluppo infrastrutturale e dallo sfruttamento di altre risorse naturali.

 “Il sangue è un seme” di Isadora Romero, Ecuador, ha vinto la sezione video, “World Press Photo open format award”.  Attraverso storie personali, questo lavoro mette in discussione la scomparsa degli “antichi semi”, la migrazione forzata, la colonizzazione e la conseguente perdita di conoscenze ancestrali. Con Torino, la mostra andrà a toccare 70 sedi in 30 Paesi e si stima che sarà visitata da più di tre milioni di persone a livello internazionale. Lo scorso anno, nonostante gli effetti e le restrizioni della pandemia, “World Press Photo Torino” è stata la 17esima mostra più visitata in Italia (classifica stilata dal “Giornale dell’Arte”, aprile 2022): ciò ha permesso a “Palazzo Madama”, che ospitava l’esposizione, di essere il primo tra i musei torinesi nella classifica italiana (47° posto grazie a 23.696 accessi).

Gianni Milani

“World Press Photo Exhibition 2022”

GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna, via Magenta 31, Torino; tel. 011/4429518 o www.gamtorino.it

Fino al 18 settembre

Orari: dal mart. alla dom. 10/18

Nelle foto:

–       Amber Bracken: “Kamplos Indian Residential School”

–       Matthew Abbott: “Salvare le foreste con il fuoco”

–       Lalo de Almeida: “Distopia amazzonica”

–       Isadora Romero: “Il sangue è un seme”

In mostra il Giappone a colori

Con ben 170 xilografie alla galleria torinese Elena Salamon

Saranno le stampe giapponesi, in particolare 170 xilografie, le protagoniste di una mostra in programma dal
29 aprile al 4 giugno prossimo alla Galleria torinese Elena Salamon, in piazzetta IV Marzo. Con i loro colori
vividi e accesi, talora delicati e tenui, trasmetteranno al pubblico la poesia in esse contenuta.
Le stampe selezionate per l’esposizione sono il risultato di un’accurata ricerca. A maestri famosi come
Hiroshige e Hasui si affiancano artisti meno noti, capaci di raccontare eleganza e essenzialità di un Paese
che ha fatto della ricerca della perfezione lo scopo della sua estetica.
Non sono presenti in mostra soltanto paesaggi e la natura declinata in ogni sua forma, ma anche delicati
fiori, stampe di pattern per kimoni e paraventi che trasmettono, grazie alle loro molteplici forme e colori,
un profondo rispetto e amore per la terra.
Opera principe in mostra è quella intitolata “Cranes Flying over Waves, il volo della gru sopra la grande
onda”, realizzata da Hiroshige Utagawa (1797-1858), uno tra gli artisti più conosciuti presenti in mostra.
Si tratta di uno sei massimi rappresentanti della corrente dell’Ukiyo-e, letteralmente “mondo fluttuante”,
nata e sviluppatasi durante il periodo Edo, epoca di grande splendore artistico, compreso tra il XVI e il XVII
secolo.
Hiroshige, noto soprattutto per la sua bellezza cromatica, oltre che per la sua capacità di trasmettere il
sentimento della natura, fu uno degli artisti capaci di influenzare maggiormente gli Impressionisti. Sono
presenti in mostra, oltre all’immancabile Fuji, le baie, le barche, i pescatori immersi nella calma vita
quotidiana del villaggio. L’arrivo della sera viene raccontato attraverso uno straordinario arcobaleno, la cui
rappresentazione è affiancata da quella delle stagioni accolte e celebrate in ogni momento, come nella
festa di Tanabata, la festa dell’estate, in cui le prime luci dell’alba affiorano a Yoshiwara, il quartiere dei
piaceri di Edo. Colori predominanti il blu di Prussia e il turchese, declinati in infinite sfumature.
Tra gli artisti in mostra risalenti all’epoca Meij (1868-1912), uno dei momenti più movimentati della storia
giapponese, figurano Kono Bairei (1844-1895), legato alla tradizione classica, noto per le sue xilografie a
soggetto Kacho-e, riguardante fiori, piante e uccelli; Kodama Nagari, attivo dal 1850 al 1890, che realizzò
pattern per kimoni di grande modernità. Tsuda Seifu sin da giovane si affermò quale creatore di motivi
floreali e geometrici, mostrando uno stile che avrebbe presentato molti punti in comune con l’art nouveau.
È definita dello Shin-hanga l’ultima corrente artistica presente in mostra, che avrebbe dato vita al
movimento delle cosiddette “nuove stampe” o neo Ukiyo-e, di cui furono massimi interpreti Hasui,
Yoshida, Koson e Koitsu. Si tratta dell’inizio del periodo Showa, che si protrarrà dal 1926 al 1989, durante il
quale gli artisti Shin-hanga avrebbero creato uno stile capace di combinare soggetti tradizionali a un tratto
moderno ispirato sia dall’impressionismo sia dal realismo.
Le loro opere risultano immerse in una luce soffusa e sono capaci di trasmettere una visione romantica e
nostalgica al tempo stesso del Giappone, valorizzandone le radici rurali e l’architettura tradizionale, che
stava pian piano sparendo dal paesaggio urbano delle grandi città e di Tokyo.
I soggetti favoriti risultano essere la pioggia, la neve, le albe, i tramonti e le notti. Molto suggestivo il
riflettersi di questi elementi sull’acqua, momento nel quale raggiungono la massima espressione artistica.
Nel caso delle xilografie più elaborate venivano incisi fino a 25 legni diversi.
Mara Martellotta
Galleria Elena Salamon, via Torquato Tasso 11 (piazzetta IV Marzo) Torino
Orari di apertura
Martedì, mercoledì e venerdì dalle 15 alle 19
Giovedì e sabato dalle 10.30 alle 19 ( orario continuato)
Informazioni 0117652619

AMclub di Abbonamento Musei, la cultura in viaggio

Da aprile il programma AMclub di Abbonamento Musei si arricchisce di nuove ed entusiasmanti proposte che coinvolgono i musei della regione Piemonte e della Valle d’Aosta e che si abbinano alla scoperta del territorio. Originali visite come a Savigliano, tra il Musès Accademia delle Essenze e la Gipsoteca Calandra in compagnia di un counselor museale, o Castel Savoia a Gressoney, la dimora amata dalla Regina Margherita. E ancora il Castello di Borgo Adorno e gli studi d’artista in val Borbera, i musei di Ivrea o Vogogna, abbinato ai suggestivi scorci del lago di Mergozzo. Scopri il programma e iscriviti alle proposte di AMclub! Le prenotazioni sono aperte da martedì 29 marzo

Consulta l’elenco completo dei viaggi cliccando qui ->  https://www.lineaverdeviaggi.it/index.php?linea=08&option=com_content&view=article&id=7

LE PRIME DUEPARTENZE:

A CACCIA DI ESSENZE: IL MUSES – sabato 30 aprile 2022

DOVE L’INDUSTRIA DIVENTA ARTE – domenica 08 maggio 2022

Antichi rituali negli scatti di Eva Rapoport in mostra al MAO: ultimi giorni

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“Credere con il corpo nel Sud–est asiatico”

Fino al primo maggio 2022

Dalla “Jathilan”, danza-trance  praticata nell’isola di Giava (Indonesia) dai tempi dei tempi, in cui i partecipanti si dice vengano posseduti da spiriti ancestrali che consentono loro di manifestare una sorprendente invulnerabilità fisica, alla “Puja Pantai”, cerinonia annuale tenuta dai “Mah Meri”, un popolo indigeno della Malesia peninsulare, per placare gli spiriti del mare; fino al “Thaipusam”, festival della comunità “Hindu Tamil” sempre in Malesia, al “Festival vegetariano di Phuket”, durante il quale i medium vengono posseduti dagli spiriti e trafiggono i loro volti con oggetti di vario genere e al “Sak Yant Wai Kru”, cerimonia annuale praticata nella Thailandia centrale, durante la quale i portatori di tatuaggi sacri si riuniscono per ricaricare il loro potere. Sacralità, magia, visionarietà, immaginazione. Fuga dal reale per  guadagnare spazi non intelligibili. Sono cinque più che suggestivi i casi di “interazioni fisiche con mondi invisibili” raccontati attraverso venti scatti fotografici dalla ricercatrice e fotografa Eva Rapoport e ospitati al “MAO-Museo d’Arte Orientale” di Torino, in occasione della seconda edizione del “TOASEAN Culture Days 2021”, appuntamento unico destinato attraverso varie iniziative a far conoscere in modo approfondito sotto l’aspetto economico e culturale i dieci Paesi del Sud-est asiatico che compongono l’Asean, promosso dalla Camera di Commercio e dall’Università  di Torino insieme a “T.wai Torino World Affairs Institute” e ad Intesa San Paolo.

Nativa di Mosca (ai tempi dell’Unione Sovietica) la Rapoport ha vissuto a lungo nel Sud-est asiatico, ricercando credenze e pratiche di possessione spiritica soprattutto nell’odierna Giava e seguendo rituali e feste in tutta la regione documentate con quella forte curiosità e coinvolgente passione che troviamo ben chiare nelle sue opere e che l’hanno portata ad esporre in varie mostre internazionali, da Berlino a Bangkok a Chiang Mai, in Thalilandia.  “La prospettiva – sottolineano gli organizzatori della rassegna – di trasformare la religione in un ricordo del passato, tracciata dall’Illuminismo europeo e sostenuta per buona parte del XX secolo, non si è realizzata. Il Sud-est asiatico ce ne offre molte vivide manifestazioni: nei paesi dell’Asia orientale varie forme di credenze popolari e dottrinali, marginali o riconosciute dallo Stato, svolgono infatti un ruolo importante nella politica, nella cultura e nella vita quotidiana”“E se la secolarizzazione – concludono – non si è dimostrata una tendenza duratura, anche la parola scritta, che pure ha giocato un ruolo centrale nella trasmissione del sapere, viene ora messa da parte dalle nuove tecnologie, che hanno riportato in primo piano forme di comunicazione prettamente visive”. In questo contesto, dove l’oggetto delle credenze religiose e delle varie forme di misticismo è una “forza invisibile”, le forme di interazione con queste forze sono invece estremamente tangibili e si rivelano attraverso i corpi dei medium ai quali lo stato di possessione o trance consente di spingere sempre più lontano i confini di ciò che un corpo può sopportare: i piercing rituali, infatti, e l’automutilazione lasciano tracce profonde sui corpi dei fedeli, e al contempo segnano ( ed anche perseguitano) i ricordi di chi assiste a questi fenomeni. I devoti portano i segni della propria fede non solo nel loro cuore, ma anche sui loro corpi: teste rasate, tatuaggi sacri, cicatrici dei piercing rituali. La fede come sacrificio e trauma corporale. Segni e ferite che avvicinano al divino. Per arrivare a toccare i benefici dell’anima e dello spirito.

Gianni Milani

“Credere con il corpo nel Sud-est asiatico”

MAO-Museo d’Arte Orientale, via San Domenico 11, Torino; tel. 011/4436932 o www.maotorino.it

Fino al primo maggio 2022

Orari: dal mart. alla dom. 10/18 – giov. 13/21; lun. chiuso

Nelle foto, immagini da:

–         “Jathilan”

–         “Phuket”

–         “Sak Yant Wai Kru”

Bruno Molinaro, o l’antico innamoramento per la natura

“Maestri Reali”, alla Biblioteca Nazionale, sino al 6 maggio

“Beh, a me Molinaro piace. Mi piace la sua capacità di concentrarsi sulla “cattura” dei colori nella loro intensità. Mi piace perché sa alterare i colori smaglianti in forte contrasto fra loro, ai bianchi che dominano soffici, pressoché incontrastati, su tutta l’estensione del quadro. Mi piace per la sua tecnica sempre sofisticata, anche quando sembra voler dipingere schizzi approssimativi. Mi piace per le sue pennellate che condensano – nella forma visiva più semplice e per ciò stesso fortemente comunicativa – immagini, sensazioni e sentimenti sempre suggestivi.” Così scriveva Gian Carlo Caselli nel catalogo che accompagnava la grande personale, a palazzo Barolo, nel settembre del 2015, per i cinquant’anni artistici del pittore, sull’onda non critica ma dettata dalla forte amicizia che da anni lega due esseri umani. Da domani Bruno Molinaro (classe 1935, origini friulane prepotentemente affermate) è presente, con sedici opere, negli spazi della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino di piazza Carlo Alberto, in occasione del 300mo anno di fondazione, all’interno di “Maestri Reali”, una mostra organizzata da Guido Folco, presidente del Museo Miit di corso Cairoli 4. Una piccola personale, come lui sei altri artisti, a corona tutt’intorno una trentina di pittori.

 

Sì, Molinaro piace anche a me. Da anni, da quando l’ho conosciuto ad una mostra, per passare poi in quel suo studio in Crocetta, con una certa timidezza e con grande curiosità, dove tutto può apparire caos ma inquadrato nelle vecchie come nelle nuove tele, nei soggetti, nei colori, nelle catalogazioni, nei numeri che segnalano e ordinano. Una bicicletta e una valigia come primo benvenuto, un lato occupato dal cavalletto e da una tela bianca in attesa o già avviata, i pennelli e i tubetti di colore, poi le riviste, le locandine di tante occasioni – ha esposto in gallerie e palazzi torinesi, alla Promotrice e al Piemonte Artistico, in giro per l’Europa con Parigi e Atene, Lisbona e Bonn e Stoccolma, e per il mondo con Los Angeles e Istanbul, con Rio de Janeiro e Tokio e il Messico – e i riconoscimenti, tanti, tantissimi, un po’ più in là un tavolo e qualche sedia e un divano da occupare con gli amici. Alle pareti una cascata di colori, i suoi colori, soltanto una parte, piccola, oggi alla Biblioteca. Ed è con quei colori che Molinaro cattura, un bagaglio di impressioni visive e di ricordi, di angoli visti e immediatamente fatti propri: perché Molinaro è innamorato della natura (i ricami della “Galaverna”, gli autunni dorati, gli inverni di cui avverti il freddo o le “Prime nevi” che li annunciano, le nuvole bianche e soffici, grumi di cotone), con verità esprime quel legame che lo lega a lei, e quelle impressioni, al primo incontro, vengono a far parte della persona, della mente, degli occhi. Delle emozioni, afferrate e rese a chi guarda, le emozioni dell’angolo di un litorale o di un campo di lavanda, narrato e innervosito di pennellate violacee, della distesa giallastra della colza screziata dal verde che s’imbatte sul fondo nell’azzurro di un cielo sereno, di un panorama invernale attraversato dai corsi d’acqua ancora liberi o già ghiacciati, dove forse l’artista, nelle varie coniugazioni, raggiunge i maggiori momenti di poesia, della nebbia che sale e viene ad occupare con ordine questa o quella parte del terreno. Ci sono i suoi fiori, le sinfonie di rossi gialli azzurri intensi e verdi nelle differenti tonalità, espressioni della natura che sono lo specchio reale di quanto ci circonda ma altresì la vitalità e la soffusa sensualità della natura stessa. Si mescolano luci e colori e la tela si fa energia.

Sono quei tratti e quelle spatolate, principalmente gialle e aranciate, che si ritrovano in “Passione”, fitte, compatte, serrate in un unicum che pare dimenticare qualsiasi altro angolo ci possa essere all’intorno; è quella sospesa presenza del glicine nello specchio d’acqua che tra sottili arbusti e ninfee s’allunga “nel giardino di Monet” di Giverny, sono gli “Iris” – la copertina della mostra di Molinaro – in un carosello di bianchi e violacei più o meno profondi, dalle pennellate che pretendono spazio sulla tela, è l’azzurro di quel vasto mare immerso sotto il chiarore del cielo mediterraneo, su cui incombono la roccia bianca e un albero, disordinato dal vento e da quella sua solitudine, ogni cosa chiamata a ricreare “Il mio posto sul mare”. Non c’è soltanto la maestria di un artista, c’è a sovrintendere su ogni occasione, su ogni colore, su ogni composizione la sensibilità dell’uomo, l’intensità dello sguardo, quella magia che non lo ha mai abbandonato.

C’è la voglia ancora di sperimentare, ancora con i suoi colori. Appaiono ora (meglio, da qualche anno) come colori prosciugati, impregnati di una raggiunta essenzialità, quasi increspature che movimentano il dipinto, nervosamente schizzati, di grande dinamismo e giovinezza, vitali, distesi su cartoncini o su carta bagnata e poi raggrinzita, colori forse più tenui e aggressivi allo stesso tempo, messi a confronto con l’intelligenza di sempre, macchie, rivoli sanguigni, filamenti che cercano spazio e direzione sulla tela, tracce, una tecnica nuova, tempere che vogliono ricordarci uno spirito libero.

Elio Rabbione

Sede Espositiva: Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, piazza Carlo Alberto 3

dal 28 aprile (inaugurazione dalla 15 alle 16) al 6 maggio (ingresso libero, in ottemperanza alle direttive anti-Covid, green pass e mascherina, dal lunedì al venerdì dalle 12 alle 16)

Nelle immagini: “Papaveri e girasoli”, olio a spatola, 2000; “Lavanda”, olio a spatola, 2011; “Glicine nel giardino di Monet”, olio su tela, 2013; “Verde”, tempera su cartoncino, 2015

Shinya Sakurai: Terrific Colors

I fluttuanti “puzzles” cromatici del giovane artista nipponico in mostra alla “metroquadro” di Marco Sassone

Fino al 14 maggio

Opere cicliche. Dopo “Love ad Peace” “United Colors” (titoli volutamente echeggianti alle battaglie pacifiste anni Sessanta e alla celebre campagna pubblicitaria di Oliviero Toscani per Benetton) l’artista di origini giapponesi Shinya Sakurai porta a Torino, negli spazi della Galleria “metroquadro”, fino al prossimo 14 maggio, la sua ultima produzione – 13 dipinti a olio, acrilici e resine – presentata (con la curatela di Roberto Mastroianni) sotto il titolo “ambiguo” di “Terrific Colors”. “Ambiguo” se non recepito nell’accezione inglese di “terrific” come “eccezionale”. “Colori eccezionali”. In quanto “capaci di “esorcizzare il lato terrifico nascosto nella realtà”. Nato a Hiroshima nell’‘81 e laureato ad Osaka in Belle Arti (attratto dai Maestri “concreti” del “Gutai”) Shinya Sakurai si divide da anni fra l’isola di Honshu e Torino, dove studia “scenografia” all’“Accademia Albertina” e dove opera indifferentemente legando la sua ricerca artistica a soluzioni di intensa attualità stilistica riuscendo a coniugare, con suggestivi e originali risultati, un perfetto sincretismo fra oriente e occidente, tradizione e contemporaneità. Tradizione. Nel preparare le sue tele intingendo, ad esempio, nel colore il tessuto annodato con l’antica tecnica dello “shibori” (in auge nel periodo Edo) creando una sorta di fantasia astratta e “rituale” al replicarsi del suo segno che si concretizza – in una sorta di marea fluttuante – in cuori, bottoni, teschi, croci, lacrime e celle di colore. Contemporaneità. Nella reiterazione e moltiplicazione del gesto, in una spiccata tensione neo-pop e minimalista “anche se da intendersi – ebbe modo di scrivere Francesco Poli – in chiave non freddamente rigorosa ma pudicamente post-moderna”. Il colore per Sakurai è voce dell’anima. Mai fragoroso, ma morbido, accattivante. Poesia che scorre liquida sul piano della tela. In modo, per certi versi , molto simile a quella “tecnica a pois” che caratterizza la pittura della connazionale Yaoy Kusama, nell’obiettivo di “veicolare – scrive Roberto Mastroianni – messaggi di speranza e serenità che si contrappongono alla pesante eredità culturale propria di un artista che appartiene a una nazione segnata dalla tragedia di Hiroshima e Nagasaki”.

Colore che si concretizza con casualità mai del tutto casuale (e non c’è contraddizione in questo), ma anzi perfettamente rigorosa nel suo dettaglio di segno e di racconto tonale, in un “simbolismo iconico” assolutamente gradevole e di piacevole impostazione decorativa. Per Shinya, fare arte significa lasciarsi intrappolare nei congegni più misteriosi di automatismi in grado di portarci fuori dalle brutture del mondo. Dalle meschinità di giochi perversi matrici di infelicità volute, fortissimamente volute, dall’essere umano. L’arte come “mezzo per trasmettere messaggi di speranza in un mondo migliore, come visione poetica che inneschi in chi guarda i suoi dipinti un senso di serenità e di felicità”. Di qui parte il suo mestiere d’artista. E il suo desiderio di renderci partecipi, attraverso “terrific colors”, di quell’“ottimismo della volontà” che neppure davanti a catastrofi, come quelle occorse (generazioni fa, ma ancora brucianti nella carne) alla sua Terra, egli intende arrendersi e gettare la spugna. Tanti (forse troppi) i riferimenti artistici circolati intorno alla sua pittura, accostata – di volta in volta – ai lavori di Mario Schifano o ai “planisferi colorati” e ai “Tutto” di Alighiero Boetti, così come ai “cerchi e ovali” su sfondi solidi di Lawrence “Larry” Poons o ai “ready made” di Damien  Hirst. “Per fortuna – scrive ancora Francesco Poli – Shinya Sakurai assomiglia soprattutto a se stesso”. Concetto da sottoscrivere. Appieno.

Gianni Milani

“Shinya Sakurai: Terrific Colors”

Galleria “metroquadro”, corso San Maurizio 73/F; tel. 328/4820897 o www.metroquadroarte.com

Fino al 14 maggio

Orari: dal merc. al sab. 16/19

Nelle foto:

–       Il gallerista Marco Sassone con Shinya Sakurai e opere in mostra

L’attualità delle parole di Giorgio Gaber e la svolta del suo “teatro canzone”

Ci sono testi di autori che, anche se gli anni passano, rimangono miracolosamente attuali, come le parole finali di una bella canzone intitolata “Il grido” di Giorgio Gaber, “C’è  nell’aria un’energia che non si sblocca […]”

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Il diario “adulto” di Enrico Vanzina: 11 anni di vita italiana

Fra i volumi più letti, nel corso dei secoli, i diari occupano un posto significativo.

Sono diari, tutto sommato, le “Confessioni” di Sant’Agostino ed i “Saggi” di Montaigne, due dei libri più studiati ed amati di sempre, i “ Memoires” di Giacomo Casanova, il Diario dei fratelli Goncourt, testo imprescindibile per comprendere la controversa Francia ottocentesca, la raffinata ed estetizzante “À la recherche du temps perdu” di Marcel Proust.

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Armenia oggi, tra passato e futuro

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Una mostra sull’Armenia per ricordare il genocidio degli armeni nell’Impero ottomano durante la Prima guerra mondiale e per raccontare la storia di un popolo antichissimo con i suoi luoghi sacri, chiese e monasteri. È allestita al Polo del ‘900 in corso Valdocco 4/A fino al 15 maggio.

Una sezione della mostra fotografica, curata da Garen Kokcijan in collaborazione con il Centro Federico Peirone e la Fondazione Donat-Cattin, presenta fotografie e drammatiche testimonianze della deportazione della popolazione armena cristiana realizzate da Armin Wegner, ufficiale medico dell’esercito tedesco, alleato degli Ottomani, che documentò, rischiando la vita, il genocidio turco degli armeni nel 1915 mentre era in servizio nei territori dell’Impero. Le sue fotografie sono una chiara e drammatica testimonianza di quel che accadde all’inizio della Prima guerra mondiale in Asia Minore. Un milione e mezzo di armeni, e forse anche di più, furono sterminati dai turchi. Nella seconda parte della rassegna viene raccontata la storia dell’Armenia, si vedono monasteri e chiese armene, la natura selvaggia del Caucaso e gli antichi khachkar, croci di pietra dichiarate Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. L’esposizione è stata organizzata in occasione del Giornata della Memoria Armena che ogni anno viene celebrata il 24 aprile. Gli armeni l’hanno chiamato il Grande Male (Metz Yeghern) ed è la storia del genocidio turco degli armeni che tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento fece sparire oltre un milione e mezzo di armeni cristiani colpevoli solo di appartenere ad un’etnia diversa e a una religione di minoranza.
È una delle pagine più tragiche e meno conosciute del secolo scorso che riguarda la scomparsa di uno dei più antichi popoli della regione anatolico-caucasica. Uno sterminio di massa, una pulizia etnica che in una ventina di anni cancellò tutte le comunità cristiane che vivevano nell’Impero Ottomano, armeni in particolare, ma anche assiri e greci, deportati e uccisi con intere famiglie mentre chiese e scuole cristiane venivano date alle fiamme. Prima del 1915 gli armeni erano il 30% della popolazione, circa due milioni, e dopo la Grande Guerra sono rimasti appena l’uno per cento. Secondo gli ottomani le minoranze cristiane erano in grado di mettere in pericolo l’unità dello Stato attraverso rivolte appoggiate da interventi stranieri. Gli armeni erano in sostanza considerati una quinta colonna nell’Impero pronta ad aiutare nemici e invasori e pertanto da eliminare. Con questo pretesto gli Ottomani misero in atto un piano di pulizia etnica ideato dal sultano Abdul Hamid II nell’ultima decade dell’Ottocento, proseguito dal movimento dei Giovani Turchi e dal governo repubblicano di Ataturk. Tra il 1894 e il 1924 si contarono tra il milione e mezzo e i due milioni di cristiani uccisi da turchi, curdi, ceceni e arabi. L’arresto di centinaia di armeni il 24 aprile 1915 a Costantinopoli e in altre città dell’Impero diede il via alla persecuzione di massa che portò all’eliminazione del popolo armeno. Quel giorno è diventato la Giornata della Memoria Armena, la data ufficiale per la commemorazione dell’eccidio. Gli storici, e tra di loro anche qualche turco, parlano di genocidio vero e proprio e la documentazione non manca. La Turchia continua a negare il genocidio ma documenti, carte, appunti, le fotografie delle esecuzioni, diari, dispacci e telegrammi autentici con gli ordini da eseguire inchiodano i turchi alle loro gravissime responsabilità. La mostra è visitabile fino al 15 maggio al Polo del ‘900 in corso Valdocco 4 con orario 10-18.
Prenotazioni: 011 0883200 o reception@polodel900.it
Filippo Re