CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 376

La Storia rivive: 450° Anniversario della casamatta del Pastiss della Cittadella

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IL PASTISS. STORIA E PROSPETTIVE

La costruzione del Pastiss fu voluta da Emanuele Filiberto e avviata nel 1572 come esteso progetto, poi non completato,di integrare la difesa dei tre bastioni della Cittadella piùesposti alle offese rispetto a quelle lato Dora e Po.

Il contratto  per l’esecuzione della casamatta, progettata daFerrante Vitelli dentro il fossato del bastione San Lazzaro,risale al 25 gennaio 1572. L’opera, conclusa nel 1574, risultòmolto complessa, tanto da meritare la denominazione di“Pastiss” (pasticcio).

Il suo fronte esterno a profilo trilobato  eraformato da una spessa muraglia nella cui fondazione eraricavata una galleria di contromina con funzione didispersione dell’onda d’urto di una mina lungo i suoi 140metri di sviluppo ed espulsione dei relativi prodotti gassosiattraverso 15 pozzi aperti nella volta. Presentava all’internovari ambienti operativi, posti su due livelli e autonomamentedifendibili, da cui eseguire le azioni di fuoco a 360°, con lastessa tecnica dei moderni capisaldi. Il fronte di gola era,inoltre, dotato di cannoniere per il tiro rovescio per la difesavicina del fossato e delle muraglie del bastione San Lazzaro,col quale comunicava per mezzo di un’ampia galleria cheintegrava la difesa del fossato con apposite feritoie per fuocodi fucileria.

Dopo la demolizione della Cittadella nel secondo Ottocento,il Pastiss è stato utilizzato come discarica per i materiali dirisulta dei cantieri edili dell’epoca. Fu riattivato nella parte piùprofonda durante la 2^ G.M. come rifugio di protezioneantiaerea per gli isolati di corso Matteotti compresi fra corsoGalileo Ferraris e via Amedeo Avogadro e nuovamenteabbandonato nel dopoguerra.

Riscoperto nel marzo 1958 da Guido Amoretti e CesarinoVolante, dal 1976, dopo i primi interventi di recupero di alcune parti in maniera autonoma da parte dell’allora capitano Amoretti e i primi volontari del gruppo ricerche e scavi, a seguito di autorizzazione del Comune di Torino èoggetto di un cantiere permanente di scavo e recuperogestito dall’Associazione Amici del Museo Pietro Micca,coordinato per oltre 30 anni dallo storino Piergiuseppe Menietti e dalla Direzione del Museo Pietro Micca.

Nel 2014 i principali settori recuperati e ripuliti sono stati restaurati su progetto dello studio di architettura Sonia Bigando e Roberto Nivolo a merito di contributo ministeriale favorito dal Consiglio regionale del Piemonte. Una buona parte degli ambienti recuperati sono stati messi in  sicurezza e dotati degli impianti adeguati alla visita.


Nel
2018 è stato realizzato un regolare ingresso  sul marciapiede di via Papacino 1 al posto dell’originario tombino precedentemente utilizzato come ingresso di fortuna. Dotata di una scala a chiocciola a norma disicurezza, contestualmente con altri complementari lavori dimessa in sicurezza di un delimitato percorso interno dotatodi pannelli didattici, la fortezza è oggi periodicamente apertaalla visita pubblica su diretta gestione dell’AssociazioneAmici del museo Pietro Micca su prenotazione presso il museo stesso ai recapiti info@museopietromicca.it e 011 01167580.

Attraverso un nuove contributo della Regione Piemonte in occasione del 450° anniversario di costruzione della cinquecentesca casamatta, è stato progettato un nuovo intervento di ricerca archeologica e di restauro funzionale che permetterà di valorizzare ulteriormente il percorso di visita sia inglobando un altro settore della galleria di contromina nella fondazione con uno dei pochi pozzi di aerazione ancora efficienti sia permettendo uno straordinario sguardo d’insieme delle gallerie di contromina del 1706 e, soprattutto, l’ingresso della camera di combattimento bassa dalla quale entrò per la prima volta nel marzo 1958 il generale Amoretti alla scoperta del Pastiss.

Un interessante e nuovo sguardo sul patrimonio archeologico sotterraneo di Torino e su una struttura unica al mondo nel suo genere, che merita di essere valorizzata e soprattutto di diventare area museale permanente rientrando a pieno titolo nel museo Pietro Micca e dell’assedio di torino del 1706 assieme all’altra area archeologica del Rivellino degli Invalidi venuta alla luce nel 2015 durante i lavori del nuovo parcheggio sotterraneo di corso Galileo Ferraris e unica parte salvaguardata del patrimonio sacrificato alle esigenze della modernità.

Per dare evidenza alla significativa ricorrenza del 450° anniversario di costruzione del Pastiss, il generale Franco Cravarezza, direttore del museo Pietro Micca, è orgoglioso di annunciare che quest’anno il museo Pietro Micca proporrà un nutrito programma di eventi a partire dal 25 gennaio per celebrare l’anniversario e valorizzare il patrimonio sotterraneo della Città con eventi, conferenze, progetti di restauro e tecnologici e, si spera, anche significativi passi per la istituzionalizzazione museale del Pastiss.

Tra i progetti già programmati, di seguito due particolari.

Il primo a inizio febbraio sarà la realizzazione di una speciale visita virtuale del Pastis nell’ambito del progetto VADUS, collaborazione tra Comune di Torino (Torino City Lab), ESA, TIM, ENEA e Università La Sapienza di Roma.

Il secondo progetto, relativo al recupero archeologico e funzionale del pozzo di aerazione all’interno del percorso di visita, andrà in porto entro aprile pv.

La prima attività, il 25 gennaio 2022.

Dopo una breve inaugurazione dell’anniversario, dalle ore 11 alle 17,30 la cinquecentesca fortezza del Pastiss sarà aperta alle visite gratuite.

Obbligatoria prenotazione a eventi@museopietromicca.it e 011 01167580 e necessario green pass rafforzato e mascherina indossata. Non idoneo per portatori di disabilità motoria.

IL DIRETTORE DEL MUSEOPIETRO MICCA

Gen. Franco Cravarezza

Sanremo, anticipazioni sulle canzoni in gara

Mancano pochi giorni all’avvio della manifestazione canora più seguita in Italia che, da oltre settant’anni, tiene inchiodati gli amanti delle canzonette davanti al televisore. Massimo segreto sulle canzoni in gara, pena l’espulsione dalla gara; ma noi siamo riusciti a carpire i segreti dei concorrenti e ve li proponiamo per prepararvi bene all’evento…

AKA7EVEN
Ma dove l’ha trovato il nome, in un cruciverba? Canta PERTETTA COSI’, forse pensando a Belen RFodriguez…

MICHELE BRAVI
Schizzato fuori dalle pagine dei Promessi Sposi si esibisce con L’INVERNO DEL FUORI, prima canzone dedicata all’elogio degli iscritti all’associazione che raggruppa i “diversamente sessuati”.

DARGEN D’AMICO
Sfigatissimo nome, destinato a svolgere il ruolo di eterno secondo, con medaglia d’argen anziché d’or; canta DOVE SI SBALLA, scritta in una discoteca dove la Coca gira più della Pepsi…

DITONELLAPIAGA CON RETTORE
Chissà se riuscirà ad esibirsi dopo la denuncia dei rettori universitari che non vogliono essere considerati un dito nella piaga? Peccato per la sua CIMICE, originale inno ai pidocchi.

ELISA
La bisbisnipote di Mona Lisa si esibisce con O FORSE SEI TUC, un bel ritornello ispirato al noto cracker belga.

EMMA
La ragazza, elettricista mancata (il padre, grossista di lampadine, avrebbe voluto che si laureasse in elettrodinamica, ma lei ha preferito cantare) partecipa con il toccante OGNI VOLT E’ COSI’, ispirato agli studi prematuramente abbandonati.

GIUSI FERRERI
L’ex commessa, oggi star della musica italiana, punta alla vittoria con MELE, una smaccata pubblicità dei prodotti della Val di Non di proprietà di suo zio.

HIGHSNOB & HU
Non si sa da dove vengano, chi siano, dove vadano… Cantano un piacevole refrain dedicato al rito inglese delle cinque del pomeriggio, ABBI CURA DEL THE

IRAMA
Originario dell’Indostan arrivato in Italia insieme al fratello Diorama, ingegnere specializzato nella creazione di modellini. Ossessionato dalla moglie Sarah, ha scritto OVUNQUE SARAH.

LA RAPPRESENTANTE DI LISTA
Fuggita dal seggio elettorale di Cantù dopo l’annullamento delle elezioni comunali, la ragazza ha composto MIAO MIAO, prendendo spunto dai versi del suo amato micio cinese, Miao Tse Tung.

ACHILLE LAURO
Erede del grande armatore napoletano canta DOMENTICA, canzone dedicata ai malati di Alzheimer

LE VIBRAZIONI
Un trio che ha dovuto cambiare la denominazione originaria di I VIBRATORI, considerata troppo osé. Il loro brano s’intitola DANTISSIMO e celebra i 700 anni dalla morte dell’Alighieri.

MAHMOOD E BLANCO
Accoppiata tra un allevatore di mammuth ed un coltivatore di Prosecco che hanno scritto BRIVIDI sotto l’effetto del COVID 19

ANA MENA
Discendente di Ana Coreta, eremita siriano del II secolo, canta DUECENTOMILA ORE, la versione “giga” di Ventiquattromila baci di Mina. Ma non c’è confronto!

GIANNI MORANDI
Il sempreverde arriva con APRI TUTTE LE MORTE, un testo horror ispirato ad un medico legale che da 30 anni fa autopsie su cadaveri di donne all’istituto di medicina legale di Bologna.

FABRIZIO MORO
Il suo più illustre antenato era Ludovico Moro, che si rivolta nella tomba pensando ad un discendente così. Si esibisce con SEI TUC, con l’obiettivo di fare concorrenza a ELISA (vedi sopra).

NOEMI
Storpèiatura del cognome del nonno, Feliciangelo Poemi, grande scrittore autore di numerosi canti eroici. Più modestamente lei ha composto TI AMO NON LO SO LIRE, uno struggente testo in cui si rimpiange la vecchia moneta italiana.

MASSIMO RANIERI
Altro sempreverde che presenta LETTERA DAL MARE, ispirata ad una storia vera, un a lettera spedita da un focoso siciliano di Alcamo all’amata abitante a Bressanone e pervenuta alla giovine tanto desiderata solo 50 dopo, per i solito disguido delle poste. La ragazza nel frattempo si era sposata con uno shutzen tirolese…

RKOMI
Altro impronunciabile… Ma è giustificato, proviene da una famiglia di sherpa nepalesi. La sua canzone IN SU PER ABILE descrive gli sforzi di un alpinista che vuole aprire una nuova via sul Kanchenjunga.

MATTEO ROMANO
Con un nome così, non potrà mai vincere, troppo banale di questi tempi, non poteva scegliere Kikazzé o Brumbrum? Nessuna speranza per la sua VIRALE, motivetto che trae spunto dalla pandemia.

SANGIOVANNI
Dopo il Battista e l’Evangelista ecco il Sanremista, arrivato al Festival per cantare FAR FALLI un allegro motivetto che coindanna i calciatori più fallosi del campionato di calcio italiano.

TANANAI
Canta CESSO OCCASIONALE, ritornello ispirato agli effetti del confetto Falqui, su testo del Generale Cambronne; insomma, una cagata…

GIOVANNI TRUPPI
Cantautore noto negli ambienti militari che presenta un testo dedicato alla famiglia TUO PADRE; TUA MADRE, TUA ZIA.

YUMAN
Fuggito dallo Yemen canta ORA È QUI, primo pezzo di una trilogia che comprenderà nelle prossime edizioni ORA E’ QUA e poi ORA E’ QUO, dedicata ai nipotini di Paperino.

IVA ZANICCHI
Più che sempreverde, l’ideatrice dell’Imposta sul Valore Aggiunto passa dal fisco all’agricoltura con la delicata VOGLIO ARARTI dedicata ad un giovane coltivatore di mais del Salento. Pare che fra loro ci sia del tenero (grano tenero, ovviamente…).

Gianluigi De Marchi

Gabriele Galantara. Satira, editoria e grafica

Venerdì 21 GENNAIO alle ore 17,30 al Centro “Pannunzio” in via Maria Vittoria 35H, Dino Aloi e lo storico Pier Franco Quaglieni in dialogo con l’autrice, presenteranno il libro di Emanuela Morganti “Gabriele Galantara. Satira, editoria e grafica (1892 – 1937)”, Pacini Editori. Un ritratto a tutto tondo di un artista poliedrico, la cui sterminata produzione figurativa spazia dall’illustrazione alla caricatura, dalla grafica propagandistico – pubblicitaria all’editoria, famoso per essere stato il fondatore, con Guido Podrecca, del settimanale satirico “L’Asino”.

‘Les Italiens de Paris’: artisti diversi, ideali comuni

In mostra al Museo Accorsi Ometto

 

All’avventura parigina di Giorgio De Chirico, Alberto Savinio e “Les Italiens de Paris”, è dedicata la mostra ospitata al Museo torinese Accorsi Ometto e prorogata fino al 27 febbraio prossimo.
Nel 1928 prendeva corpo, sotto gli auspici di Waldemar George, al Salon d’Escalier di Parigi, il gruppo des Italiens de Paris, di cui facevano parte Giorgio De Chirico, Alberto Savinio, Mario Tozzi, Filippo De Pisis, Rene’ Paresce, Gino Severini e Massimo Campigli. Da allora il gruppo fu presentato in diverse esposizioni, fino all’ultima tenutasi alla Galerie Charpentier di Parigi. Sono stati proprio “les Italiens a Paris” a rubare la scena ai pittori francesi che li soprannominavano “metechi”. Questi artisti sono stati capaci, infatti, di fondare e contribuire a creare generi e innovare le avanguardie. “Les Italiens” arrivarono a Parigi ciascuno per conto proprio e nel 1928 si riunirono intorno a Mario Tozzi per la prima mostra collettiva del gruppo, suscitando l’ammirazione dei colleghi e le critiche dei detrattori, soprattutto da parte della cosiddetta “accademia francese, che guardava con sospetto tutti quegli artisti stranieri che rubavano la scena ai francesi. Esisteva un sottile fil rouge che univa questi artisti, seppur diversi tra loro, vale a dire l’identità del classico e la stessa idea di una pittura mediterranea e metafisica. Les Italiens erano consapevoli del fatto che, dopo le avanguardie, l’artista dovesse tornare a essere un maestro, ma anche un uomo di pensiero e un intellettuale moderno, come ai tempi del Rinascimento, cambiando tecnica e stile. Accanto a loro Rene’ Paresce, di cui sono presenti opere nella mostra al Museo Accorsi, svolse un ruolo di tramite con la cultura dell’Ecole de Paris, la grande scuola che a Parigi accomunava i pittori apolidi.
L’esposizione al Museo Accorsi, curata da Nicoletta Colombo e Giuliana Godio, riesce in modo efficace a restituire, attraverso una settantina di opere, quel clima artistico dialogante e provocatorio che era presente negli anni Venti e Trenta del Novecento a Parigi, capitale di un crocevia spazio temporale irripetibile e unico.
Il titolo della mostra si ispira a quello dell’autobiografia scritta da Gualtiero di San Lazzaro, celebre scrittore e critico d’arte emigrato a Parigi, appunto “Parigi era viva”, in cui vengono narrate la vita e le vicende lavorative di Matisse, Picasso e Les Italiens.
Di Alberto Savinio, fratello di Giorgio De Chirico, è dedicata,come al secondo artista, un’intera sala della mostra. Savinio, approdato a Parigi nel 1911 e divenuto molto amico del poeta Apollinaire, vi sarebbe ritornato verso la fine degli anni Venti, esponendo in una personale alla galleria Bernheim, con presentazione del catalogo di Jean Cocteau. Sono, questi, gli anni del surrealismo in cui Savinio socializzo’ con Breton e compagni, frequentando gli altri pittori italiani a Parigi, tra cui De Pisis, Campigli, Gino Severini. Nel ritratto del madre, dipinta accanto a una figura scultorea dell’antichità, emerge il concetto di incomunicabilità tra passato e presente. Il sentimento della nostalgia nei confronti dell’infanzia da parte di Savinio si delinea nell’opera “Tomba di un re moro”, in cui l’aggettivo, in greco, riporta alla figura del bambino. Il pittore, che fu anche critico, musicista e scenografo, fa emergere anche il suo amore per il tema della metamorfosi nell’opera “Penelope” e il suo legame per il teatro nell’opera intitolata “La notte del Re Salomone”. Nel dipinto dal titolo “La fille de la statue” Savinio crea una commistione di antico e moderno, mettendo a confronto il mondo borghese con la cultura classica.
Nelle opere presenti in mostra del fratello di Savinio, Giorgio De Chirico, si ritrovano, accanto all’Autoritratto, rimandi metafisici, presenti nei dipinti intitolati “Le cabine misteriose” del 1934, “Le muse” o “Le muse in villeggiatura” del 1927.

 

Di Massimo Campigli l’esposizione propone opere di soggetto femminile con riferimenti a modelli etruschi, quali quelle intitolate “Le educande”, degli anni 1929-’30, e rupestri (“Le arciere” del 1933). La figura femminile, con rimandi a quella della madre, è sempre al centro delle sue opere.
L’artista Filippo De Pisis a la sua arte pittorica frammentaria si trovano nella quarta sezione della mostra; egli mette in scena nature morte e paesaggi colti con tratto veloce e scattante, in cui l’uso sapiente dei neri e dei grigi, degli azzurri polverosi, si alterna alla luminosità del colore, creando una narrazione audace e neometafisica.
Protagonista della quinta sezione è l’artista e fisico Rene’ Paresce, di nascita ginevrina, di cui è esposto il melanconico Autoritratto del 1917 che segnala, attraverso lo smarrimento dello sguardo, il disorientamento dovuto al transito storico drammatico che si stava compiendo. Della sesta sezione è protagonista Gino Severini che, in scenografie neopompeiane, inserisce personaggi tratti dalle commedie dell’arte come Pulcinella, Colombina e Arlecchino, che diventano protagonisti di temi amorosi, musicali e poetici.
A concludere la mostra Mario Tozzi che, a partire dal 192, maturo’ l’idea di diffondere la conoscenza dell’arte pittorica italiana in Francia organizzando un’esposizione. Le sue opere artistiche, prodotte tra il 1929 e il 1930, compongono un universo ricco di figure archetipi, al tempo stesso realistiche e idealizzate.

Mara Martellotta

Fondazione Accorsi Ometto
Via Po 55 Torino
Orario mercoledì-venerdi 10-18; giovedì 10-21, sabato e domenica 10-19, lunedì chiuso
Mostra con visita guidata giovedì ore 19, sabato domenica ore 11 e 17.30

Il nuovo sentimento per il giovane arabo: riparte la stagione dei Marcido

Da stasera, nello spazio di Marcidofilm di corso Brescia 4bis

Si riparte. Si prova a ripartire. A elencare un calendario teatrale che, pandemia permettendo, possa reggersi in piedi, al di là di interruzioni o chiusure, con ogni sua forza. C’è la passione, c’è la raffinata bravura, c’è la caparbietà di un gruppo ma a volte ogni cosa è insufficiente. I teatri si chiudono, i teatri vanno (?) chiusi, con il rischio assurdo di mettere un tappo alla cultura e soffocarla. Dopo una settimana di applauditissime repliche al Gobetti con “Memorie dal sottosuolo”, merito soprattutto della prova di Paolo Orrico, per cui il termine perfezione non è sprecato, dopo una trasferta milanese, i Marcido (Marcidorjs e Famosa Mimosa: ma da sempre e per tutti, i Marcido) tornano alla loro tana, al luogo d’elezione, alla casa madre di corso Brescia 4bis, al loro Marcidofilm, al loro minuscolo quanto agguerrito teatro in formato bonsai, pronti a riaprire i battenti per una nuova avventura.

Da gennaio a maggio, le novità e la riprogrammazione degli spettacoli che non sono potuti andare in scena nelle scorse stagioni, a causa della chiusure dei teatri per l’emergenza sanitaria. Il debutto è affidato stasera (repliche sino al 30 gennaio) a Maria Luisa Abate, per l’adattamento drammaturgico e la regia di Marco Isidori, con “L’importante è che ci sia qualcuno: Vaduccia”, tratto da “L’amante” dello scrittore israeliano Abraham B. Yehoshua cui la compagnia ha lavorato durante il lockdown. La vicenda – ambientata in una Haifa attraversata dalla guerra del 1973, tra i sogni e i desideri dei tanti protagonisti, le loro personali aspettative – narra di una novantasettenne ebrea che, come risvegliatasi da una malattia colpevole d’averla privata di ogni “consapevolezza vitale” e resa un minerale, “una pietra” come afferma lei stessa, si ritrova a condividere il vivere quotidiano con un ragazzo arabo. Gli inizi sono costruiti sul reciproco sospetto, il presente di divisioni non s’addice alle relazioni, ma con il passare del tempo, specialmente da parte della donna, si giungerà persino alla gioiosa scoperta della costruzione di un sentimento amoroso. Una vicenda odierna che, anche complice la lingua che ne tesse i caratteri e le azioni, dice Isidori, “ci ha portato verso la realizzazione di uno spettacolo dove la performance dell’attrice (una straordinaria Maria Luisa Abate) s’avvita con fatale inesorabilità, in un parossismo non solo interpretativo, ma anche “fonico”, andando verso quella “compiutezza” teatrale, che è stata, e che ancora vogliamo continui ad essere, uno dei cardini della ricerca scenica dei Marcido”.

La stagione vedrà ancora “Vecchio oceano” da “I canti di Maldoror” di Lautréamont e “Specchio a due facce: Eschilo e Petrolini in un’unica invocazione; il riallestimento dello storico “Happy days in Marcido’s field”, una nuova edizione di “Giorni felici” di Beckett, ad aprile “una serata con il poeta Roberto Mussapi”. La stagione si chiuderà con una nuova edizione de “L’avaro” di Molière, anche banco di prova per due giovani attori formatisi nel Laboratorio dei Marcido.

e.rb.

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Chiara Gamberale “Il ventre paterno” – Feltrinelli- euro 18,00
L’inizio di questo 15esimo romanzo della scrittrice romana vi affonda immediatamente una lama nel cuore. A parlare è il piccolo Rocco di 9 anni la cui famiglia in paese è chiamata i “Senzaniente”. Conosciamo subito la sua disperata povertà, quando il bimbo implora la bottegaia di dargli un po’ di latte per la madre che ha appena partorito il fratellino e ha i seni secchi. Non otterrà nulla e la mamma morirà di stenti e fame 3 giorni dopo.
Quel bimbo poi ha avuto il suo riscatto: ha sgobbato duramente ed è diventato ricco proprietario di un supermercato, ma la ferita di quella miseria se la porterà dentro per sempre.
22 anni dopo sarebbe diventato il padre della protagonista di questa storia, la 39enne Adele e il legame tra i due è strategico nella storia. Perché anche dal grembo paterno impariamo a chiedere e ricevere amore.
Rocco ha cresciuto i figli nel culto del dovere ed è stato inflessibile in questo dictat che è anche il suo modo di esplicitare l’affetto. La primogenita Adele è legatissima a quel padre che è stato il suo primo grande amore. Lei, venuta al mondo al posto dell’agognato maschio, ha assorbito tutte le alte aspettative paterne ed è cresciuta trovando forza in quell’amore che l’ha fatta sentire unica e con un posto speciale nel mondo affettivo di Rocco.

E’ diventata una donna indipendente, anche se si sta barcamenando in una fase lavorativa incerta. Negli anni 90 aveva partecipato a un reality insieme ad altre ragazze ricoverate come lei per gravi disturbi alimentari; la notorietà le aveva garantito la conduzione di un programma televisivo intitolato con un gioco di lettere
“L’adelescenza”.
Ora alla soglia dei 40 anni la fase adolescenziale sembra abbondantemente superata e il programma sta per passare in mani più giovani.

A un primo sguardo Adele pare sapere cosa vuole dalla vita e non avere problemi nell’andare a prenderselo. Anelava ad essere madre e lo è diventata con l’inseminazione artificiale; ora è genitrice single della piccola Frida…ma non tutto fila liscio.
A poco più di 2 anni la piccola sembra inciampare nelle parole e Adele si rivolge al neuropsichiatra infantile Nicola Attanasio. Grande affabulatore, sposato e con figli, narcisista che si ammanta di parole scarnificate di significato.

Eppure fa breccia nella corazza di Adele e i 2 diventano amanti. Lui non sembra intenzionato a lasciare la famiglia. Adele finisce per essere una sorta di postulante che implora brandelli di amore, scampoli di tempo ritagliati grazie a bugie e sotterfugi.
Una storia che diventa dolore per Adele che ancora si dibatte nel conflitto adolescenziale tra l’Adele grassa e quella magra: conflitto interiore tutt’ora irrisolto che la vede oscillare tra le due versioni di se stessa a seconda di situazioni e stati d’animo.

Un’empasse che riporta a galla anche i non detti della famiglia di origine di Adele, che le aveva inflitto una delle violenze più subdole possibili. Quella sottile e quotidiana della madre Teresa e del padre Rocco che pur non stando bene insieme ci erano rimasti nonostante l’incombere dell’amante di lui, Rita.
Insomma un romanzo che concentra più piani narrativi e temporali e mette a nudo i buchi dell’anima che possono frenare la felicità delle persone, svela come sia più capace di amore il silenzioso Rocco del verboso Nicola e parla di una maledizione che da economica si fa esistenziale.

 

Dominique Fortier “E tutt’intorno il mare” -Alter Ego- euro 16,00
La 49enne canadese Dominique Fortier è scrittrice, editor e traduttrice, vive a Montreal, nel Quebec, ed ha vinto il prestigioso premio del governatore generale per la narrativa in lingua francese. E’ l’autrice del profondo “Le città di carta” in cui raccontava la vita della poetessa Emily Dickinson attraverso i luoghi, le passeggiate e le poesie. Soprattutto è un’autrice di raffinata sensibilità che vanta uno stile unico, efficace, che va dritto al cuore.
“E tutt’intorno il mare” è un piccolo gioiello che omaggia i libri e l’importanza delle parole, in cui si intrecciano due storie in epoche e clima diversi, a 600 anni di distanza una dall’altra.
Una è quella del pittore Éloi, l’altra quella di una madre che ama giocare con le parole e non rinuncia alla scrittura.

La maestosa abbazia di Mont-Saint- Michel (edificata nel 708 per volere del vescovo Oberto sull’isolotto del Mont-Tombe e da allora luogo di preghiera) lambita dall’affascinante fenomeno delle basse e alte maree che la rendono unica, fa da fil rouge tra la vita dell’autrice e quella di un pittore del 400.
E’ Éloi Leroux, ritrattista innamorato pazzo della giovane nobildonna Anna che deve ritrarre per il marito. Tra i due sarà amore e passione segreta, solo che la fanciulla muore stroncata dalla febbre…e per Éloi si spegne la luce.
Disperato, viene accolto dal cugino Robert, frate superiore dell’Abbazia che vanta una delle biblioteche più prestigiose dell’epoca. In quel luogo di pace profonda il giovane che neanche sapeva leggere, impara a conoscere i volumi, la vita monastica, un erbario tra i più ricchi d’Europa, la laboriosità minuziosa dei frati amanuensi, e cresce in bravura come miniatore.

Circa 600 anni dopo, la scrittrice divenuta madre fatica a conciliare il nuovo ruolo con la passione per la scrittura e si interroga sull’attrazione per quel luogo: «Per molto tempo ho cercato di capire perché il Mont-Saint- Michel mi avesse fatto un’impressione così forte. Certo è maestoso, superbo, grandioso; ma perché mai, nella mia testa, la scoperta che ne feci era legata al bisogno, o più esattamente alla possibilità di scrivere?».
Ed ecco pagine in cui si mischiano invenzione letteraria e riflessioni personalissime, argomento storico e considerazioni sulle ricerche per il libro, sulla scrittura dopo la maternità.
La Fortier architetta un gioco sottile e abile; accosta i due percorsi del romanzo, legati entrambi a una rivoluzione, cercando sottili coincidenze tra loro. L’invenzione e la diffusione del libro a metà del XV secolo, e il cambiamento fondamentale nella vita di chi diventa genitore. Ecco dove si incontrano le due anime profonde di questo libro; passato e presente soffusi di immensa poesia.

 

Mariana Enriquez “La nostra parte di notte” -Marsilio- euro 22,00

E’ un corposo libro ambientato in un’Argentina sospesa tra la dittatura di Videla e occultismo, ricca di atmosfere gotiche e fantastiche. Inizia con il viaggio che fanno nello sterminato paese sudamericano un padre e un figlio, entrambi con sorprendenti doti da medium.

Il padre si chiama Juan Peterson ed è il medium di una società segreta devota al Culto dell’Ombra; ma anche parecchio vicina a un circolo di affari legato alla dittatura. Sia lui che il bambino sono in grado di convocare gli spiriti davanti alla società votata all’Oscurità, che rincorre la vita eterna anche praticando rituali di sangue, compreso il sacrificio umano. A quella apparteneva Rosario, la moglie defunta di Juan e madre di Gaspar.
Juan è bellissimo, ha occhi di un verde magnetico e doti eccezionali che lo mettono in contatto con l’al di là; ma non ne è per niente contento, anzi è stremato dalla sua vita al limite e preoccupato che la stessa sorte possa toccare al suo piccolo. Così seguiamo le vicende dei due in fuga, da Buenos Aires alle cascate di Iguazú, al confine brasiliano.

E man mano che procediamo nelle pagine ricostruiamo la vita dei protagonisti e di un corollario di personaggi.
Rosario, prima donna argentina laureata a Oxford, diventata antropologa, apparteneva a una delle dinastie più potenti dell’Argentina, i Reyes Bradford di origini britanniche; legati alla dittatura e praticanti culti esoterici per mantenere il potere. Si scopre che lo zio medico di Rosario aveva ripetutamente salvato la vita a Juan, fin da bambino afflitto da una grave malformazione cardiaca; più che altro aveva capito i suoi straordinari poteri e controllando il piccolo avrebbe potuto usarli per i suoi fini.

Mariana Enriquez, una delle voci più interessanti della letteratura portena, ci conduce in una grande saga fantastica, tra poteri misteriosi, foreste, campi disseminati di corpi e prigioni clandestine. Narrazione visionaria e sensuale, tra realismo magico e la realtà storica di un periodo drammatico della storia del paese sudamericano.
D’altra parte l’infanzia della scrittrice -nata a Buenos Aires nel 1973- è coincisa con la dittatura; e anche se lei era piccola, è inevitabile che la drammatica storia dei desaparecidos e della dittatura si affacci nelle sue strepitose pagine.

 

Paula Hawkins “Un fuoco che brucia lento” -Piemme- euro 19,90

La scrittrice nata in Zimbabwe, trapiantata a Londra dove è stata a lungo giornalista; dopo il bestseller internazionale “La ragazza del treno”, ora ci catapulta in una fitta rete di inganni, vendette e efferati omicidi.
Tutto ha inizio a Londra, su Regent’s Canal dove su una casa galleggiante viene scoperto il cadavere di un ragazzo brutalmente assassinato.
E’ Daniel Sutherland, rampollo caduto in disgrazia e finito a vivere su una casa galleggiante. I sospetti si concentrano su 3 donne.
Una è la vicina Miriam che scopre il cadavere, dà l’allarme ma tiene per se informazioni importanti.
Laura è invece la ragazza con cui la vittima ha trascorso l’ultima notte; ha un passato difficile, da bambina ha subito un pesante trauma, è in gravi difficoltà emotive ed economiche e vive isolata e senza affetti.
Poi c’è la zia di Daniel, Carla, anche lei gravata da un dolore mai metabolizzato.
Le tre donne non si conoscono ed appartengono a differenti strati sociali, ma hanno un fondamentale tratto comune: hanno subito un grave dolore che ne ha stravolto le vite, e covano in silenzio un rancore pronto ad esplodere.
Le loro storie si incrociano per caso e il lettore viene condotto nelle loro vite private, sospese tra passato e presente, tra molteplici scheletri negli armadi che movimentano parecchio la trama.

La Hawkins imbastisce una trama in cui si avvicendano continui colpi di scena, salta fuori un gigantesco castello di bugie, segreti, verità indicibili e sogni di vendetta.
E su tutto aleggia una domanda: per quanto tempo si riesce a mantenere un segreto difficile prima che venga smascherato e la brama vendicativa esploda?
L’autrice ha dichiarato che voleva esplorare come nessuna tragedia si verifichi indipendentemente dal resto: un incidente accaduto nell’infanzia può avere conseguenze decenni dopo, fidarsi della persona sbagliata può dirottare completamente una vita, e poi anche le persone più buone possono essere capaci di azioni orribili.

A Quaglieni il premio “Penna d’oro”

Al prof. Pier Franco Quaglieni, storico, giornalista e scrittore, che vive tra Torino e la Liguria, è stato conferito il Premio “Penna d’oro” sezione scrittori per il libro “Passione  per la libertà“ ed. Buendia Book.

Il Premio  che gli verrà consegnato a Roma, al centro culturale italiano “Carlo Antoni”,  ha la  seguente motivazione:  “Storico  eminente del Risorgimento e dell’età contemporanea, è noto per le sue posizioni  controcorrente, di cui ha dato prova come docente libero da pregiudizi ideologici, giornalista mai asservito a  schieramenti precostituiti, storico che si richiama alla grande  lezione di  Benedetto Croce e di Rosario Romeo“. E’ un chierico che non ha tradito anche nei due anni di pandemia dove costante e’ il suo richiamo al senso di responsabilità di tutti. Quaglieni è un patriota di altri tempi, un piemontese orgoglioso delle sue radici storiche e famigliari  che ama la Liguria ed è aldamente ancorato alla contemporaneità, un  raro maestro di libertà e di civismo“.

Il consumista Andy Warhol e un palazzo della Torino barocca

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QUANDO UNA MOSTRA FA SPETTACOLO 

Di Mara Martellotta 

Potrebbe sembrare un accostamento insolito quello di una mostra dedicata a Andy Warhol, padre della pop art, e degli spazi espositivi di palazzo Barolo, dove ebbe inizio l’Opera Pia Barolo e che rappresenta uno dei meglio conservati esempi di dimore nobiliari della Torino barocca, oggi aperte al pubblico. In realtà, però, l’accostamento classico-contemporaneo è oggi più che mai vincente.

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Il consumista Andy Warhol e un palazzo della Torino barocca. Quando una mostra fa spettacolo

Garage rock Usa 1966. Discografia minore / 12

CALEIDOSCOPIO ROCK USA ANNI 60 ?? 


Come già accennato in precedenti articoli, un fattore di grande difficoltà per gli attuali studiosi del rock americano degli anni 60 è costituito dalle ricorrenti omonimie tra le garage rock bands di quei tempi (anche in aree geografiche vicine e confinanti tra loro). La questione era altresì  spinosa per i contemporanei, specialmente in sede discografica; e per tentare di stabilire una qualche differenziazione tra bands omonime si ricorreva già allora a cambi ortografici, scrittura della pronuncia, microvariazioni nei nomi etc. Basti pensare per esempio al caso “Night Riders” (e infatti si incontravano varianti omofone quali “Knight Riders”, “Night Ryders”, “Nite Riders”, “Nite Ryders” etc.); ma a volte il tutto finiva per complicarsi ulteriormente, dal momento che sovente le varie grafie erano interne ad una stessa compagine, in base all’etichetta discografica o al periodo di attività. In buona sostanza… un ginepraio fitto e inestricabile. Nella seguente sezione ho inserito (a parità di anno, 1966) varie garage rock bands americane dai nomi quasi identici, che tuttora causano problemi e “qui pro quo” a cultori, collezionisti,
appassionati e studiosi…

–  Christopher and The Souls “Diamonds, Rats And Gum / Broken Hearted Lady”  (Pharaoh P-151);

–  The Heirs “You Better Slow Down / Do You Want Me”  (Panorama 39);

–  The Young Enterprise “Think I’m Gonna Make It / I Wanted You”  (Rust Records 5111);

–  The High Tensions “Poor Man / No Use Hangin’ Around”  (Hitt Recording Company 6604-6605);

–  The Vandals [PA] “Ballad Of A Loser / My Girl”  (Big Rock BR-511);

–  The Vandals [GA] “Your Love Will Die / Mary”  (D 381);

–  Billy Sandlin & The Interns [FL] “Poor Rich Girl / Here Comes That Feeling” (Royala Records 1966.326);

–  The Interns [CA] “Hard To Get / And I’m Glad”  (Uptown 730);

–  The Interns [TX] “Sally Met Molly / Have Mercy”  (Paradise 1019);

–  Bill Allan & The Fugitives [WI] “Come On And Clap / You’re The Kind Of Girl (That I Go For)” (Trend Recordings 8090-T-101);

–  The Fugitives [MS] “No Tease / Lonely Girl”  (ZAFX-6606213/6606214);

–  The Fugitives [GA] “Meggie / Too Easy [I’ve Gotta Go]”  (New Talent Records NT-103);

–  The Fugitives [NY] “Your Girl’s A Woman / She Believes In Me”  (Mala 533);

–  The Esquires [MO] “She’s My Woman / Misfortune”  (Dot Records 45-16954);

–  The Esquires [FL] “Heat / Heartaches Stay The Night”  (CFP CPR 2);

–  The Esquires [TX] “These Are The Tender Years / Judgement Day”  (Glenvalley Records 105);

–  The Esquires [WV] “What Made You Change Your Mind / Boo Hoo Hoo” (Raven 00S-3);

–  The Mods [TX] “Days Mind The Time / It’s For You”  (Cee Three A-1002/1003);

–  The Mods [FL] “Sweets For My Sweet / Empty Heart”  (Knight HHP K-105);

–  The Mods [OH] “I Give You An Inch (And You Take A Mile) / You’ve Got Another Think Coming” (Peck);

–  The Other Half [PA] “Aspens Of The Night / A Lot To Live For”  (7/2 P-1);

–  The Other Half [TX] “Severance Call / Lost Everything”  (Sellers Company);

–  The Illusions [FL] “I Know / Take My Heart”  (A. C. P. 375);

–  The Illusions [WI] “The Outcast / Now That It’s Over”  (Audio Unlimited 815N-1000).

(… to be continued…)

Gian Marchisio